Tribunale fallimentare

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Questa voce è stata curata da Chiara Bovenga

 

Scheda sintetica

La disciplina degli organi del fallimento, costituita dalla Legge 267/1942 modificata dal D.Lgs. 5/2006, costituisce un modello generale utilizzabile anche per tutte le altre procedure concorsuali.
Il Tribunale fallimentare è il medesimo che ha dichiarato il fallimento e diviene organo della procedura proprio dal momento in cui pronuncia sentenza dichiarativa di fallimento.
Competente è il Tribunale del luogo nel quale il fallito ha la sede principale della sua attività, da intendersi come centro direttivo ed amministrativo degli affari.

Le norme che si occupano di definire le funzioni del Tribunale fallimentare sono gli artt. 23 e 24 della L. fall.
Le funzioni di cui all’art. 23 sono definite “interne” e sono piuttosto varie: si possono ripartire in funzioni di giurisdizione non contenziosa (si pensi alla nomina e alla revoca degli organi della procedura) e di giurisdizione contenziosa (si pensi alle decisioni sui reclami contro i decreti del Giudice Delegato); quelle di cui all’art. 24 possono definirsi “esterne” e si concretizzano sempre esclusivamente nella decisione di liti. Nell’esercizio della prima tipologia di funzioni il Tribunale opera in camera di consiglio e decide mediante la forma del decreto; nell’esercizio delle funzioni di cui all’art. 24 decide invece secondo le regole del processo ordinario di cognizione e pronuncia sentenza.

 

Normativa di riferimento

  • L. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare) come novellata da D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma della Legge fallimentare) e successivamente modificata da D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. Decreto correttivo)

 

 

Le funzioni del Tribunale fallimentare

Le funzioni “interne” sono essenzialmente di tre tipi:

  1. di nomina, revoca o sostituzione degli altri organi: il Tribunale, contestualmente alla dichiarazione di fallimento, nomina nella stessa sentenza Giudice Delegato e Curatore (sarà poi questo a provvedere alla nomina del Comitato dei creditori entro trenta giorni); il Tribunale, su proposta del Giudice Delegato, d’ufficio o su richiesta del Comitato dei creditori, può revocare il Curatore con decreto motivato; sostituisce i componenti del Comitato dei creditori qualora sia così richiesto dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi, successivamente alla conclusione dell’adunanza per l’esame dello stato passivo e può, dopo una valutazione discrezionale, sostituire il Curatore qualora sia richiesto dagli stessi soggetti. Il Tribunale liquida con decreto non reclamabile il compenso del Curatore su istanza di questo e dietro relazione del Giudice Delegato. Il Tribunale ha anche facoltà di accordare acconti al Curatore.
  2. di controllo: la possibilità di sentire in ogni momento in camera di consiglio il Curatore, il Comitato dei creditori e il fallito. Altri poteri specifici sono previsti in relazione ad eventi particolari. Uno tra tutti consiste nel potere di ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento, qualora ne ravvisi l’opportunità
  3. decisorie: il Tribunale decide le controversie relative alla procedura stessa che non sono di competenza del giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti di questo il cui procedimento è disciplinato dai co. 3 ss. dell’art. 26, L. fall.


Per quanto riguarda le funzioni “esterne” , l’art. 24 attribuisce alla competenza al Tribunale fallimentare tutte le azioni che derivano dal fallimento, indipendentemente dal valore, per assicurare l’unitarietà della procedura mediante la concentrazione della cognizione di tutte le liti nel Tribunale fallimentare.
Si tratta di competenza funzionale esclusiva ed inderogabile.
Nell’ambito delle azioni che derivano dal fallimento rientrano quelle il cui presupposto necessario e sufficiente risiede nella dichiarazione di fallimento, cioè quelle che non esisterebbero senza la procedura (si pensi all’azione revocatoria).
La versione originaria della norma conteneva l’inciso per cui anche tutte le azioni derivanti dal rapporto di lavoro erano di competenza del Tribunale fallimentare. A seguito della riforma, questo inciso è stato eliminato. Perciò, ad oggi, se il lavoratore volesse impugnare un eventuale licenziamento disposto dal Curatore dovrebbe farlo dinnanzi al giudice del lavoro, salva poi la possibilità di rivolgersi all’organo della procedura per l’accertamento del credito. Non sarà competente il Tribunale fallimentare per la domanda del lavoratore volta esclusivamente all’accertamento del proprio rapporto di lavoro; la presentazione di questa sarà possibile solamente qualora sia la premessa incidentale di una domanda di credito successiva.