Procedura di mobilità

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Questa voce è stata curata da Isabella Digiesi e Alexander Bell

 

Scheda sintetica

Con il termine mobilità si indica una serie di misure previste dalla legge al fine di agevolare il reimpiego e garantire il reddito dei lavoratori licenziati a seguito di una particolare procedura di riduzione del personale (c.d. licenziamento collettivo).

La procedura di mobilità è la procedura specifica avviata dall’imprenditore che desideri effettuare la messa in mobilità di alcuni o tutti i dipendenti.
Tale procedura, ai sensi della Legge del 23 luglio 1991 n. 223, viene avviata qualora:

  • l’imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative;
  • l’imprenditore, che occupi più di 15 dipendenti, intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza della cessazione dell’attività ovvero di una riduzione o di una trasformazione dell’attività o del lavoro.

Prima delle riforme del mercato del lavoro del 2012 (c.d. Riforma Fornero) e del 2015 (c.d. Jobs Act), la legge prevedeva tre tipi di intervento a favore dei lavoratori messi in mobilità:

  • il diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate dall’azienda di provenienza entro 6 mesi;
  • l’iscrizione nelle c.d. liste di mobilità, con attribuzione al lavoratore disoccupato di una peculiare posizione giuridica di vantaggio sul mercato del lavoro, così da favorirne in tempi brevi il reimpiego;
  • una prestazione di disoccupazione posta a carico dell’INPS (c.d. indennità di mobilità), corrisposta ai soli lavoratori in possesso di un contratto continuativo a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale pari o superiore a 12 mesi, di cui almeno 6 effettivamente lavorati.

L’insieme degli strumenti previdenziali a sostegno del reddito dei lavoratori in caso di disoccupazione è stato oggetto di profonde modifiche nell’ultimo quinquennio.
Dapprima, la Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha disposto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2017, delle norme della legge n. 223/1991 che disciplinano le liste di mobilità, l’indennità di mobilità e il collocamento dei lavoratori in mobilità; la riforma prevedeva in particolare che i lavoratori licenziati a partire dal 31 dicembre 2016 non avrebbero più potuto essere collocati in mobilità ordinaria, ma avrebbero beneficiato esclusivamente di due nuove prestazioni di disoccupazione introdotte dalla stessa legge 92/2012, l’AspI e la mini Aspi.
Il successivo decreto legislativo n. 22 del 2015 – adottato dal Governo per dare attuazione al Jobs Act (legge delega n. 183 del 2014) – ha confermato il superamento dell’indennità di mobilità a decorrere dal 1° gennaio 2017, ma ha sostituito l’AspI e la mini Aspi con un nuovo strumento previdenziale, la Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (c.d. NASPI), che per espressa indicazione del legislatore si applica “agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015”.
In forza di quest’ultimo intervento normativo, dunque, a partire dal 1° gennaio 2017 la NASPI ha assorbito l’indennità di mobilità; fino ad allora, in caso di licenziamento collettivo, ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991, i lavoratori non saranno liberi di scegliere tra queste due prestazioni previdenziali, ma beneficeranno esclusivamente dell’indennità di mobilità (come chiarito dall’INPS nella circolare n. 142 del 29 luglio 2015).

 

Fonti normative

  • Legge 223/1991, “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”;
  • Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, recante Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
  • Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

 

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale;
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro.

 

 

Procedura di mobilità

Le imprese ammesse al trattamento di integrazione salariale straordinaria che nel corso del programma di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione ritengano di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi, né di ricorrere a procedure alternative, possono avviare la procedura di mobilità per i lavoratori in esubero.

La medesima procedura deve essere avviata anche dalle imprese con più di 15 dipendenti che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza della cessazione dell’attività ovvero della riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro.

Le imprese che attivano una procedura di mobilità sono tenute, anzitutto, a darne preventiva comunicazione, per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali, nonché alle rispettive associazioni di categoria.

In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere indirizzata, anche per il tramite dell’associazione dei datori di lavoro alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato, alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale (art.4, comma 2, Legge 223/1991).

Con la suddetta comunicazione prende quindi avvio una fase di confronto con i sindacati, finalizzata a consentire a questi ultimi di verificare l’effettività e l’inevitabilità, totale o parziale, del ridimensionamento dell’organico programmato dall’impresa.

La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha previsto che i vizi della comunicazione di apertura della procedura sindacale possano essere sanati, a ogni effetto di legge, da un accordo sindacale concluso nel corso della procedura medesima.
Ciò significa che il lavoratore che intenda impugnare il licenziamento non potrà più far valere un eventuale vizio della comunicazione iniziale alle organizzazioni sindacali, qualora la procedura si sia conclusa con un accordo sindacale che dia atto della regolarità della consultazione.

 

Contenuto della comunicazione

La legge prevede che la comunicazione inviata ai sindacati debba contenere l’indicazione:

  • dei motivi che hanno determinato la situazione di eccedenza;
  • dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali l’impresa ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo;
  • del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e del personale abitualmente impiegato;
  • dei tempi di attuazione del programma di mobilità;
  • delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma;
  • del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

Alla comunicazione deve essere altresì allegata copia della ricevuta del versamento all’INPS del c.d. contributo di ingresso (somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero di lavoratori che si intende licenziare).

