Diritti sindacali

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Questa voce è stata curata da Stefania Ricciardi

 

Scheda sintetica

La libertà sindacale, così come sancita dall’art. 39 della Costituzione, rimarrebbe un principio astratto se non si evolvesse in “diritto sindacale” all’interno dell’impresa.
Da qui la preoccupazione dello Statuto dei Lavoratori (titolo II e titolo III) di rendere effettivo ed esigibile il principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro.

La libertà di organizzazione sindacale, una volta penetrata nell’impresa, non può esaurirsi nel mero riconoscimento del momento associativo (diritto di costituire organismi sindacali aziendali) e deve necessariamente espandersi sino a consentire l’attivazione di situazioni strumentali (quali assemblee, permessi, uso dei locali delle RSA, etc.) in grado di attivare efficacemente l’azione sindacale nei luoghi di lavoro.
Inoltre, se l’esercizio in azienda della libertà sindacale fosse lasciato alla mercé dei rapporti di forza, risulterebbe poco incisivo, stante l’incombenza del potere organizzativo dell’imprenditore.
Per questi motivi, lo Statuto dei Lavoratori, al titolo II, ha ricondotto a specifiche “situazioni di diritto”, adeguatamente protette, lo svolgimento, da parte di soggetti sindacali particolarmente qualificati, di alcune attività sindacali nell’impresa, cui necessariamente corrisponde una situazione di obbligo in capo al datore di lavoro.

Infatti, mentre la libertà sindacale generalmente intesa implica un’immunità nei confronti del potere sanzionatorio dello Stato e del datore di lavoro, il diritto a svolgere una specifica attività sindacale comporta l’immediato sacrificio delle ragioni tecnico-produttive (ad esempio, in caso di permesso sindacale, il datore di lavoro deve sopportare la sottrazione di energie lavorative).

I diritti sindacali servono a rafforzare il sindacato come forma istituzionale e di autotutela esclusiva, attribuendogli prerogative volte a privilegiare il momento collettivo rispetto all’esercizio individuale delle libertà fondamentali.
Allo Statuto dei Lavoratori, in particolare, è stato affidato il duplice compito di consolidare sul piano legislativo alcune conquiste sindacali e di tentare un delicato coordinamento tra gli istituti di sostegno del sindacato nei luoghi di lavoro e le esigenze imprenditoriali.

 

Normativa

  • Art. 39 Costituzione
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), titolo II e titolo III

 

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio Vertenze Sindacale
  • Studio Legale Specializzato in diritto del Lavoro

 

 

Scheda di approfondimento

 

Ragioni e tecniche di fondo per la tutela dei rapporti collettivi

Il diritto sindacale riguarda la regolazione giuridica dei rapporti tra classi sociali.
Le modalità di tale regolazione sono determinate o quantomeno largamente influenzate dalla forma politica dello Stato, in cui tali rapporti si svolgono.

In particolare:

A) nello Stato liberale, i fenomeni collettivi sono fondamentalmente lasciati a una regola di libertà: si parla, pertanto, di “libertà di organizzazione sindacale” (a superamento del dogma individualistico che, contrariamente, vietava l’associazionismo nei luoghi di lavoro). L’attività dell’ordinamento nei confronti del fenomeno associativo della contrattazione collettiva si esplica come:

  1. garanzia del pluralismo associativo;
  2. protezione della libertà sindacale, sia dei lavoratori, sia dei datori di lavoro. Con “libertà sindacale” si intende la libertà dei singoli di riunirsi in organizzazioni sindacali, le quali mirano a proteggere interessi connessi allo svolgimento di un’attività di lavoro (non necessariamente del solo lavoro subordinato).

La “libertà sindacale”, come tutte le libertà, è prima di tutto libertà da interferenze dei pubblici poteri e dei soggetti privati.
Già le Convenzioni dell’OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro– (stipulate dopo il secondo conflitto mondiale), approvando la solenne “Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali del lavoro”, vincolavano i 174 Stati membri al rispetto della libertà di associazione sindacale e il diritto alla contrattazione collettiva (il quale rappresentava uno dei quattro pilastri della stessa Dichiarazione, oltre all’eliminazione del lavoro forzato e obbligatorio, l’effettiva abolizione del lavoro minorile e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione), individuando il terreno di tutela della stessa rispetto al potere del datore di lavoro.
La libertà sindacale è finalizzata a superare lo squilibrio contrattuale tra prestatore di lavoro e datore, con lo scopo di riequilibrare tali posizioni e perseguire, pertanto, gli interessi dei lavoratori.
Lo sviluppo dell’associazionismo come strumento di auto-tutela dei lavoratori ha creato una reazione da parte dei datori, i quali discriminarono lavoratori aderenti ad un sindacato avvalendosi dei cd “contratti di lavoro punitivi” (che comportavano la non assunzione del lavoratore sindacalizzato o il licenziamento di colui che era attivo sindacalmente).

B) Nello Stato di democrazia pluralista (nella cui categoria può essere inquadrata la nostra Repubblica italiana dopo la Costituzione del 1948) si va oltre la semplice difesa della libertà sindacale, compiendo una vera e propria valutazione positiva dell’associazione sindacale e del conflitto sociale. Tale visione corrisponde al disegno di realizzazione dell’uguaglianza sostanziale prevista dalla nostra Costituzione (art. 3).
Uno strumento che il nostro ordinamento mette a disposizione dei lavoratori (essendo condizione generalmente diffusa che gli stessi si trovino in una situazione di squilibrio contrattuale) è il cosiddetto “associazionismo sindacale”, che mira a riequilibrare a monte le posizioni dei soggetti coinvolti in un rapporto di lavoro.
La tutela posta dall’ordinamento, quindi, non è solo una risposta protettiva del contraente più debole, che non modifica la situazione di squilibrio tra le parti del rapporto di lavoro, ma la sfera pubblica consegna uno strumento che può garantire che i lavoratori recuperino una condizione di uguaglianza iniziale: è l’attività sindacale.
Il conflitto “ordinato”, “regolato”, non è visto negativamente dallo Stato, perché, anzi, attraverso di esso, l’ordinamento può svilupparsi e evolversi. Con una scelta solo apparentemente squilibrata, si può giungere a un riequilibrio economico-contrattuale sostanziale (ad esempio, mentre il diritto di sciopero è un diritto costituzionalmente garantito, che permette ai lavoratori di non prestare la propria attività lavorativa senza che ciò sia classificato inadempimento contrattuale, a contrario non esiste uno strumento di autotutela dei datori di lavoro protetto correlato).
L’ordinamento, insomma, realizza un vero e proprio sostegno all’attività sindacale nei luoghi di lavoro, come condizione di sviluppo per garantire un conflitto organizzato, genuino e collettivo.
Lo sviluppo dell’attività sindacale è un valore positivo nella società attuale, che può contribuire ad una visione imprenditoriale più matura tale da realizzare un risultato socialmente apprezzabile.

