Inquadramento

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Questa voce è stata curata da Andrea Ranfagni

 

Definizione

L’inquadramento è quel complesso procedimento concettuale che sulla base dei tre “nomina” categoria, qualifica e mansione, richiamanti principi di tipicità sociale più che giuridica, consente alle principali fonti del diritto del lavoro (legge e contratto collettivo) di classificare, quindi “inquadrare”, il personale dipendente, e, soprattutto il diverso trattamento economico e normativo ad esso applicabile, a seconda del ruolo ricoperto nell’organizzazione del lavoro dell’impresa.

 

Normativa

  • Art. 2095 c.c.
  • Legge n. 190/1985
  • R.D.L. n. 1825/1924
  • Art. 2103 c.c.
  • Art. 36, Costituzione
  • Art. 2094 c.c.

 

 

Scheda di approfondimento

L’inquadramento attiene direttamente a quella che è la prestazione di lavoro, quindi l’oggetto della principale obbligazione del lavoratore nell’ambito del contratto di lavoro ex art. 2094 c.c.

La prestazione di lavoro è dedotta nel contratto facendo riferimento a dei nomina, che, come detto, si richiamano a principi di tipicità sociale più che giuridica. Trovano cioè direttamente nella società e, più specificatamente nel mercato del lavoro, il loro significato e la loro derivazione.
In estrema sintesi, i compiti concreti del lavoratore, fissati in termini di mansioni regolate legislativamente dall’art. 2103 c.c., vengono di solito riportati ad espressioni riassuntive, rappresentate dalle qualifiche (ad es. operaio specializzato, elettricista, capo contabile, etc.), dopo di che si procede alla vera e propria operazione di inquadramento, che si sviluppa su due livelli: legge e contratto collettivo.
Le categorie costituiscono, invece, l’apice dell’inquadramento, quindi il criterio più ampio di classificazione, tale da inglobare al proprio interno i due “sotto-insiemi” delle mansioni e delle qualifiche.

La necessità di effettuare dette distinzioni e dette classificazioni tra il personale dipendente presente all’interno dell’organizzazione d’impresa, deriva fondamentalmente dalla necessità di commisurare il trattamento spettante a ciascun lavoratore all’apporto del medesimo in termini qualitativi, secondo le linee segnate dal principio di corrispettività di cui all’art. 36 Costituzione.
In sostanza, dunque, l’inquadramento esprime il diverso “valore” di ciascuna prestazione di lavoro.

 

Inquadramento legale

Il primo livello di inquadramento è dunque quello di tipo legale, effettuato cioè direttamente dalla legge.
La disposizione in questione è rappresentata dall’art. 2095 c.c., il quale si occupa direttamente di categorie, individuandone quattro:

  • dirigenti,
  • quadri,
  • impiegati,
  • operai.

L’art. 2095 c.c. non definisce però tali categorie, rinviando direttamente ad una legge speciale e ai contratti collettivi il compito di determinare i requisiti di esse, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell’impresa.
E’ dunque in leggi speciali e nella contrattazione collettiva che bisogna trovare il significato delle espressioni: dirigenti, quadri, impiegati, operai.
In realtà tali distinzioni si stanno con il tempo sempre più assottigliando nel mercato del lavoro, soprattutto per ciò che concerne la distinzione operai/impiegati.


Il dirigente è definito dalla contrattazione collettiva, è quindi necessario andare a vedere ciascun contratto collettivo cosa dice a riguardo.
In estrema sintesi, possiamo dire che esso si caratterizzi per essere investito di competenze e responsabilità decisionali nei confronti dell’azienda o di un ramo autonomo di essa.
Proprio in ragione di tale particolare posizione nell’organizzazione d’impresa, che lo porta a godere di una certa autonomia, pur rimanendo un dipendente, esso è soggetto a particolari trattamenti normativi ed economici, ampiamente derogatori rispetto a quelli che valgono per le altre categorie di lavoratori dipendenti.

