Contratto a progetto

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Scheda sintetica

Il 25 giugno 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 81/2015, in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in materia di mansioni, attuativo della legge delega n. 183/2014 (c.d. Jobs Act), che ha disposto l’abrogazione di tutte le norme che disciplinano il contratto di lavoro a progetto . Per espressa indicazione del legislatore, tali norme (vale a dire gli articoli da 61 a 69 bis del decreto legislativo n. 276/2003), che saranno illustrate nella presente scheda, continueranno ad applicarsi esclusivamente ai contratti a progetto già in atto alla data di entrata in vigore della riforma.

In base alla disciplina abrogata dal d.lgs. 81/2015, il contratto di collaborazione a progetto poteva essere sottoscritto fra le parti in tutti i casi in cui era reale e manifesta la volontà:

  • da parte del datore di lavoro di reclutare personale da adibire ad attività di collaborazione coordinata e continuativa
  • da parte del lavoratore di prestare la propria attività con modalità non di lavoro subordinato.


Era importante, quindi, che il contratto fosse effettivamente riconducibile all’area del lavoro cd. parasubordinato e non nascondesse un normale contratto di lavoro dipendente (subordinato), dal quale si distingueva in maniera sostanziale in relazione ad alcuni indicatori.
Se il lavoro a progetto nascondeva un rapporto di dipendenza, il lavoratore poteva porre in atto una azione di tutela in sede giudiziaria.
La legge prevedeva che il contratto a progetto dovesse contenere alcuni elementi formali e dovesse essere redatto in forma scritta, senza la quale vi era la trasformazione in rapporto di lavoro subordinato. Inoltre l’eventuale previsione di un periodo di prova era da considerarsi illegittima.
Il contratto doveva altresì riportare il riferimento all’oggetto del progetto e alle sue fasi di realizzazione e, secondo quanto previsto dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, doveva indicare il risultato finale che si intendeva conseguire.
Tale obbligo formale era ricollegato a determinate conseguenze che sono illustrate nella scheda di approfondimento.
E’ importante considerare che, in relazione all’obbligo di riconduzione del contratto al progetto o a fasi di esso, era esclusa la possibilità che al lavoratore venisse imposto di svolgere mansioni estranee a quelle previste dal progetto.
Inoltre il corrispettivo economico doveva essere definito in maniera congrua, facendo riferimento a specifici indicatori, modificati dal legislatore attraverso la legge 92/2012.
Prima dell’entrata in vigore della legge 92/2012, la legge prevedeva che il contratto si risolvesse automaticamente alla scadenza indicata; il contratto poteva quindi essere interrotto prima della scadenza solo in presenza di motivazioni particolarmente gravi, al di fuori delle quali potrebbe essere previsto un risarcimento a carico della parte che determina l’interruzione.
A seguito della riforma del 2012, invece, ciascuna delle due parti poteva recedere dal rapporto prima della scadenza solo in presenza di una giusta causa. Erano inoltre previste due ipotesi specifiche di recesso, rispettivamente a favore del committente (inidoneità professionale del collaboratore tale da rendere impossibile la realizzazione del progetto) e del collaboratore (che poteva recedere, salvo preavviso, quando tale facoltà era prevista dal contratto individuale).
Per i lavoratori a progetto erano previste forme di tutela in caso di malattia o maternità.
Il lavoratore a progetto, come qualsiasi altro lavoratore, era sottoposto all’obbligo di riservatezza e fedeltà.
Trattandosi di una prestazione di lavoro parasubordinato, come tale riconducibile all’area del lavoro autonomo, la legge stabiliva limitazioni al potere direttivo e di coordinamento del datore di lavoro.
La normativa sul contratto a progetto indicava specificamente come questa non si applicasse ad alcune categorie di collaboratori (vedi infra).

 

Fonti normative

  • Decreto Legislativo 276/2003
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99
  • Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in materia di mansioni

 

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale esperto in diritto del lavoro

 

 

Documenti necessari

  • Copia del/dei contratti a progetto
  • Ultima busta paga
  • Nel caso in cui con la stessa azienda fosse intercorso in precedenza un altro rapporto di lavoro portare anche tutta la documentazione relativa a quel rapporto.

