Premio di produzione – Premio di produttività

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Questa voce è stata curata da Francesca Ajello e aggiornata da Arianna Castelli

 

Scheda sintetica

I premi di produzione costituiscono elementi integrativi della retribuzione di base e consistono sostanzialmente in veri e propri compensi aggiuntivi cui, in linea generale, è attribuita natura retributiva.
Essi sono nati intorno agli anni sessanta come strumenti correlati, mediante differenti forme, alla produttività aziendale. Ciò è avvenuto al fine di far partecipare i lavoratori ai benefici di quest’ultima, dotando tali compensi di una finalità espressamente incentivante.
In realtà, in breve tempo, sono stati poi trasformati dalla contrattazione aziendale in veri e propri compensi fissi: essi sono quindi diventati concretamente un’integrazione alla retribuzione di base avente periodicità plurimensile (in genere annuale).
La negoziazione interna alle singole aziende, infatti, li ha da subito assunti come oggetto principale del proprio intervento, riuscendo così ad ottenerne una determinazione uguale e fissa per tutti i lavoratori, nonché un adeguamento periodico analogo a quello effettuato relativamente agli aumenti degli stipendi negoziati a livello nazionale.

 

Fonti normative

  • Legge 24 dicembre 2007, n.247
  • Legge 28 dicembre 2015, n.208

 

 

Natura dei premi e tipologie

I premi di produzione, come si è detto, sono compensi aggiuntivi alla retribuzione di base.
L’ammontare di essi ed i criteri per il loro calcolo variano da azienda ad azienda. Di regola essi vengono pattuiti nell’ambito di ciascuna singola realtà aziendale grazie all’intervento della contrattazione aziendale.
Peraltro la giurisprudenza ritiene che la previsione degli emolumenti in specifici accordi aziendali o individuali non sia necessaria ai fini della loro configurabilità come premi, ma che sia al contrario sufficiente il fatto che essi si siano consolidati effettivamente grazie alla reiterata prassi intercorsa nell’ambito del rapporto fra lavoratore e datore di lavoro.
Infatti è riconosciuto che le erogazioni da parte di quest’ultimo debbano in ogni caso considerarsi come facenti parte dell’ordinaria retribuzione qualora esse siano corrisposte continuativamente ad una generalità di dipendenti.
Tale riconoscimento trova il proprio fondamento nel fatto che gli emolumenti premiali, grazie al consolidarsi della prassi, entrano a far parte della retribuzione poiché configurano un vero e proprio uso aziendale, pertanto riconducibile alla categoria degli usi negoziali o di fatto.

 

Le tipologie premiali

In linea generale la prassi ha da sempre conosciuto varie tipologie di integrazioni premiali, le quali sono state normalmente classificate in modo diverso a seconda del punto di vista assunto.
Possono infatti differenziarsi a seconda del soggetto cui sono attribuiti: se cioè vengono elargiti ad una pluralità di lavoratori (per esempio a interi reparti o gruppi individuati secondo specifici criteri) o se invece vengono concessi a lavoratori singoli in virtù del raggiungimento di determinati risultati.
Dal punto di vista oggettivo, invece, possono distinguersi a seconda del metodo attraverso il quale vengono calcolati: ciò può infatti avvenire assumendo come unità di misura elementi di tipo economico (quali ad esempio il fatturato o gli utili) oppure di tipo tecnico (come ad esempio la qualità o la quantità di produzione effettuate).
Ancora, le prassi aziendali conoscono due tipologie fondamentali di emolumenti premiali: i premi legati a specifici ed oggettivi parametri ed i premi meramente discrezionali, slegati da qualsivoglia parametro prefissato e obiettivamente individuati.
Mentre i primi subiscono le oscillazioni dei parametri cui sono connessi, gli emolumenti appartenenti a tale seconda tipologia vengono assegnati a prescindere dalla sussistenza di parametri specifici ed oggettivamente determinati.
Tale ultima distinzione assume peculiare rilevanza poiché a seconda che si tratti del primo o del secondo tipo di compenso potrà variare la natura giuridica ad esso attribuibile e comportare le debite conseguenze.

