INAIL

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Questa voce è stata curata da Aldo Garlatti

 

L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni e le Malattie Professionali

Tra le principali forme di tutela previdenziale di diritto pubblico rientra certamente l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali di cui al DPR n. 1124 del 30.6.1965 finalizzata a indennizzare, mediante l’erogazione di prestazioni sanitarie ed economiche, le conseguenze negative di eventi – quali l’infortunio o la malattia professionale – verificatisi per causa ed in occasione di lavoro e dai quali possa conseguire inabilità permanente, temporanea o nei casi più gravi la morte.

Sotto questo profilo, il sistema assicurativo Inail si è trovato necessariamente a doversi confrontare con le nuove fonti di rischio atipiche (es.: mobbing, patologie da stress; sindrome da movimenti ripetitivi, ecc.) conseguenti alla introduzione di nuove tecnologie e materiali nel mondo del lavoro.
Salvo alcune eccezioni (giornalisti, addetti alla navigazione marittima, dirigenti e tecnici aziende agricole ed altri) l’Inail opera in regime di monopolio.

Le attività soggette ad assicurazione Inail possono dividersi in due grandi categorie:

  1. le attività comportanti l’uso di macchine mosse non direttamente dalla persona che le adopera, apparecchi a pressione, o apparecchi o impianti elettrici e termici, attività svolte individualmente o in opifici, laboratori, o ambienti organizzati per lavori opere o servizi;
  2. attività dettagliatamente elencate dalla legge ritenute intrinsecamente ed oggettivamente pericolose, come ad es. i lavori edili, stradali, di scavo, trasporto, di produzione di sostanze o di prodotti esplosivi.

Anche le attività complementari a quelle descritte sono assoggettate alla assicurazione Inail.

Parallelamente all’Ispettorato del Lavoro l’Inail svolge una importante attività di vigilanza e controllo direttamente in azienda finalizzata alla verifica del rispetto delle normative specifiche antinfortunistiche e con poteri di diffida alla regolarizzazione delle eventuali violazioni riscontrate (cfr in particolare art 4 c. 6 Legge 123/07).

La legge elenca le categorie di lavoratori soggetti all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ed è opportuno ricordare che ex plurimis, oltre ai dirigenti, sono iscritti a tele forma di protezione anche:

Inoltre la legge estende la tutela assicurativa a:

Il tasso di premio, ovvero il costo dell’assicurazione obbligatoria viene determinato dall’Istituto mediante l’applicazione di un tasso al montante delle retribuzioni imponibili corrisposte ai lavoratori.

 

L’infortunio sul lavoro

Come anticipato gli eventi tutelati dall’assicurazione sono innanzi tutto l’infortunio sul lavoro ossia quell’evento verificatosi per causa violenta (ossia da un fattore che opera dall’esterno con azione intensa e concentrata nel tempo, rapida) ed in occasione di lavoro.
Va sottolineato che l’interpretazione della nozione di infortunio sul lavoro è andata col tempo ampliandosi, ricomprendendo ad esempio anche quegli eventi causati da reazione fisiche e psichiche del lavoratore in risposta alle condizioni di fatica e stress.
Per occasione di lavoro si intende quel particolare rapporto anche mediato ed indiretto che deve intercorrere tra l’evento lesivo e il lavoro.
In linea generale, ad ogni evento di danno occorso al lavoratore nell’espletamento delle proprie mansioni lavorative, consegue una tutela previdenziale – assistenziale e, ove siano ravvisabili gli estremi della colpa del datore di lavoro per la violazione delle norme generiche e specifiche sulla prevenzione degli infortuni, può intraprendersi l’azione civilista di risarcimento dei danni “differenziali”.
Per infortunio sul lavoro deve intendersi un evento lesivo avvenuto per causa violenta (con azione intensa e concentrata nel tempo), in occasione di lavoro, dal quale astrattamente possono conseguire, nei casi più gravi, la morte del lavoratore oppure postumi di natura permanente (incidenti sulla capacità lavorativa generica e sull’efficienza psicofisica) oltre che temporanei.
L’infortunio sul lavoro come noto, si differenzia dalla malattia professionale o tecnopatia, determinata dalla cosiddetta “causa lenta” proprio per la natura violenta della causa che deve causarlo (1).
Per occasione di lavoro deve intendersi la riferibilità eziologica diretta od indiretta tra l’attività lavorativa e l’infortunio che ne costituisce presupposto indefettibile.

I contratti collettivi usualmente disciplinano l’effetto del periodo inabilità temporanea conseguente ad infortunio sul lavoro ai fini del compimento del periodo di comporto e della conseguente conservazione del rapporto di lavoro.
Ogni evento può definirsi avvenuto per causa ed in occasione di lavoro, anche al di fuori dell’orario di lavoro, quando il lavoro sia stato la causa del rischio. E’ cioè necessario che intercorra un nesso di causalità anche mediato ed indiretto, tra attività lavorativa e sinistro.
Deve ricorrere un rischio specifico o di un rischio generico aggravato dal lavoro e non di un mero rischio generico incombente sulla generalità delle persone (indipendente dalla condizioni peculiari del lavoro).

Rilevano tutte le condizioni, anche ambientali, in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è immanente il rischio di danno per il lavoratore.
Solo il rischio elettivo, ovvero quello rapportabile a fatto proprio esclusivo e frutto di una libera e spontanea determinazione del lavoratore, estraneo alle mansioni ed al lavoro, esclude l’occasione di lavoro.
Non sono indispensabili i requisiti della straordinarietà, accidentalità ed imprevedibilità del fatto lesivo.
Occorre sottolineare che il comportamento colposo del lavoratore infortunato, consistente ad es. in atti di imprudenza negligenza ed imperizia, non esclude il rapporto di causalità.

Esaminando la casistica giurisprudenziale con specifico riferimento all’occasione di lavoro, sono stati ritenuti indennizzabili:

  • l’infortunio subito dal lavoratore vittima di una rapina nel tragitto casa – lavoro ( Cfr. Cass. Civ. 14.2.’08 nr.3776);
  • l’infortunio sul lavoro per causa violenta (caduta accidentale sulle scale), occorso al lavoratore mentre si accingeva a esercitare le proprie mansioni, recandosi presso altro reparto ove collaborava alla terapia riabilitativa, per conferire con un collega su questioni di lavoro;
  • nell’ipotesi di rischio improprio, ossia nel caso di incidente occorso durante la deambulazione all’interno del luogo di lavoro, in quanto pur non intrinsecamente allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro volto dal dipendente, è insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative (cfr. Cass. Civ. 16417/’05);
  • nel caso di infortunio occorso ad infermiera ospedaliera, mentre si recava in bagno per lavarsi alla fine del turno, corrispondendo, detta esigenza, ad una fondamentale norma igienica direttamente collegata al lavoro svolto dall’infortunata (cfr. Cass. Civ nr. 180/’05);
  • nell’infortunio subito dall’assicurato in cui, varcando la soglia dell’ufficio per cercare le istruzioni per mettere in moto un trattore gommato che avrebbe dovuto riparare, scivolava urtando contro una vetrata e si infortunava;
  • l’infortunio avvenuto nell’ambito del cosiddetto “rischio ambientale”, di cui sono espressione gli atti di locomozione interna, costituito dall’ambiente di lavoro in sé, nel quale normalmente il lavoratore dipendente è autorizzato ad entrare solo per ragioni lavorative in quanto gli infortuni avvenuti in tale ambito si presumono avvenuti per causa lavorativa, salvo prova contraria, desumibile dalle circostanze stesse dell’incidente, od anche dalla qualifica soggettiva del lavoratore, il quale ad es. abbia la disponibilità dell’ambiente di lavoro o per la sua qualifica o per la natura autonoma del rapporto ( cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 10317 del 5.5.’06);

Con specifico riferimento alla nozione della “causa violenta” intesa come fattore esterno, occorre precisare che l’esteriorità qualifica il rapporto tra lavoratore e ambiente di lavoro, anche con particolare riferimento alle condizioni in cui lo stesso è chiamato a svolgere il suo lavoro e che non esclude l’indennizzabilità di infortuni causati da reazioni fisiche e psichiche dello stesso lavoratore, pur sempre riconducibili a condizioni di sforzo, fatica e stress.
Di notevole rilevanza sono infine le molteplici pronunce in materia di sforzo (cfr. Cass. Sez. Lav nr. 11559, del 6.11.1995, Rel. Lupi e Cass. Sez. Lav nr. 7228 del 30.5.’00; Cass. Sez. Lav. nn.ri 2639/ 1990; 10450/’97; 12940/’97) nella quali la Suprema Corte ha ritenuto che anche lo sforzo fisico compiuto durante il lavoro, possa configurare l’esistenza della causa violenta richiesta dall’art. 2 del DPR 1124/65, atta a determinare, con azione rapida ed intensa la lesione dell’equilibrio fisico dell’assicurato.
In questo caso il nesso causale non è escluso da una predisposizione morbosa (si pensi ad es. alla ricorrenza di patologie cardiovascolari) che anzi può far si che proprio uno sforzo determini la rottura del precario equilibrio organico dando luogo a conseguenze invalidanti.

Pertanto possono integrare la nozione di infortunio sul lavoro per causa violenta:

  • l’infarto quando sia causalmente e topograficamente connesso con l’attività lavorativa ( si pensi ad es. ad una attività comportante un notevole sforzo fisico, quale quella del muratore);
  • l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne comportino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico, sempre che tale azione sia eziologicamente rapportabile all’attività lavorativa ( cfr Cass. Sez. Lav nr. 12559 del 26.5.2006);
  • l’agente lesivo presente nell’ambiente di lavoro in maniera superiore rispetto all’ambiente esterno, che abbia provocato un indebolimento delle difese immunitarie;
  • la lombosciatalgia sopravvenuta a causa del movimento compiuto dal lavoratore intento allo spostamento di un carico ( Cass. 2.3.1988 nr. 2219);
  • la malattia infettiva e parassitaria: la giurisprudenza di legittimità si è già espressa in analoghe situazioni, affermando che nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell’infezione. La relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici (cfr Cass. Sez. Lav nr. 20941/’07). In questi termini, cfr. Cass., 1°.6. 2000, n. 7306, riguardo ad una fattispecie relativa ad un infermiere professionale che deduceva di avere contratto un’epatite pungendosi con l’ago di una siringa mentre effettuava un prelievo di sangue ad un ricoverato.

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1) cfr: Cass. Sez. Lav nr. 9968del 12.5.’05: “Con riferimento all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, può costituire causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Tale dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici.(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, era giunta alle conclusioni che la dipendente, assistente socio sanitaria con mansioni di collaborazione con il personale infermieristico, avesse secondo un calcolo probabilistico contratto l’infezione da epatite B proprio nell’espletamento dell’attività ospedaliera)”.

 

L’infortunio in itinere

Il D.Lgs. 38/2000, ha per la prima volta legislativamente inserito nella tutela assicurativa l’infortunio in itinere, aggiungendo un secondo comma all’art 2 ed all’art 210 del DPR. 1124/65.
Com’è noto, non vi era precedentemente una simile previsione se non per la gente di mare (art. 6 T.U. 1124/1965).
Il più recente sviluppo giurisprudenziale – ed a questo si è fatto riferimento nella stesura della nuova normativa – ha ulteriormente superato l’antico principio del rischio specifico, riconoscendo l’indennizzabilità di infortuni avvenuti durante il cammino a piedi, ed in assenza di particolari condizioni di rischio, oppure nel corso del trasporto su mezzo pubblico, giungendosi ad affermare che l’elemento discretivo dell’indennizzabilità è la finalità di recarsi al lavoro o di ritornarne.
Si tratta quindi di una vera e propria estensione dell’attività assicurata, superata ormai la precedente concezione fondata sull’analogia, quanto al rischio, del viaggio al lavoro.
Deve sottolinearsi come i criteri di accertamento per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere di cui all’art. 12 del D.Lgs. 38/2000 si applichino anche egli eventi lesivi occorsi antecedentemente alla sua entrata in vigore (2).

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2) cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 15266 del 6.7.07: “In materia di infortuni sul lavoro, l’art. 12 del D.Lgs. 38/2000, che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio “in itinere”, inserendola nell’ambito della nozione di occasione di lavoro di cui all’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, esprime dei criteri normativi (come quelli di “interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate”, che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa) utilizzabili per decidere anche controversie relative a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, militando in tal senso: a) la circostanza che l’art. 55, lett. u), della legge 17 maggio 1999, n. 144, ha posto come criterio direttivo per il legislatore delegato il recepimento dei principi giurisprudenziali consolidati in materia, i quali, pertanto, hanno costituito, dapprima, diritto vivente nell’ambito dell’interpretazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965, per poi plasmare, come tali, il contenuto del precetto introdotto dall’art. 12 del D.Lgs. nr. 38 del 2000; b) il fatto che il sistema dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali si è evoluto tramite interventi legislativi che, non di rado, hanno avuto la funzione di far assurgere a dignità di norma positiva gli orientamenti giurisprudenziali (come è dimostrato proprio in relazione all’istituto dell’infortunio “in itinere”, che l’opera della giurisprudenza ha conformato muovendo dalla nozione di occasione di lavoro); c) il rilievo in base al quale una norma successiva ben può costituire criterio interpretativo che illumina anche il regime precedente. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio anzidetto, ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso potesse indennizzarsi, nel regime antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 38/2000, l’infortunio occorso ad un lavoratore in conseguenza di sinistro verificatosi su percorso diverso da quello normale di rientro dal lavoro al luogo di residenza, avendo egli effettuato una deviazione per provvedere alla sostituzione dei pneumatici usurati dell’autovettura, la quale non poteva reputarsi “necessitata” secondo i criteri normativi posti dall’art. 12 del citato D.Lgs. n. 38 del 2000, bensì ascrivibile a rischio elettivo, giacché non giustificata da esigenze essenziali ed improrogabili, tra queste non potendo, per giunta, includersi la dedotta usura del treno di gomme, perché ben poteva essere rilevata per tempo).

 

La malattia professionale. Il sistema “tabellare”, il nesso causale, le presunzioni legali e l’onere della prova per il riconoscimento dell’indennizzo della malattia professionale

Per malattia professionale si intende una patologia che si sviluppa a causa della presenza di stimoli nocivi nell’ambiente di lavoro.
Gli agenti responsabili sono tantissimi e spesso i lavoratori sono esposti alla loro azione senza conoscere i rischi a cui vanno incontro.
I fattori che hanno maggiore rilevanza sono quelli dovuti all’edilizia, all’agricoltura, agli agenti cancerogeni, i cui effetti si manifestano dopo decenni dal loro utilizzo, e l’impiego sempre più diffuso sia nell’industria che in campo agricolo, di sostanze chimiche dannose per la salute dei lavoratori.
Altri fattori di rischio sono legati all’organizzazione del lavoro, campo in cui il fattore umano ormai riveste un ruolo marginale, che si possono riassumere in:

  • ambienti di lavoro carenti dal punto di vista igienico o sovraffollati
  • ritmi di lavoro elevati e mansioni ripetitive
  • scarsa manutenzione degli impianti

A questi vanno aggiunti dei fattori emergenti legati principalmente al lavoro d’ufficio (attualmente in Italia il terziario è il settore che occupa il maggior numero di lavoratori) in cui si hanno molte tipologie di malattie professionali (difficilmente infortuni) in genere di scarsa gravità ma importanti per il numero di casi registrati. In questo ambito il rischio è dovuto:

  • uso del computer che porta a patologie legate a: vista, stress, radiazioni, ergonomia: patologie spinali e sindrome del tunnel carpale
  • impianti di condizionamento
  • infezioni
  • asma e alveoliti allergiche

In particolare, la letteratura specialistica recente segnala come le patologie respiratorie, in particolare la broncopneumopatia cronica ostruttiva e l’asma, che è frequentemente associata a rinite, costituiscono uno dei più rilevanti problemi sanitari per le persone che ne sono colpite. Il 18% delle forme di asma bronchiale, il 15 % delle intersiziopatie, il 50% delle broncopneumopatie cronico ostruttive, il 40% delle neoplasie polmonari e sono all’80% dei mesoteliomi sono stimati come aventi origine professionale.
E’ onere del lavoratore tecnopatico (portatore di malattia di origine professionale), così come nel caso degli eredi che agiscono per ottenere la rendita ai superstiti, assolvere all’onere della prova al fine di ottenere il riconoscimento della malattia professionale.

La legge distingue tra patologie tabellate, per le quali vige appunto la presunzione legale di origine professionale delle stesse, sempre che le stesse siano state denunciate entro i termini massimi di indennizzabilità previsti dalla tabella, e patologie non tabellate in relazione alle quali il lavoratore ha sempre l’obbligo di provare l’origine professionale.
Nel caso di malattie professionali tabellate indicate all’art. 134 del Tu 1124/65, incombe quindi sull’Inail dimostrare che una causa extralavorativa ha dato causa alla malattia.
L’elenco delle malattie professionali ha carattere tassativo e non può essere ampliato né è suscettibile di interpretazione analogica.
Nel 1994 questo elenco è stato aggiornato ed inoltre è possibile ottenere un risarcimento anche per le malattie non presenti in tale tabella ma per cui sia dimostrabile una chiara correlazione tra patologia e attività lavorativa.
Anche l’Unione europea si è occupata di questo argomento attraverso una raccomandazione del 2003 contenente una nuova classificazione delle malattie professionali.

 

I presupposti per il riconoscimento e l’indennizzabilità della malattia professionale

Gli articoli 3 e 211 del DPR 30.6.1965 nr. 1124 prevedono quali condizioni per la indennizzabilità della “malattia professionale” contratta dal lavoratore assicurato:

  1. che la stessa sia stata contratta nell’esercizio di attività assicurate contro gli infortuni sul lavoro;
  2. che sia stata determinata da causa lenta ovvero da graduale e progressiva azione lesiva di determinati fattori morbigeni sull’organismo, differentemente dalla cosiddetta “causa violenta”, concentrata nel tempo, tipica dell’infortunio sul lavoro;
  3. che la patologia contratta sia eziologicamente riferibile alle mansioni lavorative espletate.

Ciò che qualifica la malattia professionale non è dunque la patogenesi, considerata tanto sotto l’aspetto della qualità della causa (lavoro), quanto sotto quello del suo modo di azione (lento).

 

Sulla interpretazione analogica estensiva della Tabella Allegato 4: dal principio di tassatività del sistema tabellare al sistema misto a linee aperte. L’intervento della Corte Costituzionale

Come noto, il regime assicurativo Inail prevede all’art. 3 comma 1 del DPR 1124/65 ed alla allegata tabella, il cosiddetto sistema tabellare, ovvero l’indicazione e l’elenco delle patologie contratte in conseguenza delle lavorazioni ivi specificate ed i periodi massimi di indennizzabilità, a decorrere dalla cessazione del lavoro morbigeno (cfr. tabella 4 allegata).
Se la patologia contratta rientra nelle ipotesi contemplate dalla suddetta tabella, il lavoratore assicurato può avvalersi della cosiddetta presunzione legale di indennizzabilità, incombendo per contro all’Inail dimostrare la sussistenza di una causa extralavorativa quale causa della malattia.
Tuttavia occorre ribadire che, anche nell’ipotesi di patologia tabellata, incombe sul lavoratore assicurato dimostrare sia che la malattia denunciata all’Istituto rientra tra le specifiche tecnopatie previste dalle tabelle per le malattie professionali, quanto l’avvenuta esposizione al rischio, nonché le caratteristiche peculiari della malattia professionali tali per le quali essa si distingue da quella di tipo comune.
L’elencazione tabellare è stata nel tempo oggetto di modifiche ed integrazioni da parte del DPR nr. 482 del 9.6.1975.
La Corte Costituzionale è significativamente intervenuta con la sentenza nr. 179 del 10-18 febbraio 1988 ( in G.U. 1^ serie speciale nr. 8 del 24.2.1988 ) dichiarando l’illegittimità dell’ art 3 comma 1 e dell’art. 211 comma 1 del DPR 30.6.65 nr. 1124, nella parte in cui non prevedono che l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura sia obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa professionale o di lavoro.
Ciò vale non solo per quel che riguarda l’individuazione di nuove malattie, ma anche per quel che concerne gli ostacoli che possono derivare dalla distanza temporale tra causa patologica e manifestazione morbosa.
L’intervento del Giudice delle Leggi ha di fatto comportato l’abbandono del sistema tabellare chiuso in favore dell’adozione di un sistema misto ed il conseguente diritto per il lavoratore assicurato di ottenere l’indennizzo assicurativo, una volta che si sia fornita prova della eziologia professionale. (cfr. Cass. Sez. Lav nr. 6808 del 1990; Cass. Sez. Lav nr. 5641 del 1988).
Tuttavia, contrariamente alla raccomandazione della CEE del 23.7.1962 ed alla pronuncia della Corte Costituzionale che invitavano Governo e Parlamento all’adozione di una soluzione legislativa mista che consentisse a tutti i lavoratori di provare l’eziologia professionale di una malattia non compresa nella tabella, il nostro legislatore ha continuato ad avvalersi del sistema della “lista chiusa”, sostituendo alle Tabelle allegate ai nnr.i 4 e 5 del T.U. 1124/65, altre tabelle e limitandosi ad aumentare il numero delle tecnopatie protette e ad ampliare l’indicazione delle lavorazioni che espongono ai rischi derivanti da sostanze organiche e da agenti chimici e fisici.

Riportiamo alcune significative decisioni della giurisprudenza di legittimità di argomento.
In tema di Assicurazione contro le malattie professionali, nella disciplina risultante a seguito della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 3 primo comma del D.P.R. 30 giugno 1965 nr. 1124 (sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1988), mentre le malattie diverse da quelle specificamente elencate nelle apposite tabelle, ovvero ricollegabili all’esercizio di lavorazioni diverse da quelle descritte nelle tabelle stesse, sono indennizzabili solo dietro prova della “causa di lavoro” da parte dell’interessato, per le malattie e lavorazioni entrambe “tabellari”, opera, a favore dell’assicurato, una presunzione di eziologia professionale.
A tale ultimo riguardo, le elencazioni contenute nelle indicate tabelle hanno carattere tassativo, ma ciò, se vieta un’applicazione analogica delle relative previsioni, non è di ostacolo ad una interpretazione estensiva delle medesime, con la conseguenza che la suddetta presunzione è invocabile anche per lavorazioni non espressamente previste nelle tabelle, ma da ritenersi in esse implicitamente incluse, alla stregua della identità dei connotati essenziali, ferma restando l’inapplicabilità della presunzione stessa per quelle lavorazioni che presentino solo alcuni caratteri in comune, unitamente ad elementi non marginali di diversità, si da rendere configurabile una mera somiglianza con fattispecie inclusa nella lista. (nella specie, la C.S. ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto la frantumazione di materiale calcareo mediante mulini a palle rientrare nella attività di produzione di polveri metalliche con macchine a pestelli, prevista dalla voce n. 44 lett. E della tabella).
A tale ultimo riguardo, le elencazioni contenute nelle indicate tabelle hanno carattere tassativo ma ciò, se vieta un’applicazione analogica delle relative previsioni, non è di ostacolo ad un’interpretazione estensiva della medesima, con la conseguenza che la suddetta presunzione è invocabile anche per lavorazioni non espressamente previste nelle tabelle, ma da ritenersi in esse implicitamente incluse, alla stregua dell’identità dei loro connotati essenziali, ferma restando l’inapplicabilità della presunzione stessa per quelle lavorazioni che presentino solo caratteri di mera somiglianza o prossimità con quelle tabellate. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso che potesse rientrare nella lavorazione tabellata “prove dei motori a scoppio” di cui all’allegato 4 del D.P.R. n. 1124 del 1965, nel testo sostituito dal D.P.R. n. 482 del 1975, l’attività di conducente di autobus di città con motore diesel).