 

Art. 39 della Costituzione: la libertà sindacale

Tale articolo rappresenta il punto chiave della disciplina del diritto sindacale, è la norma centrale per quanto attiene il fenomeno associativo.
Tale disposizione, peraltro, è nata dalla convergenza di due diversi orientamenti politico-culturali. Da un lato, il cattolicesimo democratico, attento ai problemi sociali e favorevole allo sviluppo di un movimento sindacale cooperativo; dall’altro lato il movimento operaio di ispirazione socialista e comunista, sostenitore di un sindacato conflittuale classista.
L’art. 39 della Costituzione, al comma 1, sancisce un principio fondamentale: la libertà, e quindi la pluralità, sindacale come fondamento delle relazioni industriali. Tale disposizione è immediatamente precettiva, vale a dire che opera nei rapporti intersoggettivi tra privati, senza che si renda necessaria una legge ordinaria di attuazione.
Rispetto alla libertà di associazione (art. 18 Costituzione), la libertà di cui all’art. 39 della Carta Costituzionale assume una sua specificità, non tanto nel senso che l’organizzazione sindacale costituisca un’articolazione o un’integrazione della libertà di associazione, ma piuttosto nel senso che il “fine sindacale” è tipizzato come lecito, e che pertanto la libertà sindacale è, sotto questo aspetto, assoluta.
È libertà di “organizzazione”, e non di mera “associazione”sindacale: il termine “organizzazione” identifica una nozione di aggregazione sindacale più ampia. Nella storia sindacale italiana della Repubblica, vi sono, infatti, organismi di rappresentanza dei lavoratori che hanno certamente natura sindacale, ma non struttura associativa (si pensi, ad esempio, all’esperienza fondamentale dei Consigli di Fabbrica o Consigli dei Delegati).
Secondo l’opinione largamente diffusa, oggetto della garanzia costituzionale è l’attività finalizzata all’organizzazione sindacale, essendo non solo libertà da eventuali interferenze, ma soprattutto libertà di agire.
La libertà sindacale è un diritto individuale (chiunque ha diritto a coalizzarsi con altri per tutelare i propri interessi e partecipare all’attività dell’organizzazione alla quale aderisce), la cui modalità di esercizio è essenzialmente di tipo collettivo (l’organizzazione sindacale deve essere posta nella condizione di svolgere l’attività di autotutela dei lavoratori di cui intende assicurare la rappresentanza).
La norma prevede poi la registrazione del sindacato (che acquista così personalità giuridica), nonché l’attribuzione della capacità di stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes (quindi non soltanto validi per gli aderenti del sindacato) in capo alle rappresentanze unitarie dei sindacati registrati (comma 2, 3 e 4).
Condizione per la registrazione è l’ordinamento interno su base democratica del sindacato.
Questa seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione è rimasta inattuata, non essendo mai stata approvata una legge in materia.

 

Statuto dei lavoratori (Legge n. 300 del 20 maggio 1970)

Soltanto con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori (avvenuta al termine dello straordinario ciclo di lotte sindacali del biennio 1968-69, culminate con il cosiddetto “autunno caldo”), è stata realizzata nel nostro ordinamento quella protezione della libertà sindacale che consiste nel dare adeguata tutela al diritto dei lavoratori di costituire un’organizzazione sindacale o di aderirvi, o di svolgere liberamente attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Il campo di intervento, infatti, è l’azienda, al cui interno il sindacato riceve per la prima volta una cittadinanza, nel senso che gli viene riconosciuta la possibilità di esercitare sui luoghi di lavoro una serie di diritti fino allora preclusi.

  1. Nel titolo II dello Statuto dei Lavoratori, rubricato “Della libertà sindacale” (art. da 14 a 18) sono inserite le norme che mirano a regolare il fenomeno associativo. Nel titolo II, è inserito anche l’articolo 18, che –come noto- prevede il diritto alla reintegrazione (tutela reale) nel caso di licenziamento invalido, inefficace o illegittimo. La collocazione di tale norma fondamentale nell’ambito del titolo dello Statuto dei Lavoratori relativo alla libertà sindacale, mette in evidenza come l’intervento legislativo del 1970 fosse finalizzato a rendere effettivi i diritti sindacali. Il diritto alla reintegrazione costituisce infatti il più valido deterrente contro eventuali tentativi del datore di lavoro di usare l’arma del licenziamento in chiave anti-sindacale.
  2. Il titolo III, “Dell’attività sindacale”, invece, pone una regolamentazione non in difesa dell’associazionismo sindacale, ma a sostegno dell’attività sindacale (art. da 19 a 27). La legislazione di sostegno, in particolare, mira a incentivare l’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, per permettere che la presenza sindacale si sviluppi maggiormente e per consentire che le rappresentanze riescano effettivamente a svolgere un’attività in tutela dei lavoratori, attraverso strumenti offerti loro dal legislatore.

La differenza tra il primo ed il secondo insieme di norme risiede, oltre che nel loro scopo (il primo di tutela, il secondo di sostegno) nel rispettivi ambiti di applicazione: le disposizioni del titolo II hanno un’applicazione generale (salvo l’articolo 18); le disposizioni del titolo III vengono in essere non per tutti i lavoratori e non in tutti i luoghi di lavoro.
Nel titolo IV dello Statuto dei Lavoratori, peraltro, si trova una norma importantissima (articolo 28) che prevede uno strumento speciale di tutela per reprimere l’eventuale comportamento antisindacale del datore di lavoro.

 

Norme a tutela della libertà nei luoghi di lavoro (titolo II Statuto dei lavoratori)

Il titolo II della Legge 300/1970 contiene una serie di disposizioni, il cui obiettivo è quello di rafforzare l’effettività del principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, vietando all’imprenditore di ostacolare, anche solo indirettamente, l’esercizio di tale libertà.
Introdotti dall’art. 14 che riafferma nei confronti del datore di lavoro la libertà di organizzazione sindacale sancita dall’art. 39 della Costituzione, gli art. 15 e 16 prevedono il divieto di atti o patti e trattamenti collettivi discriminatori per ragioni sindacali.
In particolare:

  • art. 15 (divieto di atti o patti discriminatori) sancisce la nullità di qualsiasi patto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale, ovvero cessi di farne parte;
  • art. 16 (trattamenti economici collettivi discriminatori) vieta la discriminazione di carattere sindacale, che può avvenire, da parte del datore di lavoro, non solo privando il prestatore di lavoro di particolari benefici o arrecandogli comunque danno, bensì, molto più sottilmente, attribuendo particolari trattamenti di favore ai lavoratori che tengono un determinato comportamento, condizionandoli, così, nell’esercizio della libertà sindacale.

Benché inserito nel titolo III dello Statuto dei Lavoratori, dedicato alle rappresentanze sindacali e alle loro prerogative, l’art. 26 contiene una disposizione che ha per destinatari i singoli lavoratori, garantendo loro di svolgere attività tipicamente sindacali, quali quelle di proselitismo e di raccolta di contributi a favore e sostegno delle organizzazioni sindacali.
Per questo motivo, tale disposizione è considerata una “norma di sostegno”, e non di “mera tutela”, sebbene non delle RSA (o RSU), bensì di qualunque sindacato.