 

 

Scheda di approfondimento

Il decreto legislativo 276/2003 ha apportato significative novità ai rapporti di lavoro non subordinati, che prima si chiamavano Co.Co.Co. (cd. lavoro parasubordinato). Tale disciplina è stata successivamente modificata dalla legge di riforma del mercato del lavoro del 2012, che ha trovato applicazione nei confronti dei contratti di collaborazione stipulati dopo il 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della stessa.
Come è noto, questa tipologia di rapporto riguarda una moltitudine di lavoratori, solitamente inseriti di fatto nell’organizzazione aziendale ma formalmente non riconosciuti come subordinati e, quindi, privi delle garanzie tipiche di questo tipo di rapporto di lavoro.
Ciò che essenzialmente caratterizza questo tipo di rapporto è uno specifico progetto (o, per i soli contratti sottoscritti prima del 18/07/2012, un programma di lavoro, o anche solo una fase di esso) assegnato al collaboratore con il compito di realizzarlo.
Il rapporto è gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività.
Quanto si è detto non trova applicazione nei confronti delle prestazioni occasionali, anch’esse abrogate dal decreto legislativo n. 81/2015, ossia quei rapporti di lavoro con una durata complessiva non superiore a 30 giorni nell’anno solare con lo stesso committente, e il cui compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare non può superare i 5.000,00 euro, pena la automatica riconduzione del rapporto al lavoro a progetto.
Inoltre, l’istituto di cui si parla non trova applicazione nei confronti delle professioni intellettuali per le quali sia necessaria l’iscrizione all’albo.
Il contratto deve essere stipulato in forma scritta – il D.L. 76/2013, eliminando la locuzione “ai fini della prova” originariamente contenuta nel corpo dell’art. 62 del D.Lgs. 276/2003, ha definitivamente chiarito che la forma scritta costituisce elemento di legittimità del contratto (c.d. forma scritta ad substantiam) – e deve contenere:

  • l’indicazione della durata (determinata o determinabile) della prestazione
  • la descrizione del progetto con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intendeva proseguire;
  • il corrispettivo e i criteri della sua individuazione (tempi e modalità di pagamento)
  • le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione della prestazione lavorativa
  • eventuali misure per tutela della salute e della sicurezza del collaboratore.

I contratti di lavoro a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto. Alle parti è in ogni caso riconosciuta la facoltà di recedere prima del termine per giusta causa.
La riforma del 2012 ha inoltre previsto che:

  1. il committente può recedere in presenza di oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto;
  2. il collaboratore può recedere, dandone preavviso, quando tale facoltà è prevista dal contratto individuale di lavoro.

Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito. La legge 92/2012 ha modificato anche questo aspetto della normativa: mentre in precedenza il compenso doveva tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto, la riforma ha invece stabilito che esso non può essere inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva in modo specifico per ciascun settore di attività e in ogni caso ai minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. Peraltro, lo stesso legislatore, nel 2012, ha precisato che, in assenza di specifica contrattazione collettiva, il compenso del collaboratore a progetto non può essere inferiore alle retribuzioni applicate a figure professionali affini.
Nel caso di invenzione realizzata nello svolgimento del rapporto lavorativo, il lavoratore a progetto ha il diritto di essere riconosciuto autore (con rinvio alle leggi speciali in materia per la regolamentazione dei diritti e degli obblighi delle parti). In caso di gravidanza, di malattia e di infortunio del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, negli altri due casi, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile.
Il collaboratore a progetto, salvo diverso accordo tra le parti, può svolgere la sua attività a favore di più committenti, non in concorrenza tra loro.
Inoltre, il collaboratore non può diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione, nonché compiere atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.
L’art. 69, 1° comma, del D.Lgs. 276/2003 prevede che, sia in caso di assenza del progetto o del programma di lavoro, sia in caso di loro formulazione generica, la conseguenza, che dovrà essere dichiarata dal Giudice del lavoro, è la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di stipulazione del contratto.
Tale conclusione è stata confermata dalla legge 92/2012, che stabilisce espressamente che la norma in esame si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Cosa fare se il contratto a progetto maschera un lavoro subordinato