 

Le concause extralavorative ed il regime Inail

Nell’ipotesi di malattia professionale, il nesso causale tra malattia e causa lavorativa non è escluso da una precedente predisposizione morbosa del lavoratore e quindi dal concorso di altre cause aventi origine extralavorativa.
Ne consegue che la prestazione assicurativa spettante al lavoratore non può essere ridotta nella misura percentuale corrispondente alla entità patologica esplicata dalla sola malattia professionale, ma debba essere riconosciuta per l’intero, non essendo possibile distinguere tra cause professionali e cause non professionali, in forza del principio di equivalenza causale.
Il principio della equivalenza causale nell’accertamento del rapporto eziologico nelle malattie professionali indennizzabili dall’Inail è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte.
Vale cioè il principio di diritto per il quale, nell’ipotesi di malattia professionale derivata da causa lavorativa e da causa extralavorativa – aventi entrambe natura efficiente e causale, si applicano le disposizioni previste dall’art 41 del codice penale, ovvero quelle dell’equivalenza causale per le quali “il concorso di cause preesistenti, simultanee e sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l’azione, l’omissione e l’evento” .
La regola è dunque quella per la quale il nesso causale non è escluso da una precedente predisposizione morbosa (cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 2369/’90) e quindi dal concorso di altre cause aventi origine extralavorativa.

 

Le prestazioni economiche per inabilità temporanea e permanente

Le prestazioni economiche e sanitarie (cure mediche e chirurgiche, fornitura di apparecchi e di protesi, cfr. artt. 66, 92, 94, 97 DPR 1124/65) vengono erogate dall’Inail, nell’ipotesi di infortunio e malattia professionale, quando dall’evento derivi una inabilità temporanea assoluta (che è concettualmente distinta dalla malattia ordinaria gestita dall’Inps e assorbe ogni altra prestazione erogata dall’Inps) o residuino postumi di natura permanente indennizzabili.
Quando dall’evento lesivo indennizzabile consegua la morte del lavoratore assicurato, l’Istituto costituisce la rendita ai superstiti (cfr artt. 85, 105,106 DPR 1224/65) ed eroga l’assegno funerario.
Tra le altre prestazioni vi è l’assegno di incollocabilità in favore dei lavoratori invalidi che hanno perso qualsiasi capacità lavorativa (cfr art 180 DPR 1224/65) e la rendita di passaggio (cfr art 150, 151 DPR 1224/65) in favore dei lavoratori invalidi affetti da asbestosi o silicosi.
L’infortunio sul lavoro – come la malattia professionale – possono provocare un periodo di inabilità temporanea assoluta che impedisce al lavoratore assicurato lo svolgimento dell’attività lavorativa. I primi tre giorni di assenza sono caratterizzati dalla cosiddetta “carenza assicurativa” e la retribuzione resta a carico del datore di lavoro.
Per il periodo successivo interviene l’Inail. I contratti collettivi stabiliscono una diversa percentuale della quota di trattamento economico che concorre con quella dell’Inail. Dal 4° giorno al 90° giorno ad esempio, l’Inail corrisponde il 60% della retribuzione media giornaliera e il datore di lavoro il 40%.
La riforma attuata con il D.Lgs. 38/2000 del sistema assicurativo Inail, prevede ora il risarcimento del danno biologico (cfr. art 13) che viene erogato sotto forma di capitale, per gradi di invalidità pari o superiori al 6% ed inferiori al 16% e sotto forma di rendita per menomazioni superiori al 16%.
Di fatto i postumi permanenti al di sotto del 5% non vengono indennizzati.

Il lavoratore infortunato può ovviamente proporre, qualora sussistano gli estremi di una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per violazione dell’art 2087 c.c. o di altre disposizioni specifiche (cfr in particolare il nuovo testo sulla sicurezza di cui al Decreto Legislativo nr. 81 del 9.4.’08), un’azione di risarcimento danni nei confronti dello stesso avente ad oggetto i danni biologici differenziali, ovvero non oggetto dell’indennizzo Inail, del danno morale, patrimoniale ed esistenziale.

 

L’Istituto della rendita ai superstiti

La legge disciplina i presupposti affinché i prossimi congiunti (vedova, ascendenti,discendenti con esclusione dei collaterali) del lavoratore assicurato deceduto a causa dell’infortunio o della malattia professionale, possano percepire le prestazioni previdenziali consistenti in una rendita ragguagliata al 100% della retribuzione, calcolata secondo le disposizioni di cui agli artt. da 116 a 120 del Tu 1124/65.
L’art. 85 (3) dispone infatti che tale importo spetti al coniuge (indipendentemente dai propri redditi) nella misura del 50% sino alla morte od a nuovo matrimonio e del 20% a ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile e adottivo, sino al compimento del 18° anno di età o del 40% se trattasi di orfani di entrambi i genitori.
Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso se si tratti di orfani di entrambi i genitori, e nel caso di figli adottivi, siano deceduti entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte sino al raggiungimento del 21° anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il 26° anno di età, se studenti universitari.
Se si tratta di figli inabili, la rendita viene corrisposta sino a quando perdura l’inabilità.
Si considerano superstiti i figli concepiti alla data dell’infortunio e i nati entro 300 giorni da tale data.
Occorre fare una distinzione nell’ambito dei soggetti beneficiari della rendita: mentre infatti coniuge, figli sino al compimento del 18° anno di età e figli inabili di qualsiasi età hanno diritto alla rendita in ogni caso, gli ascendenti, gli adottanti i fratelli e le sorelle sono tenuti a dimostrare la sussistenza dell’ulteriore requisito della vivenza a carico (4).
Per quanto riguarda lo stato di coniugio esso deve sussistere al momento della morte, anche se giurisprudenza di legittimità esclude che lo stato di separazione personale all’atto della morte impedisca la costituzione ed il mantenimento della rendita.
Ovviamente la rendita presuppone la sussistenza del nesso causale tra la morte e l’infortunio o la malattia professionale, e la dimostrazione dell’evento morte medesimo.

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3) L’art 85 del DPR 1124/65 prevede: “Se l’infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti sotto indicati una rendita nella misura di cui ai numeri seguenti, ragguagliata al cento per cento della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120:

  1. il cinquanta per cento al coniuge superstite fino alla morte o a nuovo matrimonio; in questo secondo caso è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita;
  2. il venti per cento a ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età, e il quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori, e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari. Se siano superstiti figli inabili al lavoro la rendita è loro corrisposta finché dura l’inabilità. Sono compresi tra i superstiti di cui al presente numero, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell’infortunio. Salvo prova contraria, si presumono concepiti alla data dell’infortunio i nati entro trecento giorni da tale data;
  3. in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti se viventi a carico del defunto e fino alla loro morte;
  4. in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno dei fratelli o sorelle se conviventi con l’infortunato e a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli.

La somma delle rendite spettanti ai suddetti superstiti nelle misure a ciascuno come sopra assegnate non può superare l’importo dell’intera retribuzione calcolata come sopra. Nel caso in cui la somma predetta superi la retribuzione, le singole rendite sono proporzionalmente ridotte entro tale limite. Qualora una o più rendite abbiano in seguito a cessare, le rimanenti sono proporzionalmente reintegrate sino alla concorrenza di detto limite. Nella reintegrazione delle singole rendite non può peraltro superarsi la quota spettante a ciascuno degli aventi diritto ai sensi del comma precedente.
Oltre alle rendite di cui sopra è corrisposto una volta tanto un assegno di lire un milione al coniuge superstite, o, in mancanza, ai figli, o, in mancanza di questi, agli ascendenti, o, in mancanza di questi, ultimi, ai fratelli e sorelle, aventi rispettivamente i requisiti di cui ai precedenti numeri 2), 3) e 4). Qualora non esistano i superstiti predetti, l’assegno è corrisposto a chiunque dimostri di aver sostenuto spese in occasione della morte del lavoratore nella misura corrispondente alla spesa sostenuta, entro il limite massimo dell’importo previsto per i superstiti aventi diritto a rendita.
Per gli addetti alla navigazione marittima ed alla pesca marittima l’assegno di cui al precedente comma non può essere comunque inferiore ad una mensilità di retribuzione.
Agli effetti del presente articolo sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto che siano orfani di ambedue i genitori o figli di genitori inabili al lavoro, gli affiliati e gli esposti regolarmente affidati, e sono equiparati agli ascendenti gli affilianti e le persone a cui gli esposti sono regolarmente affidati (1) (2) (3) .
(1) Articolo così sostituito dall’art. 7, l. 10 maggio 1982, n. 251.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 18 dicembre 1985, n. 360, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che tale rendita spetti anche all’orfano dell’unico genitore naturale che lo ha riconosciuto.
(3) A norma dell’articolo 3 del D.M. 31 luglio 2003 l’assegno di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° luglio 2003 e relativamente al settore industria, è fissato in euro 1.597,35.

 

4)L’art. 106 del DPR 1124/65 testualmente prevede: “Agli effetti dell’art. 85, la vivenza a carico è provata quando risulti che gli ascendenti si trovino senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti e al mantenimento di essi concorreva in modo efficiente il defunto.
Agli effetti dell’art. 85, secondo comma del n. 1, l’attitudine al lavoro si considera in ogni caso ridotta permanentemente a meno di un terzo quando il vedovo abbia raggiunto i sessantacinque anni di età al momento della morte della moglie per infortunio.
Per l’accertamento della vivenza a carico l’Istituto assicuratore può assumere le notizie del caso presso gli uffici comunali, presso gli uffici delle imposte e presso altri uffici pubblici e può chiedere per le indagini del caso l’intervento dell’Arma dei carabinieri.
Gli uffici comunali debbono fornire agli Istituti assicuratori le notizie che siano da essi richieste in ordine alla vivenza a carico di cui all’art. 85 e debbono, altresì, rilasciare gratuitamente i certificati di esistenza in vita, gli stati di famiglia e gli atti di nascita ad essi richiesti dagli Istituti assicuratori medesimi o dai titolari di rendite, ai fini del pagamento delle rate di rendita”.

 

 

 

Sul termine per la presentazione della domanda

L’art. 122 del Tu 1124/65 stabilisce che la domanda di costituzione della rendita ai superstiti deve essere effettuata entro i 90 giorni successivi alla data della morte.
La norma è stata portata al vaglio di legittimità da parte della corte Costituzionale che, con la nota sentenza nr. 14/1994, ne ha dichiarato la parziale incostituzionalità nella parte in cui non prevede che l’Inail, nel caso di decesso dell’assicurato, debba avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per la rendita nelle forme e nei modi previsti dall’art. 85 T.U., nel termine decadenziale di 90 giorni decorrenti dalla data di avvenuta comunicazione.
Si tratta dunque di un termine avente natura decadenziale, decorrente dalla data della comunicazione Inail.
Parallelo al suddetto termine decadenziale, decorre quello ordinario triennale di prescrizione decorrente dal giorno della morte.

Particolari questioni, come nel caso di specie, sorgono nel caso in cui la morte dell’assicurato consegua a malattia professionale e non ad infortunio.
In questo caso, la decorrenza del termine triennale di prescrizione ex art 112 decorre dal momento in cui l’assicurato abbia acquisito la ragionevole certezza della sussistenza della malattia professionale, del superamento della soglia minima di indennizzabilità e che essa sia stata causa o concausa del decesso dell’assicurato.
Si richiede pertanto una oggettiva conoscibilità in ordine alla manifestazione della malattia professionale che di solito coincide con la diagnosi clinica operata ad es. dalla Clinica del Lavoro o dagli Enti Ospedalieri e quindi tale conoscibilità di fatto può intervenire successivamente al decesso dell’assicurato.

In tema di malattie professionali, anche per i superstiti dell’assicurato, perché possa esercitarsi l’azione per il conseguimento della prestazione INAIL loro spettante “iure proprio”, nella qualità, e quindi, perché possa iniziare il decorso della prescrizione, è indispensabile – non essendo ravvisabili a questo proposito situazioni differenti rispetto a quella dell’assicurato che rivendichi la rendita per inabilità – il realizzarsi di entrambi i requisiti previsti dalla relativa disciplina, e cioè la morte dell’assicurato e la conoscenza o conoscibilità da parte dei predetti superstiti, dell’eziologia professionale del decesso, la quale può non coincidere con la morte, ma essere raggiunta solo dopo di essa.
Tale interpretazione ha trovato puntuale riscontro anche nell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, la quale ha recentemente affermato che “Il termine di prescrizione dell’azione diretta a conseguire la rendita da inabilità permanente per malattia professionale decorre dal momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza dell’esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell’assicurato, in relazione anche alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile. Il medesimo criterio va adottato anche ai fini della decorrenza del termine ordinario di prescrizione del diritto al correlato risarcimento del danno riconducibile all’art. 2059 cod. civ., trattandosi di situazione analoga e addirittura sovrapponibile” (5).

– – – – – –
5) cfr. sul punto Cass. Sez. Lav nr. 10441 dell’8.5.’07; o ancora vedasi Cass. Sez. Lav nr. 12734/’03: “Il diritto alla rendita in favore dei superstiti, di cui all’art 85 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, è soggetto alla prescrizione triennale prevista dall’art. 112 dello stesso decreto, e il relativo termine comincia a decorrere solo dal momento in cui l’avente titolo alla prestazione abbia la ragionevole certezza, desunta da elementi oggettivi di conoscenza, non solo dell’esistenza dello stato morboso, ma anche della sua eziologia e del raggiungimento della soglia indennizzabile”

 

Prescrizione prestazioni Inail infortuni

Il diritto alle prestazioni si prescrive in tre anni dall’infortunio o dalla malattia professionale ai sensi dell’art. 112 Tu 1124/65 e la prescrizione si interrompe e si sospende secondo gli ordinari criteri generali.
La prescrizione triennale del diritto alle prestazioni previdenziali, previste in tema di infortuni e malattie professionali nel settore industriale, è sospesa durante la liquidazione in via amministrativa dell’indennità, la quale a norma dell’art. 111 terzo comma del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, deve essere esaurita in un termine della durata massima di centocinquanta giorni; ne consegue che detta supposizione può essere inferiore a centocinquanta giorni quando il procedimento amministrativo si esaurisca più rapidamente.
Il principio secondo cui il “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui all’art. 112 del D.P.R. n. 1124 del 1965, coincide con il momento in cui l’assicurato abbia la ragionevole certezza della sussistenza della malattia professionale e del superamento della soglia di indennizzabilità, applicato all’azione diretta al conseguimento della rendita ai superstiti per malattia professionale, va inteso nel senso che il termine decorre dalla conoscenza (o oggettiva conoscibilità) da parte dei superstiti del fatto che la malattia professionale sia stata causa o concausa del decesso dell’assicurato (cfr. Cass. 4223/’02).

Nel giudizio promosso per il riconoscimento del diritto a rendita per malattia professionale o infortunio, la successiva richiesta di cumulo con la preesistente rendita per altro infortunio o malattia professionale non integra una “mutatio libelli”, costituendo il cumulo una conseguenza giuridica necessaria a norma degli artt. 80 e 132 del D.P.R. n. 1124 del 1965, derivante dal riconoscimento del carattere professionale della malattia, anche indipendentemente dalla domanda dell’interessato e senza alcun potere discrezionale dell’Istituto.
Pertanto, non è ipotizzabile una prescrizione della facoltà di richiedere il cumulo, poiché l’istituto della prescrizione opera sui diritti e non sulle facoltà inerenti al diritto, potendosi invece prescrivere, nel termine triennale di cui all’art. 112 del citato D.P.R. n. 1124 del 1965, soltanto il diritto a chiedere la rendita per la nuova malattia professionale (cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 5009/2002).

 

Fonti normative

  • DPR 30 giugno 1965, n. 1124 (G.U. n. 257 del 13 ottobre 1965 – Suppl. ord.) Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
  • Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”
  • Decreto ministeriale 9 aprile 2008 (G.U. n. 169 del 21 luglio 2008) “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura” in vigore il 22 luglio 2008;

 

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di infortunio e malattia professionale