 

Norme a sostegno dell’attività sindacale (titolo III Statuto dei lavoratori)

Come già affermato, la più importante disciplina tipica della legislazione di sostegno dell’attività sindacale è prevista dal titolo III dello Statuto dei Lavoratori, che prevede la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (RSA), con l’attribuzione in capo a questi soggetti di particolari diritti, al fine di realizzare un auspicabile equilibrio contrattuale tra le parti del rapporto di lavoro.
Va peraltro evidenziato da subito che a partire dal 1993, a seguito dell’Accordo Interconfederale con cui il governo e le parti sociali hanno pattuito l’introduzione delle RSU, le prerogative riconosciute dallo Statuto dei Lavoratori alle RSA spettano anche alle RSU, che, laddove costituite, subentrano alle RSA e ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni a essi spettanti per effetto di disposizioni di legge (Per un approfondimento del passaggio dalle RSA alle RSU, v. Rappresentanze sindacali).
Promozione e sostegno sono utilizzati dal legislatore in maniera “selettiva” e pertanto tale disciplina normativa è limitata in due direzioni:

  1. in senso oggettivo, in quanto non si applica in tutti i luoghi di lavoro, ma solo in unità produttive con più di 15 dipendenti (art. 35 SL). Infatti, mentre la libertà sindacale è garantita ovunque, il sostegno all’attività sindacale è limitato, avendo oneri sociali e economici elevati: per questo motivo, il legislatore ha ritenuto accettabile limitare l’applicazione della regolamentazione di sostegno solo ad imprese di determinate dimensioni; ai fini della verifica della soglia numerica occupazionale di 15 dipendenti, si tiene conto anche dei lavoratori a termine (in particolare, la legge prevede che si debba tenere conto del “numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro” – art. 8, d.lgs. 368/2001, così come modificato dall’art. 12, L. 97/2013)
  2. in senso soggettivo, in quanto si limita il sostegno solo ad alcune organizzazioni sindacali, le quali devono essere firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva (art. 19 SL). Tale norma opera una selezione dei soggetti ammessi a godere delle cosiddette “prerogative sindacali”. L’attuale formulazione della norma costituisce l’esito del referendum popolare del 1995, che ha abrogato parzialmente l’articolo 19, la cui precedente formulazione prevedeva che le RSA fossero costituite nell’ambito delle associazioni sindacali in possesso del requisito della maggiore rappresentatività.

Le limitazioni, siano esse oggettive o soggettive, sono state imposte essenzialmente da due ragioni:

  • tutela del diritto di impresa: l’esercizio di tali diritti, infatti, comporta problemi organizzativi e economici per l’azienda. L‘ordinamento giuridico, peraltro, valuta con favore il fenomeno dell’autotutela sindacale positivo e lo sostiene con le norme in oggetto; nel contempo, ritiene che gli oneri posti al datore di lavoro dalla normativa di sostegno debbano essere ragionevoli. In tal senso le limitazioni svolgono una funzione di contemperamento delle contrapposte sfere di interesse;
  • scelta di politica del diritto: la legge, individuando i soggetti titolari di diritti sindacali, ha compiuto una scelta politica, pur lasciando ferma la garanzia della libertà sindacale. Ha, dunque, privilegiato forme di rappresentanza sindacale con una forte tradizione, al fine di evitare un eccesso di frammentazione della rappresentanza.

Il Titolo III dello Statuto dei Lavoratori contiene norme “promozionali” e di “sostegno” all’attività sindacale nei luoghi di lavoro, cioè prevede una serie di disposizioni che vanno oltre la tutela della libertà sindacale, in quanto non mirano esclusivamente a definire uno spazio di autotutela del soggetto titolare di tale libertà (vietando, quindi, a tutti gli altri soggetti di interferirvi), ma danno vita, in capo al soggetto tutelato, a pretese configurabili come veri e propri diritti soggettivi verso il datore di lavoro, sul quale gravano obblighi corrispondenti.

Le disposizioni ivi previste si possono distinguere in tre gruppi:

A) Norme che attribuiscono diritti e poteri alle RSA:

  • DIRITTO DI ASSEMBLEA (art. 20): diritto dei lavoratori a riunirsi nei luoghi di lavoro, fuori o dentro l’orario lavorativo, per discutere materie di interesse sindacale. La legge prevede un tetto massimo annuo di dieci ore di assemblea (salvo diversa disposizione migliorativa prevista dai contratti collettivi), per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Tale diritto riassume due posizioni soggettive: il potere di convocare o indire l’assemblea, prerogativa della RSA, nonché il diritto di partecipare all’assemblea, che costituisce un diritto sindacale individuale, di cui è titolare il singolo lavoratore. In caso di costituzione di RSU, una recente sentenza della sezioni unite della Cassazione ha stabilito che il diritto di chiedere assemblee retribuite ai sensi dell’art. 20 spetta, oltre alla RSU quale organo collegiale, anche alle sue singole componenti, che possono quindi esercitarlo in via autonoma (Cass. S.U. 6 giugno 2017, n. 13978).
  • REFERENDUM (art. 21): tutte le RSA congiuntamente possono indire un referendum, che costituisce uno strumento di partecipazione dei lavoratori alle decisioni e alle politiche contrattuali dei sindacati. Il referendum deve svolgersi al di fuori dell’orario di lavoro, sebbene il datore deve consentirne lo svolgimento, prestando la propria collaborazione, rendendo accessibili e disponibili locali per il suo svolgimento.
  • DIRITTO DI AFFISSIONE (art. 25): conferisce alle RSA il diritto di affiggere, in appositi spazi, testi e comunicati inerenti materie di interesse sindacale e di lavoro. Il datore, a sua volta, è obbligato a predisporre all’interno dell’unità produttiva, spazi per tale affissione, in luoghi accessibili a tutti i lavoratori ed è inoltre obbligato a astenersi da ogni ingerenza sui contenuti del materiale affisso. Con la diffusione dell’informatica e della telematica, la giurisprudenza prima e numerosi contratti collettivi poi hanno esteso l’ambito di applicazione della norma anche allo “spazio virtuale” costituito dai sistemi informatici aziendali, sancendo l’obbligo del datore di lavoro di porre a disposizione delle RSA le c.d. “bacheche elettroniche”.
  • LOCALI ALLE RSA (art. 27): tale disposizione obbliga il datore di lavoro a porre a disposizione delle RSA, all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze, un locale idoneo allo svolgimento della loro attività: il locale deve essere messo permanentemente a disposizione delle unità produttive con più di 200 lavoratori, altrimenti solo su richiesta delle RSA al fine di svolgere le proprie riunioni.

 

B) Norme che prevedono diritti dei dirigenti delle RSA:

  • PERMESSI RETRIBUITI (art. 23): i dirigenti delle RSA hanno diritto ad ottenere ore retribuite per svolgere la propria attività sindacale, purché rientrino nel monte ore annuo, senza darne specifico motivo. La determinazione del monte ore annuo è proporzionale alla dimensione dell’azienda. Il permesso è retribuito.
  • PERMESSI NON RETRIBUITI (art. 24): i dirigenti delle RSA possono inoltre ottenere permessi non retribuiti, che la legge prevede possano essere utilizzati per la partecipazione a trattative sindacali, convegni o congressi. Tali permessi sono fruibili in misura non inferiore alle otto ore annue, con il diritto di porre condizioni di miglior favore tramite la contrattazione collettiva.