 

Esame congiunto con le strutture sindacali

A richiesta delle rappresentanze sindacali e delle rispettive associazioni, entro sette giorni dalla ricezione della comunicazione si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale e la possibilità di un sia pur parziale riassorbimento di esso anche attraverso contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro.
Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, le parti esaminano altresì la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riconversione e la riqualificazione dei lavoratori licenziati.
L’esame può concludersi con un accordo, attraverso il quale le parti possono prevedere:

  • l’assegnazione a mansioni diverse, anche in deroga al divieto di modificare in peggio le mansioni del lavoratore previsto dall’art. 2103 c.c.;
  • il temporaneo distacco o comando dei lavoratori presso altre imprese.

La fase dedicata all’esame congiunto tra le parti deve concludersi entro 45 giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell’impresa.
Decorso questo termine, l’impresa comunica alla Direzione provinciale del lavoro i risultati della consultazione e i motivi dell’eventuale esito negativo (la comunicazione va indirizzata al competente Ufficio regionale se le unità produttive interessate sono ubicate in diverse province della stessa regione, al Ministero del lavoro se si tratta di unità dislocate in diverse regioni).
I termini prescritti per lo svolgimento dell’esame congiunto sono ridotti alla metà, qualora il numero dei lavoratori eccedenti sia inferiore a dieci.

 

Esame con la Direzione provinciale del lavoro

Quando l’esame congiunto ha dato esito negativo o non si è svolto perché non richiesto dalle associazioni sindacali, la Direzione provinciale del lavoro ha il potere di convocare le parti per un ulteriore esame e può formulare proposte per il raggiungimento di un accordo.
Tale ulteriore esame deve concludersi entro 30 giorni, termine che decorre dalla data di ricevimento della comunicazione dell’impresa.
I termini per lo svolgimento dell’esame dinanzi alla Direzione provinciale del lavoro sono ridotti alla metà qualora il numero dei lavoratori eccedenti sia inferiore a dieci.

 

Criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità

La selezione dei licenziandi viene effettuata unilateralmente dal datore di lavoro, ma non è libera.
L’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati, ovvero, in mancanza, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:

  • carichi di famiglia;
  • anzianità;
  • esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

Il licenziamento collettivo della lavoratrice madre è consentito solo in caso di cessazione dell’attività dell’azienda.
In ogni caso deve essere tutelata la proporzione della manodopera femminile occupata nelle mansioni esuberanti, essendo espressamente vietata ogni forma di discriminazione per sesso, diretta ed indiretta.

 

Comunicazione del recesso

Raggiunto l’accordo sindacale, o, comunque, esperita la procedura descritta, l’impresa ha facoltà di licenziare gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso e senza necessità di specifica motivazione, bastando il richiamo alla natura collettiva del recesso ed alla procedura svolta.
I licenziamenti possono essere scaglionati, ma entro il limite massimo di centoventi giorni dalla conclusione della procedura, salvo diversa indicazione nell’eventuale accordo sindacale.

 

Comunicazione dei licenziamenti agli enti pubblici e al sindacato

Il datore di lavoro, entro 7 giorni dalla comunicazione dei singoli recessi, deve comunicare per iscritto ai competenti uffici pubblici, nonché ai sindacati rappresentati in azienda, o in mancanza a quelli maggiormente rappresentativi, l’elenco dei lavoratori licenziati, indicando in particolare:

  • nominativo, luogo di residenza, qualifica, livello di inquadramento, età e carico di famiglia di ciascun lavoratore da licenziare;
  • i criteri adottati per la scelta dei lavoratori da licenziare.

 

 

Il regime sanzionatorio in caso di licenziamento collettivo intimato in violazione della disciplina stabilita dalla legge

La legge 92/2012 (c.d. legge Fornero) e il decreto legislativo 23/2015 (attuativo della legge delega 183/2014, c.d. Jobs Act) hanno introdotto significative novità in materia di sanzioni applicabili in caso di licenziamento collettivo illegittimo; novità che hanno quale comun denominatore il progressivo abbandono del meccanismo sanzionatorio della reintegrazione nel posto di lavoro (che costituiva il baricentro del sistema di tutele previsto dalla legge 223/1991) a favore del versamento di una mera indennità risarcitoria al lavoratore licenziato.
In particolare, la riforma del 2012 ha introdotto un regime sanzionatorio così articolato:

  • la tutela reintegratoria trova applicazione nelle sole ipotesi di licenziamento intimato senza la forma scritta e in violazione dei criteri di scelta; in particolare:
    • nel caso di licenziamenti intimati senza l’osservanza della forma scritta, si applica la tutela reintegratoria piena (che prevede il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità pari a tutte le mensilità che il dipendente avrebbe dovuto percepire dalla data del licenziamento fino a quella dell’effettivo reintegro, e in ogni caso non inferiore a 5 mensilità, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative; in alternativa alla reintegrazione, il lavoratore può chiedere il pagamento di un’indennità sostitutiva);
    • nel caso di licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta, si applica la tutela reintegratoria attenuata (che prevede il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione; in ogni caso, l’indennità non può superare le 12 mensilità; in alternativa al reintegro, il lavoratore può chiedere il pagamento di un’indennità sostitutiva);
  • nel caso di violazione delle procedure previste dalla legge , trova invece applicazione la tutela obbligatoria forte (che consiste nel pagamento, da parte del datore di lavoro, di una indennità risarcitoria quantificata fra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti).