 

La natura giuridica

Di regola, si ritiene che i compensi premiali abbiano natura retributiva, quando configurino corrispettivi di prestazioni contrattuali obbligatorie e la loro corresponsione sia caratterizzata da una certa continuità, costanza o comunque frequenza nell’ambito di un determinato arco di tempo.
È stata invece negata tale natura quando il premio risulta solo eventuale, poiché connesso a particolari modalità esecutive della prestazione o strettamente legato all’incremento della produzione rispetto all’ordinaria prestazione giornaliera.
In altri termini, affinché sia possibile attribuire all’erogazione natura retribuiva è necessario che esso abbia caratteri di obbligatorietà, continuità, costanza, determinatezza o determinabilità: dunque il ripetersi nel tempo di tali premi, l’erogazione degli stessi nei confronti di un vasto gruppo di dipendenti e la possibilità di determinarne l’ammontare provoca il loro consolidarsi nell’ambito aziendale ed ha come risultato finale quello di diventare parte integrante della retribuzione dovuta.

L’attribuzione della natura evidenziata è fondamentale per diverse ragioni e, in particolare, perché provoca rilevanti conseguenze.
In primo luogo, il carattere retributivo consente l’operatività dei principi di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione, sanciti dall’art. 36 Cost., nonché del principio di intangibilità della stessa, secondo il quale è preclusa la riduzione della retribuzione annualmente percepita dal lavoratore. In altri termini, il premio accordato al dipendente diventa parte integrante del compenso maturato dal lavoratore grazie agli accordi collettivi o individuali o alla prassi consolidata e, pertanto, assume carattere di obbligatorietà: il datore di lavoro non può più decidere di ridurlo o revocarlo
Secondariamente, la natura retributiva consente il computo del compenso premiale ai fini del calcolo degli istituti retributivi indiretti: dunque il valore del premio incide anche sulle retribuzioni indirette e differite, come la tredicesima o il TFR.

 

L’evoluzione dei compensi premiali

Peraltro, la diffusa corresponsione dei premi di produzione ha indotto la contrattazione aziendale a negoziare altre categorie di compensi premiali, quali, ad esempio, i premi di bilancio, i premi di presenza, di operosità o di assiduità corrisposti per i giorni di effettiva presenza e volti fondamentalmente a disincentivare il fenomeno dell’assenteismo.
L’evoluzione del fenomeno ha portato infine all’elaborazione di nuovi premi di risultato, ossia premi espressamente collegati al raggiungimento di obiettivi e aventi lo scopo di premiare professionalità ed impegno dei lavoratori. In particolare nella prassi viene operata una distinzione fra premi di produttività e premi di redditività, a seconda dei criteri con cui vengono determinati.
I primi sarebbero vere e proprie forme di retribuzione incentivante, in quanto legate ad indicatori parametrati agli incrementi di produzione individuale e/o aziendale determinati dall’attività del lavoratore: conseguentemente, essi dipendono dalla sfera di dominio dei lavoratori stessi, essendo generalmente legati a criteri quali, ad esempio, qualità e quantità di prodotto o risparmio dei costi per la produzione.
I secondi invece sono legati a parametri per lo più slegati dal controllo del lavoratore e dipendenti invece da scelte strategiche aziendali che, pertanto, si ripercuotono sulla redditività dell’intera azienda.
Peraltro, in questi casi, è stato rilevato che i problemi relativi alla natura retributiva del compenso premiale si acuiscono, sulla base della considerazione che non sarebbero legati direttamente alla prestazione lavorativa singola e dunque non sarebbero in stretto rapporto di corrispettività con essa.
Si è tuttavia obiettato che per i premi di risultato, valgono i medesimi principi relativi ai premi di produzione più tipici: ai fini dell’attribuzione della natura retributiva, è pertanto necessaria e sufficiente la sussistenza dei predetti caratteri di costanza, continuità, obbligatorietà e determinabilità del compenso.
In tema di premi di risultato, è intervenuto anche il Protocollo del 21 luglio 1993. Tale atto occupandosi specificamente di una nuova distribuzione della competenza fra i vari livelli di contrattazione, aveva assegnato a quella aziendale il compito specifico di negoziare su erogazioni che fossero strettamente legate ai risultati effettivamente conseguiti.
Sulla scorta di ciò, la contrattazione aziendale ha portato ad una casistica piuttosto variegata.
In molti casi è comunque rimasta legata ai premi di produzione più tipici, lasciando così che essi costituissero elementi aggiuntivi fissi della retribuzione, con natura retributiva, accordati in misura eguale a tutti i lavoratori e fissi e soggetti solo ad adeguamento periodico.
In altri casi, invece, il premio è stato legato all’inquadramento del lavoratore oppure ancorato a parametri suscettibili di oscillazione dovuta all’effettivo conseguimento dell’obiettivo. In quest’ultimo caso l’erogazione premiale diviene necessariamente variabile, potendo aumentare o diminuire sino all’annullamento.
Di regola è la stessa contrattazione aziendale a stabilire l’incidenza di tali premi sugli altri istituiti retributivi, la quale risulta in ogni caso generalmente ridotta, ammontando i premi a percentuali piuttosto basse della retribuzione di base.

