Malati oncologici

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Questa voce è stata curata da Simone Perego

 

Generalità

Le persone in età lavorativa afflitte da patologie oncologiche sono tutelate dal nostro ordinamento.
Può infatti accadere che, a causa della malattia e delle terapie antitumorali, le capacità lavorative del malato vengano (notevolmente o sensibilmente) ridotte.
Per tale ragione al malato riconosciuto invalido e/o portatore di handicap grave, l’ordinamento riconosce strumenti e diritti che, da un lato, possono agevolare il suo inserimento nel mondo del lavoro e, dall’altro, permettono al malato (e ai suoi familiari) di conciliare il lavoro con le esigenze di cura della malattia.

Collocamento obbligatorio

L’art. 3 della L. n. 68 del 1999 prevede l’obbligo per i datori di lavoro pubblici e privati di avere alle proprie dipendenze un determinato numero (proporzionale alle dimensioni dell’impresa o dell’ente) di persone con invalidità superiore al 45%, iscritti nelle liste speciali del collocamento obbligatorio. Pertanto, anche i malati oncologici, cui è stata riconosciuta un’invalidità superiore al 45%, hanno diritto ad essere assunti obbligatoriamente ai sensi di tale norma.

Per approfondimenti, vedi la voce Collocamento obbligatorio.

Scelta della sede di lavoro e trasferimento

Il lavoratore malato di cancro riconosciuto portatore di handicap grave ha diritto, ove possibile, di essere trasferito alla sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso (art. 33, comma 6, L. n. 104 del 1992). Analogo diritto di essere trasferito alla sede più vicina al domicilio della persona assistita è riconosciuto al lavoratore che assista un familiare malato in stato di handicap grave (art 33, comma 5, L. n. 104 del 1992).

Mutamento delle mansioni

A norma dell’art. 10 della L. n. 68 del 1999, il malato oncologico, cui è stata riconosciuta un’invalidità superiore al 45%, ha il diritto di essere assegnato a mansioni adeguate alla sua capacità lavorativa. Se le sue condizioni di salute si aggravano con conseguente riduzione delle capacità di lavoro, ha diritto di essere assegnato a mansioni equivalenti o anche inferiori, mantenendo in ogni caso il trattamento economico corrispondente alle mansioni di provenienza. Il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del malato oncologico per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda.

Lavoro notturno

Il lavoratore malato di cancro può chiedere di essere esonerato dallo svolgimento del lavoro in orario notturno, presentando al datore di lavoro un certificato attestante la sua inidoneità a tali mansioni.
Il lavoratore già addetto a un turno notturno che diventi inidoneo a tali mansioni per il peggioramento delle sue condizioni di salute ha il diritto di essere assegnato a mansioni equivalenti in orario diurno, purché esistenti e disponibili.
Anche il lavoratore che abbia a proprio carico una persona in stato di handicap grave ha diritto di essere esonerato dal lavoro notturno (sulla disciplina del lavoro notturno, v. art. 53 D.Lgs. 151/2001; artt. 11 e 15 D.Lgs. 66/2003; art. 41 D.Lgs. 81/2008).

Per approfondimenti, vedi la voce Lavoro notturno.

Forme di lavoro flessibile

Il lavoratore malato di cancro può usufruire di forme di flessibilità per conciliare i tempi di cura con il lavoro, come ad esempio il tempo parziale, il lavoro agile (smart working) o il telelavoro.
Il lavoratore ha diritto ad ottenere la trasformazione dell’orario di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, conservando il diritto a tornare al tempo pieno quando le condizioni di salute lo permettano. I familiari del malato che lavorano hanno la priorità rispetto agli altri lavoratori nel chiedere il passaggio dal tempo pieno al tempo parziale per prendersi cura del congiunto (art. 8 D.Lgs. 81/2015).
Il telelavoro è una modalità di prestare il lavoro in un luogo diverso dai locali aziendali; consente quindi al lavoratore malato di continuare a lavorare anche durante le terapie, ma senza recarsi in ufficio. La richiesta di telelavoro, se accolta dal datore di lavoro, va formalizzata in un accordo scritto nel quale vanno indicati, tra le altre cose, le attività da espletare e le modalità di svolgimento (sulla disciplina del lavoro agile v. L. 81/2017).

Per approfondimenti, vedi le voci Lavoro a tempo parziale e Lavoro agile.