 

C) Norme che pongono speciali tutele per i dirigenti delle RSA:

  • TRASFERIMENTO DEI DIRIGENTI DELLE RSA (art. 22): tale disposizione prevede che i dirigenti delle RSA non possano essere trasferiti da un’unità produttiva ad un’altra senza il nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.
  • LICENZIAMENTO DEI DIRIGENTI DELLE RSA (art. 18): ai dirigenti delle RSA, la legge garantisce una speciale protezione processuale in caso di licenziamento. La procedura ha avuto scarsissima applicazione, perché in realtà si è infatti nettamente preferito ricorrere allo strumento dell’art. 28 (repressione della condotta antisindacale).

Nella pratica, la nozione di dirigente delle RSA (contenuta nel testo normativo) si è venuta ad identificare con quella di componente della RSA.
Tale identificazione si è definitivamente consolidata con il passaggio al sistema delle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie), ai cui componenti i contratti collettivi istitutivi delle stesse hanno attribuito lo status e le prerogative dei dirigenti delle RSA.

 

Potere contrattuale delle rappresentanze sindacali

Esistono ulteriori funzioni e prerogative che la legislazione e la contrattazione collettiva hanno attribuito alle RSA, da esercitarsi talora in concorso con le associazioni sindacali di categoria facenti capo ai sindacati maggiormente rappresentativi o comparativamente più rappresentativi.
Il sostegno all’attività sindacale, infatti, avviene in maniera significativa anche con la tecnica della procedimentalizzazione dei poteri del datore di lavoro, attribuendo alle organizzazioni sindacali poteri di consultazione e informazione su talune questioni di particolare rilievo (ad esempio, in caso di riduzione del personale, di trasferimenti di azienda o in tema di sicurezza sul lavoro).
Alle associazioni sindacali, pertanto, viene attribuito un potere di controllo sull’attività imprenditoriale, senza peraltro mai diventare un potere di cogestione, stante il riconoscimento da parte del nostro ordinamento della libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 della Costituzione).
Il legislatore, quindi, ha attribuito alle organizzazioni sindacali un diritto di consultazione e informazione, come pre-condizione per il legittimo esercizio delle prerogative imprenditoriali, in modo che le stesse abbiano una forza di costrizione di fatto sul piano dei poteri contrattuali (si parla, in tale ipotesi, di norme di sostegno nell’esercizio del contropotere collettivo, nell’attività, ma non nel risultato).
Tra le prerogative alle RSA attribuite dallo Statuto dei Lavoratori non rientra il potere di stipulare contratti collettivi (con la significativa eccezione di quanto previsto dall’articolo 2, 2° comma, in materia di controllo a distanza).
Tale silenzio è stato colmato per molto tempo dalla contrattazione collettiva, che attribuisce un potere contrattuale in capo alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze sindacali aziendali.
Con il D.Lgs. 276/2003, questo potere ha trovato ampia conferma, il legislatore avendo individuato specificamente come agente contrattuale proprio le RSA o le RSU.
Va poi segnalato che recentemente Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno siglato un Accordo di rappresentanza (28 giugno 2011) e un successivo Protocollo di Intesa (31 maggio 2013), che introducono significative novità sia sotto il profilo dell’individuazione delle organizzazioni sindacali titolari di poteri contrattuali, sia sotto il profilo dell’efficacia dei contratti collettivi nazionali e aziendali.
Per quanto riguarda il primo profilo, l’accordo del 2011 prevede che siano ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le sole organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (punto 1 dell’Accordo).
Per quanto riguarda il secondo profilo, invece, le parti sociali hanno anzitutto stabilito che i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore superiore al 50% possano essere efficaci e pienamente esigibili anche nei confronti delle organizzazioni sindacali che non li abbiano sottoscritti ma che aderiscano a una delle tre confederazioni firmatarie del Protocollo, purché siano previamente sottoposti a consultazione certificata dei lavoratori – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto –, con approvazione a maggioranza semplice (Punto 3 del Protocollo, in tema di Titolarità ed efficacia della contrattazione).
In tema di contrattazione collettiva aziendale, poi, l’accordo del 2011 prevede che i contratti collettivi aziendali approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU “sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda” (c.d. efficacia erga omnes) – punto 4 dell’Accordo di rappresentanza.
Medesima efficacia generalizzata è riconosciuta anche ai contratti collettivi aziendali sottoscritti dalle RSA, purché (punto 5 dell’Accordo di rappresentanza):

  • le RSA stipulanti detengano la maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione;
  • il contratto collettivo sia sottoposto “al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione firmataria del presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti”.

 

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di diritti sindacali

In genere

  1. Il diritto di critica espresso da un sindacalista nei confronti del datore di lavoro anche nel caso in cui sia esercitato a mezzo della satira, non può recare pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è oggetto. l’esistenza del pregiudizio deve essere verificata alla luce e nel contesto del linguaggio usato dalla satira il quale essendo inteso con accento caricaturale alla dissacrazione e allo smascheramento di errori e di vizi di una o più persone è essenzialmente simbolico e paradossale. (Cass. 21/9/2005, n. 18570, Pres. Mattone Est. Di Cerbo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 521)
  2. L’art. 28 Stat. Lav. tutela il diritto di libertà sindacale e tutta l’attività connessa per la concreta attuazione della stessa e, pertanto, quando una sigla sindacale, come quella della ricorrente, sia pure non firmataria del CCNL, possieda il requisito della rappresentatività non può essere esclusa dallo svolgimento concreto dell’attività sindacale su territorio e, quindi dall’informazione su atti e provvedimenti riguardanti la contrattazione. (Trib. Trani 1/10/2004, Est. Chirone, in Lav. nella giur. 2004, 1304)
  3. Con l’adesione al sindacato il lavoratore non attribuisce la piena disponibilità di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismettere diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Ne consegue che in relazione al precedente provvedimento di ammissione alla cassa integrazione, le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro non possono stipulare accordi aventi ad oggetto la sospensione dell’obbligo dei lavoratori di effettuare la prestazione lavorativa e la perdita del diritto dei lavoratori alla retribuzione, in quanto detti accordi vengono ad incidere su diritti soggettivi di cui i lavoratori sono divenuti titolari sulla base dei singoli contratti individuali. Per l’efficacia di tali accordi è pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga rilasciato, anche per fatti concludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l’accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in modo inequivocabile, giacchè il principio della libertà di forma nell’esercizio dell’autonomia negoziale e collettiva consente che l’adesione ad un accordo sindacale si manifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volontà di ratificare detto accordo. (Cass. 7/2/2004 n. 2362, Pres. Dell’Anno Rel. Vidiri, in Lav. e prev. oggi 2004, 536)
  4. La rappresentatività utile per l’acquisto dei diritti sindacali nell’azienda è condizionata unicamente da un dato empirico di effettività dell’azione sindacale, che si concretizza nella stipulazione di qualsiasi contratto collettivo (nazionale, provinciale o, anche, aziendale) applicato all’unità produttiva. (Cass. 27/8/2002, n. 12584, Pres. Guglielmucci, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 482, con nota di Martina Vincieri, Sull’applicabilità dell’art. 28 St. lav. al rapporto fra sindacato e cooperativa di lavoro)
  5. L’attività di volantinaggio all’interno dei luoghi di lavoro deve essere inquadrata nel diritto di attività sindacale sancito dall’art. 14, l. n. 300/70 e in particolare nel diritto all’attività di proselitismo garantita dall’art. 16 della stessa legge; i comportamenti datoriali ostativi all’esercizio di tale diritto ricadono, quindi, nella fattispecie della condotta antisindacale (Trib. Vicenza 30/10/00, n. 322, pres. e est. Perina, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 333)
  6. Il Titolo III dello Statuto dei lavoratori non si applica ai datori di lavoro che non rivestano natura di imprenditore (è stato anche ritenuto che ha natura di imprenditore quel datore di lavoro che svolga un’attività organizzata in modo che i profitti siano astrattamente idonei a coprire i costi) (Pret. Milano 11/12/98 (decr.), est. Cincotti, in D&L 1999, 62, n. Mensi, Titolo III SL e natura imprenditoriale del datore di lavoro)