 

Benefici contributivi legati ai compensi connessi ad incrementi di produttività

Il legislatore, in via meramente sperimentale, ha previsto un regime contributivo fortemente agevolato per tale tipologia di compensi già a partire dal 2008 .
La l. 92/2012 ha invece reso strutturale il regime di sgravio contributivo connesso a tali emolumenti, stabilendo che, entro il limite massimo del 5% della retribuzione annua imponibile, beneficino di una riduzione dell’onere contributivo.
In particolare, tale disciplina di favore si applica a tutti quegli importi, previsti dalla contrattazione collettiva aziendale o territoriale e di secondo livello, connessi a incrementi di produttività, qualità o comunque a un miglioramento di quegli indicatori rivelatori dell’andamento dell’impresa.
L’ammontare dello sgravio contributivo riconosciuto al lavoratore differisce da quello previsto per il datore di lavoro. Nel primo caso, il dipendente giova di una riduzione dell’onere pari alla contribuzione corrispondente alla quota di erogazione ammessa al beneficio (in modo tale che di fatto l’onere sopportato dallo stesso sia pari a zero).
Al datore, invece, è riconosciuto una riduzione del 25% della quota a suo carico.
Tale regime non si applica automaticamente, il beneficio contributivo, infatti, viene concesso solo in seguito a domanda del datore di lavoro e solo ed esclusivamente nel limite delle risorse disponibili.
La finanziaria del 2015, tuttavia, ha sacrificato le misure di detassazione dei premi di produttività a causa dell’esonero contributivo previsto in relazione alla sottoscrizione di contratti a tutele crescenti; la l. 208/2015, al contrario, ha ripristinato tali misure rendendole strutturali.
Il nuovo regime prevede che coloro che percepiscono un reddito da lavoro non superiore a 50,000, salvo espressa rinuncia, beneficiano nel limite dei 2,000 euro lordi annui di un’imposta sostitutiva del 10% per le quote di retribuzione percepite in esecuzione di contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale (anche sotto forma di partecipazione agli utili). Inoltre, gli accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività e qualità. Tali criteri possono concretarsi nell’aumento della produzione, in risparmi del fattore produttivo oppure nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, purché la loro verifica possa essere effettuata sulla base di criteri obiettivi ed oggettivi.
L’applicazione dell’imposta sostitutiva al 10% è subordinata al deposito del contratto da effettuare entro 30 giorni dalla sottoscrizione dei contratti collettivi aziendali o territoriali, insieme con la dichiarazione di conformità del contratto stesso alle disposizioni di legge.