In genere

  1. Mentre lo svolgimento da parte del lavoratore di una pluralità di attività può comportare l’obbligo assicurativo per entrambe le assicurazioni, l’intervento dell’assicurazione si ricollega poi ad uno specifico evento, sicché, ove questo riguardi attività di volo, opera il solo regime derogatorio, previsto nell’art. 935 c. nav., che esclude la copertura dell’assicurazione I.N.A.I.L. per il personale navigante abitualmente od occasionalmente addetto al servizio di volo “dall’inizio delle manovre dell’involo al termine di quelle per l’approdo”. (Cass. 18/11/2020 n. 26271, ord., Pres. Berrino Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 203)
  2. Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di merito che avevano escluso che la morte del lavoratore fosse rapportabile all’epatopatia da virus C probabilmente contratta in occasione del trattamento dell’infortunio lavorativo subito dal lavoratore deceduto, atteso che i giudici di merito, pur a fronte di specifiche e precise censure alla CTU, avevano aderito alle conclusioni dell’accertamento peritale limitandosi al mero richiamo alle conclusioni del consulente. (Cass. 11/11/2014 n. 23990, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 200)
  3. L’infortunio subito dal lavoratore fuori dal cantiere per fatto compiuto da terzi si può ascrivere, dal punto di vista causale, (anche) a responsabilità del datore di lavoro quando vi è nesso di causa tra il fatto e il lavoro e viene dimostrata la consapevolezza del datore del rischio incombente sull’incolumità fisica dei propri lavoratori, avendo lo stesso predisposto, in via precauzionale, alcune misure di salvaguardia per fronteggiare il rischio suddetto. (Nella specie, il danno è stato causato da un attentato kamikaze di Al Quaeda). (Trib. Ravenna 23/10/2014, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Vittoria Amato, 185)
  4. In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il dipendente che sostenga la dipendenza dell’infermità da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Ne consegue che, ove la patologia presenti una eziologia multifattoriale, il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto e ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio. (Cass. 15/10/2014 n. 21825, Pres. Vidiri Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2015, 93)
  5. Nella previsione di tutela contenuta nell’art. 2087 non è configurabile un’ipotesi di responsabilità oggettiva, cioè di responsabilità risarcitoria del datore di lavoro basata su un criterio puramente oggettivo di imputazione per l’evento lesivo collegato al rischio dell’attività svolta nel suo interesse, ma è invece ravvisabile in linea con i principi generali in tema di obbligazioni, la violazione da parte sua dell’obbligo contrattuale ivi sancito, dell’avvenuto adempimento di tale obbligo e cioè, si ribadisce, di aver adottato tutte le misure e le cautele necessarie per prevenire ed evitare i rischi connessi all’attività lavorativa. (Trib. Milano 21/8/2014, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2014, 1133)
  6. Al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa scolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente. (Trib. Bari 18/7/2014, Giud. Salamida, in Lav. nella giur. 2015, 99)
  7. Ove lo sforzo compiuto nell’esecuzione della prestazione lavorativa non abbia costituito la causa efficiente, né la concausa, né la causa scatenante dello stato morboso, avendo al più rappresentato l’occasione per la manifestazione o la “slatentizzazione” di una patologia preesistente che si pone come causa sufficiente dell’invalidità, lo sforzo stesso non è sufficiente a sostenere l’origine post traumatica della patologia, stante l’ascrivibilità della condizione nosologica a malattia comune. (Cass. 19/12/2013 n. 28434, Pres. Lamorgese Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2014, 286)
  8. Il requisito dell’inscindibile connessione tra rendita e attività lavorativa caratterizza anche la differenza tra malattia professionale e infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest’ultimo la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di appello che avevano riconosciuto il diritto all’indennità nei confronti di un lavoratore ritenendo sussistente il nesso causale tra la patologia – ernia distale – denunciata dal lavoratore e il prolungato tragitto giornaliero andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l’utilizzo del proprio autoveicolo). (Cass. 9/10/2013 n. 22974, Pres. Vidiri Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, 86, e in Lav. nella giur. 2014, con commento di Gina Rosamarì Simoncini, 360)
  9. La speciale azione di regresso spettante all’Inail ai sensi degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/1965, esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta, non comporta che il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso debba necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell’eventuale pregiudizialità penale). (Cass. 10/9/2013 n. 20724, Pres. Roselli Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2013, 1044)
  10. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, seconda la quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Pertanto, deve essere riconosciuta la riconducibilità all’attività lavorativa per l’infezione da epatite contratta a seguito di emotrasfusioni se queste si sono rese necessarie per affrontare il trattamento chirurgico delle fratture subite dal lavoratore in un infortunio in itinere (respinto il ricorso dell’INAIL, il quale sosteneva che le cause della morte andassero riferite all’imperizia del personale medico e che non fossero in alcun modo riferibili all’attività lavorativa). (Cass. 7/5/2013 n. 10565, Pres. Roselli Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2013, 743)
  11. Nonostante l’espansione delle categorie, oggettive e soggettive, di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche in ordine agli insegnanti e alunni delle scuole o istituti di istruzione, e relative attività, non può in ogni caso ritenersi che siano oggetto di assicurazione anche gli infortuni occorsi agli alunni in occasione di eventi sportivi, non connessi all’attività istituzionalmente svolta dalla scuola, e tanto meno spettare a essi l’indennità giornaliera per inabilità temporanea (richiesta peraltro nella specie in periodo di chiusura della scuola – da giugno a settembre 2004), non percependo gli alunni alcuna retribuzione, disponendo invece chiaramente l’art. 68 del d.P.R. n. 1124/1965 che tale indennità temporanea consiste in una misura percentuale della retribuzione giornaliera, essendo diretta ad assicurare al lavoratore i mezzi di sostentamento finché dura l’inabilità che impedisce totalmente e di fatto all’infortunato di rendere le sue prestazioni lavorative. (Cass. 20/7/2011 n. 15939, Pres. Lamorgese Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2011, 1057)
  12. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficacia causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto la riconducibilità all’attività lavorativa della malattia contratta per complicanze insorte dalla vaccinazione contro l’epatite B, atteso che la necessità di questo intervento sanitario – nonché dei successivi richiami – era conseguente a un infortunio sul lavoro). (Cass. 17/6/2011 n. 13361, Pres. Vidiri Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2011, 957)
  13. Il datore non può agire in autotutela privata (id est, facendo esaminare le certificazioni mediche da sanitario di fiducia), ma può, una volta instauratosi il giudizio, sollecitare il giudice al controllo medico-legale. (Trib. La Spezia 7/4/2011, Giud. Panico, in Lav. nella giur. 2011, 852)
  14. Il diritto dell’INAIL al recupero di quanto erogato al danneggiato deve agganciarsi, per la certezza dei rapporti giuridici, alla liquidazione dell’indennizzo assicurativo costituente il fatto certo e costitutivo del diritto a svolgere, nel termine normativamente prescritto, l’azione di regresso. Ne consegue, quando il procedimento penale non sia stato iniziato, che il diritto di credito dell’INAIL diventa azionabile solo all’avverarsi di un fatto certo e costitutivo, qual è la liquidazione dell’indennizzo assicurativo, non potendo rilevare circostanze estranee alla sfera giuridica del creditore, qual è l’avverarsi di una causa di estinzione del reato. (Cass. 11/3/2011 n. 5879, Pres. Roselli Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2011, 522)
  15. In riferimento al calcolo del tasso specifico aziendale, inerente alla determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, oltre che degli oneri diretti e indiretti, si deve tener conto anche della c.d. riserva sinistri, ovvero degli oneri presunti destinati a coprire spese sicuramente da sopportare ma non determinabili alla data del calcolo in via definitiva e che dovranno computarsi anche se, nel periodo considerato, non si siano verificati nell’azione infortuni e/o malattie professionali. E infatti il predetto tasso specifico aziendale è stato previsto dal D.M. 18 giugno 1988 e dai precedenti decreti con riferimento non all’andamento infortunistico, ovvero all’effettivo rischio della singola azienda, bensì al rapporto tra l’andamento infortunistico in ogni tipo di lavorazione e il numero dei dipendenti assicurati nelle singole imprese, nonché le loro retribuzioni (Cass. 27/5/2010 n. 12960, Pres. Sciarelli Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2010, 839)
  16. In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’azione di regresso dell’Inail nei confronti della persona civilmente obbligata, può essere esperita alla sola condizione che il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio, mentre il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso – necessario solo in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore e di bonario componimento della lite – non deve necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell’eventuale pregiudizialità penale). (Cass. 17/5/2010 n. 11986, Pres. Roselli Rel. Napolitano, in Lav. nella giur. 2010, 840)
  17. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C., affermando il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata che aveva attribuito al tabagismo efficacia causale della rilevata broncopneumopatia cronica, senza approfondire se la noxa professionale riconosciuta dal Ctu, pur marginale, avesse avuto un ruolo concausale, anche se ridotto). (Cassa con rinvio, App. Cagliari, 8 aprile 2005). (Cass. 4/6/2008 n. 14770, Pres. Senese Est. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 2660)
  18. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Legge finanziaria 2007), che ha previsto il riferimento all’importo dei contributi versati per la determinazione del trattamento previdenziale spettante al lavoratore italiano che ha trasferito all’Inps i contributi versati in Svizzera in suo favore, in antitesi alla consolidata giurisprudenza che faceva riferimento alla retribuzione del lavoratore medesimo percepita in Svizzera, a nulla rilevando che i contributi accreditati in quel Paese e trasferiti in Italia fossero stati calcolati sulla base dell’aliquota prevista dalla legislazione elvetica (di gran lunga inferiore a quella prevista dalla legislazione italiana). La norma assegna alla disposizione interpretata un senso già da essa desumibile, garantendo altresì la razionalità complessiva del sistema previdenziale, in quanto evita che, a fronte di una esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le stesse utilità che chi ha prestato attività lavorativa esclusivamente in Italia può conseguire solo grazie a una contribuzione molto più gravosa. (Corte Cost. 19/5/2008 n. 172, Pres. Bile Rel. Mazzella, in Dir. e prat. lav. 2008, 1945, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di C.A. Nicolini, “Esigenze di bilancio e garanzia dei diritti pensionistici dei lavoratori migranti: il caso delle anzianità previdenziali maturate in Svizzera”, 206)
  19. Nell’ipotesi di infortunio sul lavoro, la valutazione giuridica complessiva sui fatti ai fini dell’affermazione della responsabilità del datore di lavoro per le lesioni derivate al dipendente, postula la necessaria dimostrazione da parte del danneggiato, della fonte negoziale o contrattuale del suo diritto, del danno e della sua riconducibilità al titolo dell’obbligazione; grava sul datore di lavoro la dimostrazione di aver osservato le norme stabilite in relazione all’attività svolta, nonché di aver adottato ex artt. 2087 e 1218 c.c. tutte le misure necessarie per l’integrità del lavoratore. Il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, l’eventuale condotta del dipendente potendo avere effetto esimente per il datore di lavoro solo quando rivesta i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute. La qualifica professionale rivestita dal lavoratore infortunato non può rivestire efficacia esimente dell’eventuale colpa del datore di lavoro, ma al più un concorso di colpa rilevante ai fini della misura del risarcimento del danno. La qualifica professionale del lavoratore, non esclude di per sé la responsabilità colposa del datore di lavoro nell’ipotesi di infortunio sul lavoro. L’assenza e l’inidoneità delle misure di sicurezza escludono qualsiasi rilevanza causale alla condotta del lavoratore che abbia dato occasione dell’evento infortunio. (Cass. 14/4/2008 n. 9817, Pres. Mattone Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Aldo Garlatti, “Sulla ripartizione degli oneri probatori in caso di infortunio sul lavoro”, 681)
  20. Sussiste la responsabilità concorrente del lavoratore nella verificazione di un infortunio sul lavoro nel caso in cui lo stesso pone in essere una condotta esuberante dalla sua mansione specifica e nonostante il dissenso del datore di lavoro anche nell’ipotesi in cui l’infortunio accada non in coincidenza con lo svolgimento di detta mansione e il datore di lavoro non abbia rispettato le misure di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Con l’emanazione del d.lgs. n. 38 del 2000 anche il danno biologico rientra nelle regole di esonero e della limitazione al danno differenziale dettate dall’art. 10, TU n. 1124 del 1965. (Trib. Piacenza 22/11/2007, Est. Picciau, in ADL 2008, con commento di Francesco Alvaro, 1513)
  21. In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, ove alcuni infortuni o malattie si siano verificati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000 e altri si siano verificati successivamente, ai sensi dell’art. 13 comma 6 prima parte di detto decreto, i postumi relativi non si cumulano ai fini della liquidazione di un’unica prestazione previdenziale, restando del tutto autonomi e separati i due regimi di tutela precedente e successivo alle nuove disposizioni; tale esclusione della cumulabilità dei postumi relativi a eventi ricadenti nei diversi regimi normativi opera sia nel caso di eventi già indennizzati in capitale e non in rendita, sia di eventi dai quali siano derivate inabilità inferiori al grado richiesto per la liquidazione delle prestazioni a carico dell’Inail. (Cass. 12/10/2007 n. 21452, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 313)
  22. In caso di infortunio mortale, qualora tra l’evento e il decesso intercorra un periodo molto breve (nella fattispecie meno di due ore) non sussiste alcun danno da sofferenza esistenziale trasmissibile iure hereditario agli eredi, potendosi configurare solo danni iure proprio di natura biologica e morale, determinati in misura diversa in ragione del rapporto parentale con il defunto e quantificati con riferimento alle tabelle di liquidazione del danno biologico in uso presso il Tribunale di Milano. (Trib. Milano 29/5/2007, Est. Mennuni, in D&L 2007, con nota di Marzia Giovannini, “Note sul danno da morte”, 1150)
  23. Nel caso di cattivo funzionamento di una macchina, l’imprenditore, non necessariamente provvisto delle necessarie cognizioni tecniche, si comporta diligentemente rivolgendosi a persona competente. Conseguentemente non è responsabile, ex art. 2087 c.c., per i danni da lesione personale causati dal lavoratore, il datore di lavoro che, constatato il cattivo funzionamento, incarichi della riparazione un tecnico di sua fiducia e di capacità professionale non contestata dalle parti in causa, il quale compia la riparazione rivelatasi, poi, insufficiente per cause non accertate, ma comunque non imputabili al datore. (Rigetta, App. Ancona, 18 marzo 2004). (Cass. 1/12/2006 n. 25599, Pres. Sciarelli Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1801)
  24. In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la notizia dell’infortunio, dalla quale decorre il termine di due giorni previsto dall’art. 53, primo comma, del t.u. n. 1124 del 1965, si riferisce a eventi produttivi, secondo l’accertamento medico, di un’inabilità superiore ai tre giorni, senza che possa avere rilievo nè la sola conoscenza del fatto lesivo, nè quella di un’inabilità contenuta nel predetto termine (principio affermato in fattispecie in cui la prognosi originaria non superava tale termine mentre solo con la produzione dei successivi certificati si era realizzato il presupposto per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia. La corte territoriale, con decisione cassata dalla S.C., aveva ritenuto che dalla mera conoscenza di un infortunio subito dal lavoratore, quali ne fossero le conseguenze, sorgesse per il datore di lavoro l’obbligo di denunzia da assolvere nei due giorni successivi a tale conoscenza). (Cass. 20/11/2006 n. 24596, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2007, 623)
  25. In tema di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale. (Cass. 26/5/2006 n. 12559, Pres. Senese Est. de Matteis, in D&L 2006, 947)
  26. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” e alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione logica e adeguata, aveva verificato che, in presenza di un’acclarata situazione di pericolo esistente al momento dell’infortunio mortale dovuto al brusco innalzamento di un braccio operatore che aveva schiacciato il cranio del dipendente contro il tettuccio della macchina che stava manovrando e riconducibile all’elusione del meccanismo di sicurezza, la società datrice di lavoro non aveva provato che tale elusione fosse dovuta all’iniziativa del lavoratore, precisando, peraltro, che, anche nell’eventualità della sussistenza di tale circostanza, non si sarebbe potuta escludere la responsabilità datoriale, atteso che la “tipicità” di un procedimento lavorativo pericoloso, nel quale l’operatore, per maggiore libertà di movimento, manovri la macchina dopo aver reso inoperante i meccanismi di sicurezza, non escludeva, né riduceva, la colpa dell’imprenditore). (Cass. 8/3/2006 n. 4980, Pres. Mercurio Rel. Morcavballo, in Lav. Nella giur. 2006, 815)
  27. Il giudice del lavoro non può riconoscere la responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., se l’infortunato dipendente – che ha proposto il ricorso – non riesce a provare il nesso di causalità tra il danno occorsogli con la nocività dell’ambiente di lavoro. Sul dipendente infortunato ricorrente grava anche l’onere di dimostrare che l’incidente sia avvenuto mentre stava svolgendo l’attività lavorativa e come è avvenuto il sinistro. (Trib. Lucera 19/1/2006, Est. Storace, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Marco Dibitonto, 557)
  28. Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Cass. 18/7/2005 n. 15107, Pres. Senese Est. Lamorgese, in Orient. Giur. Lav. 2005, 714)
  29. La responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore può ritenersi provata allorchè, a fronte di specifiche deduzioni del lavoratore – giovane operaio di 18 anni, assunto da pochi giorni con contratto interinale e chiamato a svolgere attività specializzata su una fresatrice computerizzata automatica – il datore si sia difeso sostenendo che l’infortunio era stato causato dall’imperizia del lavoratore, senza preoccuparsi di allegare di aver fornito informazione ed istruzioni sulla sicurezza e sulle condizioni di impiego della macchina, come era tenuto a fare ai sensi dell’art. 37, D.Lgs. n. 626/1994. (Corte d’appello Milano 22/12/2004, Pres. e Rel. Ruiz, in Lav. nella giur. 2005, 696)
  30. È da considerarsi accertata la dipendenza da causa di servizio dell’infermità, con diritto alla concessione dell’equo indennizzo, qualora le condizioni di lavoro, senza limitarsi a mero fattore scatenante, hanno dato un contributo rilevante e determinante a che la malattia si manifestasse con tale grado di gravità o, comunque, con tale accelerazione (fattispecie relativa ad un caso di sindrome depressiva congenita, manifestatasi a seguito di una condizione di forte stress lavorativo maturato per un sovraccarico di responsabilità). (Trib. Rimini 2/10/2004, Est. Cetro, in Lav. nelle P.A. 2005, 193)
  31. Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il carattere di malattia professionale per l’epatite C, contratta durante la emotrasfusione da lavoratrice affetta da anemia da benzene, ritenendo il contagio addebitabile alla struttura sanitaria quale fattore esterno e autonomo rispetto alla malattia professionale, non essendo stato censurato tale apprezzamento di fatto sotto il profilo del vizio di motivazione). (Cass. 11/3/2004 n. 5014, Pres. ciciretti Rel. Lamorgese, in Giur. It. 2005, 265)
  32. Sussiste una corresponsabilità a carico del datore di lavoro che, pur avendo dato direttive specifiche in ordine al percorso da seguire per l’entrata e l’uscita dall’azienda, non abbia adeguatamente segnalato la presenza di una sbarra posta sul percorso vietato ai dipendenti. (Trib. Firenze 30/1/2004, Est. Muntoni, in D&L 2004, 347, con nota di Filippo Pirelli, “Infortunio sul lavoro e concorso di colpa”)
  33. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore. Infatti, la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento. (Nella specie, un lavoratore, mentre si trovava tra due file di cassoni intento ad apporvi etichette, aveva subito un infortunio per opera dello spostamento dei cassoni da parte di un muletto manovrato da altro operaio che non poteva vederlo. La S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro, rilevando che non era stato indicato in quale altro modo doveva essere effettuata la prestazione e che era stato trascurato il disposto della legge n. 547 del 1955 nella parte in cui prevede le modalità d’uso delle macchine quando possano costituire un pericolo per i lavoratori). (Cass. 27/2/2004 n. 4075, Pres. Prestipino Rel. Mazzarella, in Dir. e prat. lav. 2004, 2029)
  34. In quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, il costruttore-venditore di una macchina può attenersi alla normativa tecnica del settore soltanto dopo averne accertato la totale conformità alla legge e, quindi, non può non astenersi dal seguirla se tale normativa affermasse l’impossibilità tecnica della collocazione sulla macchina di un presidio antinfortunistico previsto dalla legge. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D’Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  35. In quanto destinatario delle norme antinfortunistiche che lo riguardano, l’imprenditore non può non conoscere tali norme, a prescindere dai suggerimenti o dalle prescrizioni delle Autorità cui spetta la vigilanza ai fini del rispetto di quelle norme e, pertanto, la circostanza che, in occasione di visite ispettive, non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza della macchina, non può essere invocata dal costruttore-venditore per escludere la propria responsabilità. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D’Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  36. Nel caso di infortunio occorso ad un lavoratore autonomo è configurabile la responsabilità del committente qualora questi si sia reso inadempiente all’obbligo, sancito dall’art. 7 D. Lgs. 19/9/94 n. 626, di fornire al lavoratore autonomo dettagliate informazioni sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. (Corte d’Appello Trento 23/7/2003, Pres. Zanon Est. Caracciolo, in D&L 2003, 966)
  37. In ipotesi di infortunio sul lavoro dovuto alla mancata adozione di misure antinfortunistiche, cui il datore di lavoro sia tenuto ai sensi dell’art. 2087 c.c., sussiste la responsabilità esclusiva del medesimo, che può venire meno solo in presenza di dolo o di “rischio elettivo” imputabile al dipendente (nella fattispecie la lesione-consistente nell’avulsione di un bulbo oculare del lavoratore conducente di autocisterna-risultava causata dallo scoppio di un pneumatico del semirimorchio dovuto a carenza di manutenzione del mezzo, e non risultava in alcun modo censurabile il comportamento tenuto dal lavoratore, che anzi era intervenuto con l’apposito estintore per spegnere un principio di incendio evidenziato dal fumo che usciva da una delle ruote posteriori del semirimorchio). (Trib. Milano 14/3/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 674)
  38. Costituisce infortunio sul lavoro indennizzabile dall’ Inail l’investimento automobilistico subito durante il servizio da vigile urbano viabilista non addetto alla conduzione di veicoli. (Cass. 20/11/2002, n.16364, Pres. Ciciretti, Rel. Stile, in Foro it. 2003, parte prima, 472)
  39. Il datore di lavoro può fare controllare, nelle forme di cui all’art. 5 St. Lav., la sussistenza dell’impedimento al lavoro del lavoratore infortunatosi in azienda. L’obbligo di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dal d.l. 12 settembre 1983, n. 483, convertito con modificazioni nella l. 11 novembre 1983, n. 638, applicabile ai soli lavoratori in malattia, è legittimamente regolabile dal contratto collettivo (nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la pronuncia che dichiarava legittime le sanzioni disciplinari irrogate nei confronti del lavoratore infortunato il quale, allontanandosi dalla propria abitazione nella fasce orarie previste dalla contrattazione collettiva, senza darne preventiva comunicazione, aveva reso infruttuose le visite di controllo effettuate nel periodo di degenza (Cass. 9/11/2002, n. 15773, Pres. D’Angelo, Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 575, con nota di Andrea Pardini, Fasce orarie di reperibilità ed infortunio sul lavoro; in Giur. It. 2003, 2042, con nota di Vera Zanetta, “Il controllo dell’infermità per infortunio sul lavoro”S)
  40. Sebbene l’art. 2087 c.c. non configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva – in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento – tuttavia, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell’attività lavorativa svolta l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale tra questi due elementi. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno. Rimane a carico del datore di lavoro l’onere della dimostrazione del fatto del terzo o del comportamento abnorme del lavoratore. (Cass. 7/10/2002, n. 14323, Pres. Mileo, Est. Morcavallo, in Riv. it. dir. lav. 2003, 266, con nota di Marina Garattoni, La ripartizione dell’onere della prova nella responsabilità ex art. 2087 c.c.. Conforme: Cass. 25/8/2003 n. 12467, Pres. Senese Rel. D’Agostino, in Dir. eprat. Lav. 2004, 288).
  41. L’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro di cui all’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del prestatore secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. La violazione di tale obbligo dà luogo, in caso di infortunio al lavoratore, a responsabilità contrattuale, che ribalta sul datore l’onere di provare di aver adottato tutte le misure richieste dal caso, mentre è escluso che il datore debba rispondere sulla base del mero presupposto dell’avvenuto infortunio, secondo un modello di responsabilità oggettiva alla costruzione ed alla interpretazione del citato articolo. (Corte d’appello Milano 27/9/2002, Pres. Ruiz, Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2003, 492)
  42. In ipotesi di infortunio causato da una macchina priva dei dispositivi di sicurezza prescritti dagli artt. 55 e 68 DPR 547/55, il datore di lavoro risponde ai sensi dell’art. 2087 c.c. anche nell’ipotesi in cui l’infortunio non si sarebbe verificato se il lavoratore addetto alla macchina si fosse astenuto dal tentativo di ripararne il funzionamento. (Corte d’Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  43. Il lavoratore, che si sia introdotto senza protezione in una zona pericolosa della macchina cui è addetto, non concorre nella responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c. se il datore di lavoro non l’ha previamente informato sui rischi connessi all’accesso. (Corte d’Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  44. In ipotesi di infortunio di cui sia responsabile il datore di lavoro, l’indennizzo Inail erogato ai sensi del DPR 547/95 non comprende il danno biologico. (Corte d’Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  45. L’infortunio sul lavoro, determinato dalla mancata protezione delle zone pericolose di una macchina e della tolleranza di prassi irregolari per ripararne il funzionamento, comporta anche la responsabilità del sovrintendente della macchina. (Corte d’Appello Milano 11/6/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 661)
  46. L’art. 2087 c.c., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all’imprenditore l’adozione di misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire. Il contenuto dell’obbligo di sicurezza include anche i rischi derivanti dall’azione di fattori estranei all’ambiente di lavoro inerenti alla località in cui si trova il posto di lavoro nonché i rischi collegati all’azione criminosa di terzi. Il risarcimento del danno spetta in solido alla società committente e all’appaltatore (datore di lavoro dei lavoratori infortunati) in base alla responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale (Cass. 22/3/02, n. 4129, pres. Mileo, est. Stile, in Lavoro giur. 2002, pag. 746, con nota di Bertocco, Responsabilità del committente per gli infortuni subiti dai dipendenti dell’appaltatore)
  47. Ai fini dell’aumento del premio dovuto dal datore di lavoro con riferimento all’andamento infortunistico aziendale (tasso specifico aziendale) rileva anche l’infortunio dovuto a colpa esclusiva del lavoratore atteso che l’imprudenza, la negligenza e l’imperizia rientrano nel rischio assicurato quando ineriscono ad una condotta e ad un comportamento che, ancorché determinati da circostanze straordinarie, sono comunque strettamente riferiti all’esecuzione del lavoro ed in connessione con lo svolgimento del medesimo; solo la presenza di un rischio elettivo, cioè di una fattispecie idonea ad interrompere qualsiasi connessione con l’occasione di lavoro, ed a privare l’evento di ogni aspetto di professionalità, esclude la natura di infortunio lavorativo (Corte Appello Milano 15/2/01, pres. Mannaccio, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 186)
  48. La normativa antinfortunistica è direttamente rivolta ad assicurare che i datori di lavoro assumano tutti i provvedimenti atti ad evitare infortuni, indipendentemente dai controlli e dalle revisioni degli organi ispettivi, il cui parere positivo è irrilevante ai fini di escludere la responsabilità penale del datore di lavoro dal reato di lesioni colpose (per amputazione, nella fattispecie, del braccio intrappolato nella macchina priva dei necessari presidi di sicurezza) (Cass. Sez. IV penale 20/10/00, n. 10767, pres. Battisti, est. Mazza, in Lavoro e prev. oggi, pag. 1550)
  49. Ancorché il datore di lavoro sia responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore non solo quando ometta di adottare le idonee misure protettive ma anche quando ometta esclusivamente di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente (non assumendo alcun valore esimente per l’imprenditore l’eventuale concorso di colpa del dipendente), tuttavia può configurarsi un esonero totale da responsabilità per il datore di lavoro quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità e dell’assoluta imprevedibilità, da valutare anche in considerazione dell’esperienza lavorativa del dipendente medesimo (Cass. 13/10/00, n. 13690, pres. Grieco, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1126)
  50. Essendo rimasto definitivamente accertato – con sentenza di merito incontestata al riguardo – che, in punto di fatto, il ricorrente, nella sua attività di gestore di impianto di distribuzione carburante era da qualificarsi lavoratore artigiano (non riesaminabile in sede di legittimità per la richiesta qualificazione di commerciante ad opera dell’INAIL) e come tale destinatario della tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro, da un lato non può porsi in dubbio la specificità del rischio rapina che su di lui incombeva nei momenti in cui doveva riporre le somme di denaro incassate e, dall’altro, appare innegabile la sussistenza nella specie di una causa, o almeno, di una occasione di lavoro, nel senso che tra la prestazione lavorativa e l’evento vi sia un nesso di derivazione eziologica quanto meno mediata ed indiretta tra prestazione di lavoro (trasporto denaro della persona) ed evento (rapina), essendo questo dipendente dal rischio inerente alla prima o connesso al suo stesso compimento (Cass. 12/10/00, n. 15691, pres. Mileo, est. D’Agostino, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 402)
  51. Una volta acclarata la nocività dell’ambiente di lavoro, deve ritenersi che il datore di lavoro sia responsabile per la violazione di specifici obblighi di comportamento imposti da norme di legge. Pertanto, il temporaneo allontanamento del lavoratore dal posto di servizio “per respirare un po’ di aria salubre” deve qualificarsi come autorizzato e non è idoneo, quindi, ad interrompere il nesso eziologico fra prestazione di servizio e infortunio (T.a.r. Abruzzo, sez. Pescara 2/12/99, n. 897, pres. Catoni, , in Dir. Lav. 2000, pag. 338, con nota di Fabozzi, Allontanamento per pericolo di nocività dal posto di lavoro e infortunio)
  52. La responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro è esclusa non da una mera imprudenza del lavoratore, ma solo da una sua condotta abnorme (Pret. Trento 12/11/99, est Flaim, in Lavoro giur. 2000, pag. 962, con nota di Ogriseg, Condotta imprudente del lavoratore e limiti del danno biologico risarcibile)
  53. Qualora un infortunio sul lavoro interessi una parte del corpo affetta da una persistente patologia, il principio giuridico della “equivalenza delle cause” impone di individuare quale sia la causa giuridicamente rilevante; pertanto, posto che la responsabilità del datore è esclusa solo quando l’infortunio è avvenuto per fatto e colpa interamente addebitabili al dipendente, sussiste tale responsabilità se il datore – a conoscenza della preesistente patologia – abbia ciononostate adibito il dipendente a un’attività non compatibile (Trib. Milano 23 ottobre 1999, pres. ed est. Mannacio, in D&L 2000, 538)
  54. Poiché in caso di distacco il datore di lavoro distaccante resta l’unico titolare del rapporto, l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. permane in capo al medesimo che, ancorché privo in astratto di poteri direzionali sull’organizzazione del lavoro, dovrà ritenersi responsabile per il solo fatto di aver deviato la prestazione di lavoro a favore di soggetto non fornito dei necessari requisiti tecnici e di sicurezza e benché il soggetto diretto destinatario della prestazione lavorativa non possa considerarsi datore di lavoro del dipendente distaccato sussiste in capo al medesimo un obbligo di sicurezza di fonte legale, ex art. 2087 c.c., giacché tale norma si applica a colui che nell’esercizio dell’impresa organizza i fattori della produzione, a prescindere dal titolo in base al quale lo stesso utilizzi le prestazioni lavorative, e a patto che le stesse vengano svolte sotto la sua direzione e a suo vantaggio (Pret. Brescia 12/5/98, est. Cassia, in D&L 1998, 969, nota Conte, La responsabilità ex art. 2087 c.c. in caso di distacco del lavoratore infortunato)
  55. Non è cumulabile con la malattia comune il periodo di comporto relativo alla malattia insorta successivamente alla guarigione clinica dall’infortunio sul lavoro quando tale malattia sia stata determinata dalla sopravvenienza di episodi morbosi acuti conseguenti all’infortunio (Trib. Padova 27/10/97, pres. Rizzo, est. Gionfrida, in D&L 1998, 409, n. PIRELLI, Malattia e infortunio sul lavoro: cumulabilità dei periodi di comporto)
  56. In ipotesi di infortunio sul lavoro occorso a dipendente dell’illecita subappaltatrice di mano d’opera, per accertata violazione della normativa antiinfortunistica di cui al DPR 1124/65, va ritenuta la responsabilità della subappaltante, effettiva datrice di lavoro e pertanto vera destinataria degli obblighi di prevenzione, mentre va esclusa la responsabilità della subappaltatrice, totalmente soggetta alla direzione della subappaltante, nonché la responsabilità della committente, cui non compete alcun potere di controllo sull’effettiva adozione delle misure di sicurezza nell’esecuzione dei lavori (Pret. Milano 5/7/97, est. Cecconi, in D&L 1998, 155)