 

 

Assemblea sindacale

  1. Il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 (t.u. sulla rappresentanza, applicabile ratione temporis) deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee, di cui all’art. 20 della l. n. 300 del 1970, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla rsu considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della rsu stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell’art. 19 della l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013. (Cass. 6/2/2020 n. 2862, Pres. Nobile Rel. Boghetich, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di M. Murgo, “Il diritto di indire l’assemblea nel T.U. sulla rappresentanza: una (prevedibile) conferma”, 590)
  2. Gli artt. 4 e 5 dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, istitutivo delle RSU, da leggersi in combinato disposto con gli artt. 19 e 20 dello St. lav., devono essere interpretati nel senso che il diritto di convocare l’assemblea dei lavoratori rientra tra le prerogative assegnate non solo alla RSU nel suo complesso, ma anche al singolo membro della RSU, purché quest’ultimo sia stato eletto nelle liste di un sindacato dotato di rappresentatività alla luce dell’interpretazione datane, da ultimo, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013. (Cass. 7/7/2014 n. 15437, Pres. Lamorgese Est. Tria, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 1077)
  3. L’esercizio del diritto di assemblea nell’ambito dei diritti pubblici essenziali, anche qualora non lo si ritenga assoggettato ai limiti previsti per lo sciopero dalla l. 12 giugno 1990, n. 146, deve comunque osservare modalità e tempi tali da non escludere un livello minimo di garanzia per la fruizione del servizio pubblico da parte deglui utenti. L’interesse della collettività alla libera circolazione in condizioni di igiene e sicurezza funge da limite esterno al diritto di assemblea. (Trib. Milano 17/4/2002, Giud. Salmeri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 8, con nota di M. Ferraresi, Il diritto di assemblea nei servizi pubblici essenziali)
  4. Il diritto di convocazione delle assemblee retribuite, di cui all’art. 20 SL, può essere esercitato, ai sensi dell’art. 17 Ccnl dipendenti catene alberghiere, nelle unità alberghiere con più di quindici dipendenti, dalle singole Organizzazioni sindacali. (Trib. Milano 28/2/2002, decr., Est. Marasco, in D&L 2002, 600)
  5. Costituisce comportamento antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di concedere un idoneo locale per lo svolgimento di un’assemblea di lavoratori. (Trib. Milano 28/2/2002, decr., Est. Marasco, in D&L 2002, 600)
  6. Se un’assemblea di lavoratori non ha carattere generale ovvero non ha determinato disservizi tali da pregiudicare diritti costituzionalmente tutelati dell’utenza, le eventuali violazioni del regolare esercizio del diritto di assemblea non possono essere sindacate dalla Commissione di garanzia ai sensi della L. 12/6/90 n. 146 come modificata dalla L. 11/4/2000 n. 83, ma devono essere valutate alla stregua della disciplina di cui all’art. 20 SL e della normativa contrattuale all’uopo prevista. (Commissione di garanzia per l’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, 17/5/2001 n. 01/55, in D&L, 322, con nota di Lisa Giometti, “Diritto di assemblea nel settore dei servizi pubblici essenziali: presupposti del giudizio di legittimità della Commissione di garanzia in tema di esercizio del diritto di assemblea”)
  7. I dirigenti esterni del sindacato che ha concorso alla costituzione delle Rsu ai sensi dell’Accordo Interconfederale 20/12/93 hanno diritto di partecipare alle assemblee di cui all’art. 20 SL, ancorché detto sindacato non sia firmatario del Ccnl applicato in azienda (Trib. Milano 4 dicembre 1999, est. Cecconi, in D&L 2000, 341)
  8. Il diritto di assemblea sancito dall’art. 20 SL, da inquadrarsi tra i diritti del lavoratore alla libera manifestazione del proprio pensiero, non può essere limitato dalla contrattazione collettiva se non nel disciplinarne le modalità di esercizio e, comunque, senza limitare il diritto di ciascun lavoratore a partecipare alle assemblee. (Nel caso di specie è stato ritenuto che l’art. 26 del Ccnl Terziario, nel quale è previsto che lo svolgimento delle riunioni durante l’orario di lavoro debba essere tenuto con riguardo all’esigenza di garantire il servizio di vendita al pubblico, debba considerarsi nullo in quanto determina una limitazione del diritto alla partecipazione all’assemblea da parte dei lavoratori) (Cass. 5/7/97 n.6080, pres. Nuovo, est. Vidiri, in D&L 1998, 340, nota DAL LAGO, Assemblea ex art. 20 S.L. e contrattazione collettiva)
  9. Le limitazioni al diritto di assemblea possono trovare giustificazione esclusivamente in relazione a esigenze di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti quali quello alla sicurezza del personale, alla salvaguardia dell’integrità delle strutture tecniche e del patrimonio aziendale (Cass. 5/7/97 n.6080, pres. Nuovo, est. Vidiri, in D&L 1998, 340, nota DAL LAGO, Assemblea ex art. 20 S.L. e contrattazione collettiva)
  10. Il diritto di convocare le assemblee dei lavoratori, riconosciuto dall’art. 20 S.L. ed esteso alle Rsu dall’art. 4 AI 20/12/93, non spetta necessariamente a tutte le Rsu congiuntamente, potendo invece essere disgiuntamente esercitato dalle Rsu di ogni organizzazione sindacale (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 19/4/95, est. Perrino, in D&L 1995, 847. In senso conforme, v. Pret. Milano 19/11/98, est. Canosa, in D&L 1999, 61)

 

 

