Tentativo obbligatorio di conciliazione

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Definizione

Con l’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 183, che ha modificato l’art. 410 c.p.c., a far data dal 24 novembre 2010, chi intende proporre un’azione in giudizio non è più obbligato a promuovere un previo tentativo di conciliazione.

L’obbligo permane esclusivamente qualora la controversia riguardi contratti certificati.

Inoltre, la legge 92/ 2012 di riforma del mercato del lavoro ha introdotto una nuova forma di conciliazione che deve essere esperita nelle sole ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro cui si applichi la disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Tuttavia, l’art. 3 del D. Lgs. 23/2015 ha sancito espressamente che tale procedura non si applica ai lavoratori assunti in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Quindi, in linea generale, il tentativo di conciliazione è meramente facoltativo e non costituisce più una condizione di procedibilità della domanda (la legge n. 183/2010 ha abrogato, con l’art. 31 comma 9 anche gli artt. 65 e 66 che disciplinavano il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni).

Fonti normative

  • Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 31
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, artt. 3 e 6

Il tentativo obbligatorio di conciliazione riguardante i contratti certificati

Prima di agire in giudizio contro l’atto di certificazione, deve essere promosso obbligatoriamente un tentativo di conciliazione extragiudiziale dinanzi alla stessa Commissione di certificazione che ha adottato l’atto.
Tale procedimento conciliativo deve svolgersi nelle medesime forme previste per il tentativo di conciliazione in sede amministrativa previsto dall’articolo 410 del codice civile. La conciliazione, dunque, deve essere promossa dalla parte istante tramite l’invio di un’apposita richiesta alla Direzione Territoriale del Lavoro e alla controparte.

Nel caso in cui la controparte intenda accettare la procedura di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta, deposita presso la Commissione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché eventuali domande in via riconvenzionale.
La peculiarità di tale procedimento rispetto a quello previsto per la conciliazione in sede amministrativa, risiede nel fatto che in questo caso l’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ossia il presupposto necessario affinché si possa agire in giudizio. Tale obbligatorietà, inoltre, rileva non solo per le parti del contratto, bensì anche per i terzi interessati che intendono agire in giudizio (si pensi agli enti amministrativi).

Il tentativo obbligatorio di conciliazione riguardante i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo introdotto dalla L. 92/2012

La l. 92/2012 ha introdotto un’importante novità in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, prevedendo, in questo caso, un procedimento conciliativo obbligatorio antecedente alla comunicazione del licenziamento al lavoratore interessato.
I datori di lavoro che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 18 Stat. Lav., infatti, prima di procedere al licenziamento, sono tenuti a inviare un’apposita comunicazione alla DTL del luogo ove il dipendente svolge la propria attività lavorativa e, per mera conoscenza, allo stesso lavoratore.
In tale comunicazione deve emergere chiaramente la volontà del datore di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonché devono essere indicate le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.

La DTL convoca le parti del rapporto di lavoro entro il termine perentorio di sette giorni dalla richiesta al fine di promuovere il tentativo di conciliazione.
Di fronte alla commissione, il datore di lavoro e il dipendente possono essere assistiti dalle organizzazioni sindacali cui sono iscritti o conferiscono mandato, ovvero da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori o, ancora, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
La procedura deve concludersi entro venti giorni. Nel caso in cui il tentativo abbia esito negativo, o comunque decorso inutilmente il termine di 7 giorni per la convocazione delle parti, il datore di lavoro può procedere al licenziamento.
Al contrario, laddove a fronte del tentativo di conciliazione si sia giunti a una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il dipendente può fruire dell’indennità di disoccupazione e può essere affidato ad un’agenzia di somministrazione, di intermediazione e/o supporto alla ricollocazione.
L’art. 3 del D.Lgs. 23/2015 ha sancito espressamente che tale procedura non si applica ai lavoratori assunti in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Approfondimenti

Per maggiori dettagli si veda la voce Processo del lavoro, con particolare riferimento ai paragrafi ”Tentativo obbligatorio” (che permane, come detto, in caso di contratto certificato) e “Tentativo facoltativo di conciliazione”.