Il d.lgs. 23/2015 (che contiene la disciplina del “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”), dal canto suo, ha ulteriormente eroso il campo applicativo della tutela reintegratoria, in particolare escludendo l’obbligo di reintegrazione del lavoratore nel caso di violazione dei criteri di scelta.
In base a quest’ultima novità legislativa – che interessa tutti i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015) –, il meccanismo sanzionatorio dei licenziamenti collettivi è così declinato (art. 10):

  • allorché sia accertata la violazione della procedura prevista dalla legge ovvero dei criteri di scelta , il giudice può riconoscere la sola indennità risarcitoria, in una misura pari a due mensilità per ogni anno di anzianità aziendale maturato dal lavoratore; l’indennità non potrà in ogni caso essere inferiore a 4 mensilità e non potrà superare le 24 mensilità;
  • la reintegrazione nel posto di lavoro rimane per la sola ipotesi di licenziamento intimato senza l’osservanza della forma scritta . In questo caso, oltre al reintegro, al lavoratore spetta anche una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, e in ogni caso non inferiore a 5 mensilità, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Al lavoratore è inoltre riconosciuta la facoltà (da esercitarsi entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore) di sostituire la reintegrazione con un’indennità pari a 15 mensilità, non assoggettata a contribuzione previdenziale.

 

 

Iscrizione nelle liste di mobilità

Le tipologie di lavoratori che possono avere accesso alle liste di mobilità sono le seguenti:

  • i lavoratori dipendenti da imprese che siano state ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale e che non abbiano la possibilità, nel corso di attuazione del programma di intervento, di reinserire tutti i lavoratori sospesi o di utilizzare misure alternative (art. 4, comma 1, Legge 223/1991);
  • i lavoratori dipendenti da imprese, soggette alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, che vengano licenziati a seguito di procedure concorsuali (art. 3, comma 3, legge n. 223/91);
  • i lavoratori dipendenti da imprese (non soggette alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale) che occupino più di 15 dipendenti e che, in conseguenza della riduzione, cessazione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva ovvero in unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (art. 24, commi 1 e 2, Legge 223/1991);
  • i lavoratori dipendenti da imprese (soggette alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale) che occupino più di 15 dipendenti e che, in conseguenza della riduzione, cessazione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva ovvero in unità produttive ubicate nel territorio della stessa provincia (art. 16, comma 1, Legge 223/1991);
  • i lavoratori dipendenti da imprese con anche meno di 15 dipendenti che vengano licenziati individualmente per riduzione, cessazione o trasformazione di attività o di lavoro. Per questo caso specifico, la possibilità di chiedere l’inserimento nelle liste di mobilità, originariamente prevista dall’art. 4, comma 1, della Legge n. 236/93 fino al termine di scadenza del 31/12/93, è stata prorogata, di anno in anno, da leggi successive.
    In tal caso i lavoratori interessati sono tenuti a presentare l’istanza d’inserimento nelle liste di mobilità, al Centro per l’Impiego nel cui territorio è ubicato il loro domicilio, entro 60 giorni dalla data del licenziamento. Il lavoratore ha la possibilità di presentare la richiesta d’inserimento nelle liste anche successivamente nel caso in cui abbia provveduto a dichiarare al Centro per l’Impiego la propria disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa (ovvero si sia iscritto come disoccupato) entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

 

 

Incentivi previsti

Il legislatore ha previsto rilevanti agevolazioni contributive a favore delle aziende che decidano di assumere lavoratori disoccupati inseriti nelle liste di mobilità.
Gli incentivi previsti sono così determinati:

  • Assunzione con contratto a termine per un massimo di 12 mesi. Per la durata del contratto la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti, ferma restando la contribuzione a carico del lavoratore nella misura prevista per la generalità dei lavoratori.
  • Trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Qualora nel corso del suo svolgimento il contratto a termine di cui al precedente punto venga trasformato a tempo indeterminato, viene posta a carico del datore di lavoro per un periodo di ulteriori 12 mesi la sola contribuzione pari a quella prevista per gli apprendisti. In aggiunta a questa agevolazione contributiva, qualora l’assunzione avvenga a tempo pieno e riguardi lavoratori aventi diritto all’indennità di mobilità, al datore di lavoro viene concesso per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore un contributo mensile pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.
  • Assunzione con contratto a tempo indeterminato. Per i primi 18 mesi la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti, ferma restando la contribuzione a carico del lavoratore nella misura prevista per la generalità dei lavoratori. In aggiunta a questa agevolazione contributiva, qualora l’assunzione avvenga a tempo pieno e riguardi lavoratori aventi diritto all’indennità di mobilità, al datore di lavoro viene concesso per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore un contributo mensile pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.