Permessi sindacali

  1. La concessione dei permessi ex art. 24 St. lav. non è subordinata ad alcun potere discrezionale e autorizzatorio del datore di lavoro; tuttavia non è esclusa la possibilità datoriale di effettuare un controllo ex post sul corretto utilizzo dei permessi. L’illegittima fruizione dei permessi sindacali non retribuiti configura una condotta lesiva del rapporto fiduciario, che rileva ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento. (Cass. 30/12/2019 n. 34739, Pres. Nobile Est. Piccone, in Riv. It. Dir. lav. 2020, coon nota di R. Ciavarella, “L’abusivo utilizzo dei permessi ex art. 24 St. lav. integra una condotta disciplinarmente rilevante”, 262)
  2. I permessi sindacali retribuiti previsti dall’art. 30, l. n. 300/70 per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato, e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettative sindacale; ne consegue che l’utilizzo per finalità diverse dei permessi (nella specie, preparazione delle riunioni e attuazione delle decisioni) giustifica la cessazione dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, che è abilitato ad accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti del diritto. (Cass. 7/4/01, n. 5223, pres. Trezza, est. Picone, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 240)
  3. I permessi sindacali costituiscono oggetto di un diritto potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio discende una situazione di soggezione del datore di lavoro, non essendo richiesto il consenso di questi per produrre l’effetto giuridico di esonero dalla prestazione lavorativa; pertanto, l’indebita utilizzazione dei permessi non si traduce in un inadempimento ma rivela l’inesistenza di uno degli elementi costitutivi del diritto; ne consegue che, in caso di contestazione, qualora il lavoratore, su cui grava il relativo onere, non fornisca la prova dell’esistenza del diritto, trovano applicazione le regole ordinarie del rapporto di lavoro e l’assenza del dipendente è ritenuta mancanza della prestazione per causa a lui imputabile. (Cass. 7/4/01, n. 5223, pres. Trezza, est. Picone, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 240).
  4. Mentre per i permessi retribuiti dei dirigenti delle R.s.a. (ex art. 23 Statuto dei lavoratori) l’estrema indeterminatezza della formula “per l’espletamento del mandato” comporta che nessun tipo di sindacato o controllo datoriale sia previsto ed esperibile in ordine all’utilizzazione delle ore di permesso (cfr. Cass. n. 14128/99, etc.), per i permessi sindacali dei componenti degli organi direttivi provinciali o nazionali – legittimati ex art. 30 in alternativa all’aspettativa sindacale ex art. 31 – per la finalità di “partecipazione alle riunioni degli organi suddetti”, è, invece, legittima la pretesa datoriale di attestazione della partecipazione a tali riunioni, prevista quale condizione per l’attribuzione del diritto, il cui onere probatorio incombe sul dirigente sindacale fruitore (Cass. 24/3/01 n. 4302, pres. Trezza, est. Picone, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 827)
  5. La comunicazione al datore di lavoro della volontà di fruire di permessi sindacali deve essere effettuata tramite la rappresentanza sindacale aziendale (Pret. Varese 14/2/97, est. Papa, in D&L 1997, 507, nota Capurro)
  6. È antisindacale il computo, effettuato unilateralmente dal datore di lavoro, del monte ore dei permessi retribuiti che, in violazione dell’art. 52 Ccnl, Autotrasporto e spedizione merci del 12/4/95, non tenga conto dei lavoratori a tempo determinato e che computi ciascun lavoratore a tempo parziale per solo la metà (Pret. Milano 24/6/97, est. Ianniello, in D&L 1998, 83)
  7. Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che infligga sanzioni disciplinari ai rappresentanti sindacali per avere richiesto e fruito del permesso sindacale senza preavviso 24 ore, qualora tale richiesta tardiva sia dovuta all’insorgere improvviso di una protesta spontanea dei lavoratori (Pret. Milano 24/6/97, est. Ianniello, in D&L 1998, 83)
  8. I componenti della Rsa costituita da un sindacato maggiormente rappresentativo ai sensi dell’art. 19 SL hanno diritto a fruire dei permessi ex artt. 23 e 30 della legge citata, ed è antisindacale la pretesa del datore di lavoro di interferire sulle concrete modalità di esercizio di tali diritti sindacali (Pret. Milano 6/12/94, est. Mascarello, in D&L 1995, 313)
  9. In tema di permessi ai lavoratori che svolgono attività sindacale esterna quali componenti di organi direttivi provinciali e nazionali di associazioni sindacali, l’utilizzazione dell’agevolazione dell’assenza retribuita costituisce oggetto di un diritto – che non tollera limitazioni da parte del datore di lavoro e che l’art. 30 dello Stat. Lav. attribuisce direttamente ai lavoratori aventi la suddetta qualifica, non alle associazioni sindacali di appartenenza – le cui condizioni e modalità di esercizio sono rimessa alla contrattazione collettiva, la quale – nella fattispecie in esame – risulta sufficientemente specifica al riguardo, così da precludere un intervento sostitutivo del giudice applicativo dei principi di correttezza ed equità di cui agli artt. 1175 e 1374 c.c.; è pertanto antisindacale il rifiuto di concedere i permessi retribuiti riconosciuti dall’art. 30 Stat. Lav. ai componenti gli organi direttivi dei sindacati di cui all’art. 19 Stat. Lav. (Pret. Milano 4/5/99, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 179, con nota di De Paola, Sui permessi sindacali ai dirigenti esterni: alcune riflessioni)
  10. L’art. 30 SL fa nascere immediatamente in capo ai dirigenti delle associazioni di cui all’art. 19 SL un vero e proprio diritto soggettivo, mentre la contrattazione inerisce solo a modalità di fruizione e limiti di esercizio del diritto e non alla sua esistenza, tanto che, ove manchi la fonte contrattuale, spetterà al Giudice la determinazione di tali limiti e modalità in base al principio di integrazione del contratto ex art. 1374 c.c. (Pret. Milano 4/5/99, est. Martello, in D&L 1999, 508)
  11. Il diritto a permessi retribuiti ex art. 30 SL è attribuito, nei limiti fissati dalla contrattazione collettiva, a tutte le associazioni che abbiano legittimamente costituito rappresentanze aziendali, indipendentemente dall’avere le stesse sottoscritto o meno il relativo CCNL di settore, cui la legge rinvia unicamente per le modalità di fruizione del diritto (Pret. Napoli 13/12/94, est. Vitiello, in D&L 1995, 560)
  12. All’atto della comunicazione, il richiedente dei permessi ex art. 30 SL ha l’onere di specificare la riunione cui debba partecipare e la data fissata per la stessa (Pret. Napoli 13/12/94, est. Vitiello, in D&L 1995, 560)
  13. Costituisce comportamento antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di concedere i permessi di cui all’art. 30 SL con le modalità previste dal contratto collettivo nazionale (fattispecie relativa al Ccnl 6/12/94, relativo ai rapporti tra le imprese di assicurazione – aderenti all’Ania Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici – e il personale amministrativo e quello addetto all’organizzazione produttiva e alla produzione) (Pret. Milano 4/5/99, est. Martello, in D&L 1999, 508)
  14. La disposizione dell’art. 23 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede il diritto dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali a permessi retribuiti per l’espletamento del loro mandato, non contiene alcuna indicazione circa le modalità della concreta utilizzazione dei permessi stessi ed in particolare non impone né prescrive che essa debba essere realizzata esclusivamente con brevi, molteplici ed intermittenti astensioni dal lavoro (nell’arco del complessivo monte ore prefissato) e tanto meno stabilisce criteri per determinare la durata di ogni singola astensione dal lavoro; sicché non può ritenersi esclusa la possibilità di una fruizione di permessi aventi ciascuno una durata non limitata soltanto ad ore od anche a pochi giorni, ma altresì corrispondente ad un periodo di giorni alquanto prolungato (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito che – in un’ipotesi in cui l’art. 48 c.c.n.l. 1/10/91 per i dipendenti delle aziende municipalizzate di igiene urbana prevedeva, con disposizione più favorevole, un monte ore massimo di permessi retribuiti, comprensivi di quelli di cui il successivo art 24 S.L. – pari a otto ore e mezzo per dipendente in organico – aveva ritenuta legittima la fruizione, da parte di un dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale, di un permesso retribuito della durata di 33 giorni continuativi (Cass 15/12/99 n. 14128, in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 194)
  15. Il compenso che suppone la effettiva prestazione di servizio, perché trova la sua ragione d’essere in un surplus di lavoro che si presenta soltanto in caso di effettivo svolgimento dello stesso, non compete a chi è retribuito perché in permesso sindacale, il quale ha diritto esclusivamente alla retribuzione normale ma non a quella diretta a compensare eccedenze di lavoro o particolari modalità di tempo e di luogo dello stesso. (Trib. Milano 6/12/2004, Est. Frattin, in Lav. nella giur. 2005, 801)