 

 

Infortunio sul lavoro

  1. In materia di responsabilità per violazioni delle norme antinfortunistiche, il datore di lavoro obbligato alle prescrizioni dettate per la sicurezza va identificato in colui che riveste tale ruolo nell’organizzazione imprenditoriale cui è funzionale il luogo di lavoro nel quale si è verificato l’infortunio (nel caso di specie l’infortunio si è verificato nell’ingresso di una galleria commerciale di proprietà di una società diversa da quella datrice di lavoro dell’infortunato; la Cassazione ha stabilito che la società proprietaria della galleria risponde delle lesioni a condizione che la galleria sia qualificabile come luogo di lavoro dei suoi propri dipendenti). (Cass. 9/9/2015 n. 40721, Pres. Brusco Est. Dovere, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Gianluca Gentile, “La Cassazione delimita (ma non troppo) gli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro”, 166)
  2. Le prescrizioni rivolte al datore di lavoro possono distinguersi in due tipologie. Le norme antinfortunistiche a carattere oggettivo, avendo un contenuto che prescinde da qualsivoglia riferimento a un particolare destinatario, sono poste a tutela di chiunque si trovi sul luogo di lavoro. Le misure a carattere soggettivo si indirizzano invece a una specifica tipologia di soggetti da tutelare, e quindi non riguardano i soggetti estranei all’organizzazione. (Cass. 9/9/2015 n. 40721, Pres. Brusco Est. Dovere, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Gianluca Gentile, “La Cassazione delimita (ma non troppo) gli obblighi prevenzionistici del datore di lavoro”, 166)
  3. L’art. 2087 c.c. non configura una responsabilità oggettiva e, pertanto, spetta al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa espletata, un danno alla salute, provare l’esistenza di siffatto danno, come pure la nocività dell’ambiente o delle condizioni di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro. A fronte di tale prova, il datore di lavoro dovrà, invece, dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi. (Cass. 8/5/2014 n. 9945, Pres. Roselli Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2014, 815)
  4. Il requisito della “occasione di lavoro” implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, in relazione al quale il lavoro assuma il ruolo di fattore occasionale, mentre il limite della copertura assicurativa è costituita esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto a una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei e affronti volutamente, in base a ragioni o a impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attvità lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. (Cass. 29/11/2012 n. 21249, Pres. Miani Canevari Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2013, 200)
  5. Dal combinato disposto degli artt. 2051 c.c. e 4, comma 12, D.Lgs. 19/9/94 n. 626, sussiste la responsabilità risarcitoria dell’ente locale proprietario dell’edificio, sede di un Ufficio giudiziario, per un infortunio accaduto a un dipendente dell’amministrazione della giustizia. (Trib. Verona 29/6/2012, Est. Lanni, in D&L 2012, con nota di Francesco Palumbo, “Infortunio sul lavoro e responsabilità del proprietario dell’immobile, anche diverso dal datore di lavoro”, 745)
  6. Ai fini della configurazione della responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al proprio dipendente va ricordato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità quando essa presenti i caratteri della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (nella specie, relativa a un infortunio mortale occorso a un lavoratore che aveva eseguito delle lavorazioni in prossimità di linee elettriche, la Corte ha escluso la responsabilità del datore di lavoro, in quanto nel corso del giudizio era emerso che la elusione della distanza di sicurezza dalle linee elettriche era dovuta all’iniziativa del lavoratore, la cui condotta, peraltro, si era rivelata del tutto “atipica” rispetto al procedimento lavorativo seguito ordinariamente, per la stessa fornitura e per la stessa manovra da eseguire nel medesimo cantiere). (Cass. 13/6/2012 n. 9661, Pres. Miani Canevari Est. Morcavallo, in Orient. Giur. Lav. 2012, 342)
  7. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha accolto la domanda di risarcimento avanzata da un lavoratore rimasto vittima di un infortunio mentre procedeva alla pulizia di macchinari che avrebbero dovuto non essere in funzione o bloccarsi automaticamente). (Cass. 7/6/2012 n. 9199, Pres. Coletti De Cesare Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2012, 819)
  8. Quando il giustificato motivo oggettivo di licenziamento si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale assolutamente omogeneo e fungibile, ai fini del controllo della conformità della scelta dei lavoratori da licenziare ai principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c. non essendo utilizzabili né il normale criterio della “posizione lavorativa” da sopprimere in quanto non più necessaria, né tanto meno il criterio della impossibilità di repechage (in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili), ben può farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che l’art. 5 l. n. 223 del 1991 ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità. (Cass. 28/3/2011 n. 7046, Pres. Foglia Est. Mammone, in Orient. Giur. Lav. 2011, 189)
  9. Il datore di lavoro, quale diretto responsabile della sicurezza sul lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa prevenzionale e sfuggano alla tentazione di sottrarsi anche instaurando prassi di lavoro magari anche di comodo, ma non corrette e foriere di pericoli. La responsabilità si può escludere solo nell’ipotesi tipica di comportamento “abnorme” nel caso in cui il lavoratore violi “con consapevolezza” le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare. (Nella specie, il responsabile dei lavori e il delegato alla sicurezza del cantiere sono stati ritenuti responsabili, per colpa generica e specifica, di un infortunio sul lavoro occorso a un lavoratore il quale, scivolando su di una scala in muratura, sprovvista di corrimano, a ridosso dell’area oggetto dei lavori di ristrutturazione, precipitava dal lato aperto della stessa, da un’altezza di circa tre metri, rovinando violentemente al suolo e procurandosi lesioni dalle quali derivava una malattia e una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni (Cass., sez. V pen., 26/8/2010 n. 32357, Pres. Esposito Est. Piccialli, in D&L 2010, con nota di Alessandro Corrado, “La delega di funzioni non libera il datore di lavoro da responsabilità per infortuni”, 1167)
  10. In caso di infortunio sul lavoro sussiste un’autonoma posizione di garanzia del costruttore, concorrente con quella del datore di lavoro, per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza previsti dalla legge; ne consegue che la responsabilità del costruttore è esclusa nel caso in cui risulti che l’utilizzatore ha compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento dannoso. (Cass. 4/5/2010 n. 16941, Pres. Mocali Est. Piccialli, in D&L 2010, con nota di Ilaria Leverone, “La responsabilità del costruttore nell’ipotesi di infortunio sul lavoro. Regola o eccezione?”, 793)
  11. Il rischio elettivo, quale limite all’indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, è ravvisabile solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (in applicazione di tale principio, la Corte ha riconosciuto l’indennizzo per infortunio in itinere anche a un dipendente che si era infortunato entrando dall’ingresso aziendale più pericoloso, atteso che l’infortunio, anche se si era verificato a fronte di un comportamento imprudente del lavoratore, era comunque ricollegabile alle finalità aziendali e non meramente personali del dipendente, essendo avvenuto nell’espletamento dell’attività lavorativa e in conseguenza di una scelta, quale quella di percorrere, fra i due sentieri di accesso all’azienda, quello più scosceso, che, sebbene non necessitata, ed anzi evitabile, non risultava del tutto estranea alle finalità lavorative e non corrispondeva solo a esigenze meramente personali). (Cass. 18/5/2009 n. 11417, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2009, 838)
  12. Il comportamento imprudente del lavoratore che abbia subito un infortunio comporta il riconoscimento di un suo concorso di colpa, con il datore di lavoro, nella causazione dell’infortunio. (Cass. 23/4/2009 n. 9698, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Orient. Giur. Lav. 2009, 126)
  13. I dubbi di legittimità costituzionale riguardanti la disciplina relativa a un evento infortunistico avvenuto dopo l’entrata in vigore del D.M. contenente le tabelle cui rinviano i commi 2 e 3 dell’art. 13 del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (in tema di assicurazione contro le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro), sotto il profilo della ‘reformatio in peius’ della pregressa disciplina e dell’eccesso di delega, sono manifestamente infondati atteso che non occorre basarsi, ai fini della valutazione della portata della nuova normativa, su una comparazione frazionistica di singoli elementi delle rispettive discipline ma, invece, sull’effetto migliorativo complessivo della riforma del citato D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. (Cass. 7/2/2008 n. 2894, Pres. De Luca Est. De Matteis, in Dir. & prat. lav. 2008, 2154)
  14. L’indennizzo erogato dall’Inail ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. 38/2000 non ripara integralmente il danno alla salute subito dal lavoratore a causa della malattia professionale o dell’infortunio sul lavoro; va conseguentemente riconosciuta la risarcibilità del danno biologico differenziale. (Corte d’appello Torino 29/11/2004, Pres. Peyron Rel. Buzano, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Enrico Barraco, 574)
  15. Nel nuovo regime indennitario previsto dall’art. 13, D.Lgs. n. 38/2000 il lavoratore non è legittimato a chiedere al datore di lavoro il risarcimento di danno biologico differenziale, trovando tale voce di danno pieno ed unico ristoro nell’indennizzo corrisposto dall’Inail per tale specifico titolo; tuttavia l’indicata tutela previdenziale non sembra consentire di escludere sempre e comunque la possibilità di allegare e provare l’esistenza, in concreto, di componenti di danno non coperte e non previste dal sistema dell’indennizzo Inail, che necessitano una valutazione personalizzata del valore di punto da attribuire al danno biologico (nel caso di specie il giudice, considerando che il lavoratore prima dell’infortunio agli arti superiori praticava il nuoto e viaggiava con il proprio camper, riconosce che questi elementi costituiscono un quid pluris personalizzato al cui risarcimento deve provvedere direttamente il datore di lavoro. (Trib. Vicenza 3/6/2004, Est. Perina, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Enrico Barraco, 569)
  16. In ipotesi di infortunio sul lavoro comportante una grave menomazione fisica, una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro, questi è tenuto al risarcimento del danno biologico e del danno morale subiti dal dipendente; per la determinazione del danno biologico, che comprende l’inabilità temporanea, totale o parziale, e l’invalidità permanente, può farsi ricorso alle tabelle in uso mentre il danno morale-tenuto conto delle sofferenze e dei patemi d’animo connessi alla menomazione-cpuò quantificarsi con valutazione equitativa (nella fattispecie il danno morale è stato quantificato in misura pari alla metà del danno biologico complessivo). (Trib. Milano 14/3/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 674)
  17. Con riferimento al danno biologico derivante da infortunio sul lavoro occorso prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 d. leg. 23 febbraio 2000 n. 38, che ha esteso ad esso la copertura dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l’onere probatorio si ripartisce secondo il regime particolare previsto dall’art. 1218 c.c., dovendo il datore di lavoro vincere la presunzione legale di colpa per l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza statuito dall’art. 2087 c.c., mentre a carico del lavoratore grava l’onere di provare il fatto dell’inadempimento e la sussistenza del nesso di causalità materiale tra tale fatto e il danno biologico. (Cass. 26/10/2002, n.15133, Pres. Senese, Est. De Luca, in Foro it. 2003, parte prima, 505)
  18. Secondo la disciplina di cui al d. P. R. n. 1124/1965, applicabile per il periodo antecedente l’entrata in vigore del d. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, non può ammettersi una decurtazione delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno biologico patito dal prestatore in conseguenza di un infortunio o malattia professionale sul presupposto che tale pregiudizio sia in parte coperto dalla rendita INAIL per riduzione della capacità di lavoro generica. L’indennizzo INAIL, prima della riforma del 2000, si limitava infatti a riparare la perdita patrimoniale da mancato guadagno, era chiamato cioè solo a ristorare i riflessi economici derivanti dalla perdita dell’attitudine a svolgere un qualsiasi lavoro, mentre in nessun modo e per nessuna quota poteva intendersi volto a compensare la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé considerata. (Cass. 21/3/2002, n. 4080, Pres. Mileo, Est. De Matteis, in Riv. it. dir. lav. 2003, 31, con nota di Alberto Pizzoferrato, Danno biologico da infortunio sul lavoro: copertura assicurativa INAIL e risarcimento a carico del datore di lavoro; in Foro it. 2003, parte prima, 506)
  19. In ipotesi di infortunio sul lavoro, stante la natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 c.c., spetta al datore di lavoro fornire la prova di avere adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore (Cass. 4 luglio 2000 n. 8944, pres. Santojanni, est. D’Angelo, in D&L 2000, 1029, n. Quadrio)
  20. In ipotesi di infortunio sul lavoro, una volta accertata la mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza imposte dal DPR 27/4/55 n. 547, va ritenuta la piena responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., nonché ex art. 590 c.p., con conseguente obbligo di integrale risarcimento del danno biologico, del danno morale e delle spese mediche, indipendentemente dall’eventuale concorso di colpa del lavoratore infortunato, che non vale a escludere la responsabilità datoriale, a meno che non si concreti in una condotta totalmente estranea alla prestazione lavorativa, e, come tale, assolutamente inopinabile e imprevedibile (Pret. Busto Arsizio, sez. Gallarate, 10/2/99, est. Guadagnino, in D&L 1999, 641)
  21. In ipotesi di infortunio sul lavoro, una volta accertata la mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza imposte dal DPR 30/6/65 n. 1124, va ritenuta la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., con conseguente obbligo di risarcimento del danno biologico; l’adesione spontanea del lavoratore alla richiesta della prestazione lavorativa straordinaria durante la quale l’infortunio si è verificato è irrilevante ai fini della sussistenza di detto obbligo, posto che tale comportamento non introduce alcun elemento di volontarietà idoneo a configurare un “rischio elettivo” (Trib. Roma 22/1/99, pres. ed est. Zecca, in D&L 1999, 590)
  22. Al lavoratore della subappaltatrice, riconosciuto dipendente della subappaltante, che sia rimasto vittima di infortunio per accertata responsabilità di quest’ultima, compete il risarcimento del danno biologico e morale, da porsi a carico esclusivo della subappaltante, e non anche della committente, posto che l’art. 1676 c.c. si applica ai soli crediti di natura retributiva, e non a quelli di carattere risarcitorio (Pret. Milano 5/7/97, est. Cecconi, in D&L 1998, 155)
  23. In ipotesi di infortunio sul lavoro, una volta accertata la mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza imposte dal DPR 164/56, va ritenuta la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., con conseguente obbligo di risarcimento del danno biologico, indipendentemente dall’eventuale concorso di colpa del lavoratore infortunato, posto che la possibilità di concorrenti condotte colpose degli addetti è una delle principali ragioni della rigorosità della normativa antinfortunistica di riferimento (Pret. Milano 30/4/97, est. Mascarello, in D&L 1997, 815)
  24. In ipotesi di infortunio occorso a un lavoratore, per avere sollevato un peso eccessivo, in rapporto alle sue precarie condizioni fisiche, già portate alla conoscenza dell’impresa, va affermata la responsabilità datoriale in relazione al sinistro, con obbligo di risarcimento del danno biologico, quand’anche sia accertato che fossero state impartite espresse disposizioni al lavoratore, affinché si astenesse da sforzi eccessivi, in quanto l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare, di propria iniziativa, e sotto il proprio controllo, tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza del lavoro, non consentendogli di demandare in via sistematica allo stesso lavoratore la valutazione e la decisione su ciò che, di volta in volta, può essere rischioso per la propria salute (Pret. Milano 17/5/96, est. Mascarello, in D&L 1997, 144)
  25. In caso di infortunio sul lavoro, ove sia accertato che l’evento dannoso si è verificato in conseguenza del comportamento imprudente o negligente del datore di lavoro, pur in assenza di specifiche violazioni della normativa anti-infortunistica, va ritenuta la responsabilità contrattuale datoriale, per violazione dell’art. 2087 c.c., con diritto del lavoratore infortunato al risarcimento del danno biologico e morale (Pret. Milano 11/10/95, est. De Angelis, in D&L 1996, 192)
  26. In ipotesi di infortunio sul lavoro, una volta accertata l’omissione, da parte del datore di lavoro, dell’adozione delle misure preventive di sicurezza, imposte, in forma generica, dall’art. 2087 c.c. e, in forma specifica, dal DPR 27/4/55 n. 547, va ritenuta la piena responsabilità, anche penale, del datore di lavoro, per imprudenza o negligenza; conseguentemente, compete al lavoratore infortunato l’integrale risarcimento del danno biologico, a prescindere da eventuali indennità previdenziali, attinenti esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica produce sulla capacità lavorativa dell’assicurato, nonché l’integrale risarcimento del danno morale, a prescindere dall’accertamento del reato in sede penale, ben potendo tale accertamento essere compiuto dal giudice civile (Pret. Monza 2/5/95, est. Padalino, in D&L 1995, 1009)
  27. In ipotesi di infortunio ascrivibile a responsabilità penale del datore di lavoro, per inosservanza della normativa antiinfortunistica di cui al DPR 27/4/55 n. 547, compete al lavoratore infortunato il risarcimento integrale del danno biologico e del danno morale, a prescindere da eventuali indennità corrisposte dall’Inail, essendo stato l’art. 10, c. 6 e 7, DPR 30/6/65 n. 1124, dichiarato illegittimo, con sentenza 27/12/91 n. 485 della Corte cost., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno biologico per la sola quota eccedente le indennità corrisposte dall’Inail (Pret. Milano 11/3/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 655)
  28. Ove, in relazione alla produzione di un infortunio sul lavoro, sia accertata la responsabilità civile del datore di lavoro, per violazione degli obblighi imposti dall’art. 2087 c.c., ma non sia stata né dedotta né accertata la responsabilità penale del medesimo, compete al lavoratore infortunato il risarcimento del danno biologico, mentre non può essere riconosciuto il risarcimento del danno morale, essendo l’accertamento incidentale del reato in sede civile precluso dalla mancata richiesta di parte (Pret. Mlano 30/11/94, est. Taraborrelli, in D&L 1995, 398)

 

 