In base alla norma introdotta dall’art. 2, comma 1 della Legge del 19 luglio 1994, n. 451, che ha convertito il D.Lgs. 299/1994, il diritto ai benefici economici previsti ai precedenti punti non sussiste con riferimento ai lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di imprese dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risultino con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo.

La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha disposto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2017, delle predette agevolazioni contributive .

 

 

L’indennità di mobilità

L’indennità di mobilità è una prestazione di disoccupazione che compete ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità dalla loro azienda a seguito di:

  • esaurimento della Cassa integrazione guadagni straordinaria;
  • licenziamento per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro;
  • licenziamento per cessazione di attività da parte dell’azienda.

In particolare, tale l’indennità compete a tutti i dipendenti licenziati da imprese industriali che occupino più di quindici dipendenti, oppure da imprese commerciali che occupino più di cinquanta dipendenti.

La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha disposto la soppressione dell’indennità di mobilità a partire dal 1° gennaio 2017.

 

Lavoratori beneficiari

Possono beneficiare dell’indennità di mobilità i seguenti lavoratori:

  • operai, impiegati e quadri (articolo 16, comma 1, della Legge 223/1991), collocati in mobilità dalle aziende;
    lavoratori dipendenti da imprese cooperative e loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici;
  • soci lavoratori delle cooperative di lavoro, che svolgono le attività comprese nei settori produttivi rientranti nel campo di applicazione della disciplina relativa all’indennità di mobilità stessa e soggette agli obblighi della correlativa contribuzione (circ. n. 175 del 31 luglio 1997, e circ. n. 148 del 7 luglio 1998);
  • lavoratori a domicilio che si trovano in condizione di disoccupazione a causa di licenziamento per riduzione di personale o per cessazione dell’attività aziendale, intimato da imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale (Cass., 12 marzo 2001, n. 106; Pret. Parma 7/3/95, est. Federico, in D&L 1995, 913);
  • lavoratori licenziati da datori di lavoro che non hanno attivato la procedura di mobilità, iscritti nelle liste di mobilità a seguito di propria specifica domanda, sempreché il licenziamento dipenda da una totale cessazione dell’attività aziendale e che gli interessati possano far valere tutti gli altri requisiti, oggettivi e soggettivi, previsti dagli artt. 4, 7, 16 e 24, Legge 223/1991;
  • lavoratori dipendenti di imprese che gestiscono servizi di pulizia in appalto con più di 15 dipendenti (Cass., 21 maggio 1998, n. 5104);
  • lavoratori già dipendenti da imprese sottoposte a procedura concorsuale e collocati in mobilità dal responsabile della procedura stessa, ai sensi dell’art. 3, c. 3, Legge 223/1991;
  • nei limiti stabiliti, i lavoratori licenziati da imprese che occupano meno di quindici dipendenti per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.

Pertanto, sono esclusi dal beneficio dell’indennità di mobilità:

  • i dipendenti delle imprese edili;
  • i dirigenti e gli apprendisti;
  • i lavoratori con contratto a tempo determinato e i lavoratori stagionali;
  • i dipendenti di datori di lavoro non imprenditori, come le associazioni politiche o sindacali, le associazioni di volontariato, gli enti senza fine di lucro, gli studi professionali.

 

 

Requisiti necessari

L’indennità può essere liquidata soltanto ai lavoratori in possesso dei seguenti requisiti:

  • iscrizione nelle liste di mobilità compilate dai Centri per l’impiego;
  • un’ anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi con 6 mesi di effettivo lavoro, compresi i periodi di ferie, festività, infortuni, congedo di maternità e congedo parentale, ma non quelli di malattia e servizio militare.

Inoltre i lavoratori per poter beneficiare dell’indennità non devono essere titolari di pensione di anzianità o anticipata e non dovranno aver maturato il diritto alla pensione di vecchiaia.
I titolari di pensione o assegno di invalidità (a norma del D.L. 40/94) dovranno invece optare, all’atto dell’iscrizione nelle liste di mobilità, tra tali trattamenti e l’indennità di mobilità.
In caso di opzione a favore di quest’ultima, l’erogazione dell’assegno o della pensione di invalidità resterà sospesa per il periodo di fruizione del predetto trattamento.

 

Calcolo dell’indennità di mobilità

Nella base di calcolo dell’indennità, di cui all’art. 7 della Legge 223/1991, sono inclusi:

  • gli emolumenti previsti dalla normativa sul trattamento straordinario di integrazione salariale e corrispondenti ai concetti di “retribuzione globale” (L. n. 1115 del 1968);
  • “retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate” (L. n. 164 del 1975);
  • “retribuzione di fatto corrispondente all’orario contrattuale ordinario percepito nell’ultimo mese o nelle ultime quattro settimane” (art. 8, L. n. 1115 cit.).

