Dimissioni per giusta causa

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Questa voce è stata curata da Arianna Castelli

 

Scheda sintetica

Le dimissioni per giusta causa configurano un’ipotesi particolare di dimissioni del lavoratore subordinato. In questo caso, infatti, il dipendente può recedere dal contratto in tronco, cioè può interrompere il proprio rapporto di lavoro senza obbligo di dare un preavviso al datore di lavoro.
Inoltre, qualora il dipendente sia impiegato in forza di un rapporto di lavoro a tempo determinato, egli può sciogliersi dal contratto prima della scadenza del termine solo ed esclusivamente in presenza di una giusta causa.
Nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione (a partire dal 2015 divenuta NASPI) qualora ne ricorrano i presupposti.
Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

 

Normativa

  • Codice Civile: artt. 2112, 2118, 2119
  • Contratto collettivo
  • Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151
  • Decreto Ministeriale 15 dicembre 2015

 

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio di vertenza sindacale
  • Studio legale esperto in diritto del lavoro
  • Enti bilaterali
  • Commissioni di certificazione

 

 

Nozione di giusta causa

Si ritiene che il lavoratore possa rassegnare le dimissioni per giusta causa sia sulla base di fatti attinenti al rapporto di lavoro, che di fatti ad esso estranei. Nel primo caso, la circostanza rilevante consiste in un inadempimento contrattuale del datore di lavoro tanto grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nel secondo, invece, la giusta causa viene ravvisata, a titolo esemplificativo, in un impedimento personale del dipendente che non gli permette di svolgere i propri compiti, oppure in talune circostanze particolari -connesse per esempio alla natura dell’attività lavorativa o all’ambiente di lavoro – che rendono la prosecuzione del rapporto di lavoro “intollerabile” per il lavoratore.
Specificamente, tra le causali di dimissioni per giusta causa individuate dai giudici vi sono:

  • mancato o ritardato pagamento della retribuzione
  • omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore)
  • comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente
  • pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore
  • c.d. mobbing
  • aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro
  • modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative
  • spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile.

Inoltre, nel comma 4 dell’art. 2112 del codice civile è prevista un’ipotesi espressa di dimissioni per giusta causa a favore dei dipendenti di un’azienda ceduta. In questo caso, il dipendente può interrompere il proprio rapporto di lavoro in tronco entro tre mesi dal trasferimento d’azienda qualora, in seguito ad esso, vi siano state delle “sostanziali modifiche” delle condizioni di lavoro, indipendentemente dal verificarsi di un evento formalmente qualificabile come giusta causa. Ciò può avvenire non solo in presenza di ciascuno dei casi individuati dalla giurisprudenza, ma anche conseguentemente alla sostituzione del contratto collettivo precedentemente applicato all’impresa. Infatti, è possibile che in seguito alla cessione venga applicato un nuovo contratto collettivo -di pari livello- che preveda delle condizioni di lavoro considerevolmente diverse rispetto a quelle applicate anteriormente. La modifica rilevante, in sintesi, non deve necessariamente riguardare le mansioni svolte dal dipendente, ma può sostanziarsi nel mutamento di una qualsiasi circostanza che incida significativamente sullo svolgimento della prestazione lavorativa.

 

La nuova procedura di dimissioni per giusta causa (in vigore dal 12 marzo 2016)

Anche le dimissioni per giusta causa devono essere formalizzate, a pena di inefficacia, con la nuova procedura telematica prevista dall’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015, ossia tramite appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente”.
Tale procedura si applica, infatti, a tutte le dimissioni rassegnate a partire dal 12 marzo 2016, indipendentemente dalla causale giustificativa. Le uniche ipotesi a cui la nuova disciplina non si applica sono le seguenti:

  • dimissioni durante il periodo di prova;
  • dimissioni nel rapporto di pubblico impiego;
  • dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza, della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento; ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 151/2001, per tali soggetti le dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio (a detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto);
  • dimissioni in un rapporto di lavoro domestico;
  • dimissioni intervenute nelle sedi protette di cui all’art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003.