Occasione di lavoro

  1. Ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere nell’ambito dell’assicurazione per gli infortuni sul lavoro e per le malattie professional, l’occasione di lavoro ricomprende ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, anche se imprevedibile e atipico, indipendentemente dalla condotta volontaria dell’assicurato, con il solo limite del rischio elettivo; ne consegue che nell’iter che il lavoratore compie dal luogo di lavoro alla propria abitazione, la rapina della moto quale strumento necessario per percorrere l’iter stesso, nelle condizioni che danno luogo alla tutela dell’infortunio in itinere, costituisce evento protetto e in quanto tale dà diritto all’indennizzo da parte dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro (nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza dei giudici di merito che aveva rigettato il ricorso di un lavoratore il quale, rapinato da malviventi con pugni e colpi di arma da fuoco della propria motocicletta utilizzata per fare ritorno dal luogo di lavoro alla propria bitazione in un giorno di sciopero dei mezzi pubblici, aveva chiesto la condanna dell’Inail a corrispondergli una rendita ragguagliata a una riduzione del 50% della sua capacità lavorativa). (Cass. 14/2/2008 n. 3776, Pres. De Luca Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Alessandro Corrado, 688)
  2. Nella nozione di occasione di lavoro, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, n. 2, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all’ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, e anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell’obbligo assicurativo, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l’unico limite del rischio elettivo. (Cass. 17/12/2007 n. 26560, Pres. Mercurio Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 418)
  3. In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria e animata da finalità personali, dalle normali attività lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio – che è in grado di incidere, escludendola, sull’occasione di lavoro – si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario e arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa (nella specie la S.C. ha respinto il ricorso contro la sentenza che aveva negato l’indennizzabilità dell’infortunio occorso a un lavoratore che, frequentando un corso di perfezionamento antincendio, durante la pausa del caffè aveva voluto osservare da vicino il vano nel quale era allocato il discensore per i vigili del fuoco, avvicinandosi tanto da perdere l’equilibrio e così cadere nello stesso). (Cass. 4/7/2007 n. 15047, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 88, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1065)
  4. Ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato, non è sufficiente che l’attività lavorativa abbia determinato in capo al lavoratore un rischio generico ossia un rischio al quale il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini indipendentemente dall’attività lavorativa svolta, bensì occorre che essa abbia determinato o un rischio specifico ossia un rischio derivante dalle particolari condizioni dell’attività lavorativa svolta e/o dell’apparato produttivo dell’azienda, ovvero da un rischio generico aggravato, ossia da un rischio che, pur essendo comune a tutti i cittadini che svolgono l’attività lavorativa dell’assicurato, si pone tuttavia in ragione di necessario collegamento eziologico con l’attività lavorativa del medesimo (nella specie, la S.C. ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore intervenuto per sedare una lite insorto nell’ambiente lavorativo, trattandosi di una condotta motivata da una scelta arbitraria del lavoratore non giustificata né dai doveri imposti dall’art. 593 c.p., riferiti a un dovere di soccorso e di collaborazione con le forze dell’ordine rispetto a fatti già avvenuti e non in corso di svolgimento, né a doveri di solidarietà costituzionalmente previsti, prospettandosi, anzi, per chi partecipa con le apparenti sembianze di paciere a una colluttazione tra due soggetti, la possibilità di essere incriminato per rissa ai sensi dell’art. 588 c.p.). (Cass. 27/1/2006 n. 1718, Pres. Mileo Rel. Capitanio, in Lav. Nella giur. 2006, 598)
  5. La nozione di occasione di lavoro di cui all’art. 2, D.P.R. n. 1124 del 1965 implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento di attività lavorativa in modo diretto ed indiretto (con il limite del c.d. rischio elettivo) e, quindi della esposizione a rischio insito in attività accessorie o strumentali allo svolgimento della predetta attività ivi compresa l’esigenza di recarsi in bagno per lavarsi alla fine del turno ospedaliero. (Cass. 5/1/2005 n. 180, Pres. Senese Rel. Cataldi, in Dir. e prat. lav. 2005, 1412)
  6. Costituisce rischio elettivo, frutto di una libera determinazione del lavoratore priva di alcun diretto collegamento con l’attività lavorativa svolta, la scelta di consumare il pasto presso la propria abitazione, raggiungendola con il mezzo proprio durante la pausa pranzo, qualora l’uso del mezzo proprio non sia necessitato dalla durata della pausa pranzo o dalla impossibilità di avvalersi di mezzi pubblici. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non qualificabile come infortunio verificatosi in occasione di lavoro il sinistro stradale subito dal lavoratore, mentre, con il proprio ciclomotore, si recava a casa, raggiungibile con i mezzi pubblici in soli quindici minuti, per consumarvi il pasto, pur fruendo, in caso di prolungamento dell’attività lavorativa nelle ore antimeridiane, di un intervallo di due ore). (Cass. 1/9/2004 n. 17544, Pres. Sciarelli Rel. Battimiello, in Dir. e prat. lav. 2005, 844)
  7. In tema di infortunio in itinere, il rischio elettivo che ne esclude la indennizzabilità deve essere valutato con maggior rigore che nell’attività lavorativa diretta, comprendendo comportamenti di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. Ne consegue che la violazione di norme fondamentali del codice della strada può integrare il rischio elettivo che esclude il nesso di causalità tra attività protetta ed evento. (Nella specie, anteriore ratione temporis alla riforma adottata dal D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di corresponsione della rendita Inail proposta ai superstiti di un bracciante agricolo, deceduto a causa del ribaltamento del trattore per errata manovra in fase di parcheggio, in quanto sprovvisto di patente di guida per il mezzo agricolo). (Cass. 18/3/2004 n. 5525, Pres. Ciciretti Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2004, 991)
  8. In tema di infortuni sul lavoro, con riguardo a quelli occorsi nello svolgimento di attività didattica, l’art. 4 n. 5, D.P.R. n. 1124/1965 limita la copertura assicurativa agli insegnanti ed alunni che attendono ad esperienze o ad esercitazioni pratiche o che svolgono esercitazioni di lavoro. Pertanto, la tutela assicurativa, che copre soltanto tale rischio specifico e non anche quello generico, è operante quando l’evento lesivo si sia verificato nel corso o in conseguenza di tali esperienze tecnico-scientifiche o di tali esercitazioni pratiche (ossia nel corso di attività essenzialmente manuali, pur se legate a conoscenze teorico-scientifiche) ovvero quando sia legato con nesso di causalità allo svolgimento di tali attività. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso l’operatività della tutela assicurativa con riguardo all’infarto dal quale era stato colpito un insegnante di lingua straniera, ritenendo che tale attività didattica avesse natura essenzialmente teorica, anche se il docente si avvaleva di strumenti audiovisivi). (Cass. 14/2/2004 n. 2887, Pres. Prestipino Rel. Capitanio, in Lav. nella giur. 2004, 703)
  9. L’occasione di lavoro, che condiziona l’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro, è ravvisabile non solo nelle ipotesi di rischio specifico proprio della prestazione di lavoro, ma anche quando si concretizza in un rischio cosiddetto improprio, il quale cioè, se pur non intrinsecamente connesso allo svolgimento tipico del lavoro svolto dal dipendente, riguarda situazioni ed attività strettamente connesse alla prestazione lavorativa, anche se non realizzatesi in coincidenza di tempo e luogo con la medesima (nella specie, la SC ha annullato la decisione di merito che aveva escluso il diritto alla rendita ai familiari superstiti del titolare di un’azienda agricola, deceduto per le esalazioni di gas in un pozzo nel quale si era calato per soccorrere l’appaltatore dei lavori di costruzione del pozzo stesso, senza accertare se detto infortunio fosse ricollegabile ad un’attività connessa alla sua prestazione lavorativa, verificando la natura del rapporto avente ad oggetto l’affidamento ad un terzo della realizzazione del pozzo, il non totale trasferimento all’assuntore del potere di fatto sull’immobile e la destinazione del pozzo ad attività connesse a quelle agricole). Cass. 28/10/2003 n. 16216, Pres. Mattone Rel. Lamorgese, in D&L 2004, 179)
  10. In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ricorre l’occasione di lavoro-costituente requisito di indennizzabilità dell’infortunio-solo quando esista uno specifico collegamento tra l’evento lesivo e l’attività di lavoro, per cui non è sufficiente, ai fini dell’indennizzabilità, il rischio comune e generico connesso all’attività di spostamento spaziale, ma occorre il rischio specifico insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, o anche il rischio insito in attività accessorie, qualora queste siano immediatamente e necessariamente connesse e strumentali allo svolgimento di quelle mansioni, e quindi funzionalmente collegato all’attività lavorativa. (Cass. 9/11/2002, n. 15765, Pres. Senese, Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2003)
  11. L’azione del prestatore di lavoro consistita nel tentare di avvistare un attrezzo caduto ad un collega nel greto di un corrente al fine di permetterne il recupero e conclusasi tragicamente è da considerare comportamento “strumentale” alla prestazione lavorativa e quindi indennizzabile. Perché ricorra il requisito della “vivenza a carico” è sufficiente che gli aiuti economici ricevuti dal de cuius, per la loro costanza e regolarità, abbiano costituito un mezzo normale, anche se parziale, di sussistenza. (Corte d’Appello Firenze 28/9/2001, Pres. Drago Est. Pieri, in D&L 2002, 473, con nota di Filippo Pirelli, “Attività complementari ed occasione di lavoro”)
  12. Va riconosciuta la sussistenza dell’occasione di lavoro, che rende indennizzabile l’infortunio, e va nel contempo esclusa l’ipotesi di rischio elettivo, la cui ricorrenza invece interromperebbe il nesso causale, nella caduta da una sedia a rotelle utilizzata in una postazione di computer verificatosi mentre il lavoratore si spostava, allontanandosi dal monitor, per avvicinarsi ad un armadietto al fine di prelevarvi delle pratiche (Cass. 8/3/01, n. 3363, pres. Ianniruberto, est. Spanò, in Foro it. 2001, pag. 1531)
  13. Ai sensi del d. P.R. 30/6/65, n. 1124, l’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato sussiste anche nell’ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioè, allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto dal dipendente, ma insito in una attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni, a nulla rilevando l’eventuale carattere meramente occasionale di detto rischio (nella specie, determinato dalle particolari condizioni atmosferiche), atteso che è estraneo alla nozione legislativa di occasione di lavoro il carattere di normalità o tipicità del rischio protetto (Trib. Milano 31/10/00, pres. Gargiulo, est. Sbordone, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1123)
  14. Nella nozione di occasione di lavoro, di cui all’art. 2.D.P.R. 30/6/65, n, 1124, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all’ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell’obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l’unico limite in quest’ultimo caso del rischio elettivo (nella specie, la sentenza di merito, cassata dalla S.C., aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad una impiegata della P.A. addetta al video – terminale che, spostandosi da un ufficio all’altro della sede di lavoro recando con sé un faldone da utilizzare per la sua attività, era scivolata e caduta in terra riportando una frattura ossea) (Cass. 9/10/00, n. 13447, pres. Ianniruberto, in Lavoro giur. 2001, pag. 556, con nota di Ludovica, La nozione di “occasione di lavoro” nella recente giurisprudenza della Cassazione)
  15. Anche una caduta è da considerare infortunio risarcibile qualora il rischio generico connesso al semplice fatto di spostarsi da un luogo all’altro sia aggravato dalla presenza sul pavimento di attrezzi e materiali di lavoro (Cass. 7/4/00, n. 4433, pres. Mercurio, est. Cellerino, in Dir. lav. 2001, pag. 72, con nota di Fontana, La caduta infortunio)
  16. Elemento costitutivo dell’infortunio indennizzabile è l’occasione di lavoro, la quale sussiste ogniqualvolta l’evento lesivo risulti ricollegabile, in modo non meramente marginale, all’esposizione dell’infortunato al rischio indotto dagli elementi (inerenti all’ambiente, alle macchine o alle persone) costituenti le condizioni oggettive dell’attività protetta; conseguentemente sono indennizzabili tutti quegli eventi che ledono l’integrità fisica del lavoratore per effetto di condotte imprudenti, negligenti o prive di qualsiasi perizia professionale messe in atto da colleghi nello svolgimento delle loro mansioni, e, quindi, anche di quei comportamenti che, seppure sorti per scherzo, hanno cagionato – in ragione della mancanza della necessaria avvedutezza dei loro autori – danni alla persona del lavoratore (nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto la rendita ai superstiti di un lavoratore, autista di un furgone quotidianamente scortato da una guardia giurata armata, deceduto a seguito della ferita d’arma da fuoco procuratagli dalla condotta colposa del collega nell’uso della medesima) (Cass. 27/11/99 n. 13296, pres. Sciarelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 575)
  17. Nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, tenuti presenti i caratteri originari del sistema e la sua evoluzione, deve ritenersi configurabile l’occasione di lavoro, ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio subito da lavoratore soggetto ad assicurazione perché addetto ad attività protetta a norma dell’art.1 del d.p.r. n. 1124 del 1965, anche con riferimento ad eventi occorsi nello svolgimento di attività prodromica e necessaria rispetto alla prestazione dedotta in contratto, a prescindere da particolari requisiti di specificità del rischio (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto indennizzabile l’infortunio subito da un’addetta alle pulizie presso un ospedale la quale, dopo avere timbrato il cartellino all’ingresso, si stava recando in bicicletta al padiglione in cui doveva eseguire la prestazione lavorativa) (Cass. 11/5/99, n. 4676, pres. Lanni, in Dir. Lav. 2000, pag. 323, con nota di Gambacciani, In tema di occasione di lavoro: un nuovo orientamento della giurisprudenza)

 

 

Causa violenta

  1. La causa violenta, richiesta dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, per l’indennizzabilità dell’infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale e abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell’infortunio (respinta la richiesta del lavoratore, il quale non aveva provato di aver proceduto a uno spostamento di pacchi di peso e che proprio lo sforzo al quale si era sottoposto fosse stata la causa determinante del dolore allo sterno e del malore sopravvenuto). (Cass. 27/9/2013 n. 22257, Pres. Roselli Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2013, 1127)
  2. Rientra nella nozione di causa violenta anche un agente lesivo, presente nell’ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell’ambiente esterno, il quale produca un abbassamento delle difese immunitarie; dal suo meccanismo d’azione, se rapido e concentrato, oppure lento deriva poi la collocazione dell’evento tra gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. (Cass. 26/5/2006 n. 12559, Pres. senese Est. de Matteis, in D&L 2006, 947)
  3. In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il diritto alla relativa prestazione richiede che l’infortunio sia stato provocato da una “causa violenta” (art.2, D.P.R. n. 1124/1965) che può riscontrarsi anche in riferimento allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, qualora sia caratterizzato dalla intensità dell’energia spiegata, concentrata in un breve arco temporale, che va identificato nell’unità cronologica costituita dal turno di lavoro (Nella specie, la S.C .ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto insussistente la “causa violenta” nello sforzo posto in essere da due lavoratrici, le quali, per un intero turno lavorativo avevano, rispettivamente, provveduto a rifilare con un coltello plastiche di particolare durezza e ad inserire tappi in scarponi da sci mediante una graffettatrice, contraendo entrambe una tendinite acuta). (Cass. 10/1/2003, n. 239, Pres. Mileo, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 475; in Riv. it. dir. lav. 2003, 637, con nota di Luca Ruggiero, Il turno lavorativo come unità cronologica della causa violenta “allargata” nell’infortunio sul lavoro)
  4. L’infarto, per il suo attuarsi in un brevissimo arco temporale, ha il carattere della “violenza” ed assume rilievo come causa di infortunio sul lavoro, ove sia legato all’attività lavorativa con una connessione causale (in quanto, anche nell’ambito di un eventuale concorso di cause, sia determinato dall’attività lavorativa) ed una contiguità topografica (in quanto si verifichi nel corso dell’ attività lavorativa), contiguità che non significa (attesa la dizione di legge “in occasione”) assoluta contestualità, cosicché essa non è esclusa da un breve intervallo temporale fra lavoro e lesione (infarto), ove questa sia inequivocabilmente riconducibile all’attività volta in un tempo immediatamente precedente (nella fattispecie prestando lavoro dalle 12 alle 14 ore al giorno per l’inaugurazione della nuova sede della Camera del lavoro) (Cass. 26/10/00, n. 14085, pres. De Musis, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2281)
  5. Nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, lo sforzo messo in atto dal lavoratore, in una delle situazioni tipiche ed abituali del suo lavoro, al fine di vincere una resistenza specifica delle condizioni di lavoro e del suo ambiente, che determini, con azione rapida ed intensa, un infarto cardiaco e le relative conseguenze invalidanti o letali, costituisce “causa violenta”, ai sensi dell’art.2 del D.P.R. 30/6/65 n. 1124 (Cass. 27/9/00 n. 12798, pres. Trezza, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2111)

 

 