Assenze durante la malattia

Il lavoratore che non sia in grado di rendere la prestazione a causa della malattia ha diritto di assentarsi, conservando il posto di lavoro per un periodo cosiddetto di comporto, garantito dalla legge (art. 2110 codice civile) e disciplinato nel dettaglio dalla contrattazione collettiva. Il datore di lavoro ha il diritto di recedere dal contratto solo dopo il superamento di detto periodo.
Il lavoratore assente a causa della malattia ha l’obbligo di rendersi reperibile al domicilio comunicato per il caso in cui il datore di lavoro o l’INPS richiedano una visita di controllo. Le fasce di reperibilità sono le seguenti:

  • dipendenti pubblici: dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00 di tutti i giorni, inclusi domenica e festivi;
  • dipendenti privati: dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00 di tutti i giorni, inclusi domenica e festivi.

In caso di assenza alla visita fiscale, il medico lascia nella cassetta postale un avviso con il quale convoca il lavoratore alla visita fiscale presso una struttura pubblica. La mancata e ingiustificata presentazione alla visita determina la perdita totale o parziale dell’indennità di malattia e l’adozione da parte del datore di lavoro di sanzioni disciplinari che, nei casi più gravi, possono arrivare fino al licenziamento per giusta causa.
In caso di patologie che richiedano terapie salvavita (tra cui le cure chemioterapiche) è prevista l’esclusione dall’obbligo delle rispetto delle fasce di reperibilità per la possibile visita fiscale, che potrà essere eseguita previo accordo con il lavoratore.
I contratti collettivi spesso prevedono la possibilità di conservare il posto di lavoro anche nei casi in cui l’assenza per malattia determini il superamento del periodo di comporto, consentendo al lavoratore di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita, le cui modalità di concessione e durata variano in funzione del contratto collettivo di riferimento. Alcuni contratti collettivi (soprattutto quelli del pubblico impiego) escludono dal computo del periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o di trattamento in day hospital, quelli per sottoporsi a terapie salvavita oltre che i giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali delle terapie.

Per approfondimenti, vedi le voci:

 

Permessi e congedi lavorativi

I lavoratori riconosciuti invalidi o con handicap grave e i familiari che li assistono hanno diritto ad usufruire dei seguenti permessi e congedi dal lavoro:

  • permessi lavorativi: ottenuto il riconoscimento dello stato di handicap grave, sia il lavoratore con disabilità sia il familiare che lo assiste possono usufruire dei seguenti permessi retribuiti: per il lavoratore con disabilità, 3 giorni mensili o (in alternativa) 2 ore giornaliere (1 se l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore) – art. 33, comma 6, L. n. 104 del 1992; per il familiare, 3 giorni mensili a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo casi eccezionali (art. 33, comma 3, L. n. 104 del 1992);
  • congedo retribuito per cure: in caso di riconoscimento di un’invalidità superiore al 50%, il lavoratore malato ha diritto a 30 giorni all’anno, anche non continuativi, di congedo retribuito per cure mediche connesse con lo stato di invalidità; i giorni di congedo per cure non vanno computati ai fini del periodo di comporto (art. 7 D.Lgs. 119/2011);
  • congedo straordinario biennale retribuito: il lavoratore che assiste un familiare con disabilità in situazione di gravità ha diritto ad un periodo di congedo straordinario retribuito, continuativo o frazionato, per la durata massima di due anni nell’arco della vita lavorativa (art. 42, comma 5 e seguenti, D.Lgs. 151/2001);
  • congedo biennale non retribuito per gravi motivi familiari: il lavoratore ha diritto a un periodo di congedo di due anni, continuativo o frazionato, per gravi e documentati motivi familiari (decesso, malattie gravi di familiari). Il congedo garantisce la conservazione del posto di lavoro ma non dà diritto alla retribuzione (art. 4, comma 2, L. n. 53 del 2000).

Per approfondimenti, vedi le voci:

 

A chi rivolgersi

  • Istituto di patronato (ad esempio INCA-Cgil)
  • Sede territoriale Inps
  • Ufficio vertenze sindacali
  • Studio legale esperto in diritto del lavoro

Riferimenti normativi

  • Art. 2110 c.c.
  • L. n. 104/1992
  • L. n. 68/1999
  • L. n. 53/2000
  • L. n. 81/2017
  • D.Lgs. n. 151/2001
  • D.Lgs. n. 66/2003
  • D.Lgs. n. 81/2008
  • D.Lgs. 119/2011
  • D.Lgs. n. 81/2015