Mobbing di genere

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Questa voce è stata curata da Annalisa Rosiello

 

Scheda sintetica – Definizione

Le donne sono frequentemente i soggetti più a rischio di mobbing e/o di marginalizzazione, specialmente al rientro dalla maternità o a seguito di matrimonio o anche a seguito del rifiuto di avances (v. anche voce molestie sessuali e stalking occupazionale): si parla in questi casi, di mobbing di genere.

La marginalizzazione progressiva è certamente una delle ipotesi più segnalate agli sportelli sindacali e/o legali specializzati nonché ai competenti uffici (Direzione Provinciale del lavoro, Magistratura del lavoro, Consigliera di Parità): essa può avvenire tramite l’isolamento sistematico della lavoratrice, l’attribuzione di incarichi meno qualificati se non addirittura mortificanti, la esclusione da comunicazioni e riunioni interne, lo svilimento di proposte ed iniziative, l’assegnazione di postazioni di lavoro scomode o isolate, fino ad arrivare a condotte aggressive costituite da attacchi alla reputazione, ridicolizzazione pubblica, minacce di licenziamento.

Le motivazioni sottese alla illecita condotta aziendale possono trovare origine nell’avvenuta sostituzione della lavoratrice durante il periodo in cui è stata assente, nella riorganizzazione del lavoro all’interno del reparto o del settore, nella ritenuta minore disponibilità della lavoratrice a rispondere alle richieste aziendali, nella rigidità dell’organizzazione del lavoro all’interno dell’azienda o essere ancor più odiose, ovvero costituire la reazione al rifiuto di avances.

Per ulteriori dettagli si vedano anche le voci:

 

 

Fonti normative – Obblighi di prevenzione

La normativa vigente tutela in maniera decisa le lavoratrici (così come i lavoratori) rispetto a condotte persecutorie o marginalizzanti quali quelle sopra esemplificate.

Con riguardo specifico al mobbing di genere, oltre agli artt. 2087 e 2103 c.c., viene comunemente svolto richiamo alla normativa antidiscriminatoria ed all’art. 15 dello Statuto dei lavoratori che censura qualsiasi atto o patto volto a discriminare un lavoratore nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari o recargli altrimenti pregiudizio, tra le altre, anche per ragioni di sesso.
Inoltre viene richiamata l’importante fonte normativa rappresentata dal D.Lgs. 11 aprile 2006 n° 198 (“Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”) come modificato dal D.Lgs. 5/2010 che all’art. 26 inquadra tra le discriminazioni “anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Il Codice delle pari opportunità richiamato costituisce la fonte normativa di riferimento principale e generale contenente l’indicazione, tra l’altro, degli obblighi, dei divieti e degli strumenti di promozione delle pari opportunità tra generi.

Con riguardo al mobbing di genere, inoltre, merita richiamo anche la recente normativa in tema di prevenzione e sicurezza.
In particolare la Legge 123 del 2 agosto 2007 (“Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”) promuove, tra l’altro, la valorizzazione anche tramite rinvio legislativo, di accordi aziendali, territoriali e nazionali nonché su base volontaria, dei codici di condotta ed etici e delle buone prassi, che orientino i comportamenti dei datori di lavoro anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente.

Numerosi datori di lavoro si stanno adeguando a tale indicazione, introducendo regolamenti o codici di condotta volti a prevenire, tra l’altro, il mobbing o la marginalizzazione fondata su ragioni connesse al sesso.

Il Decreto Legislativo n° 81 del 9 aprile 2008, all’art. 28 prevede l’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004, alle differenze di genere….”.
Il legislatore ha dunque dedicato specifica attenzione e menzione ai rischi collegati alle differenze di genere e tra questi rientrano sicuramente i rischi di patologie legate al cd. mobbing di genere, la cui valutazione, a partire dal 29 luglio 2008, diviene necessaria ed obbligatoria.

Inoltre il 9 giugno 2008 è stato firmato dalle parti sociali l’Accordo interconfederale per il recepimento dell’accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato dell’8 ottobre 2004.
In tale accordo, all’art. 2, si dà atto che anche le molestie e la violenza sul posto di lavoro sono potenziali fattori di stress lavoro-correlato e che verrà verificata nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005 la possibilità di negoziare uno specifico accordo su tali temi.

Con la l. 183/2010, all’art. 21 sono stati introdotti i Cug (Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing), preposti a garantire le pari opportunità, il benessere di chi lavora e l’assenza di discriminazioni nelle amministrazioni pubbliche.
Anche la legge finanziaria del 2018 (l. 205/2017, comma 218) impone l’adozione di tutte le misure più efficaci per la promozione del benessere e per il mantenimento, all’interno dei luoghi di lavoro, di un clima rispettoso della dignità, della libertà (anche sessuale), delle corrette relazioni, dell’eguaglianza (v. art. 26, comma 3 ter Decreto Legislativo 198/2006).
In base alla disposizione sopra richiamata risulta centrale il ruolo anche del sindacato nel sollecitare le imprese ad adottare codici e comportamenti improntati al benessere; solo un lavoro “sano”, infatti, consente la realizzazione piena dell’essere umano all’interno di una delle “formazioni sociali” più importanti, il luogo di lavoro, dove l’individuo si completa e si realizza sia professionalmente che moralmente.