Anche nel mese di febbraio il lavoratore ha diritto a percepire il trattamento economico di mobilità nella misura dell’intero massimale, poiché il minor numero di giorni di cui si compone questo mese non incide sulla determinazione dell’importo da liquidare.
Per l’indennità di mobilità di cui all’art. 7, comma 1, Legge 223/1991, è previsto il meccanismo di adeguamento al costo della vita, alla stregua di quanto disposto per il trattamento di integrazione salariale dall’art. 1, Legge n. 451/94, che stabilisce che con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno (a partire dal 1995) gli importi di integrazione salariale sono aumentati dell’80% dell’aumento derivante dalla variazione dell’indice Istat.

 

Durata

Mobilità ordinaria

Secondo quanto stabilito dall’art. 7, comma 1, della Legge 223/1991, la durata dell’indennità di mobilità varia in relazione all’età del lavoratore al momento del licenziamento e al territorio nel quale si trova l’unità produttiva di provenienza.
In possesso del requisito dell’età va accertato con riferimento alla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Ai sensi della norma di cui all’art. 7, comma 4, Legge 223/1991, l’indennità non può essere corrisposta per un periodo superiore alla anzianità aziendale del lavoratore.

età lavoratore aziende centro-nord aziende mezzogiorno
fino a 39 anni 12 mesi 24 mesi
da 40 a 50 anni 24 mesi 36 mesi
oltre i 50 anni 36 mesi 48 mesi


La Riforma Fornero (Legge 92/2012) ha rimodulato la durata dell’indennità di mobilità con riferimento ai lavoratori collocati in mobilità nel periodo ricompreso tra il 1° gennaio 2013 e il 31 dicembre 2016.

anno messa mobilità età lavoratore al licenziamento aziende centro nord aziende mezzogiorno
2013 e 2014 fino a 39 anni 12 mesi 24 mesi
2013 e 2014 da 40 ai 49 anni 24 mesi 36 mesi
2013 e 2014 dai 50 anni 36 mesi 48 mesi
2015 fino a 39 anni 12 mesi 12 mesi
2015 da 40 ai 49 anni 18 mesi 24 mesi
2015 dai 50 anni 24 mesi 36 mesi
2016 fino a 39 anni 12 mesi 12 mesi
2016 da 40 ai 49 anni 12 mesi 18 mesi
2016 dai 50 anni 18 mesi 24 mesi

 

 

Mobilità lunga

Con il termine mobilità lunga si fa riferimento all’indennità che si prolunga oltre i termini di durata previsti per la mobilità ordinaria, al fine di consentire al lavoratore di maturare il diritto alla pensione (art. 7, commi 6 e 7 della Legge 223/1991).
L’art. 7, al comma 6, della Legge 223/1991, prevede la mobilità lunga per il pensionamento di vecchiaia, in favore dei lavoratori collocati in mobilità da aziende del Mezzogiorno ovvero da aziende che si trovano in aree con tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale, che:

  • alla data del licenziamento abbiano compiuto un’età inferiore di non più di cinque anni rispetto a quella prevista dalla legge per il pensionamento di vecchiaia (50 anni per le donne e 55 per gli uomini);
  • possano far valere nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, un’anzianità contributiva non inferiore a quella minima prevista per il predetto pensionamento.

L’art. 7, al comma 7, della Legge 223/1991, prevede invece, la mobilità lunga per il pensionamento di anzianità, in favore dei lavoratori collocati in mobilità da aziende del Mezzogiorno ovvero da aziende che si trovano in aree con tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale, che:

  • alla data del licenziamento, abbiano compiuto un’età inferiore di non più di dieci anni rispetto a quella prevista dalla legge per il pensionamento di vecchiaia (45 per le donne e 50 per gli uomini);
  • possano far valere, nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, un’anzianità contributiva non inferiore a ventotto anni.

Anche per la mobilità lunga resta valido il principio stabilito dall’articolo 7, comma 3, della Legge 223/1991, in base al quale l’indennità di mobilità non può essere corrisposta successivamente alla data di compimento dell’età pensionabile.
Ai fini del conseguimento del diritto alla c.d. mobilità lunga, di cui all’art. 7, comma 7, della Legge 223/1991, il requisito dell’anzianità contributiva di ventotto anni nell’assicurazione generale obbligatoria può essere raggiunto anche mediante il computo di periodi di contribuzione versata presso le Gestioni speciali dei lavoratori autonomi, ben potendo il lavoratore – che abbia versato i contributi in parte nella gestione speciale ed in parte in quella dei lavoratori dipendenti – raggiungere i trentacinque anni di contribuzione necessari per il pensionamento nella Gestione speciale, previo cumulo dei contributi versati nelle due diverse gestioni, ai sensi dell’art. 16 della legge 233/1990, senza necessità di dover domandare la ricongiunzione della posizione contributiva presso la gestione dei lavoratori dipendenti.