Infortunio in itinere

  1. In tema di infortunio “in itinere”, la tutela assicurativa copre i sinistri verificatisi nel normale percorso abitazione-luogo di lavoro anche in caso di fruizione da parte del lavoratore di un permesso per motivi personali che, quale fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa ontologicamente non differente dalle pause o dai riposi, da cui si differenzia soltanto per il carattere occasionale ed eventuale, a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità tipico degli altri, non recide il rapporto finalistico con l’attività lavorativa, né concretizza una ipotesi di rischio c.d. elettivo (Cass. 8/9/2020 n. 18659, ord., Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2020, 1212)
  2. Ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere ex art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000, costituisce occasione di lavoro, rilevante ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, una riunione promossa dal datore di lavoro presso la propria sede e avente a oggetto l’organizzazione dell’attività lavorativa, sicché la presenza del lavoratore lungo il percorso necessario per recarsi a tale riunione deve ritenersi riferibile al lavoro, senza che assuma alcuna rilevanza che lo stesso vi abbia partecipato in qualità di sindacalista, fruendo di un permesso sindacale retribuito, in quanto i lavoratori che svolgono attività sindacale come RSA, RSU o come dirigenti sindacali non in aspettativa, rimangono pur sempre assicurati ex artt. 4 e 9 del d.P.R. n. 1124 del 1965, dovendosi soltanto verificare in concreto l’ambito di operatività della tutela. (Cass. 7/7/2016 n. 13882, Pres. Mammone Rel. Riverso, in Lav. nella giur. 2016, 1024)
  3. Costituisce infortunio in itinere avvenuto in occasione di lavoro, l’incidente stradale occorso al lavoratore dirigente delle RSU in permesso sindacale retribuito, lungo il percorso necessario per partecipare a una riunione promossa dal datore di lavoro, presso la propria sede e avente a oggetto l’organizzazione dell’attività lavorativa, posto che in siffatte circostanze, la partecipazione di un lavoratore, ancorché in permesso sindacale, ad una riunione che attiene all’attività di impresa, non può dirsi attinente a interessi diversi, estranei o immeritevoli di tutela rispetto a quelli presidiati dalla tutela assicurativa. (Cass. 7/7/2016 n. 13882, Pres. Mammone Rel. Riverso, in Lav. nella giur. 2017, con commento di S. Caffio, 49)
  4. Va esclusa dalla tutela assicurativa la fattispecie nella quale, in sostanza, venga a mancare l’occasione di lavoro, in quanto il collegamento tra l’evento e il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica. (Cass. S.U. 7/9/2015 n. 17685., Pres. Rovelli Est. Nobile, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Elena Josephine Di Carlo, “Gli incerti confini dell’infortunio in itinere”, 34)
  5. In materia di infortuni sul lavoro, l’art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio “in itinere”, inserendola nell’ambito della nozione di occasione di lavoro di cui all’art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, esprime dei criteri normativi (come quelli di “interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate”, che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa) utilizzabili per decidere anche controversie relative a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore. (Cass. 17/6/2014 n. 13733, Pres. Vidiri Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2014, 926)
  6. Non rientra nella nozione di infortunio in itinere quello occorso al lavoratore al rientro dalle ferie e in orario notturno, perché non occorso nel normale spostamento tra abitazione e luogo di lavoro e perché accaduto in orari non ricollegabili necessariamente con l’orario di lavoro (nella specie, il sinistro era occorso poco dopo mezzanotte mentre il ricorrente doveva riprendere il lavoro alle ore 8 del giorno successivo). (Cass. 13/1/2014 n. 475, Pres. Vidiri Rel. Bronzini, in Lav. nella giur. 2014, 410)
  7. L’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere (art. 210, u.c., d.P.R. n. 1124/1965), che assimila gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro all’esecuzione della prestazione, non incide sul requisito della occasionalità di lavoro, da riferire, in tal caso, al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi. (Trib. Bari 3/12/2013, Giud. Colucci, in Lav. nella giur. 2014, 413)
  8. Al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante da infortunio in itinere, il lavoratore deve dare la prova della necessità dell’utilizzo del mezzo proprio. E tale prova deve essere dedotta tempestivamente secondo le regole del processo del lavoro, non potendo supplire alle carenze della parte il potere officioso del giudice di disporre delle prove ai sensi dell’art. 421 c.p.c., specialmente ove tale potere officioso verrebbe a scontrarsi con il principio della ragionevole durata del processo. (Cass. 18/4/2013 n. 9466, Pres. Vidiri Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 737)
  9. Il rischio elettivo, configurato come l’unico limite alla copertura assicurativa di qualsiasi infortunio, in quanto ne esclude l’essenziale requisito della occasione di lavoro, assume, con riferimento all’infortunio in itinere, una nozione più ampia, rispetto all’infortunio che si verifichi nel corso dell’attività lavorativa vera e propria, in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza (nella specie, la Corte ha negato l’indennizzabilità di un infotunio subito dal lavoratore, coinvolto in un sinistro stradale mentre a bordo della propria moto si recava al lavoro; la Corte ha ritenuto legittima la scelta del dipendente di utilizzare il mezzo privato per compiere il tragitto casa-lavoro, ma, anche alla luce della distanza, di appena due chilometri, percorribile a piedi, ha ritenuto di negare la copertura assicurativa). (Cass. 18/3/2013 n. 6725, Pres. De Renzis Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2013, 523)
  10. In tema di infortunio in itinere – nel regime successivo alla riforma di cui all’art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, il rischio elettivo – cioè dovuto a una scelta arbitraria del lavoratore infortunato, che interrompa ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento – è configurato come unico limite alla copertura assicurativa di qualsiasi infortunio in quanto ne esclude l’essenziale requisito della occasione di lavoro. (Cass. 22/2/2012 n. 2642, Pres. Roselli Est. Rosa, in Lav. nella giur. 2012, 508)
  11. Una volta individuato il campo dei soggetti compresi nell’assicurazione, e appurato che tra questi rientrano anche gli allievi che attendano alle attività indicate dall’art. 4, n. 5, T.U., non vi è ragione per escludere questi ultimi dalla tutela apprestata dalla normativa antinfortunistica in tema di infortunio in itinere, posto che l’art. 2 del T.U., al comma 3 (aggiunto dal d.lgs. n. 38/2000, art. 12), ha stabilito espressamente che “l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”, precisando che “l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato”, senza operare, dunque, alcuna distinzione tra le varie categorie di “persone assicurate”, e in particolare tra insegnanti e allievi quando costoro attendano a esperienze tecnico-scientifiche, a esercitazioni pratiche o a esercitazioni di lavoro. (Cass. 21/11/2011 n. 24485, Pres. Roselli Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2012)
  12. In materia di indennizzabilità dell’infortunio in itinere occorso al lavoratore che utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza rivestire carattere di necessità – perché volte a conciliare in un’ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore – rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività (nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso a un lavoratore mentre si recava al lavoro alla guida del proprio ciclomotore nonostante la disponibilità di mezzi di trasporto pubblico aventi orari compatibili con le sue esigenze di vita e di lavoro). (Cass. 11/8/2010 n. 17752, Pres. Sciarelli Rel. Nobile, in Lav. Nella giur. 2010, 1047)
  13. La sussistenza di esigenze di bilanciamento delle esigenze di lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore, pur se finalizzate ad accreditare condotte di vita improntate a maggiore comodità o a minor disagio, non sono di per sé sufficienti per il riconoscimento dell’infortunio in itinere in assenza della dimostrazione dell’effettiva necessità dell’utilizzo del mezzo privato. (Cass. 29/7/2010 n. 17752, Pres. Sciarelli Est. Nobile, in D&L 2010, con nota di Aldo Garlatti, “Utilizzo del mezzo privato, indennizzabilità dell’infortunio in itinere e requisito giustificativo del diritto”, 872)
  14. L’infortunio “in itinere” comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque, non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale e i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali. (Cass. 27/4/2010 n. 10028, Pres. Roselli Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2010, 731)
  15. In tema di infortunio in itinere, secondo la disciplina previgente alla riforma adottata dal D.Lgs. n. 38 del 2000, l’indennizzabilità dell’infortunio subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo privato, la distanza fra la sua abitazione e il luogo di lavoro, postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso deve costituire per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione; b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito e attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, da accertarsi in considerazione della compatibilità degli orari dei pubblici servizi di trasporto rispetto all’orario di lavoro dell’assicurato, ovvero della sicura fruibilità dei pubblici servizi di trasporto qualora risulti impossibile, tenuto conto della peculiarità dell’attività svolta, la determinazione a priori della durata della sua prestazione lavorativa. (Cass. 23/5/2008 n. 13376, Pres. De Luca Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2008, 843)
  16. L’azione di regresso proposta dall’Inail nei confronti del datore di lavoro si estende automaticamente nei confronti degli altri responsabili civili dell’infortunio sul lavoro che il datore di lavoro abbia chiamato in causa, quali soggetti responsabili di un comune obbligo di sicurezza gravante su ciascuno di essi, anche se per di9verso ruolo professionale, e perciò direttamente responsabile dell’infortunio sul lavoro e dei conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell’istituto assicuratore. (Cass. 28/3/2008 n. 8136, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 844)
  17. La sosta voluttuaria di circa un’ora, effettuata dal lavoratore durante il tragitto tra l’abitazione e il luogo di lavoro, interrompe il nesso di causalità, per cui un eventuale infortunio non è indennizzabile da parte dell’Inail. (Cass. 18/7/2007 n. 15973, Pres. Mercurio Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Gianluigi Girardi, 149)
  18. Alla stregua di un’interpretazione letterale nonché logico-sistematica dell’art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000, la configurabilità di un infortunio in itinere comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque, non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale e i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali (Nella specie la S.C., in applicazione del principio di cui in massima, ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto l’occasione di lavoro nell’infortunio occorso al lavoratore scivolando sul portone di casa mentre si recava al lavoro, sul presupposto che nella nozione di luogo di abitazione, quale inizio del normale percorso per raggiungere la sede lavorativa, dovessero ritenersi incluse anche le pertinenze della stessa, che il lavoratore deve necessariamente percorrere per recarsi nel luogo di lavoro). (Cass. 16/7/2007 n. 15777, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2008, 195 e in Dir. e prat. lav. 2008, 1153)
  19. In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto provato, deve aversi riguardo ai criteri che individuano la legittimità o meno dell’uso del mezzo in questione secondo lo standard comportamentale esistente nella società civile e rispondente a esigenze tutelate dall’ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare e un rapporto con l’attività lavorativa diretto a maggiore efficienza delle prestazioni non in contrasto con la riduzione del conflitto fra lavoro e tempo libero. L’indennizzabilità di detti infortuni è condizionata, in caso di uso di mezzo proprio, all’esistenza della necessità, per l’assenza di soluzioni alternative, detto uso, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico rappresenta lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada. (Cass. 17/1/2007 n. 995, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 516)
  20. Il criterio da seguire per poter considerare infortunio in itinere il sinistro occorso al lavoratore nel tragitto di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, non è quello dell’esistenza di una mera deviazione rispetto al tragitto ritenuto più breve, ma quello della “manifesta divergenza” del concreto tragitto stesso (e quindi del luogo ove si verifica l’infortunio), rispetto al percorso congiungente i punti di partenza e di arrivo considerati. (Cons. Stato 25/9/2006 n. 5603, Pres. Marrone Est. Barra Caracciolo, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Francesca Marinelli, 196)
  21. In materia di indennizzabilità dell’infortunio “in itinere” occorso al lavoratore che utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza rivestire carattere di necessità – perchè volte a conciliare in un’ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore – rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione all’infortunio occorso a una lavoratrice part-time, aveva evidenziato che la peculiare condizione di lavoro era volta di per sè a conciliare le esigenze lavorative con altre specifiche esigenze comprese quelle familiari e che il mancato risparmio di tempo derivante da una soluzione diversa da quella dell’uso del proprio motociclo non fosse di entità tale da incidere in maniera rilevante sulle sue comuni esigenze di vita familiare, sicchè non si configurava una necessità di detto uso capace di giustificare e legittimare le rivendicazioni avanzate in giudizio). (Cass. 27/8/2006 n. 17167, Pres. sciarelli Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 316)
  22. È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 38 e 76 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.P.R. n. 1124 del 1965 (aggiunto dall’art. 12 d. lgs. N. 38 del 2000), nella parte in cui escluderebbe dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gli infortuni in itinere in ogni caso di interruzione non necessitata del normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, atteso che tale disposizione deve essere interpretata, come espressamente imposto dalla legge delega (art. 55, comma 1, lett. U, l. n. 144 del 1999), in conformità dei principi giurisprudenziali consolidati in materia, secondo i quali una breve sosta, che non alteri le condizioni di rischio per l’assicurato, non integra l’ipotesi dell’”interruzione”. (Cost. 11/1/2005, n.1, ord., Pres. Onida Rel. Bile, in Giust. Civ. 2005, 317)
  23. In tema di infortunio “in itinere”, il rischio elettivo che ne esclude la indennizzabilità deve essere valutato con maggiore rigore che nell’attività lavorativa diretta, comprendendo comportamenti di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. Ne consegue che la violazione di norme fondamentali del codice della strada può integrare il rischio elettivo che esclude il nesso di causalità tra attività protetta ed evento. (Nella specie, anteriore “ratione temporis” alla riforma adottata dal D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva accolto la domanda di corresponsione della rendita Inail proposta dai superstiti di un bracciante agricolo, decaduto a causa del ribaltamento del trattore per errata manovra in fase di parcheggio, in quanto sprovvisto di patente di guida per il mezzo agricolo). (Cass. 18/3/2004 n. 5525, Pres. Ciciretti Rel. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2004, 2253)
  24. In tema di infortunio “in itinere”, il requisito della “occasione di lavoro” implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso ed essendo il limite della copertura assicurativa costituito esclusivamente dal “rischio elettivo”, intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. Ne consegue che, allorquando l’utilizzo della pubblica strada sia imposto dalla necessità di raggiungere il posto di lavoro, si configura un rapporto finalistico o strumentale, tra l’attività di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione e luogo di lavoro, e viceversa) e l’attività di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per sé è sufficiente ad integrare quel “quid pluris” richiesto per la indennizzabilità dell’infortunio “in itinere”. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva ritenuto rilevanti le prove testimoniali volte a provare che al momento del sinistro stradale in cui era incorsa, prima dell’apertura mattutina dell’agenzia bancaria di cui era dipendente, la lavoratrice stava rientrando in casa per recuperare le chiavi dello sportello bancomat di cui era custode). (Cass. 11/12/2003 n. 18980, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in Dir. e prat. lav. 2004, 1032)
  25. L’infortunio in itinere come tale indennizzabile nell’ambito della tutela del lavoratore contro il rischio di infortuni sul lavoro, non è configurabile-oltre che nell’ipotesi di infortunio subito dal lavoratore nella propria abitazione (o nel proprio domicilio o dimora)-anche in quella di infortunio verificatosi nelle scale condominiali od in altri luoghi di comune proprietà privata, atteso che l’indennizzabilità (come risulta chiaramente anche dalle nuove disposizioni di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000) presuppone che l’infortunio si verifichi nella pubblica strada o, comunque, non in luoghi identificabili con quelli di esclusiva (o comune) proprietà del lavoratore assicurato. (Cass. 9/6/2003 n. 9211, Pres. Ianniruberto Rel. Vidiri, in Dir. e prat. Lav. 2003, 3053)
  26. Nel caso di infortunio in itinere accaduto in occasione dell’utilizzo necessitato del mezzo privato, l’Istituto assicuratore assume il rischio connesso all’uso del mezzo di trasporto verso il luogo di lavoro sino al completamento del viaggio, anche quando il conducente del veicolo, abbandonato il sistema pubblico viario, abbia raggiunto l’area privata nella quale la prestazione lavorativa deve svolgersi, diversamente da quando il veicolo, prima di essere lasciato in parcheggio, venga utilizzato per scopi diversi e non collegati ad alcuna esigenza lavorativa, quale mezzo per un più comodo spostamento all’interno dell’area stessa. Ciò in quanto deve ritenersi incluso nella copertura assicurativa lo spostamento del veicolo stesso anche all’interno dell’area privata, solo al fine di reperire un luogo di parcheggio. (Fattispecie relativa ad un infortunio occorso, in dipendenza dell’operazione di discesa da una bicicletta, al lavoratore che la utilizzava per spostarsi più agevolmente all’interno dell’area cantiere, dove prestava la propria attività lavorativa). (Cass. 6/3/2003, n. 3363, Pres. Senese, Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2003, 675)
  27. Anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 12, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha espressamente previsto l’indennizzabilità del’infortunio in itinere, la riconducibilità di tale infortunio nell’ambito del rischio professionale e dell’assicurazione obbligatoria comportava per il datore di lavoro, in ragione della natura essenzialmente assicurativa della tutela previdenziale antinfortunistica, l’assunzione di tutte le conseguenze contributive derivanti dalla verificazione di quell’evento dannoso e, in particolare, la rilevanza anche di tale infortunio agli effetti del tasso specifico aziendale, che determina-in relazione all’andamento infortunistico aziendale e per le singole lavorazioni assicurate-oscillazioni del tasso medio nazionale dei premi di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nel settore industriale. Poiché, infatti, la tariffa dei premi, approvata con decreto ministeriale, determina il tasso medio nazionale per ciascuna lavorazione ed il tasso specifico aziendale, in relazione all’andamento, parimenti aziendale, di infortuni e malattie professionali, quale risulta dal rapporto tra oneri e retribuzioni, e poiché gli oneri considerati a tal fine sono, tra l’altro, quelli finanziari relativi agli infortuni ed alle malattie professionali del periodo di osservazione, tra questi devono essere compresi anche gli oneri relativi alle prestazioni erogate per infortunio in itinere, in quanto indennizzato dall’Inail al pari di qualsiasi infortunio sul lavoro a prescindere dalla colpa del datore di lavoro, non avendo questa alcun rilievo ai fini della indennizzabilità dell’infortunio stesso e, quindi, degli oneri considerati dalla Tariffa. (Nella specie, la S.C. ha cassato, decidendo nel merito, la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda del datore di lavoro volta ad ottenere pronunce consequenziali alla declaratoria di illegittimità del provvedimento di aumento-dal 40 al 56 per cento-del tasso di premio, adottato dall’Inail in dipendenza di un infortunio mortale in itinere, indennizzato dal medesimo istituto). (Cass. 6/8/2002, n. 11792, Pres. Mileo, Rel. De Luca, in Lav. nella giur. 2003, 76)
  28. Costituisce infortunio in itinere, come tale indennizzabile dall’Inail, quello sofferto dal lavoratore a seguito di sinistro automobilistico occorsogli durante il tragitto per recarsi da casa al lavoro e viceversa, qualora risulti provata la necessità dell’uso del veicolo privato a causa della mancanza o comunque dell’inadeguatezza dei mezzi pubblici per raggiungere il lavoro, e ciò indipendentemente dall’accertata responsabilità colposa dello stesso lavoratore nell’incidente. (Trib. Milano 17/10/2001, Est. Salmeri, in D&L 2002, 213)
  29. Va cassata la sentenza che abbia escluso l’indennizzabilità di infortunio in itinere subito a bordo di automezzo privato, trattandosi di rischio elettivo non imposto dall’orario di lavoro che doveva essere osservato, ma non abbia invece fatto ricorso ad un criterio di normalità-razionalità, che, nell’ambito di applicazione di una norma elastica, tenga conto degli standard comportamentali esistenti nella società civile rispondendo a valori guida dell’ordinamento di rango costituzionale idonei a risolvere il conflitto fra interessi dell’istituto assicuratore a non erogare prestazioni che esulino dalle sue funzioni di copertura di rischi propri delle attività lavorative e quello del lavoratore di vedere non escluso dall’ambito di tali attività momenti peculiari della sua personalità di uomo-lavoratore in esse coinvolte (quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l’attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni lavorative in relazione al tempo libero). (Cass. 3/8/2001, n. 10750, Pres. De Musis, Est. Guglielmucci, in Foro it. 2003, parte prima, 1845)
  30. E’ indennizzabile come infortunio in itinere il sinistro occorso ad un medico ospedaliero che, parcheggiata l’autovettura, mentre si accingeva a raggiungere il reparto dove avrebbe dovuto prestare la propria attività, inciampava in una catenella di delimitazione posta all’interno dell’ospedale (Cass. 10/1/01, n. 253, pres. Mileo, est.Lamorgese, in Foro it. 2001, pag. 1532)
  31. Allorquando l’utilizzo della pubblica strada sia imposto dalla necessità di raggiungere il posto di lavoro (o di farne ritorno alla propria abitazione), particolarmente ove la strada pubblica conduce esclusivamente ad esso e non siano dunque possibili al lavoratore scelte diverse, si configura un rapporto finalistico o strumentale tra l’attività di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione e quello di lavoro e viceversa ) e l’attività di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per sé è sufficiente ad integrare quel quid pluris richiesto per la indennizzabilità dell’infortunio in itinere (nel caso di specie l’indennizzabilità è stata fatta conseguire all’accertamento della necessità dell’uso del mezzo privato, dovuto non ad una scelta arbitraria della lavoratrice ma all’inutilizzabilità del mezzo pubblico in ragione della inadeguatezza del servizio in relazione anche ai variabili orari dell’infortunata, capo d’ufficio di un’agenzia assicurativa, alla misura di 45 minuti con il ricorso all’autobus – contro i 5-7 minuti con l’impiego della bicicletta – nonché alla ragionevole esigenza di risparmiare tempo per raggiungere l’abitazione ed ivi accudire ai suoi impegni familiari (vincolanti giuridicamente) verso il marito, i due figli e la madre ottantenne invalida) (Cass. 14/11/00, n. 14715, pres. Ianniruberto, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2316)
  32. In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in applicazione del principio secondo cui il generico rischio della strada può diventare rischio specifico di lavoro nei casi in cui il lavoratore sia costretto a far uso di un mezzo privato di trasporto, deve escludersi la indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore che sia rimasto infortunato in conseguenza dell’impiego della bicicletta per recarsi sul posto di lavoro, se la necessità di fare ricorso a tale veicolo sia esclusa dalla particolare vicinanza del posto di lavoro all’abitazione dell’interessato (nel caso il luogo di lavoro distava 800 metri dall’ abitazione ed era quindi agevolmente raggiungibile anche a piedi, considerata anche la buona stagione e la giovane età dell’infortunata) (Cass. 13/11/00, n. 14681, pres. Ianniruberto, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2313)
  33. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro – secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza maggiormente rispettosa dei canoni della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della protezione dell’infortunato (art. 38 Cost.) – comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo dell’abitazione a quello del lavoro, anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché imposto da particolari esigenze; per luogo di abitazione non si può intendere soltanto quello di personale dimora del lavoratore, ma, soprattutto, il luogo in cui si svolge la personalità dell’individuo, di norma, nell’ambito della comunità familiare; di conseguenza, anche il percorso di andata e ritorno dal luogo di residenza della famiglia al luogo di lavoro, in considerazione dei doveri di rilevanza costituzionale di solidarietà familiare, deve reputarsi “normale” ( Cass. 8/11/00, n. 14508, pres. Ianniruberto, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2309 e in Foro it. 2001, pag. 1531)
  34. Ai sensi dell’art. 2 T.U. 30/6/65 n. 1124, l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere con un mezzo proprio, la distanza tra la sua abitazione ed il luogo di lavoro postula: a. la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso costituisca, per l’infortunato, quello normale per recarsi al lavoro e per tornare ala propria abitazione; b. la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito e attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c. la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto e tenuto conto della possibilità di soggiornare in luogo diverso dalla propria abitazione, purchè la distanza tra tali luoghi sia ragionevole (nella fattispecie, alla stregua di tali principi, la Corte Suprema ha cassato la decisione del giudice del merito che aveva escluso dalla tutela assicurativa obbligatoria l’infortunio occorso ad un lavoratore lungo il percorso verso la propria dimora, più vicina al luogo di lavoro rispetto a quello della propria residenza anagrafica, e resa nota al datore di lavoro, in base alla circostanza che la scelta dell’infortunato di tornare, alla fine della settimana lavorativa, ed alla vigilia del giorno festivo, al luogo di dimora, anziché presso la famiglia di origine, nel luogo di residenza, avrebbe costituito rischio elettivo) (Cass. 18/4/00 n. 5063, pres. Trezza, in Dir. lav. 2000, pag. 425, con nota di Gambacciani, L’infortunio in itinere: dall’interpretazione giurisprudenziale alla recente disciplina legislativa)
  35. Non è indennizzabile, perché non qualificabile come accaduto in itinere per l’adempimento di un obbligo di servizio, l’infortunio mortale occorso al militare della guardia di finanza mentre, all’inizio della licenza, si recava alla propria abitazione con un automezzo privato (Consiglio di stato 13/12/99, parere n. 458, pres. Quaranta, in Foro it. 2000, III, 541)
  36. L’infortunio in itinere è da comprendere nella tutela assicurativa obbligatoria in quanto sia riconducibile alla comune ipotesi di infortunio avvenuto “in occasione di lavoro”. Tale infortunio può ritenersi indennizzabile allorquando l’attività strumentale e preparatoria, anteriore o successiva alla vera e propria prestazione lavorativa, e tra essa dunque anche l’attività di spostamento su strada tra abitazione e luogo di lavoro, sia obbligata e si renda necessaria per le particolari modalità e caratteristiche della prestazione lavorativa. In questo caso il generico rischio della strada, al quale sono indistintamente esposti tutti gli utenti della stessa, può diventare rischio specifico di lavoro quando a quel rischio si accompagni un elemento aggiuntivo e qualificante, per il quale l’infortunio su strada viene a trovarsi in rapporto di stretta e necessaria connessione con gli obblighi lavorativi (Cass. 21/4/99 n. 3970, pres. Sommessa, est. Mercurio, in D&L 1999, 746, n. Veraldi, L’infortunio in itinere e l’occasione di lavoro: lo sforzo interpretativo e ricostruttivo operato dalla giurisprudenza)
  37. Costituisce infortunio in itinere, e come tale indennizzabile dall’Inail, quello sofferto dal lavoratore a seguito di sinistro automobilistico occorsogli durante il tragitto per recarsi in macchina in ufficio per svolgere di sabato prestazioni di lavoro straordinario, qualora risulti provata la necessità dell’uso del veicolo privato adoperato dal lavoratore a causa della mancanza di servizi pubblici che avrebbero potuto consentirgli di raggiungere il luogo di lavoro in tempo utile per l’inizio della prestazione lavorativa (Pret. Milano 14/11/94, est. Curcio, in D&L 1995, 388. In senso conforme, v. Pret. Milano 16/4/99, est. Curcio, in D&L 1999, 750)

 

 

Malattia professionale

  1. Il provvedimento dell’I.N.A.I.L. di riconoscimento della malattia professionale non può assumere, ai fini di una eventuale responsabilità del datore di lavoro, né valenza indiziaria, stante la sua inopponibilità alla società, né valore di fatto notorio, non potendosi giuridicamente individuare come tale. (Cass. 17/3/2021 n. 7515, Pres. Arienzo Rel. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 661)
  2. In riferimento a una malattia professionale in connessione causale con l’attività lavorativa di un marinaio motorista a bordo di navi mercantili con costante esposizione a fattori di rischio in relazione a traumi acustici, il diritto alla rendita da malattia professionale può essere fatto valere fin dal momento in cui l’origine professionale della malattia possa ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle effettive valutazioni soggettive dello stesso. (cass. 29/10/2014 n. 23020, Pres. Macioce Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, 92)
  3. In tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata la prova della derivazione della malattia da causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità. (Cass. 12/6/2014 n. 13342, Pres. Lamorgese Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 928)
  4. L’accertamento dell’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia comporta l’applicazione della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell’I.N.A.I.L. dell’onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa e in particolare della dipendenza dell’infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure dal fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa, deve risultare rigorosamente e inequivocabilmente accertato che vi è stato l’intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. (Cass. 9/1/2013 n. 358, Pres. Miani Canevari Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2013)
  5. L’insorgenza di patologia tumorale (neurinoma del Ganglio di Gasser) nel lavoratore a causa dell’utilizzo continuativo del telefono cellulare e cordless protratti per svariati anni e per diverse ore al giorno costituisce malattia professionale, con diritto del lavoratore a percepire la relativa rendita. (Cass. 12/10/2012 n. 17438, Pres. La Terza Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2012, 1219)
  6. Nel caso di malattia professionale non tabellata, come per la malattia a eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità. La natura professionale della malattia può essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia. (Cass. 10/2/2011 n. 3227, Pres. Miani Canevari Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2011, 413)
  7. È indennizzabile come malattia professionale la patologia polmonare che, con rilevante grado di probabilità, sia riconducibile a esposizione al fumo passivo in ambiente di lavoro. (Cass. 10/2/2011 n. 3227, Pres. Miani Canevari, Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Cunati, “Fumo passivo e rendita Inail: il punto della Cassazione”, 205)
  8. Ai fini del riconoscimento della rendita per malattia professionale, la presunzione del nesso causale opera nell’ipotesi in cui la Tabella all. 4 del DPR 30/6/65 n. 1124 indichi la lavorazione costituita da mansione tipica. Nell’ipotesi in cui la Tabella si limiti a indicare il fattore patogeno (ovvero la sostanza nociva) la prova offerta dal lavoratore, consistente nella dimostrazione dell’indicazione delle mansioni, deve essere integrata dall’ufficio tramite Ctu, non essendo possibile fare ricorso all’interpretazione estensiva della Tabella concernente esclusivamente le lavorazioni e non le malattie. (Cass. 15/5/2007 n. 11087, Pres. senese Est. De Matteis, in D&L 2007, con nota di9 Aldo Garlatti, “Sistema tabellare delle malattie professionali, presunzioni legali e onere della prova per il riconoscimento dell’indennizzo”, 931)
  9. In tema di tutela delle malattie professionali, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuo organo bersaglio, e non altre della stessa famiglia, la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l’agente patogeno tabellato. Tale nesso può risiedere anche in un giudizio di ragionevole probabilità, desunta dagli studi scientifici e anche da dati epidemiologici. (Cass. 5/9/2006 n. 19047, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 90 e in Dir. e prat. lav. 2007, 1047)
  10. Il verificarsi dell’evento lesivo non è di per sè sufficiente a far scattare a carico dell’imprenditore l’onere della prova dell’avere adottato ogni sorta di misura idonea a evitare l’evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la dimostrazione, da parte dell’attore, che vi sia stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza necessarie a evitare il danno, e non può essere estesa a ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di far scadere la responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva. (Cass. 17/5/2006 n. 11523, Pres. Mileo Est. de Matteis, in Dir. e prat. lav. 2007, con nota di Francesca Malzani, “Tutela delle condizioni di lavoro e riparto dell’onere probatorio”)
  11. Il termine di complessivi quindici anni per la revisione della rendita per malattia professionale, previsto dall’art. 137 del D.P.R. n. 1124 del 1965 (T.U. delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), non preclude la revisione ad opera dell’Inail per miglioramenti delle condizioni dell’assicurato oltre il quindicennio dalla costituzione della rendita, sempre che il ritenuto miglioramento si sia verificato entro detto quindicennio, limite temporale entro il quale si realizza il completamento della fattispecie sostanziale del definitivo consolidamento dei postumi. (Cass. 23/1/2004 n. 1238, Pres. Delli Priscoli Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2004, 1316)
  12. Atteso che l’inserimento in tabella di una malattia professionale ha natura di norma processuale, come tale applicabile al momento del giudizio, la presunzione del rapporto di causalità tra la lavorazione e la corrispondente malattia professionale tabellata, desumibile dal rinvio alla tabella operato dall’art. 3, D.P.R. n. 1124/1965, non è esclusa dal fatto che, all’epoca dell’esposizione a rischio, la malattia non fosse tabellata. (Cass. 24/5/2003 n. 8254, Pres. Ciciretti Rel. Lupi, in Lav. nella giur. 2004, 80)
  13. In ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, ovvero, esclusa la rilevanza della mera possibilità di eziopatenogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, che può essere ritenuto sussistente sulla base degli accertamenti operati dal giudice di merito. In particolare, a proposito della ipoacusia derivante da cause di lavoro, trattandosi di malattia che, pur se diagnosticata con certezza, non consente con altrettanta certezza l’individuazione di una causa determinata, può ritenersi fornita la prova della causa di lavoro ogni qualvolta vi sia, da un lato, l’avvenuta esposizione professionale al rumore con tempi, modi, ed intensità tali da poter svolgere un apporto causale, e dall’altro l’insorgenza della ipoacusia in capo all’assicurato. (Cass. 24/3/2003, n. 4292, Pres. Sciarelli, Rel. Filadoro, in Dir. e prat. lav. 2003, 1866)
  14. Nell’ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole probabilità, nel senso che, pur dovendosi escludere la rilevanza della mera o devota possibilità di fattori eziopatogeni di natura professionale, tuttavia tale evenienza può essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di presumibilità. All’uopo non è indispensabile l’espletamento di una consulenza tecnica ambientale allorquando la natura professionale della patologia, essendone difficoltosa o impossibile una puntuale ricostruzione, possa essere desunta, con un elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, che possano costituire causa della patologia. (Cass. 21/2/2003, n. 2716, Pres. Sciarelli, Rel. Cellerino, in Lav. nella giur. 2003, 571)
  15. Il presupposto della domanda amministrativa da parte dell’assicurato, volta al riconoscimento della rendita da malattia professionale, è la consapevolezza dell’esistenza del diritto. Dal momento in cui vi è la certezza dello stato morboso inizia a decorrere il termine prescrizionale della domanda amministrativa, di cui all’art. 112, D.P.R. n. 1124/65. A nulla rileva che al momento della proposizione della domanda, l’inabilità non aveva i requisiti minimi per dar luogo al diritto alla rendita per il solo fatto che nel primo certificato medico di malattia professionale la diagnosi era stata espressa in termini di probabilità, non essendo tale circostanza assolutamente idonea a fornire la prova della conoscenza, il cui onere incombe sul ricorrente, che non sussistevano i requisiti minimi di inabilità necessaria per vincere la prescrizione medesima. (Trib. Grosseto 28/1/2003, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2003, 588)
  16. In materia di revisione della rendita per inabilità conseguente a malattia professionale, il termine di complessivi quindici anni, previsto dall’art. 137, D.P.R. n. 1124/1965 (secondo il quale l’ultima revisione può aversi soltanto per modificazioni avvenute entro il limite di quindici anni dalla data di costituzione della rendita) delimita l’ambito temporale di rilevanza dei mutamenti dello stato dell’assicurato successivi alla costituzione della rendita, con la conseguenza che alla revisione può procedersi (per fatti verificatisi entro il quindicennio) oltre il limite dei quindici anni, purché entro l’ulteriore termine (previsto dall’art. 137, ultimo comma, D.P.R. n. 1124, per il solo assicurato e da ritenersi però applicabile anche all’Inps) di un anno dal decorso del quindicennio. In tema di rettifica della rendita , viceversa, l’Inail, ai sensi della disciplina introdotta, con efficacia retroattiva, dall’art. 9, D.Lgs. n. 38/2000, può far valere l’erroneità della iniziale valutazione solo ove l’errore sia accertato con criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto del provvedimento originario ed entro dieci anni dalla data di comunicazione dell’originario provvedimento errato, salvo il caso di dolo o colpa grave dell’interessato. Ne consegue che, ove l’Istituto sostenga l’erronea valutazione della situazione precedentemente accertata e di questa dia una nuova valutazione, la rettifica, nell’ambito delle condizioni previste dall’art. 9 citato, è soggetta al limite dei dieci anni dalla comunicazione dell’originario provvedimento , termine decorso il quale la valutazione iniziale diventa irrettificabile ed il riconoscimento del diritto irreversibile; ove viceversa l’Istituto sostenga che sia intervenuto un materiale miglioramento della situazione precedentemente accertata, la procedura di revisione può essere disposta solo per fatti intervenuti entro quindici anni dalla costituzione della rendita e con atto che intervenga entro un anno dalla scadenza di questo termine. (Cass. 20/1/2003, n. 776, Pres. Ciciretti, Rel. Cuoco, in Lav. nella giur. 2003, 570)
  17. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206/1988 (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 135, secondo comma, D.P.R. n. 1124/1965, nella parte in cui pone una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui è presentata all’istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), il dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione dell’azione per conseguire dall’Inail la rendita per inabilità permanente va ricercato con riferimento al momento in cui l’interessato abbia avuto consapevolezza dell’esistenza della malattia indennizzabile, potendo a tal fine assumere rilievo l’esistenza di eventi oggettivi esterni alla persona dell’assicurato, che costituisce fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, certificati medici che attestino l’esistenza l’esistenza della malattia al momento della certificazione o altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti (nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che, ai fini della decorrenza della prescrizione, aveva ritenuto la sussistenza della consapevolezza della malattia, da parte dell’assicurato, sulla base di una consulenza tecnica espletata in giudizio, la quale aveva desunto tale consapevolezza unicamente dalla gravità della stessa accertata in sede peritale). (Cass. 6/11/2002, n. 15598, Pres. Trezza, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 279)
  18. E’ illegittimo per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 2751 bis, n. 1, c.c., nella parte in cui non munisce del privilegio generale sui mobili il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti a malattia professionale, della quale sia responsabile il datore di lavoro (Corte Cost. 22/5/02, n. 220, pres. Ruperto, est. Marini, in Lavoro giur. 2002, pag. 630)