 

Cosa fare

La vittima di mobbing può incorrere in serie difficoltà a livello esistenziale fino ad arrivare a disturbi di adattamento e/o patologie di tipo cronico.
Occorre dunque che la stessa affronti un percorso clinico tramite centri specializzati nelle patologie legate allo stress ed al mobbing e/o tramite figure professionali quali lo psicologo, lo psicoterapeuta, lo psichiatra.
E’ di estrema importanza che – in caso di assenze per malattia – la diagnosi del medico di base, pur sintetica (ad es. depressione, ansia, attacchi di panico, ecc.) attesti – se ricorrono gli estremi – che la patologia è riconducibile al contesto lavorativo (e dunque, ad es.: depressione reattiva a problematiche in ambito lavorativo).

Sul piano legale è importante rivolgersi agli Sportelli del sindacato o ad un avvocato giuslavorista specializzato in casi di molestie, discriminazioni e mobbing.

Per contrastare il mobbing di genere e, più in generale, tutte le condotte discriminatorie a sfondo sessuale, il Codice delle Pari Opportunità, all’art. 36, stabilisce la possibilità di percorrere le ordinarie vie giudiziali anche tramite la consigliera o il consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente.
Tali uffici hanno altresì la possibilità di promuovere, su delega della lavoratrice (o del lavoratore), un procedimento di urgenza volto ad ottenere la cessazione immediata del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti già prodotti (v. art. 38, D.Lgs. 198/2006).

E’ importante, relativamente ai tempi, affrontare il percorso clinico contestualmente (o antecedentemente) a quello legale.

L’azione risarcitoria si prescrive in dieci anni, trattandosi di responsabilità contrattuale (legata alla violazione dell’art. 2087 c.c.).
Naturalmente è consigliabile attivarsi tempestivamente, sia per prevenire l’aggravarsi dei danni, sia per ragioni pratiche-processuali: in cause in cui le testimonianze sono di fondamentale importanza, il trascorrere del tempo rischia di far perdere memoria storica ai testimoni e rischia dunque di compromettere la buona riuscita della causa.

 

Documenti necessari

Dal punto di vista documentale, è importante acquisire eventuali lettere di contestazione, mail dal contenuto offensivo, ordini di servizio non attinenti al ruolo e ogni documento che possa essere utile per ricostruire la fattispecie, tenendo conto peraltro del fatto che le prove più importanti , nei caso di mobbing, sono normalmente quelle testimoniali.
Con riguardo alla documentazione medica, molto importanti sono i certificati del medico di base (per attestare la data di inizio dei disturbi), i certificati dei clinici (psicologo, psichiatra, CTS, Clinica del lavoro, ecc.) e la perizia medico-legale sul danno biologico.

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

 

Richieste sanzionatorie e danni risarcibili

Il mobbing di genere e le condotte marginalizzanti vengono punite con la sanzione civile della nullità.
Ciò comporta il diritto della persona vittima di tali molestie al ripristino dello status quo ante, alla rimozione di eventuali effetti dannosi già prodotti ed al risarcimento di tutti i danni subiti secondo gli ordinari criteri civilistici e giuslavoristici (v. anche voce mobbing).

 

Oneri di allegazione e di prova

Qualora il mobbing possa essere ricondotto ad un fattore discriminante legato al sesso è applicabile la normativa di cui al D.Lgs. n° 145 del 30 maggio 2005, trasfuso nel Codice delle Pari opportunità (D.Lgs. 198/2005, art. 26), che descrive le molestie morali come quei comportamenti indesiderati posti in essere per i fattori discriminanti sopra esemplificati “aventi lo scopo o (anche semplicemente, ndr) l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, umiliante od offensivo”.

In tali casi il lavoratore deve allegare le circostanze indicatrici della discriminazione e delle molestie morali ma è aiutato da un regime di prova agevolato, dato che in base all’art. 40 del D.Lgs. 198/2006 qualora la lavoratrice o il lavoratore forniscano elementi di fatto idonei a fondare la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.

Il citato decreto legislativo, inoltre solleva il lavoratore dalla prova dell’intenzionalità lesiva della condotta, prova invece richiesta per la realizzazione della fattispecie del mobbing (non di genere – v. alla voce mobbing).

Infine, se alla condotta marginalizzante o mobbizzante è seguito o conseguito uno o più episodi di molestie sessuali, potrà essere invocato il D.Lgs. 145 del 2005.

Per ulteriori informazioni si vedano anche le voci:

 

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di mobbing

Per le decisioni della Magistratura si veda la voce Mobbing