 

La domanda

Il diritto all’indennità di mobilità è subordinato alla presentazione da parte degli interessati di apposita domanda, da redigere sul modello DS21.
Il diritto alla percezione dell’indennità, infatti, non sorge dal momento della messa in mobilità né in quello dell’iscrizione nelle liste regionali, bensì con la presentazione dell’apposita domanda (Cass. 11 ottobre 2003, n. 15525).
La domanda deve essere presentata secondo le istruzioni vigenti, tramite le sezioni circoscrizionali per l’impiego, e pena decadenza, entro il termine di 68 giorni dalla data di licenziamento.
Se l’ultimo giorno utile per presentare la domanda (il 68°) è festivo, il termine è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, ai sensi dell’articolo 2963 del codice civile.
L’indennità di mobilità decorre:

  • dall’ 8° giorno dal licenziamento se la domanda è stata presentata entro i primi 7 giorni;
  • dal 5° giorno successivo alla presentazione della domanda, negli altri casi.

Se al lavoratore è pagata l’indennità sostitutiva del preavviso, l’indennità di mobilità decorre dall’ottavo giorno successivo alla scadenza del periodo corrispondente al mancato preavviso.
Poiché la reintegrazione in servizio del lavoratore collocato in mobilità disposta in via cautelare dà luogo a una prosecuzione del rapporto di lavoro di natura provvisoria, e non determina la ricostruzione del rapporto di lavoro, in caso di revoca di tale provvedimento il lavoratore ha il diritto di fruire del trattamento di mobilità per il periodo successivo al licenziamento, con sospensione dello stesso per il periodo di effettiva reintegrazione, senza che sia necessaria una specifica domanda di ripristino della prestazione a carico dell’Inps.

 

Il ricorso

Nel caso in cui la domanda sia respinta l’interessato può presentare ricorso, in carta libera, al Comitato Provinciale dell’Inps, entro 90 giorni dalla data di ricezione della lettera con la quale si comunica il rifiuto.
Il ricorso, indirizzato al Comitato Provinciale, può essere:

  • presentato agli sportelli della Sede dell’Inps che ha respinto la domanda;
  • inviato alla Sede dell’Inps per posta con raccomandata con ricevuta di ritorno;
  • presentato tramite uno degli Enti di Patronato riconosciuti dalla legge.

 

 

L’importo

  • Per i primi 12 mesi: 100% del trattamento di Cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento, nei limiti di un importo massimo mensile.
  • Per i periodi successivi: 80% del predetto importo.

In ogni caso l’indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno, importo che dal 1° gennaio 2015 è di € 971,71 lordi mensili (netto € 914,96), elevato a € 1.167,91 lordi mensili (netto € 1.099,70) per i lavoratori che possano far valere una retribuzione lorda mensile superiore a € 2.102,24.
Per gli importi degli altri anni si veda il sito Inps

 

Pagamento

L’indennità di mobilità viene corrisposta dall’Inps con periodicità mensile tramite assegno bancario ovvero con accredito su conto corrente bancario o postale.
La legge tuttavia dispone che in alcuni casi, con modalità e condizioni determinate da apposito decreto del Ministero del Lavoro si possa ottenere il pagamento anticipato delle indennità di mobilità ancora da godere.
Il lavoratore può farne richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa.
Tuttavia il lavoratore che trovi un’occupazione nel settore pubblico o privato entro 24 mesi dal pagamento in un’unica soluzione deve restituire l’intero importo percepito.
L’indennità si prescrive per i ratei posti in pagamento e non riscossi nel termine di 60 giorni da quello fissato per il pagamento e portato a conoscenza dell’interessato.

 

Ritenute

Solo per i primi 12 mesi di fruizione, sull’importo dell’indennità di mobilità, sarà calcolata, direttamente dall’Inps, la ritenuta previdenziale del 5,84%.
Nulla sugli eventuali periodi successivi. Per quanto riguarda le ritenute fiscali il lavoratore dovrà fare il conguaglio con la dichiarazione dei redditi.

 