 

 

Trasferimento dirigenti RSA

  1. Ai fini dell’applicabilità della tutela di cui all’art. 22 S.L., devono considerarsi dirigenti di Rsa tutti i lavoratori indicati come tali dalle OO. SS. di appartenenza e il cui nominativo sia stato comunicato al datore di lavoro, non essendo rintracciabile alcun limite numerico, oltre a quello implicito della ragionevolezza, nell’art. 22 S.L., e neppure essendo analogicamente applicabili i limiti numerici di cui all’art. 23 S.L. (Pret. Milano 20/9/95, est. Chiavassa, in D&L 1996, 102)

 

 

Aspettativa per cariche pubbliche o sindacali (art.31 S.L.)

  1. In presenza di candidati a una procedura concorsuale di promozione basata sul merito, che non possano essere valutati alla stregua di criteri professionali (in quanto assenti per lungo tempo per aspettativa sindacale), la clausola del regolamento del personale che assegni al datore di lavoro la possibilità di attribuire un punteggio aggiuntivo in relazione alla idoneità professionale alla qualifica da conferire deve essere interpretata dandosi il giusto rilievo al criterio della buona fede contrattuale. Quest’ultimo dovrà consentire di bilanciare l’interesse di chi svolge attività sindacale a non subire per ciò solo penalizzazioni relative agli avanzamenti professionali con l’opposto interesse di coloro che invece si dedicano a tempo pieno al proprio lavoro a non veder privilegiato nella procedura concorsuale chi abbia scelto di dedicarsi all’attività sindacale, assentandosi anche per lungo tempo dal servizio. (Cass. 14/4/2008 n. 9813, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Stefania Brun, “Aspettativa per motivi sindacali e promozioni mediante concorso”, 831)
  2. Il diritto di usufruire dell’aspettativa non retribuita di cui all’art. 31 SL spetta anche ai lavoratori che ricoprono cariche sindacali non elettive. (Trib. Milano 23/10/2007, Est. Scudieri, in D&L 2008, 109)
  3. Ai sensi dell’art. 31, comma 2, Stat. Lav., il dipendente chiamato a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali, ha diritto all’aspettativa sindacale non retribuita per la durata del mandato – si tratta di un diritto potestativo cui corrisponde una situazione di soggezione del datore di lavoro – e l’unico controllo che questi è autorizzato a effettuare riguarda esclusivamente la natura provinciale o nazionale dell’incarico conferito al rappresentante sindacale dell’organizzazione di appartenenza. Acquisito tale elemento, è, dunque, del tutto illegittima la pretesa del datore di conoscere a quale titolo sia richiesta l’aspettativa, al fine di verificare la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 564/1996, dato che questa norma concerne il fronte assicurativo e non può incidere sul diritto del lavoratore ad assentarsi dal servizio per l’aspettativa richiesta. (Trib. Milano 28/4/2006, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2006, 1134)
  4. La contribuzione figurativa viene accreditata ai sindacalisti fruitori dei permessi ex art. 31 St. Lav. per il solo fatto che essi sono formalmente investiti delle cariche menzionate in quest’ultima norma, indipendentemente dall’attività concretamente svolta, quand’anche riconducibile, in ipotesi, a mansioni impiegatizie meramente interne all’organizzazione sindacale. (Cass. 21/2/2006 n. 3705, Pres. Ciciretti Est. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2007 con nota di Michele Mariani, “Sulla contribuzione figurativa per i lavoratori in aspettativa sindacale”, 12)
  5. L’art. 31 SL configura un diritto potestativo del dipendente, il cui servizio è assicurato sulla base della sola comunicazione da parte dell’interessato, senza che occorra una manifestazione di volontà del datore di lavoro il quale viene a trovarsi in una posizione di immediata ed incondizionata soggezione (nella fattispecie la Corte ha dichiarato illegittimo il licenziamento per assenza ingiustificata irrogato al dipendente che si era assentato confidando nella comunicazione effettuata dal sindacato di appartenenza). (Corte d’Appello Milano 23/10/2001, Pres. Mannacio Est. Sbordone, in D&L 2002, 77)
  6. A norma dell’art. 31, 2° comma, St. lav. e dell’art. 3, 2° comma, d. lgs. n. 564/96 debbono intendersi come cariche sindacali solo quelle così individuate dalle norme statutarie delle organizzazioni sindacali stesse e formalmente attribuite per lo svolgimento di funzioni rappresentative e dirigenziali, anche nell’ambito di organi collegiali, a livello nazionale, regionale e provinciale o di comprensorio, con i relativi obblighi in termini di contribuzione figurativa. Ne consegue che il giudice di merito dovrà valutare a tal fine il contenuto delle funzioni sindacali effettivamente attribuite, restando escluse dalla previsione normativa le mansioni, pur formalmente “sindacali”, ma non strettamente riconducibili alla ratio della norma dello Statuto (nella fattispecie, individuate in semplici mansioni di addetto all’ufficio vertenze) (Trib. Lucca, 9/6/00, pres. Giannoni, est. Terrusi, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 17, con nota di Grandi, La nozione di carica sindacale ex art. 31, 2° comma, St. lav.)
  7. L’aspettativa non retribuita di cui all’art. 31, 2° comma, SL spetta anche al lavoratore appartenente a sindacato che sia privo del requisito della maggiore rappresentatività (Pret. Milano 19/3/99 (ord.), est. Porcelli, in D&L 1999, 506)
  8. Il diritto al godimento dell’aspettativa sindacale ex art. 31 SL tutelabile in via d’urgenza, spetta anche ai lavoratori appartenenti a un sindacato privo del requisito della maggiore rappresentatività (Trib. Milano 25 ottobre 1999 (ord.), est. Curcio, in D&L 2000, 117. In senso conforme, v. Trib. Milano 15 dicembre 1999 (ord.), pres. Ruiz, est. Accardo, in D&L 2000, 117)
  9. L’art. 31 SL, applicabile anche al pubblico impiego, individua i soggetti beneficiari dell’aspettativa nei lavoratori che ricoprano cariche sindacali provinciali e nazionali, senza alcun riferimento alla maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale di appartenenza (Trib. Milano 24 dicembre 1999, est. Vitali, in D&L 2000, 340)
  10. La locuzione “anzianità aziendale”, di cui all’accordo collettivo Fiat del 27/3/91, in riferimento alla previsione del premio di fedeltà aziendale, va intesa nel significato di permanenza del dipendente nella stessa azienda senza tenere conto delle assenze dal servizio che siano legittimamente giustificate, sempre che, interpretandosi la relativa norma collettiva nel suo complesso, non siano rinvenibili nel detto accordo disposizioni da cui venga esplicitamente a evincersi che per “anzianità aziendale” deve intendersi l’anzianità per il servizio effettivamente prestato (nel caso, si faceva questione della rilevanza del periodo di aspettativa sindacale) (Cass. 2/8/00, n. 10150, pres. Dell’Anno, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 207, con nota di Gianino, Anzianità aziendale e aspettativa sindacale)