Ogni volta che le concrete modalità di svolgimento di un rapporto formalmente a progetto sono riconducibili al lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto, nel corso o all’esito del rapporto di lavoro, di richiedere l’accertamento giudiziale dell’effettiva natura del rapporto stesso; a fronte di una simile richiesta il Giudice del lavoro, non essendo vincolato dal contenuto letterale dell’accordo, può esaminare quali siano state, in concreto, le modalità di svolgimento del rapporto lavorativo e se, nel caso di specie, sussistano gli indici della subordinazione elaborati dalla giurisprudenza (inserimento organico nella struttura imprenditoriale, assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, obbligo di rispettare un orario di lavoro, obbligo di concordare permessi e ferie, ecc.) disporre la trasformazione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato.
Il lavoratore potrà quindi rivendicare tutti i diritti conseguenti sia di natura retributiva sia di natura contributiva.

Per una panoramica sulle questioni connesse alla corretta qualificazione della natura del rapporto e per una distinzione tra lavoro autonomo, parasubordinato e subordinato, si veda anche la voce Qualificazione del contratto.

 

 

Nullità del patto di prova e forma del contratto

Il patto di prova, ex art. 2096 c.c., è un istituto tipico del rapporto di lavoro subordinato e, come tale, non può essere applicato ad un rapporto di lavoro di natura autonoma.
Il patto di prova inserito in un contratto a progetto dovrà, pertanto, essere considerato come non apposto.
Ai sensi dell’art. 62, 1° comma, D.Lgs. 276/2003, il contratto a progetto deve essere stipulato, ai fini della prova, in forma scritta.
La mancanza della forma scritta, che si risolve nella mancanza di un progetto, determina pertanto la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato.

 

Obbligo di riferimenti specifici al progetto e ai programmi di lavoro

Prima della riforma 2012, l’attività di collaborazione coordinata e continuativa prestata dal lavoratore a progetto doveva essere riconducibile a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso. La legge tuttavia prevedeva che dovesse trattarsi di progetti o programmi “specifici” (art. 61, comma 1, D.Lgs. 276/2003), individuati nel loro “contenuto caratterizzante” (art. 62, comma 1 lett. b, D.Lgs. 276/2003).
Un contratto a progetto che faccia semplicemente riferimento al tipo di attività da compiere, e dunque una formulazione generica del progetto (ad es. inserimento dati), non è pertanto conforme al modello legale; il lavoratore avrà quindi la possibilità di chiedere al Giudice del Lavoro la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Infatti, una simile definizione, lungi dal rappresentare il progetto, si limita a descrivere la mansione attribuita al lavoratore, del tutto slegata dall’obiettivo che si intende raggiungere e dalle attività preparatorie e funzionali a quell’obiettivo.
In buona sostanza, indicare le mansioni senza riferirle a un obiettivo significa consentire al datore di lavoro di utilizzare la prestazione lavorativa per soddisfare proprie esigenze variabili, mutevoli e indeterminate, il che contrasta con la riconducibilità dell’attività lavorativa a un progetto specifico e individuato.
La legge 92/2012 ha eliminato il riferimento al programma di lavoro e alle sue fasi, mantenendo esclusivamente la riconducibilità del contratto ad uno o più progetti specifici, che vengono individuati dal committente e realizzati autonomamente dall’incaricato.
Il contratto deve quindi contenere la descrizione del progetto, in modo tale che emerga il suo contenuto caratterizzante, nonché il risultato finale che si intende conseguire.
A tale proposito, la riforma del 2012 ha precisato che il progetto non può consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa e ha vietato la stipula di contratti a progetto per lo svolgimento di compiti “meramente esecutivi o ripetitivi” (che possono essere individuati dalla contrattazione collettiva).
Il D.L. 76/2013, da ultimo, ha modificato l’espressione “meramente esecutivi o ripetitivi”, sostituendo la disgiuntiva “o” con la congiunzione “e”. Come messo in luce in una recente circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (n. 35/2013), il significato di quest’intervento legislativo, che di fatto non incide in alcun modo sulla sostanza dell’istituto, è piuttosto quello di “evidenziare l’incompatibilità dell’istituto con attività che si risolvano nella mera attuazione di quanto impartito dal committente (compiti meramente ‘esecutivi’) e che risultano elementari, cioè tali da non richiedere specifiche indicazioni di carattere operativo (compiti meramente ‘ripetitivi’)”.
Il D.L. 76/2013 ha poi introdotto un’ulteriore modifica al corpo dell’art. 61 del D.Lgs. 276/2003, chiarendo in particolare che “se il contratto ha per oggetto un’attività di ricerca scientifica e questa viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente”. Anche in questo caso si tratta di una modifica che non ha introdotto elementi di sostanziale novità nella disciplina del contratto a progetto, e che va piuttosto letta come il tentativo del legislatore di valorizzare “l’intrinseco legame tra la durata del rapporto e di collaborazione e la realizzazione del progetto” (in questo senso si è espresso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare n. 35/2013).