Anticipazione dell’indennità di mobilità

L’art. 7, comma 5, della Legge 223/1991 prevede che i lavoratori in mobilità che intendano intraprendere un’attività autonoma ovvero intendano associarsi in cooperativa possano richiedere la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, detraendo il numero di mensilità già percepite.
La ratio di questa disposizione è quella di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine precipuo di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato, così perdendo la sua connotazione di tipica di prestazione di sicurezza sociale, e configurandosi non già come funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio.
Ne consegue che l’indennità non deve necessariamente essere richiesta prima dell’inizio dell’attività che si intende esercitare (non ravvisandosi nella legge una precisa indicazione in tal senso), ma può anche essere richiesta dopo aver intrapreso la suddetta attività autonoma. (Cass. 28/1/2004 n. 1587, Pres. Dell’Anno Rel. La Terza , in Dir. e prat. lav. 2004, 1556).
Ai fini del riconoscimento dell’anticipazione dell’indennità di mobilità ex art. 7, 5° comma, Legge 223/1991, tenuto conto della necessità di svolgimento di attività preparatorie e propedeutiche all’avvio della nuova attività di lavoro autonomo anche al fine di presentare ex art. 1 DM 142/93 la richiesta documentazione comprovante l’assunzione di iniziative finalizzate all’avvio di tale attività e considerata l’assenza di un termine di legge per la presentazione della relativa domanda di anticipazione, l’eventuale presentazione di tale domanda dopo l’inizio dell’attività e comunque il mancato rispetto del termine fissato dall’Inps con circolare 32/2000 non comportano decadenza dal diritto all’anticipazione. (Corte d’Appello Milano 3/9/2002, Pres. Mannacio Est. Ruiz,, in D&L 2002, 1052)
La dizione dell’art. 7, comma 5, Legge 223/1991 sembra richiedere che l’attività-per la quale il lavoratore in mobilità può ottenere la corresponsione anticipata della relativa indennità-debba essere nuova ed è evidente che la ratio della norma sia quella di finanziare le nuove attività del personale in mobilità e non il risanamento o la ricapitalizzazione di attività già esistenti.
Tuttavia il termine di 30 giorni dall’inizio dell’attività stabilito con norma regolamentare dall’Inps per la presentazione dell’istanza non appare congruo, se l’attività dalla quale si fa decorrere il termine non è quella effettivamente produttiva bensì quella meramente preparatoria estrinsecatasi nella apertura della partita IVA, nella iscrizione alle gestioni previdenziali nella sottoscrizione di contratti di associazione, di agenzia, collaborazione o affiliazione. (Trib. Milano 7/6/2002, Est. Peragallo, in Lav. nella giur. 2003, 389)

 

Sospensione dell’indennità di mobilità

Al verificarsi di determinati eventi è possibile la sospensione dell’indennità di mobilità, regolata dall’art. 8, c. 6 e 7 Legge 223/1991.
In questo caso le giornate di sospensione sono considerate “neutre” ai fini della determinazione della durata massima dell’indennità stessa.
In caso di:

  • assunzione a termine (per non più di 12 mesi) vi è la sospensione dell’indennità, con mantenimento dell’iscrizione nelle liste di mobilità;
  • periodo di prova per rapporti di lavoro a tempo indeterminato, vi è la sospensione dell’indennità senza la decadenza;
  • inidoneità del lavoratore avviato al lavoro, vi è la sospensione dell’indennità di mobilità; il lavoratore viene quindi reiscritto nelle liste di mobilità purché conservi una residua capacità lavorativa;
  • ripresa del lavoro a seguito di ordinanza o sentenza di reintegrazione, vi è la sospensione dell’indennità di mobilità per il tempo trascorso dalla reintegrazione alla perdita del titolo della stessa (sia per riforma della sentenza, sia per rinuncia del lavoratore).

 

 

La cancellazione dalle liste di mobilità

L’art. 8, comma sesto, della Legge 223/1991, attribuisce al lavoratore iscritto nelle liste di mobilità la facoltà di svolgere lavoro subordinato a tempo parziale, ovvero a tempo determinato, mantenendo l’iscrizione nella lista.
La cancellazione dalle liste di mobilità, con la conseguente perdita della relativa indennità, è invece prevista nelle seguenti ipotesi (art. 9, commi 1 e 6 della Legge 223/1991):

  • nel caso in cui si rifiuti di essere avviato a un corso di formazione professionale autorizzato dalla Regione o non lo frequenti regolarmente;
  • nel caso in cui non accetti un’offerta di lavoro che sia professionalmente equivalente ovvero che preveda l’inquadramento in un livello retributivo non inferiore del 10% rispetto a quello delle mansioni di provenienza;
  • nel caso in cui, in assenza di un lavoro avente le caratteristiche di cui al punto precedente, non accetti di essere impiegato in opere o servizi di pubblica utilità;
  • nel caso in cui non provveda a comunicare all’INPS, entro 5 giorni dall’assunzione, di aver iniziato a svolgere un’attività di lavoro subordinato a tempo parziale ovvero a tempo determinato;
  • non risponda, senza giustificato motivo, alla convocazione da parte degli Uffici circoscrizionali o della Agenzia per l’impiego ai fini degli adempimenti previsti dai punti precedenti;
  • nel caso in cui venga assunto con contratto a tempo pieno e indeterminato;
  • nel caso in cui si avvalga della facoltà di percepire in un’unica soluzione l’indennità di mobilità;
  • nel caso in cui scada il periodo di godimento dei trattamenti di mobilità.
  • nel caso in cui abbia presentato domanda di pensione di anzianità o abbia maturato il diritto alla pensione di vecchiaia.