Il successivo decreto 15 dicembre 2015 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha specificato le concrete modalità operative attraverso le quali devono essere comunicate le dimissioni.
In particolare, la procedura può essere attivata sia da un lavoratore che opera in autonomia, sia da un lavoratore assistito da patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali o commissioni di certificazione. In quest’ultimo caso, il dipendente può rivolgersi a qualsiasi soggetto abilitato presente sul territorio nazionale, non essendo necessario ricorrere a un intermediario della stessa provincia del datore di lavoro.
Il lavoratore, se agisce autonomamente, deve:

  • richiedere il codice personale INPS (PIN INPS dispositivo), accedendo al sito dell’INPS. La procedura per il rilascio del PIN prevede che solo la prima parte del suddetto codice venga fornita direttamente online; la seconda parte, invece, viene spedita tramite posta raccomandata all’indirizzo di casa;
  • registrarsi al Ministero del Lavoro, accedendo al sito, per ottenere username e password;
  • accedere al sito del Ministero del Lavoro e compilare l’apposito modulo per le dimissioni;
  • inviare il modulo al proprio datore di lavoro tramite PEC e alla DTL territorialmente competente tramite posta elettronica ordinaria.

Nel caso in cui il lavoratore si faccia assistere da un soggetto abilitato, il possesso del PIN INPS e dell’utenza ClicLavoro non sono necessari, poiché è lo stesso intermediario che, utilizzando la propria utenza ClicLavoro, si assume la responsabilità di individuare il lavoratore e convalidarne le dimissioni.
Per quanto concerne specificatamente le dimissioni per giusta causa, a partire da aprile 2016, in sede di compilazione dei moduli è possibile scegliere “Dimissioni per giusta causa” come tipologia di comunicazione, mentre in precedenza non si poteva specificare alcun tipo di causale. Nel caso in cui le dimissioni siano state comunicate quando non era ancora possibile selezionare tale opzione, esse saranno comunque valide e saranno i competenti uffici a verificare la genuinità della giusta causa.

 

La comunicazione di dimissioni

Già prima dell’introduzione della suddetta procedura telematica, parte della giurisprudenza aveva chiarito come i giudici potessero verificare l’esistenza della stessa indipendentemente da una sua menzione espressa.
Senza dubbio, invece, i motivi particolari che legittimano nel caso specifico le dimissioni non devono essere necessariamente indicati nella comunicazione.
Per quanto riguarda le tempistiche, nel caso in cui la giusta causa consista in un inadempimento datoriale, le dimissioni devono essere presentate tempestivamente rispetto al verificarsi dell’evento: ciò non significa che la comunicazione debba essere effettuata senza soluzione di continuità rispetto a quest’ultimo, bensì che è opportuno procedervi all’interno del lasso di tempo necessario al formarsi della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto. Inoltre, non è possibile dimettersi per giusta causa e continuare a svolgere la propria attività lavorativa posticipando l’effettiva interruzione del rapporto. Alcuni giudici, tuttavia, si sono dimostrati particolarmente sensibili a situazioni di difficoltà caratterizzanti il caso concreto sottoposto al loro esame, ammettendo un differimento dell’interruzione del rapporto di lavoro in casi eccezionali e per un breve lasso di tempo.
Nella maggior parte dei casi, è però opportuno che il lavoratore valuti attentamente, con l’assistenza di un ufficio vertenze o di un avvocato esperto di rapporti di lavoro, sia l’effettiva fondatezza della giusta causa sia le modalità per giungere alla cessazione del rapporto di lavoro. In molti casi il datore di lavoro contesta, dopo le dimissioni, la sussistenza o rilevanza delle ragioni adottate dal lavoratore, che dunque può essere opportuno verificare o rafforzare (magari facendo precedere alle dimissioni una contestazione della condotta subita o una diffida ad adempiere). Altre volte, una attenta analisi del caso può condurre a ritenere che esistono strategie o strumenti alternativi, rispetto alle dimissioni, di migliore tutela degli interessi e dei diritti del lavoratore.