 

Svolgimento di mansioni estranee al progetto

L’art. 61 comma 1° del D.Lgs. 276/2003 stabilisce che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto (o programma di lavoro o di una fase di esso) sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
Ciò evidentemente comporta non solo che nel contratto a progetto debba essere specificamente indicato il progetto, ma anche che, nel corso del rapporto, il lavoratore deve essere effettivamente utilizzato per la realizzazione di quel progetto.
Pertanto, lo svolgimento di mansioni estranee al progetto è di per sé sufficiente a determinare la trasformazione del rapporto a progetto in ordinario rapporto di lavoro subordinato. Bisogna a questo proposito precisare che la trasformazione rende il tempo indeterminato, anche se originariamente sorto a termine.
Infatti, il termine era stato apposto al contratto in vista della realizzazione del progetto; tuttavia, poiché – come si è detto – il lavoratore è stato in realtà utilizzato a fini diversi, viene meno la ragione che giustificava l’apposizione del termine.

 

Congruità del corrispettivo

La misura del compenso costituisce un elemento essenziale del contratto a progetto, tanto che l’art. 62 D.Lgs. 276/2003 prevede che lo stesso debba essere specificamente indicato per iscritto.
In ordine alla quantificazione del compenso, le parti non sono del tutto libere.
Infatti, l’art. 63 D.Lgs. 276/2003 disponeva che il compenso dovesse essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
La legge 92/2012 ha mantenuto fermo il principio di proporzione fra qualità e quantità del lavoro prestato e compenso, ma ha modificato i parametri a cui bisogna fare riferimento per verificare la sussistenza della proporzionalità.
L’art. 63, a seguito delle modifiche, prevede, infatti, che il compenso non possa essere inferiore ai minimi stabiliti specificamente per i collaboratori a progetto dalla contrattazione collettiva per ciascun settore di attività e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati.
Il secondo comma della medesima norma precisa altresì che, in mancanza di una contrattazione collettiva specifica, il compenso da versare al collaboratore non possa comunque essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
Per questo motivo, il collaboratore che ritenesse inadeguato il compenso pattuito, può sempre ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere la condanna del suo committente a corrispondergli un corrispettivo adeguato.
Secondo la normativa previgente, il collaboratore poteva far riferimento alla natura e alla durata del progetto, prendendo come parametro – come affermava la stessa norma – le remunerazioni dei compensi corrisposti per analoghe prestazioni autonome.
Inoltre, si riteneva che il collaboratore possa prendere come parametro anche le retribuzioni previste dal contratto collettivo eventualmente applicabile al suo committente e che facciano riferimento a personale che svolga mansioni analoghe.
Con la riforma del 2012 il legislatore ha invece affidato alla contrattazione collettiva l’individuazione dei minimi di compensi dei collaboratori a progetto per ciascun settore di attività, precisando però che, in mancanza di tale contrattazione, le parti non possono indicare nel contratto individuale un compenso inferiore (a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione) alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali applicati a figure affini a quelle del collaboratore.
Infatti, si deve ritenere che la remunerazione di un collaboratore a progetto non possa essere, almeno di regola, inferiore a quanto percepito da un lavoratore subordinato che svolga mansioni analoghe.