 

 

Casi di non decadenza del trattamento di mobilità

Il lavoratore subordinato assunto a “part-time”, che svolga contestualmente attività di lavoro autonomo, può continuare a godere dell’indennità di mobilità.
Ciò in quanto la legge non contempla un’ipotesi di incompatibilità analoga a quella riguardante l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, ed anzi consente la elargizione anticipata di tale indennità, in un’unica soluzione, ai lavoratori che intendano “intraprendere” un’attività di lavoro autonomo (art. 7, quinto comma, Legge 223/1991), alla quale possibilità devono intendersi ammessi – per coerenza con la finalità della legge di favorire l’occupazione – non solo i lavoratori che vogliano dare inizio, per la prima volta, ad una attività autonoma dopo il licenziamento, ma anche coloro che tale attività proseguano per averla già svolta, non a tempo pieno, durante il cessato rapporto di lavoro subordinato (Cass. 21/4/01, n. 5951, pres. Amirante, est. Prestipino, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 399).
Il diritto alla corresponsione dell’indennità di mobilità ex art. 7 Legge 223/1991 sussiste anche nel caso in cui i lavoratori in mobilità diano vita a una società di capitali, obbligandosi a effettuare prestazioni accessorie di lavoro ex art. 2345 c.c., non configurandosi per questa via la nascita di un rapporto di lavoro subordinato (Trib. Parma 28/7/99 (ord.), est. Brusati, in D&L 1999, 951).
Il lavoratore, beneficiario del trattamento di mobilità previsto dall’art. 7, 1° comma, Legge 223/1991, che intraprende attività di lavoro autonomo senza aver preventivamente richiesto l’anticipazione dell’intera indennità ai sensi dell’art. 7, 5° comma, stessa legge, non decade da tale trattamento.
Una simile decadenza, infatti, non essendo espressamente contemplata tra le ipotesi disciplinate dalla Legge 223/1991, non può derivare dall’art. 52 RD 2270/24 in materia di decadenza dal trattamento di disoccupazione involontaria, essendo tale normativa inapplicabile alle fattispecie già compiutamente disciplinate dalla L. 23/7/91 n. 223 (Pret. Milano 13/1/98, est. Cecconi, in D&L 1998, 448, n. MARINO, Indennità di mobilità e attività di lavoro autonomo).
La lavoratrice che, a seguito di licenziamento collettivo, sia posta in mobilità può, ex 2° comma art. 9, Legge 223/1991, giustificatamente dimettersi dal nuovo impiego offertole senza decadere dal diritto all’indennità di mobilità, qualora il tempo per raggiungere con i mezzi pubblici il luogo di lavoro dalla residenza della lavoratrice sia superiore all’arco di un’ora (Trib. Milano 15/3//97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 541, nota Summa).
Il lavoratore in mobilità, che rifiuta l’offerta di lavoro a termine, non incorre nell’ipotesi prevista dall’art. 9, 1° comma, L.23/7/91 n.233, che sanziona con la cancellazione dalla lista di mobilità e dalla percezione della relativa indennità esclusivamente il lavoratore che rifiuta un contratto a tempo pieno e indeterminato (Pret. Milano 5/11/96, est. Ianniello, in D&L 1997, 296)
Ha diritto all’indennità di mobilità il lavoratore che, dopo essere stato collocato in mobilità ed essere stato provvisoriamente reintegrato in servizio ex art. 700 c.p.c., accetti, in via transattiva, la collocazione in mobilità disposta nei suoi confronti, con decorrenza dalla data della transazione (Pret. Milano 3/3/97, est. Ianniello, in D&L 1997, 540).

 

I contributi figurativi

Durante tutto il periodo in cui il lavoratore percepisce l’indennità di mobilità, matura la contribuzione figurativa, sia ai fini della pensione di anzianità che ai fini della pensione di vecchiaia.
La contribuzione sarà calcolata sulla retribuzione che il lavoratore ha (o avrebbe in caso di CIGS) percepito nel mese immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro (non sulla base dell’indennità di mobilità).
Per periodi superiori all’anno, se continuativi, le retribuzioni accreditate figurativamente devono essere rivalutate in base agli indici Istat di variazione delle retribuzioni contrattuali.
Per gli stessi periodi, se non continuativi, la retribuzione computabile va rivalutata in base agli indici Istat dei prezzi del consumo.

 

Assegno per il nucleo familiare

L’articolo 7, comma 10, della Legge 223/1991, stabilisce che per i periodi di percezione dell’indennità di mobilità spetta l’assegno per il nucleo familiare.
I lavoratori che ritengano di avere i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni, debbono presentare specifica domanda alla Sede dell’INPS competente a definire la domanda di mobilità.
Tale domanda può essere presentata contestualmente alla presentazione del modulo DS 21 o anche successivamente.

 

Maternità e astensione obbligatoria

Qualora la lavoratrice si trovi, all’inizio dell’astensione obbligatoria o durante il periodo di interdizione dal lavoro disposto dall’Ispettorato del Lavoro, in godimento dell’indennità di mobilità, quest’ultima sarà sostituita dall’indennità di maternità.
Tuttavia non si darà luogo a un prolungamento del trattamento economico di mobilità al termine dei periodi stabiliti dalla legge.
Non sarà computato il periodo di astensione obbligatoria ai fini della permanenza nelle liste di mobilità, cioè la sola iscrizione slitterà dei mesi relativi all’astensione obbligatoria.
Infine la lavoratrice durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità può rifiutare senza perdere alcun diritto, eventuali offerte di lavoro, in opere o servizi di pubblica utilità o l’avviamento a corsi di formazione professionale.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di Procedura di mobilità

Si veda la sezione specifica della voce Licenziamento collettivo