 

 

Questioni economiche

  1. In tema di revisione dei postumi invalidanti causati da un infortunio, in occasione di un secondo infortunio, con conseguente costituzione di rendita unica, è consentito procedere a una nuova valutazione medico legale della percentuale invalidante complessiva, che può essere accertata anche in misura inferiore a quella provocata dal primo infortunio, purché la rendita complessiva da erogare non sia inferiore a quella precedente, già consolidatasi. (Cass. 4/3/2015 n. 4354, Pres. Stile Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2015, 640)
  2. In tema di risarcimento conseguente a infortunio sul lavoro, la differenza strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13, D.Lgs. n. 38 del 2000 e il risarcimento del danno biologico esclude che le somme eventualmente versate dall’INAIL a tale titolo possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore. (Cass. 19/1/2015 n. 777, Pres. Roselli Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2015, 416)
  3. In caso di morte a causa del lavoro, per cui risulti impossibile accertare le dinamiche dell’infortunio e ricondurre una responsabilità diretta del presunto committente, né sia possibile definire con esattezza i rapporti fra proprietà e direzione dei lavori con il lavoratore, non è dovuto alcun risarcimento del danno. (Trib. Ravenna 3/9/2013 n. 991, Giud. Donofrio, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Linda D’Ancona, 163)
  4. Ai fini della determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, nel calcolo del tasso specifico aziendale devono essere inclusi gli oneri per i casi di infortunio e di malattia professionale ancora da definire alla data di tale calcolo (riserva sinistri), anche quando nell’azienda non si siano verificati infortuni nel periodo considerato. (Cass. 3/6/2013 n. 13908, Pres. Vidiri Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2013, 847)
  5. In tema di determinazione del premio dovuto dalle aziende industriali per l’assicurazione dei dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali, con riferimento al calcolo della percentuale di caricamento degli oneri indiretti – afferenti alle spese generali dell’istituto e determinati percentualmente in relazione agli oneri indiretti – il sistema di “capitalizzazione pura” (che esclude il computo delle rendite capitalizzate dagli oneri indiretti) non trova applicazione nel sistema finanziario per la gestione “industria”, fondato, al contrario, su una ripartizione dei capitali di copertura in funzione mutualistica, sicché negli oneri diretti vanno inserite le rendite capitalizzate del periodo, e non solamente i relativi ratei. (Cass. 3/6/2013 n. 13908, Pres. Vidiri Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2013, 847)
  6. La domanda di regresso proposta dall’Inail nei confronti del datore di lavoro, il cui dipendente è stato risarcito dall’Istituto per un infortunio, non può essere accolta se non è stata accertata la piena responsabilità del datore per l’incidente occorso (nella specie, un lavoratore era rimasto ferito al viso da una scheggia di metallo mentre effettuava una operazione di molatura senza indossare gli appositi occhiali protettivi, che erano però a disposizione e che sarebbero stati idonei a impedire l’evento lesivo. Alla luce di ciò non poteva riconoscersi il totale addebito della responsabilità al datore di lavoro, come richiesto dall’Inail, né il conseguente diritto di regresso nei suoi confronti). (Cass. 31/7/2012 n. 13701, Pres. Lamorgese Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2012, 1113)
  7. Ai fini della determinazione del premio relativo all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, la mera modifica delle percentuali da versare all’Inail, determinata con decreto ministeriale, non comporta oneri di comunicazione. Se la tariffa incrementata rappresenta un semplice aggiornamento della precedente, nulla va indicato ai “vecchi” assicurati, facenti parte di imprese le cui attività non trovano nuova considerazione. (Cass. 5/6/2012 n. 9034, Pres. Miani Canevari Rel. Ianniello, in Lav. nella giur. 2012, 824)
  8. Al fine di quantificare il risarcimento del danno spettante al lavoratore nei confronti del datore di lavoro, in caso di infortunio sul lavoro la cui responsabilità debba ascriversi allo stesso datore di lavoro, la detrazione dell’ammontare del risarcimento di quanto corrisposto dall’INAIL all’infortunato dovrà effettuarsi per ciascuna posta di danno, in relazione a quanto, per quel titolo, viene corrisposto dall’INAIL all’infortunato quale indennizzo. (Corte App. Venezia 14/6/2011, Pres. Santoro Est. Parise, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Francesco Rossi, 375)
  9. Il termine per l’esercizio del diritto alla revisione della rendita Inail stabilito dall’art. 137 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, si riferisce esclusivamente all’eventuale aggravamento e alla conseguenziale inabilità derivante dalla naturale evoluzione dell’originaria malattia, mentre, allorché il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno e sia, quindi, in presenza di una “nuova” malattia, seppure della stessa natura della prima, deve trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 80 del citato decreto, estesa alle malattie professionali dall’art. 131 dello stesso, con disciplina ritenuta costituzionalmente legittima della sentenza n. 46 del 2010 della Corte Cost. (Cass. 9/3/2011 n. 5548, Pres. Lamorgese Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2011, 523)
  10. In caso di decesso del lavoratore titolare di rendita da malattia professionale, il coniuge superstite ha diritto al riconoscimento di una rendita di reversibilità ove tra l’ordinaria patologia e la morte del titolare del trattamento sussista un nesso di causalità idoneo a contribuire, quale concausa, al decesso medesimo, quantomeno determinandone l’anticipazione (nella specie, la Suprema Corte, in applicazione dell’anzidetto principio, ha escluso il diritto della vedova al trattamento di reversibilità poiché sul decesso, causato da tumore polmonare, non aveva in alcuna misura influito la pregressa patologia, costituita da “broncopatia cronica da lenta inalazione di SO2”, per la quale era stata riconosciuta la rendita da malattia professionale). (Cass. 26/1/2010 n. 1570, Pres. Sciarelli Est. Curzio, in Orient. Giur. Lav. 2010, 536)
  11. L’indennizzo a favore di soggetti danneggiati da epatite post trasfusionale previsto dall’art. 1, L. n. 210/1992 consiste in un assegno che è rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmata ed è integrato dall’indennità integrativa speciale di cui alla L. n. 324/59 e prevista per gli impiegati civili dello Stato in attività e in quiescenza. Anche tale indennità integrativa speciale è rivalutabile annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. (Trib. Napoli 13/11/2008, D.ssa Elimino, in Lav. nella giur. 2009, 310)
  12. L’istituto della rendita per malattia professionale e quello dell’indennizzo per causa di servizio si fondano su presupposti diversi: l’indennizzo è un beneficio (qualificabile come prestazione speciale di natura non previdenziale) che la pubblica amministrazione attribuisce al proprio dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse col servizio, prescindendo da qualsiasi giudizio sull’incidenza del danno sofferto dal pubblico dipendente sulla sua capacità di lavoro, limitandosi la normativa in materia a richiedere che quest’ultimo sia rimasto leso nella sua integrità fisica; la rendita di cui al d.p.r. n. 1124/1965 richiede che la malattia sia contratta nell’esercizio e a causa della lavorazione svolta, e impone perciò un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest’ultima, in caso di fattori plurimi, costituire per sempre la causa sufficiente, ossia la conditio sine qua non, della malattia. Ne consegue che il riconoscimento della causa di servizio non ha rilievo decisivo ai fini del riconoscimento della malattia professionale. (Cass. 20/8/2004 n. 16392, Pres. Sciarelli Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2005, 177)
  13. Nel caso di infortunio sul lavoro occorso durante l’utilizzazione di un determinato macchinario, è configurabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., la responsabilità del datore di lavoro per i danni morali e biologici sofferti dal lavoratore qualora sia stata accertata l’inidoneità delle misure di sicurezza alla stregua delle conoscenze tecniche e dell’esperienza (nella fattispecie è stata affermata la responsabilità del datore di lavoro con riferimento all’infortunio occorso ad un lavoratore sbalzato da un’autovettura di servizio priva di meccanismi di segnalazione, acustica o luminosa, dell’apertura o della non perfetta chiusura delle portiere). (Trib. Milano 16/10/2003, Est. Ianniello, in D&L 2004, 118)
  14. In tema di revisione o rettifica di rendita da infortunio sul lavoro o malattia professionale, poiché in sede giurisdizionale oggetto del giudizio non è la legittimità o meno dell’atto di revoca, ma l’esistenza dei presupposti dell’obbligazione, la deduzione dell’errronea valutazione iniziale non costituisce eccezione in senso proprio ma mera difesa, prponibile in quanto tale anche in giudizio d’appello. (Cass. 26/8/2002, n. 12525, Pres. Sciarelli, Rel. Cuoco, in Lav. nella giur. 2003, 78)
  15. In tema di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, mentre la rendita per inabilità permanente ha la funzione d’indennizzare il danno fisico subito dall’assicurato in relazione alle percentuali di riduzione della sua attitudine al lavoro, l’indennità giornaliera per invalidità temporanea costituisce una prestazione economica, a carattere assistenziale, diretta ad assicurare al lavoratore i mezzi di sostentamento finché dura l’inabilità che impedisce totalmente e di fatto all’infortunato di rendere le sue prestazioni lavorative; pertanto, nell’ipotesi in cui il titolare di rendita infortunistica per inabilità permanente abbia diritto per rioccupazione o per continuazione del lavoro all’assistenza di malattia a carico dell’Inps, rientra nella sfera degli obblighi di tale istituto l’erogazione delle prestazioni economiche (indennità di malattia) per i periodi di infermità coperti dall’assicurazione sociale; e ciò anche quando lo stato di malattia si riveli come aggravamento degli esiti dell’infortunio sul lavoro suscettibile di stabilizzazione ad un diverso e maggiore livello invalidante (nel qual caso potrà richiedersi la revisione della rendita), o comunque come ulteriore conseguenza e recrudescenza temporanea dell’infortunio stesso. (Cass. 22/8/2002, n. 12402, Pres. Senese, Rel. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2003, 77)
  16. E’ costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost. e sulla base di quanto sancito dalla sentenza n. 326/83 della Corte Costituzionale, l’ art. 2751 bis n. 1 c.c. nella parte in cui esclude dal privilegio generale sui mobili il credito risarcitorio del lavoratore derivante da malattia professionale, contratta nello svolgimento dell’attività lavorativa ed in merito alla quale sia stata accertata la responsabilità del datore di lavoro. (Corte Cost. 5/6/2002 n. 220, Pres. Ruperto Rel. Marini, in D&L 2002, 846, con nota di Monica Rota e Giovanni Paganuzzi, “In tema di privilegi per crediti da lavoro”)
  17. A seguito della sentenza 179/88 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, 1° comma, DPR 30/6/65 n. 1124, nella parte in cui non prevede che l’assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle, purchè si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro, il diritto alla rendita di inabilità permanente sussiste anche per l’assicurato del quale sia provata la sua particolare e prolungata esposizione al rischio nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa, non occorrendo a tal fine un’assoluta certezza , ma essendo sufficiente che la dimostrazione del collegamento tra lavorazione e patologia emerga da un ragionevole e serio metodo di probabilità scientifica. (Nella fattispecie è stata riconosciuta come malattia professionale un’epatite C contratta da una lavoratrice addetta da molti anni al laboratorio analisi in qualità di tecnico e che non presentava altri possibili fattori eziologici extralavorativi). Il diritto alla rendita da inabilità permanente conseguente all’aggravamento della malattia professionale sussiste qualora la nuova patologia si possa considerare connessa anche solo indirettamente al rischio lavorativo d’origine e tale rischio abbia costituito dato necessario e sufficiente nel suo determinarsi. (Nella fattispecie è stata riconosciuta l’origine professionale di un tumore al seno sovrappostosi ad una precedente epatite C di origine professionale degenerata in cirrosi epatica). (Corte d’Appello Potenza 7/2/2002, Pres. Capasso, Est. Vetrone, in D&L 2002, 482).
  18. In caso di infortunio sul lavoro che abbia provocato una inabilità temporanea, la retribuzione mensile riconosciuta al dipendente delle Poste Italiane dall’art. 25 dell’applicato Ccnl 24/11/94 comprende non solo la parte fissa della retribuzione, ma anche la parte variabile di cui all’art. 54 del Ccnl. (Trib. Milano 30/10/2001, Est. Curcio, in D&L 2002, 155)

 

 

Questioni penali

  1. In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del committente è espressamente prevista dalla normativa di settore (art. 26 d.lgs. n. 81/2008), tuttavia, tale principio non può essere applicato automaticamente. Infatti, non può esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori. Per poter ritenere fondata la responsabilità del committente è necessario esaminare attentamente la situazione fattuale, considerando la specificità dei lavori da eseguire, i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, nonché, la percepibilità agevole e immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo (nella specie, la Corte ha ritenuto che i giudici del merito non avessero svolto un approfondito e specifico esame al fine di individuare profili di colpa nella condotta dei committenti; per cui, visto che nulla era stato detto sull’eventuale culpa in eligendo, ha annullato la sentenza con rinvio). (Cass. Sez. IV pen. 18/1/2012 n. 3563, Pres. Sirena Est. Piccialli, in Riv. It. Dir. lav. 2012,con nota di Andrea Presotto, “Il committente non qualificato risponde di violazione della normativa anti infortunistica solo a seguito di una rigorosa verifica fattuale”, 984)
  2. L’omessa fornitura di prescrizioni antinfortunistiche in relazione alle mansioni svolte, integra un’omissione colposamente rilevante fin dal momento della costituzione del rapporto di lavoro, a nulla rilevando sia la circostanza dell’assenza del datore di lavoro al momento del fatto sia la condotta negligente del lavoratore. (Cass. pen. 7/6/2011 n. 22514, Pres. Marzano Rel. Vitelli Casella, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Marianna Pulice, 133)
  3. Sussiste il dolo eventuale del delitto di omicidio nel caso in cui il datore di lavoro si rappresenti la concreta probabilità del verificarsi di un infortunio mortale e, nondimeno, ometta di adottare le misure di sicurezza dovute, subordinando così il bene dell’incolumità dei lavoratori a quello degli obiettivi aziendali. (Corte app. Torino 15/4/2011, Pres. Iannibelli Est. Dezani, in Lav. nella giur. 2012, 152)
  4. In caso di infortunio sul lavoro occorso su una macchina sprovvista dei prescritti dispositivi di sicurezza, risponde del delitto di lesione personale colposa il direttore di stabilimento, quand’anche non sia provvisto di autonomia di spesa, ove non eserciti i poteri di segnalazione, e, al limite, di blocco del macchinario pericoloso. (Cass. pen. sez. IV, 3/10/2008 n. 38009, Pres. Brusco Est. Amendola, in Dir. e prat. lav. 2009, 181)
  5. on è automaticamente ravvisabile una responsabilità penale in capo all’imprenditore/datore di lavoro per il caso di infortunio mortale verificatosi in danno del prestatore di lavoro qualora il comportamento eziologicamente riferibile all’evento lesivo rientri nelle “mansioni proprie” del lavoratore e, come tale, sia astrattamente prevedibile ed evitabile da parte del titolare della posizione di garanzia. (Cass. 23/2/2010 n. 7267, Pres. Morgigni Est. Izzo, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con nota di Vincenzo Lombardi, “Responsabilità dell’imprenditore per infortunio da mansioni tipiche”, 258)
  6. Nell’ambito dell’art. 3, lettera d), D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277 riguardante l’esposizione dei lavoratori a piombo, amianto, rumore, non occorre che l’organo di vigilanza in materia di sicurezza e igiene del lavoro abbia la qualifica di organo di polizia giudiziaria. (Cass. pen. sez. III 16/9/2008 n. 35421, Pres. Lupo Est. Marmo, in Dir. e prat. lav. 2009, 180)
  7. In caso di incidente stradale occorso al conducente di un autoarticolato fuoriuscito dalla carreggiata, il datore di lavoro risponde del delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a condizione che abbia sottoposto il dipendente autista a un faticoso doppio turno di lavoro e l’incidente risulti causato da stanchezza. (Cass. pen. sez. IV 3/10/2008 n. 37999, Pres. Campanato Est. Bricchetti, in Dir. e prat. lav. 2008, 2554)
  8. In caso di infortunio occorso in un cantiere temporaneo o mobile a un lavoratore, risponde del delitto di lesione personale colposa perseguibile d’ufficio anche in caso di lesione lieve il coordinatore per l’esecuzione dei lavori che ometta di adempiere a obblighi previsti a suo carico, e, in particolare, di vigilare sul rispetto del piano di sicurezza e di coordinamento e delle corrette procedure di esecuzione dei lavori, adeguare il piano di di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni, assicurarsi che l’opera eseguita sia sicura. (Cass. pen. sez. IV 10/7/2008 n. 28525, Pres. Brusco Est. D’Isa, in Dir. e prat. lav. 2008, 1870)
  9. In caso di infortunio occorso in un cantiere temporaneo o mobile a un lavoratore, risponde del delitto di omicidio colposo il coordinatore per l’esecuzione dei lavori che ometta di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro, non potendosi restringere l’ambito delle sue funzioni soltanto a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le varie imprese che collaborano nella realizzazione dell’opera. (Cass. pen. sez. IV 4/7/2008 n. 27442, Pres. Marini Est. Licari, in Dir. e prat. lav. 2008, 1872)
  10. In caso di infortunio mortale occorso a un lavoratore, risponde del delitto di omicidio colposo il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro a omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, essendo a lui acsrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere esclusivo. (Cass. pen. sez. IV 20/6/2008 n. 25288, Pres. Morgigni Est. D’Isa, in Dir. e prat. lav. 2008, 1868)
  11. L’art. 7, comma 3, ultimo periodo, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, nel prevedere che l’obbligo del datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione e il coordinamento con le imprese appaltatrici o con i singoli lavoratori autonomi “non si estende ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”, riferisce siffatta “esclusione non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di lavori per evitare il verificarsi di incidenti, ma alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale – generalmente mancante in chi opera in settori diversi – nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine. (Nella fattispecie si è ritenuto non specifico il rischio derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essenso, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze). (Cass. pen. sez. IV 20/3/2008 n. 12348, Pres. Morgigni Est. Brusco, in Dir. e prat. lav. 2008, 1057)
  12. Allorquando nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione allo scopo di eliminare la contravvenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro accertata, l’organo di vigilanza può, ma non deve necessariamente indicare con la prescrizione specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro. (Cass. pen. sez. III 20/3/2008 n. 12405, Pres. Altieri Est. Sarno, in Dir. e prat. lav. 2008, 1058)
  13. Il committente o il responsabile dei lavori sono tenuti a svolgere una funzione di super-controllo, verificando che i coordinatori adempiano concretamente e correttamente, con attenzione e puntualità, agli obblighi su loro incombenti qual è quello consistente, non solo nell’assicurare, ma anche nel verificare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro, e, pertanto, a questo scopo, hanno la facoltà di disporre che il coordinatore ordini che non si proceda oltre nei lavori se non dopo la messa a norma, ben potendo altresì surrogarsi allo stesso coordinatore in caso di inottemperanza da parte sua. (Cass. pen. sez. IV 20/2/2008 n. 7714, Pres. Morgigni Est. Carleo, in Dir. e prat. lav. 2008, 1056)
  14. In seguito all’introduzione a opera del D.Lgs. 23 giugno 2003 n. 195nel D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 dell’art. 8-bis che prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica, in caso di infortunio sul lavoro occorso a un lavoratore esposto a rischio, il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, può, ancorché privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi dell’infortunio, ogniqualvolta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di riconoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione. (Cass. pen. sez. IV 8/2/2008 n. 6277, Pres. Morgigni Est. Licari, in Dir. e prat. lav. 2008, 844)
  15. Viola l’art. 22, comma 1, d.lgs. 626/94 il datore di lavoro che provveda a un’attività formativa insufficente e inadeguata nei confronti dei lavoratori. (Nella fattispecie, era stata contestata al datore di lavoro l’inadeguatezza dell’attività formativa anche sotto il profilo attinente agli strumenti per la verifica dell’apprendimento). (Cass. pen. sez. III 28/1/2008 n. 4063, Pres. De Maio Est. Franco, in Dir. e prat. lav. 2008, 832)
  16. L’art. 7 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, contenente la disciplina della sicurezza nei lavori affidati a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi, nell’escludere al comma 3, ultimo periodo, la responsabilità del datore di lavoro committente in rapporto ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, riguarda soltanto l’obbligo previsto dall’art. 7, comma 2 lett. b), D.Lgs. n. 626/94 di coordinare gli interventi di protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori di diverse imprese eventualmente coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiv, ma non l’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 7, comma 2, lettera a), D.Lgs. n. 626/94. (Cass. sez. pen. sez. IV 23/1/2008 n. 3502, Pres. Marini Est. Bernardi, in Dir. e prat. lav. 2008, 595)
  17. L’art. 7 d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, così come modificato dall’art. 1, comma 910, legge 27 dicembre 2006 n. 296, nel contemplare gli obblighi gravanti sul datore di lavoro committente di lavori affidati” a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria aziend, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima”, ricomprende nella propria sfera di operatività non solo e non tanto la struttura fisica in cui si svolge l’attività imprenditoriale, ma, ove questa consista nella prestazione di un servizio e abbia, in quanto tale, carattere diffuso sul territorio, l’intera area economico/geografica entro la quale l’attività stessa è destinata a realizzarsi, sicché il datore di lavoro, quand’anche disarticoli il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali che gli consentano di alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, contestualmente dislocandone, almeno in parte, i rischi, è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del programma imprenditoriale avuto di mira. (Cass. sez. pen. IV 12/10/2007, Pres. Battisti Est. Amendola, in Riv. it. dir. lav. 2008, 308)
  18. Nell’ambito di un comune, ai fini della responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, il sindaco riveste la qualità di datore di lavoro, qualora non provveda a norma dell’art. 30, comma 1, D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242 all’individuazione del datore di lavoro. (Cass. pen. sez. III 28/9/2007 n. 31137, Pres. Postiglione Est. Mancini, in Dir. e prat. lav. 2007, 2509)
  19. L’art. 7 comma 3 D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, nell’esentare il datore di lavoro committente dall’obbligo di cooperazione e di coordinamento con l’appaltatore per l’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi di infortunio sul lavoro, quando trattasi dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, opera esclusivamente con riguardo alle precauzioni dettate da regole richiedenti una specifica competenza tecnica settoriale generalmente mancante in chi opera in settori diversi nella conoscenza delle procedure da adottarsi nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di dterminate macchine. (Nella fattispecie, il committente fu ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo in danno di un lavoratore dipendente dell’impresa appaltatrice investito da una scarica elettrica, mentre provvedeva al collocamento di calcestruzzo mediante il braccio di distribuzione di un’autopompa della lunghezza di 27 metri a breve distanza dai fili di alta tensione della linea elettrica). (Cass. pen. 26/6/2007, Pres ed Est. Bartolomei, in Dir. e prat. lav. 2007, 2018)
  20. Tra i compiti del preposto è compreso quello di aggiornare le misure prevenzionali in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi o al grado di evoluzione della tecnica di prevenzione e protezione, ma sempre nell’ambito delle sue limitate attribuzioni che attengono all’organizzazione delle modalità lavorative e non alla scelta dei dispositivi di sicurezza; la scelta di questi dispositivi rientra, invece, nelle attribuzioni del datore di lavoro o anche dei dirigenti nel caso in cui abbiano un potere di spesa appropriato. (Cass. 1/6/2007 n. 21593, Pres. Maroni Rel. Baiotta, in Lav. e prev. oggi 2007, 1491)
  21. In caso di infortunio mortale sul lavoro, risponde del delitto di omicidio colposo il consulente esterno all’azienda quale destinatario esclusivo o concorrente delle norme antinfortunistiche, qualora si sia ingerito nell’organizzazione del lavoro della società, svolgendo le funzioni di dirigente di fatto. (Cass. pen. 1/6/2007 n. 21585, Pres. Marini Est. Licari, in Dir. e prat. lav. 2007, 2016)
  22. Risponde del delitto di omicidio colposo in danno di un lavoratore dipendente di un’impresa appaltatrice caduto da un tetto per mancanza di idonee misure di protezione in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori che, pur al crrente delle numerose trasgressioni dell’impresa, trasgressioni che abbia espressamente rilevato e sollecitato a eliminare, trascuri il dovere di sospendere i lavori o di effettuare un immediato controllo prima della ripresa della giornata lavorativa. (Cass. pen. 18/5/2007 n. 19389, Pres. Coco Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2007, 1863)
  23. In caso di infortunio sul lavoro occorso a una macchina a norma Ce sprovvista di dispositivo di sicurezza previsto dall’art. 68 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, il datore di lavoro risponde del delitto di lesione personale colposa. (Cass. pen. 18/5/2007 n. 19356, Pres. De Grazia Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1860)
  24. Il datore di lavoro non commette il reato di cui all’art. 68 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, qualora utilizzi una macchina conforme all’art. 68, pur se non rispondente ai requisiti stabiliti al n. 1.4.1 dell’Allegato I del D.P.R. 24 luglio 1996 n. 459. (Cass. pen. 18/5/2007 n. 19356, Pres. De Grazia Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1860)
  25. Nell’ipotesi di infortunio mortale sul lavoro, oltre al datore di lavoro e al responsabile del cantiere, risponde anche il responsabile dell’impresa appaltatrice incaricata dell’installazione dell’impianto di ascensore, per non aver provveduto all’adozione di tutte quelle cautele idonee e necessarie per la totale disattivazione dell’impianto ascensore, consentendo così l’utilizzo improprio dell’impianto come montacarichi e la conseguente caduta del lavoratore nel vano ascensore. (Cass. Sez. Pen. 24/4/2007 n. 16420, Pres. Brusco Est. Novarese, in D&L 2007, con nota di Aldo Garlatti, “Impresa sub appaltatrice e concorrente responsabilità omissiva per violazione delle norme precauzionali e omessa valutazione del rischio”, 961)
  26. Nel caso in cui il termine concesso dall’organo di vigilanza per l’eliminazione della contravvenzione accertata venga tardivamente prorogato su richiesta tempestiva del contravventore, il nuovo termine in mancanza di diversa espressa statuizione contenuta nel provvedimento di proroga inizia a decorrere dal giorno successivo a quello della scadenza originaria. (Cass. pen. sez. III n. 13753, 4/4/2007, Pres. Vitalone Est. Sarno, in Dir. e prat. lav. 2007, 1727)
  27. Il datore di lavoro, in quanto garante, ai sensi dell’art. 2087 c.c., dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche e organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa. (Cass. 9/3/2007 n. 10109, Pres. Brusco Rel. Piccialli, in Lav. e prev. oggi, 2007, con nota di Adriano Morrone, 1475)
  28. Nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento. (Cass. 9/3/2007 n. 10109, Pres. Brusco Rel. Piccialli, in Lav. e prev. oggi, 2007, con nota di Adriano Morrone, 1475)
  29. La delega di funzione, per essere rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale del datore di lavoro per violazione delle norme antinfortunistiche, deve essere espressa, inequivoca e certa; deve senz’altro escludersi la legittimità di una delega inespressa o implicita, presumibile solo dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell’azienda. (Cass. 9/3/2007 n. 10109, Pres. Brusco Rel. Piccialli, in Lav. e prev. oggi, 2007, con nota di Adriano Morrone, 1475)
  30. Risponde del delitto di omicidio colposo aggravato dall’inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro il titolare di un istituto di vigilanza che in violazione dell’art. 2087 c.c. non abbia fornito il giubbotto antiproiettile alla dipendente guardia giurata esposta a rischio lavorativo in quanto addetta al servizio antirapina innanzi una banca e mortalmente colpita con arma da fuoco da malviventi, pur quando abbia formalmente rispettato le norme tecniche eventualmente dettate in materia dal competente organo amministrativo, e a prescindere dal fatto che si sia tempestivamente attivato per fornire i giubbotti antiproiettili senza averlo potuto fare per la loro ridotta disponibilità presso il produttore. (Cass. sez. IV pen. 29/9/2006 n. 32286, Pres. De Grazia Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2007, 606 e in D&L 2007, con nota di Aldo Garlatti, “L’individuazione del contenuto dell’obbligazione di sicurezza del datore di lavoro nell’ipotesi di infortunio sul lavoro”, 307)
  31. In caso di infortunio mortale subito da dipendente di un’impresa appaltatrice nel corso di lavori affidati da un comune, rispondono del delitto di omicidio colposo in concorso con il titolare dell’impresa appaltatrice i funzionari tecnici comunali designati direttori dei lavori per conto del committente che, pur non nominati coordinatori per la progettazione e l’esecuzione dei lavori a norma dell’art. 3, commi 3 e 4, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, si siano in concreto ingeriti nell’organizzazione del cantiere e nell’esecuzione dei lavori mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l’inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali poste a tutela degli addetti. (Cass. sez. IV pen. 21/10/2005 n. 28860, Pres. Coco Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2006, 521)
  32. In caso di infortunio sul lavoro determinato non dall’inosservanza di specifiche norme relative alla sicurezza del lavoro ma da carenze nelle modalità di organizzazione del lavoro, il datore di lavoro risponde del delitto di lesione personale colposa per violazione dell’art. 2087 c.c. (Cass. sez. III pen. 18/2/2005 n. 6360, Pres. Savignano Est. Zumbo, in Dir. e prat. lav. 2005, 1123)
  33. In caso di infortunio sul lavoro subito presso un laboratorio universitario da un dottorando intento a un’operazione di manutenzione di un apparecchio laser vetusto e sprovvisto dei necessari dispositivi di sicurezza, è colpevole del reato di lesione personale colposa cui all’art. 590 c.p. il direttore del laboratorio che, pur non dotato di autonomia di spesa e nonostante le richieste di sostituzione dell’apparecchio inutilmente avanzate all’Università, ne abbia consentito la manutenzione da parte del dottorando e non ne abbia impedito l’uso. (Cass. sez. IV pen. 2/2/2005 n. 3444, Pres. OlivieriEst. Iacopino, in Dir. e prat. lav. 2005, 1120)
  34. In caso di infortunio mortale subito da più operai nel corso di lavori all’interno di uno scavo e riconducibile alla mancanza di indicazioni nel piano di sicurezza circa le modalità di esecuzione dello scavo, è colpevole del reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. il soggetto che riunisce le funzioni di direttore e responsabile dei lavori, progettista e l’esecuzione dei lavori, qualora abbia omesso di integrare le indicazioni di cui il piano sia carente. (Cass. sez. IV pen. 2/2/2005 n. 3447, Pres. Marzano Est. Iacopino, in Dir. e prat. lav. 2005, 1121)
  35. In caso di infortunio mortale occorso ad un lavoratore addetto alla guida di un carroponte sprovvisto dei necessari dispositivi di protezione, risponde del delitto di omicidio colposo in concorso con il datore di lavoro l’Ispettore di servizio di prevenzione dell’Asl, che abbia falsamente attestato la prescritta verifica del predetto carroponte, in realtà non effettuata. (Cass. Sez. VI pen. 23/6/2004 n. 28322, Pres. Tomano Est. Colla, in Dir. e prat. lav. 2004, 2249)
  36. In caso di infortunio avvenuto su un macchinario sprovvisto di idonei ripari, il datore di lavoro è penalmente responsabile, pur se sia conformato, nella dotazione antinfortunistica relativa al macchinario, alle prescrizioni dell’organo di vigilanza. (Cass. 15/12/2003 n. 47742, Pres. Olivieri Est. Iacopino, in Dir. e prat. lav. 2004, 452)
  37. Risponde del delitto di omicidio colposo in danno dell’acquirente utilizzatore il costruttore-venditore di una macchina priva dei presidi antinfortunistici previsti dalla legge, pur se l’acquirente faccia uso della macchina ponendo in essere una condotta imprudente, condotta che, ove la macchina fosse munita dei presidi antinfortunistici previsti dalla legge, sarebbe stata resa innocua o, quanto meno, non avrebbe avuto quelle date conseguenze, e dunque non può confidare che ogni consociato si comporti adottando le regole precauzionali che deve adottare chi, rispetto a quel consociato ed alla imprudente inosservanza delle regole da quest’ultimo poste in essere, non si comporta come gli imponevano le regole precauzionali normalmente riferibili al suo modello di agente. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D’Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  38. Risponde del delitto di omicidio colposo in danno dell’acquirente utilizzatore il costruttore-venditore di una macchina munita di organi lavoratori non protetti o non completamente protetti per impossibilità tecnica atti ad afferrare trascinare o schiacciare e dotati di notevole inerzia, qualora non provveda a munire la macchina di dispositivo di arresto con comando ad immediata portata dell’utilizzatore ed efficace sistema di frenatura, ovvero, se impossibile, non si astenga dal costruire e vendere la macchina. (Cass. 5/11/2003, n. 41985, Pres. D’Urso Est. Battisti, in Dir. E prat. lav. 2003, 3171)
  39. In caso di infortunio mortale accaduto ad un lavoratore caduto dalla scala esterna di un edificio a causa dell’irregolare altezza del parapetto posto a protezione della scala stessa, risponde del delitto di omicidio colposo il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi che si sia occupato dell’edificio, comunicando prima dell’infortunio una relazione sullo stato della sicurezza dell’immobile, ed ivi ignorando il pericolo costituito dall’altezza del parapetto della scala. (Cass. 17/6/2003 n. 25944, Pres. Olivieri Est. Perna La Torre , in Dir. e prat. lav. 2004, 451)
  40. In caso di infortunio accorso sul lavoro ad un lavoratore dipendente, risponde del delitto di lesione personale colposa il datore di lavoro che, pur in presenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, eserciti una posizione predominante sul personale, ivi compreso il predetto responsabile del personale. (Cass. 31/3/2003, n. 14851, Pres. Coco, Est. De Biase, in Dir. e prat. lav. 2003, 1347)

