Organizzazione di tendenza

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Questa voce è stata curata da Evelyn Ranieli

 

Definizione

E’ la scriminante dello scopo di lucro che richiama una delle più importanti categorie di datori non imprenditori: le c.d. organizzazioni di tendenza.

Si tratta – secondo la definizione introdotta per la prima volta nell’art. 4 della L. 11 maggio 1990, n. 108 – dei “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto”.

Il rapporto di lavoro subordinato prestato alle dipendenze di questa particolare categoria di datori di lavoro, in quanto condizionato dalla natura dell’attività svolta e dai fini perseguiti, risulta caratterizzato da rilevanti deroghe alla normativa generale, prima fra tutte quella inerente alla inapplicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) disposta dal citato art. 4 L. 108/90.

Altri principi fondamentali dell’ordinamento giuslavoristico, quali quelli dettati dall’art. 1 dello Statuto dei lavoratori ovvero dall’art. 4 Legge 604/66 relativamente al diritto dei lavoratori alla libera manifestazione del proprio pensiero e, parallelamente, alla nullità dei licenziamenti determinati da ragioni di carattere politico, religioso o sindacale, si trovano poi a subire delle eccezioni dettate appunto dalla particolare condizione del lavoratore dipendente da una organizzazione di tendenza, che potrebbe essere assunto proprio in ragione della sua adesione alla linea politica, sindacale o religiosa dell’ente.

Può così accadere che un cambiamento di linea o di “fede”, sia da parte del lavoratore che del datore, finisca col determinare una condizione di incompatibilità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, sempre che si tratti di prestazione lavorativa rispetto alla quale la “tendenza” del lavoratore assuma un peso determinante
E’ evidente, alla luce di quanto precede, che le questioni più controverse ruotino intorno sia alla effettiva natura (non) imprenditoriale dell’attività espletata, che, secondo le Sezioni Unite della Cassazione, al limite potrebbe essere anche “solo tendenziale” (v. Cass. S.U., 3353/94), sia al contenuto specifico delle mansioni svolte dal dipendente.

 

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