 

 

Bacheca sindacale

  1. In materia di diritto di affissione delle rappresentanze sindacali aziendali, dall’art. 25 S.L. si evince, in base alla sua lettera e alla sua ratio, che l’obbligo del datore di lavoro è soddisfatto quando lo stesso metta a disposizione di ognuna delle rappresentanze sindacali aziendali un determinato idoneo spazio all’interno dell’unità produttiva, sicché non può ritenersi antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, senza manomettere il materiale affisso sulle bacheche già installate, si limiti a spostare queste ultime in luoghi ugualmente idonei; né può ritenersi acquisito da parte delle rappresentanze sindacali il diritto all’affissione in un determinato luogo neanche nel caso in cui l’originaria collocazione fosse stata preventivamente concordata, e non può fondatamente parlarsi di detenzione qualificata delle rappresentanze sindacali riguardo alle bacheche, con riferimento al particolare luogo sul quale si è concretizzata la scelta (concordata o meno) operata dal datore di lavoro (Cass. 3/2/00, n. 1199, pres. Prestipino, est. Berni, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 333; in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 158, con nota di Morrone, Ancora sulla nozione di condotta antisindacale: spostamento unilaterale delle bacheche sindacali)

 

 

Condotta antisindacale

  1. Costituisce condotta antisindacale il divieto opposto dal datore di lavoro ai dipendenti di tenere assemblee non retribuite all’interno dei locali aziendali nel corso di uno sciopero (Cass. 30/10/95 n. 11352, pres. Nuovo, est. Miani, in D&L 1996, 384)
  2. È da considerarsi antisindacale il comportamento del datore che minacci la trattenuta della retribuzione nel caso di partecipazione a un’assemblea da tenersi ai sensi dell’art. 20 SL, ovvero effettui la trattenuta a seguito della partecipazione all’assemblea stessa (Cass. 5/7/97 n.6080, pres. Nuovo, est. Vidiri, in D&L 1998, 340, nota DAL LAGO, Assemblea ex art. 20 S.L. e contrattazione collettiva)
  3. Costituisce comportamento antisindacale il rifiuto da parte del datore di lavoro di concedere permessi sindacali ex artt. 23 e 30 SL per esigenze di servizio; è pertanto nulla la clausola contrattuale (nella specie l’art. 41 del Ccnl per gli addetti ai servizi di appalto delle Ferrovie dello Stato) che subordina la concessione di permessi sindacali alle esigenze di servizio. (Trib. Milano 25/1/2002, Est. Atanasio, in D&L 2002, 335)
  4. È antisindacale il comportamento della PA consistente nella messa a disposizione delle organizzazioni sindacali di locali inidonei allo svolgimento delle assemblee sindacali (Pret. Milano 2/9/97, est. Vitali, in D&L 1998, 355)
  5. E’ antisindacale il comportamento del datore di lavoro che faccia ricorso al lavoro straordinario infrasettimanale e nelle giornate di sabato, in assenza di circostanze eccezionali e imprevedibili, in violazione degli obblighi di informazione preventiva e di accordo con le Rsa previsti dall’art. 8 D.S., parte I, CCNL industria metalmeccanica privata 5/7/94 (nel caso di specie, il Pretore ha precisato che la preventiva informazione di cui alla norma contrattuale indicata deve essere specificata e deve riguardare le posizioni dei singoli lavoratori) (Pret. Milano4/4/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 563)
  6. All’interno di una realtà aziendale ove la circolazione delle informazioni su qualsiasi argomento avvenga attraverso i personal computers e i terminali di cui sono dotato i dipendenti, il diritto di affissione ex art. 25 SL deve essere interpretato tenendo conto della realtà informatica; costituisce pertanto condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di mettere a disposizione delle Rsa uno spazio “virtuale” all’interno delle applicazioni del sistema informatico di comunicazione (Pret. Milano 3/4/95, est. Vitali, in D&L 1995, 5445, nota CAPURRO, Profili di legittimità dell’utilizzo di strumenti informatici nelle relazioni sindacali aziendali. In senso conforme, v. Pret. Milano 2/7/97, est. Negri Della Torre, in D&L 1998, 69, n. FRANCESCHINIS, L’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza)
  7. Ha natura antisindacale il comportamento del datore di lavoro che non adempie correttamente l’obbligo, scaturente dal contratto collettivo, di comunicare al sindacato i dati relativi alla distribuzione dei carichi di lavoro e delle ore di lavoro straordinario. Non costituisce condotta antisindacale il rifiuto del datore di comunicare al sindacato i nominativi dei lavoratori che avrebbero espletato le ore di lavoro straordinario, in quanto una soluzione differente contrasterebbe con il diritto alla riservatezza riconosciuto individualmente ad ogni lavoratore (Trib. Salerno 17/5/00, in Dir. Informazione e informatica 2000, pag. 480, con nota di Bellavista, Trattamento dei dati personali e diritti di informazione del sindacato)
  8. Il diritto alla informativa alle R.s.u. dello straordinario, con riferimento specifico alla posizione dei singoli lavoratori interessati (e non già per dati generali riferiti al reparto o settore) discende – in fattispecie – dall’art. 8, Disciplina speciale, parte prima, CCNL metalmeccanici del 1/5/76, che contempla una informazione di natura contrattuale precisa e sistematica, ai fini della possibilità di quel controllo ed intervento che si inquadrano nelle linee generali politiche della occupazione proprie del sindacato (cfr. Cass. n. 5320/88, Cass. n. 2808/94). Il diritto alla visione del registro degli infortuni – nient’affatto limitato agli ispettori del lavoro per i quali deve essere tenuto a disposizione ex art. 403, D.P.R. n. 547/55 – consegue in capo alle R.s.u. dall’art. 9, l. n. 300/70 secondo cui: “i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”, essendo l’accesso al registro in questione strumentale e connaturato all’esercizio del cennato diritto. Il diniego aziendale, in entrambi i casi, legittima la sanzione ex art. 28 Statuto dei lavoratori. (Cass. 7/3/01, n. 3298, pres. Ianniruberto, est. Mileo, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1017)