 

Effetti delle dimissioni per giusta causa

Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa diviene titolare di una serie di diritti:

  • l’indennità sostitutiva del preavviso, nel caso in cui si tratti di un rapporto a tempo indeterminato. In questo caso, il lavoratore ha diritto a percepire un’indennità economica rapportata alla retribuzione normalmente spettante che avrebbe dovuto essergli corrisposta durante il periodo di preavviso;
  • la Nuova prestazione dell’assicurazione sociale per l’impiego (NASPI) – nel caso in cui sussistano i presupposti. Infatti, nel comma 2 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 22/2015 si afferma che la NASPI viene erogata anche a coloro che hanno rassegnato le proprie dimissioni in presenza di una giusta causa. Il legislatore, dunque, ha espressamente aderito all’indirizzo interpretativo della Corte Costituzionale che già con la fondamentale sentenza n. 269/2002 aveva riconosciuto come in questo caso lo stato di disoccupazione conseguente alle dimissioni non dipendesse dalla volontà del lavoratore e, dunque, si fosse in presenza di un’ipotesi di disoccupazione involontaria legittimante la percezione della relativa indennità.
  • il risarcimento per il danno patrimoniale subito – nel caso di contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato con una clausola di stabilità. Il risarcimento si calcola con riferimento alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se il contratto non fosse stato interrotto prematuramente;
  • Il risarcimento per il danno non patrimoniale nel caso in cui la giusta causa di dimissioni si sia concretizzata anche in una obiettiva lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

Il datore di lavoro, invece, oltre a dover corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, è anche tenuto a versare il contributo addizionale di recesso all’INPS in tutti i casi previsti dalla legge.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di dimissioni per giusta causa