 

 

Questioni processuali

  1. La surrogabilità da parte dell’ente previdenziale presuppone la risarcibilità del danno. (Cass. SU. 30/6/2016 n. 13372, Pres. Salmè Rel. Vivaldi, in Lav. nella giur. 2016, 928)
  2. Nell’accertamento e nella liquidazione delle prestazioni assicurative l’INAIL è vincolato a rigorosi parametri e criteri legali tali da non lasciare spazio a valutazioni discrezionali; spetta quindi al datore di lavoro responsabile civile dell’infortunio, convenuto in giudizio dall’ente previdenziale che agisce in via di regresso, dimostrare che al lavoratore licenziato sono state riconosciute ed erogate prestazioni non spettanti ovvero eccedenti, con riguardo alla mancanza dei presupposti di fatto ed alla violazione dei criteri vincolanti posti dalla legge. Consegue che lo stesso datore di lavoro convenuto in sede di regresso dall’INAIL può sottrarsi alla pretesa recuperatoria provando che al lavoratore o ai propri eredi sono state liquidate prestazioni indebite, con riguardo alle condizioni di derogabilità previste dalla legge. (Cass. 23/6/2016 n. 13061, Pres. Mammone Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2016, 929)
  3. In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale previsto dall’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, stante il principio di stretta interpretazione delle norme in tema di decadenza, ha natura di prescrizione e, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell’indennizzo al danneggiato (ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa), il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo, dovendosi ritenere che detta azione, con la quale l’Istituto fa valere in giudizio un proprio credito in rivalsa, sia assimilabile a quella di risarcimento danni promossa dall’infortunato, atteso che il diritto viene esercitato nei limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare il datore di lavoro, consentendo, al contempo, di recuperare quanto corrisposto al danneggiato. (Cass. S.U. 16/3/2015 n. 5160, Pres. Roselli Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2015, 637)
  4. L’azione di rivalsa esercitata dall’INAIL nei confronti delle persone civilmente responsabili, in caso di responsabilità penale accertata a loro carico a seguito di infortunio sul lavoro, configura una speciale azione di regresso spettante iure proprio all’Istituto ai sensi degli articoli 10 e 11 D.P.R. n. 1124/1965, esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio. (Cass. 17/7/2013 n. 17486, Pres. Vidiri Rel. Bronzioni, in Lav. nella giur. 2013, 956)
  5. Il diritto al risarcimento del danno da malattie professionali e il contestuale inizio della decorrenza della prescrizione può essere fatto valere fin dal giorno in cui la malattia si è manifestata in modo da essere percepita come tale dal danneggiato. Conseguentemente la mancata conoscenza dell’eziologia professionale della patologia costituisce un ostacolo di mero fatto, che non influisce sulla decorrenza della prescrizione. (Trib. Milano 3/5/2013, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2013, 749)
  6. La domanda di liquidazione dell’indennizzo in capitale per le menomazioni dell’integrità psico-fisica pari o superiori al 6%, conseguenti a infortunio sul lavoro, costituendone un “minus”, è implicita nella domanda di riconoscimento del diritto alla rendita per inabilità causata da menomazioni pari o superiori al 16%. (Cass. 27/1/2011 n. 2058, ord., Pres. Battimiello Est. Bandini, in Orient. Giur. Lav. 2011, 239)
  7. Deve ritenersi ammissibile la costituzione di parte civile del sindacato nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose commessi con violazione della normativa antinfortunistica, a prescindere dal fatto che il lavoratore vittima di detti reati sia iscritto all’organizzazione sindacale medesima e ciò in aggiunta alla possibilità di esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa di cui agli artt.91 e 92 c.p.p., pure ribadita dall’art. 61, 2° comma, D.Lgs. 9/4/08 n. 81. L’inosservanza della normativa finalizzata a garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro può infatti cagionare all’organizzazione sindacale un proprio e diretto danno patrimoniale (ove ne ricorrano gli estremi) o non patrimoniale, per la perdita di credibilità all’azione svolta, così giustificando un’autonoma costituzione di parte civile. (Cass. pen. 11/6/2010 n. 22558, Pres. Morgigni Est. Bianchi, in D&L 2010, con nota di Cecilia Valbonesi, “Infortuni sul lavoro e risarcimento del danno all’immagine del sindacato”, 987)
  8. Il mancato passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti del matrimonio consente al coniuge superstite nel caso di decesso dell’altro coniuge in conseguenza di infortunio sul lavoro di richiedere la costituzione della rendita per reversibilità. (Cass. 19/5/2008 n. 12612, Pres. Mattone Est. Maiorano, in D&L 2008, con nota di Aldo Garlatti, “”Dallo status di ex coniuge divorziato a quello di superstite: il mancato passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, a seguito della morte di uno dei coniugi, conferisce al coniuge superstite il diritto alla rendita per reversibilità nel caso di infortunio mortale”, 1049)
  9. L’azione di regresso proposta dall’Inail nei confronti del datore di lavoro si estende automaticamente nei confronti degli altri responsabili civili dell’infortunio sul lavoro che il datore di lavoro abbia chiamato in causa, quali soggetti responsabili di un comune obbligo di sicurezza gravante su ciascuno di essi, anche se per di9verso ruolo professionale, e perciò direttamente responsabile dell’infortunio sul lavoro e dei conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell’istituto assicuratore. (Cass. 28/3/2008 n. 8136, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 844, e in Dir. e prat. lav. 2008, 2431)
  10. Anche le patologie psichiche dovute a stress possono essere qualificate come tecnopatie purchè ne sia dimostrato il nesso causale con la lavorazioneper svolgere tale accertamento è la consulenza tecnica che, pertanto, diviene obbligatoria in appello se omessa dal giudice di primo grado. (Cass. 11//9/2006 n. 19434, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Gianluigi Girardi, 171)
  11. La domanda di mera qualificazione del fatto come infortunio è inammissibile perchè si risolve in una domanda di accertamento di un mero fatto e non di un diritto. Tuttavia, una volta che la sentenza inammissibile sia stata in concreto emessa, la parte, nei cui confronti tale statuizione sia pronunciata, ha non solo un interesse qualificato dall’interesse generale a ristabilire l’ortodossia dell’ordinamento processuale, ma anche un interesse personale affinchè sia affermato che il giudice non poteva emettere una sentenza contenente una statuizione che comunque la riguarda, quale ne sia il contenuto immediatamente lesivo. (Cass. 27/7/2006 n. 17165, Pres. Senese Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2006, 1222)
  12. E’ inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l’azione diretta ad accertare il nesso di causalità tra infortunio e prestazione di lavoro, senza che sia residuata una inabilità permanente indennizzabile, atteso che il processo può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell’effetto giuridico tipico, cioè con l’affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare, dovendosi rilevare che la natura lavorativa dell’infortunio non costituisce una questione pregiudiziale al diritto alla rendita, come tale suscettibile, a norma dell’art. 34 c.p.c., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall’esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo. (Cass. 22/11/2003 n. 17788, Pres. Dell’Anno Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2004, 629)
  13. L’art. 149 disp. att. c.p.c. il quale prevede che, in materia di invalidità pensionabile, il giudice valuti anche l’eventuale aggravamento della malattia nonché di tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate tanto nel corso del procedimento amministrativo che di quello giudiziario, è applicabile analogicamente anche in tema di infortuni e malattie professionali. Il dies a quo per la decorrenza del termine triennale di cui all’art. 112 DPR 30/6/65 n. 1124 coincide con il momento in cui l’assicurato abbia la ragionevole certezza della sussistenza della malattia professionale e del superamento della soglia di indennizzabilità. (Corte d’Appello Potenza 7/2/2002, Pres. Capasso, Est. Vetrone, in D&L 2002, 482)

 

 

Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di infortunio e malattia professionale

  1. Necessario, nella predisposizione di misure di sicurezza per i lavori in quota, dare la precedenza a quelle di natura collettiva.
    In un caso in cui l’infortunato era caduto dall’altezza di 12 metri (decedendo) per essersi incautamente staccato dalla linea di ancoraggio della cintura di sicurezza (mezzo di protezione individuale), l’impresa si era difesa, anche sostenendo la non obbligatorietà assoluta dell’obbligo di precedenza delle misure collettive di protezione, essendo riservato all’impresa un certo margine di discrezionalità. La Corte, viceversa, riafferma la regola di legge per cui anche per le lavorazioni in quota, come per ogni lavorazione, è obbligatoria la predisposizione di misure di sicurezza collettive, prima di quelle individuali, con l’unico limite di una loro incompatibilità con lo stato dei luoghi o di impossibilità per ragioni tecniche, la cui prova in giudizio costituisce onere del datore di lavoro e dei titolari di posizioni di garanzia. (Cass. 31/8/2020 n. 18137, Pres. Raimondi Rel. Negri della Torre, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020)
  2. Ancora sulla distribuzione dell’onere della prova in materia di infortunio sul lavoro.
    In molteplici occasioni (non sempre) e anche nel caso in esame, la Corte afferma che, in caso di infortunio sul lavoro, l’infortunato deve provare il danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e in nesso di causalità tra i due elementi, mentre il datore di lavoro deve poi provare di avere adottato tutte le misure idonee a salvaguardare la salute del dipendente. Cosa sia questa nocività che l’infortunato deve provare non è chiaro. Essa non può che riguardare il contesto in cui è maturato l’infortunio e allora si risolve nella prova del nesso di causalità tra il fatto come si è svolto e il danno: nel caso di specie, dimostrando che il lavoratore è caduto scivolando da una scala a pioli, dalla quale scendeva per compiere un certo lavoro nel sotterraneo. Spetterà poi al datore di lavoro dimostrare che la scala era saldamente ancorata e sicura e che comunque era l’unico mezzo possibile per scendere nel sotterraneo. Se invece si intendesse accollare al lavoratore l’onere di dimostrare che la scala era instabile, che i gradini erano scivolosi e che, invece della pericolosa scala a pioli, l’impresa avrebbe potuto adottare altri mezzi sicuri di discesa, allora lo si graverebbe dell’onere di provare la colpa del datore di lavoro, in contrasto con i principi che viceversa vengono normalmente affermati, anche nel caso esaminato dalla Corte. (Cass. 7/7/2020 n. 14082, Pres. Raimondi Rel. Piccone, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020)
  3. In materia di infortuni sul lavoro, l’accertamento incidentale del giudice civile del fatto reato imputabile al datore di lavoro (che ne esclude l’esonero da responsabilità civile previsto dal T.U. INAIL) va condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale.
    Importante sentenza che prende consapevole posizione in favore dell’orientamento più avanzato nella materia. Come è noto, gli artt. 10 e 11 del T.U. infortuni sul lavoro esonerano il datore di lavoro da responsabilità nei confronti dell’infortunato, salvo il caso di “condanna penale per il fatto da quale l’infortunio è derivato”, ormai universalmente inteso anche come accertamento di responsabilità da parte del giudice civile, in sede di domanda di risarcimento del danno c.d. “differenziale” o di azione di regresso dell’INAIL. A questo proposito, la Corte – alla luce dell’evoluzione della disciplina della materia, anche per effetto di ripetuti interventi della Corte costituzionale e confermando precedenti proprie pronunce – supera l’orientamento che ritiene che l’accertamento del giudice civile debba svolgersi secondo le regole del giudizio penale, ben più penalizzanti per il lavoratore infortunato, in favore viceversa di quelle proprie del giudizio di responsabilità civile. Pertanto il lavoratore non ha l’onere di provare la colpa del datore e, quanto all’elemento oggettivo, è onerato unicamente della dimostrazione del fatto materiale, del lavoro svolto e del nesso di causalità tra lavoro e infortunio, mentre sarà il datore di lavoro a dover dimostrare di avere adottato tutte le misure protettive idonee a escludere il danno. (Cass. 19/6/2020 n. 12041, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, in Wikilabour, in Newsletter n. 13/2020)
  4. Concorso di colpa del dipendente nella causazione del proprio infortunio: limiti.
    Premessa l’applicabilità anche all’infortunio sul lavoro della regola, in materia di risarcimento danni, della sua limitazione per il possibile concorso di colpa dell’infortunato, la Corte ribadisce il principio per cui esso è escluso in tre casi: 1) se il dipendente ha obbedito a specifici ordini del datore di lavoro; 2) se era mancata l’adozione da parte del datore di lavoro di misure di sicurezza o comunque di elementari regole di prudenza atte a evitare l’infortunio; 3) se l’infortunio è avvenuto a causa di un deficit di formazione o informazione del lavoratore imputabile al datore di lavoro. (Cass. 15/5/2020 n. 8988, Pres. Frasca Rel. Rossetti, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020)
  5. Un caso di infortunio sul lavoro attribuibile all’esclusiva responsabilità del lavoratore.
    Un dipendente, infortunatosi cadendo mentre era impegnato in lavorazioni in quota, aveva richiesto al datore di lavoro il risarcimento dei danni subiti. Ricordando la disciplina della responsabilità contrattuale del datore di lavoro in materia di sicurezza nel lavoro, La Corte ne esclude la ricorrenza nel caso esaminato, in cui il lavoratore, sebbene adeguatamente istruito sul lavoro da svolgere e in particolare sull’uso necessario della cintura di sicurezza e nonostante i ripetuti richiami e la vigilanza sul corretto uso delle misure di protezione antinfortunistica, il giorno dell’incidente aveva inopinatamente omesso di agganciare alla cesta la cintura anti-caduta, pur regolarmente indossata. Tale comportamento è stato, infatti, ritenuto imprevedibile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e quindi valutato come la causa esclusiva dell’infortunio. (Cass. 11/2/2020, ord., n. 3282, Pres. Negri della Torre, Rel. Lorito, in Wikilabour, Newsletter n. 4/2020)