Il quadro è, invece, una categoria che riceve una disciplina direttamente dalla legge, in particolare, dalla L. n. 190/1985, la quale ha modificato l’art. 2095 c.c., aggiungendo tale categoria.
L’art. 2, comma 1, definisce poi tale categoria come “i prestatori di lavoro subordinato che, pur non essendo dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obbiettivi dell’impresa”.
Si evince da tale definizione come il quadro in sostanza si ponga a metà strada tra il dirigente e la categoria immediatamente inferiore nell’organizzazione d’impresa, che è l’impiegato.
Anche questa disposizione, peraltro, come già l’art. 2095 c.c., 2° comma, rinvia alla contrattazione collettiva l’individuazione dei requisiti per poter esser considerati quadri, “in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa”.
Mentre nel settore privato la figura del quadro è dunque presente, nel Pubblico Impiego essa è invece assente.
Per far fonte a tale carenza e per rispondere comunque all’esigenza di creare all’interno dell’organico della Pubblica Amministrazione figure inferiori a quelle della dirigenza (soprattutto per arginare tentazioni di massicci passaggi a posizioni dirigenziali), ma con incarichi a termine e specificamente retribuiti, per lo svolgimento di posizioni di particolare valore e contenuto gerarchico, professionale, di staff, è stata data l’opportunità a tutti i CCNL di Comparto di individuare la cosiddetta Posizione Organizzativa (PO).

L’impiegato rappresenta la categoria più antica, fra quelle riconosciute dalla legge. E’ dunque, come il quadro, definito in parte dalla legge.
In particolare, il R.D.L. n. 1825/1924 definisce il contratto di impiego privato come il contratto “per il quale una società o un privato, gestori di un’azienda, assumono al servizio dell’azienda stessa, normalmente a tempo indeterminato, l’attività professionale dell’altro contraente, con funzioni di collaborazione tanto di concetto che di ordine, eccettuata pertanto, ogni prestazione che sia semplicemente di mano d’opera”.
Emerge da tale definizione come le tre caratteristiche principali dell’impiegato siano la collaborazione, la professionalità e, soprattutto, la non manualità.
Ai fini della sua vera identificazione e differenziazione, soprattutto rispetto all’operaio, il vero requisito dell’impiegato è comunque la “non manualità”, visto che la “collaborazione” è tipica di tutti i lavoratori subordinati e la “professionalità” un attributo estendibile oggi anche agli operai.

L’operaio è, come il dirigente e diversamente dal quadro e dall’impiegato, completamente definito dai contratti collettivi.
Il principale requisito dell’operaio rimane la “manualità”, essa è infatti rinvenibile solo in tale categoria.

 

Inquadramento contrattuale

Il contratto collettivo assolve la funzione di classificazione del personale attraverso un sistema di inquadramento finalizzato a classificare i lavoratori, a seconda dei ruoli professionali, in sette o otto livelli.
Gli unici contratti che prevedono meno livelli sono il CCNL per il settore bancario o il CCNL dei comparti pubblici, in tre o quattro aree professionali.
Di ciascun livello viene offerta una declaratoria generale, nel cui ambito si colloca, in primo luogo, l’indicazione esemplificativa di qualifiche professionali, che costituiscono un’espressione sintetica dell’insieme di mansioni riconducibili ad un ruolo (ad es. elettricista).; in secondo luogo, l’elencazione in dettaglio delle attività lavorative riconducibili a quella qualifica e, a monte, a quella declaratoria.
Attraverso questo sistema si è in grado di attribuire al lavoratore un certo livello di inquadramento e quindi un corrispondente trattamento retributivo.

La giurisprudenza, a proposito dell’inquadramento contrattuale, ha affermato un principio oramai unanime (Cass. n. 12632/2003) in base al quale il criterio di individuazione delle qualifiche e di collegamento ad esse dei compiti espletati dai lavoratori è “insindacabile” da parte del giudice, il quale, dunque, non potrà mai valutare l’opportunità e l’adeguatezza di una certa declaratoria.
Il giudice deve prendere come opportuna e adeguata tale declaratoria e utilizzare essa solo come un parametro oggettivo per valutare se vi è stata una violazione dell’art. 2103 c.c. .

La giurisprudenza ha poi affermato che il procedimento di valutazione delle mansioni ai fini del corretto inquadramento del lavoratore è di carattere “sussuntivo”.
Tale procedimento ha ad oggetto la ricognizione delle mansioni effettivamente svolte, dovendosi escludere che possa rilevare, ai fini dell’acquisizione della qualifica superiore, la circostanza che ad altri lavoratori, nelle medesime condizioni sia riconosciuto l’inquadramento superiore (Cass. 8064/2004).
Ben può il datore di lavoro riconoscere a un certo dipendente un inquadramento superiore rispetto alla mansioni svolte, a titolo “convenzionale”, al solo scopo di assicurargli un trattamento economico-normativo più favorevole.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di inquadramento

Per la casistica riferita a problemi di inquadramento, si veda la voce Mansioni