In genere

  1. La valutazione della idoneità della condotta del datore di lavoro sotto il profilo del demansionamento a costituire giusta causa di dimissioni del lavoratore ex art. 2119 c.c. si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cass. 19/1/2021 n. 811, ord., Pres. Blasutto Est. Garri, in Lav. nella giur. 2021, 418)
  2. La giusta causa di dimissioni deve essere invocata dal lavoratore contestualmente alla comunicazione di recesso, con la conseguente immediata interruzione della prestazione lavorativa. (Cass. 2/7/2014 n. 15079, Pres. Stile Est. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 1026)
  3. Non configura giusta causa di dimissioni l’asserita presenza di condizioni di lavoro nocive e dannose qualora tale circostanza sia stata smentita da parte di un collegio peritale composto da ben cinque clinici. (Cass. 21/5/2012 n. 7992, Pres. Stile Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2012, 821)
  4. Non sussiste “giusta causa” di dimissioni, né sussiste il conseguente diritto alla percezione dell’indennità di mancato preavviso, nel caso del docente che si dimetta dall’incarico per divergenze con la scuola in merito all’educazione e al percorso di istruzione di un alunno “difficile”. Nel “bagaglio professionale” di un docente di scuola media non possono mancare doti di pazienza e tolleranza, oltre a specifiche conoscenze psico-pedagogiche dell’età evolutiva. Uno dei compiti dell’Istituzione scolastica e del suo corpo docente è quello di assicurare, nella prima fa di “approccio” degli alunni alla nuova realtà scolastica, oltre agli aspetti strettamente didattici, anche un graduale inserimento e un crescente conformarsi dei comportamenti agli standard minimi necessari per un proficuo lavoro di apprendimento. (Nel caso di specie, si trattava di un docente in contrasto con le scelte degli organi direttivi e collegiali dell’Istituzione presso cui prestava servizio, relativamente alle problematiche educative e disciplinari create da un alunno con forti difficoltà d’inserimento. La Corte ha appurato, tralaltro, che le iniziative adottate dalla scuola, contestate dal ricorrente, avevano consentito di raggiungere risultati ampiamente positivi, migliorando i comportamenti e i risultati scolastici dell’alunno. Nel caso in esame, inoltre, non esisteva, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, alcun rischio per l’integrità psico-fisica del docente). (Cass. 29/1/2008 n. 1988, Pres. Ciciretti Rel. Stile, in Lav. nelle P.A. 2008, 407)
  5. In caso di dimissioni per giusta causa da contratto a tempo determinato, il risarcimento del danno subito dal lavoratore è commisurato alle retribuzioni che allo stesso sarebbero spettate sino al termine di scadenza del contratto stesso. (Cass. 8/5/2007 n. 10430, Pres. Senese Est. De Renzis, in D&L 2007, con nota di Lorenzo Franceschinis, “La prova della giusta causa di dimissioni attraverso registrazione del datore di lavoro: ragionamenti sulle conseguenze delle dimissioni ante tempus”, 875)
  6. Il giudizio teso ad individuare il trattamento più favorevole spettante all’agente-tra art. 1751 c.c. ed accordi collettivi-deve avvenire ex post e secondo il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. Costituisce giusta causa di dimissioni-con conseguente diritto all’indennità sostitutiva del preavviso di cui all’art. 1750 c.c.-il sostanziale azzeramento della possibilità di lavoro dell’agente in assenza di oggettive ragioni aziendali. (Corte d’Appello Milano 21/11/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2003, 135)
  7. In ipotesi di dimissione di lavoratore per giusta causa, la valutazione della gravità dell’inadempimento del datore di lavoro ai suoi obblighi contrattuali è rimessa al sindacato del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità unicamente per vizi di motivazione. (Nella specie, risalente al tempo anteriore alla novella dell’art. 5, L. n. 903/1977, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la gravità dell’inadempimento del datore di lavoro nell’adibizione di un dipendente notturno quale modalità normale e stabile dello svolgimento del rapporto di lavoro e ritenuto irrilevante la mancata attivazione dello speciale procedimento di cui all’art. 15 legge citata). (Cass. 18/10/2002, n. 14829, Pres. Ciciretti, Rel. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2003, 173)
  8. Il giudizio sull’idoneità della condotta del datore di lavoro a costituire giusta causa delle dimissioni del lavoratore si risolve in un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva escluso che la contestazione disciplinare diretta al lavoratore fosse tale da giustificare una risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa da parte del lavoratore, sul principale rilievo che essa non aveva in sé contenuti ingiuriosi o lesivi della dignità morale o professionale del lavoratore, riguardando incontestabilmente semplici inadempienze del lavoratore ad obblighi discendenti dal contratto di lavoro) (Cass. 11/2/00 n. 1542, pres. Grieco, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 509)
  9. Laddove risultino provate a danno della lavoratrice molestie sessuali concretantesi in fatti lesivi della sua personalità e dignità, idonei a suscitare fastidio in un contesto in cui la persona offesa si trovi, anche da un punto di vista psicologico, in una situazione di inferiorità, tali fatti integrano giusta causa di dimissioni (nel caso di specie, è stato anche affermato che il riconoscimento del conseguente danno biologico è subordinato a una sia pur minima allegazione della sua effettiva sussistenza da parte della lavoratrice molestata) (Trib. Milano 16 giugno 1999, pres. Mannacio, est. Sbordone, in D&L 2000, 787)
  10. Poiché l’attribuzione a un lavoratore di mansioni inferiori a quelle spettanti determina non solo un pregiudizio morale, ma anche un pregiudizio economico (devalorizzazione progressiva delle prestazioni che il lavoratore può offrire sul mercato del lavoro), costituiscono giusta causa di dimissioni la violazione del diritto del lavoratore al rispetto della sua personalità fisica e morale, la modifica arbitraria delle fondamentali condizioni contrattuali, l’inadempimento degli obblighi che costituiscono il corrispettivo della prestazione di lavoro, disposta in contrasto con l’art. 2103 c.c. (Cass. 2/2/98 n. 1021, pres. Rapone, est. Berni Canani, in D&L 1998, 1052, nota Muggia, Dimissioni per giusta causa e risarcimento del danno)
  11. Nel caso di risoluzione per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive spetta al contraente adempiere il risarcimento non solo del danno determinato direttamente e immediatamente dall’inadempimento (nel caso di dimissioni per giusta causa, l’indennità sostitutiva del preavviso), ma anche del danno derivante dallo scioglimento del contratto (identificato, nella specie, nella differenza tra il valore delle prestazioni non conseguite e quello delle prestazioni non più dovute); pertanto, poiché l’art. 2119 c.c. non prevede il danno da risoluzione e l’indennità di preavviso non può coprire in funzione risarcitoria danni diversi da quelli tipici (mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione), alla risoluzione del rapporto per giusta causa e per iniziativa del lavoratore si applicano le norme generali del risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (Cass. 2/2/98 n. 1021, pres. Rapone, est. Berni Canani, in D&L 1998, 1052, nota Muggia, Dimissioni per giusta causa e risarcimento del danno)
  12. Laddove il lavoratore venga specificatamente assunto per lo svolgimento di mansioni corrispondenti alla professionalità acquisita nel tempo, l’attribuzione da parte del datore di lavoro di compiti appartenenti a un tipo di professionalità diversa è valutabile in termini di inadempimento contrattuale, che, in quanto capace di aggravare col protrarsi del tempo il danno alla professionalità, costituisce giusta causa di dimissioni (Pret. Milano 10/3/97, est. Ianniello, in D&L 1997, 645)