 

Interruzione del contratto prima della scadenza

L’art. 67 D.Lgs. 276/2003 prevede che il contratto a progetto si risolve automaticamente al momento della realizzazione del progetto o programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto.
Secondo la normativa previgente, per le parti era inoltre possibile recedere prima della scadenza del termine sia per giusta causa, ovvero qualora fosse stato commesso un fatto di gravità tale da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, sia secondo le diverse causali o modalità stabilite dalle parti nel contratto individuale, con il preavviso eventualmente concordato.
Nel caso in cui il contratto a progetto fosse stato interrotto da una delle parti prima della scadenza, senza giusta causa ed al di fuori delle ipotesi previste nel contratto individuale, la parte che aveva subito il recesso aveva diritto ad un risarcimento del danno da quantificarsi o nella misura del preavviso o, in mancanza di questo, in un importo pari al residuo del compenso globale pattuito.
La legge 92/2012 (applicabile, come detto, ai contratti a progetto stipulati dopo la sua entrata in vigore) ha modificato anche questo aspetto.
Il nuovo disposto dell’art. 67 prevede, infatti, che le parti possono recedere dal rapporto prima della scadenza solo in presenza di giusta causa, ossia una causa tale da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto stesso.
Per vero, la medesima norma ha introdotto due ulteriori ipotesi di recesso prima della scadenza:

  1. una a favore del committente, che può recedere quando emergono oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto;
  2. a favore del collaboratore, che può recedere quando tale facoltà è prevista dal contratto individuale e sempre salvo preavviso.

 

 

Tutela della malattia e della maternità

In caso di gravidanza e di malattia del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, nel secondo caso, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, quando essa sia determinata, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile.

 

Obbligo di riservatezza e fedeltà

In generale, l’art. 2105 c.c. prevede, in capo al solo lavoratore subordinato, il cosiddetto “obbligo di fedeltà”, che in particolare comporta l’obbligo di non svolgere attività in concorrenza con il proprio datore di lavoro, nonché l’obbligo di mantenere riservate tutte le notizie e la documentazione di cui si sia venuti in possesso nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Da questo punto di vista, il lavoratore a progetto è sostanzialmente equiparato al lavoratore subordinato.
Infatti, l’art. 64 D.Lgs. 276/2003 prevede che, salvo diverso accordo tra le parti, il collaboratore a progetto possa svolgere la propria attività per diversi committenti, ed anche in proprio, purché non in concorrenza con i committenti medesimi; inoltre, la norma citata prevede il divieto di diffondere notizie o apprezzamenti attinenti ai programmi o alla organizzazione di essi, e comunque di compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio delle attività del committente.

 

Limiti nel potere di intervento e coordinazione dell’attività da parte del committente

Il rapporto di lavoro a progetto implica una prestazione che, in quanto coordinata e continuativa, è integrata nell’attività e nell’organizzazione del committente.
Il committente può pertanto esercitare un potere di intervento e di coordinazione dell’attività prestata dal collaboratore.
Tuttavia, tale potere del datore di lavoro non può in ogni caso essere tale da pregiudicare l’autonomia nell’esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore: sono quindi legittime verifiche periodiche sull’andamento del lavoro, ma non controlli e direttive più stringenti, che farebbero invece propendere per la natura subordinata del rapporto.

 

Casi in cui non si applica la normativa relativa al lavoro a progetto

La disciplina del lavoro a progetto non si applica ad alcune categorie di collaboratori indicati dall’art. 61 D.Lgs. 276/2003.
Più precisamente, si tratta dei casi seguenti:

  • agenti e rappresentanti di commercio, che continuano ad essere regolati dalle discipline speciali;
  • professioni intellettuali, per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali (il caso tipico è quello del lavoro giornalistico). La riforma del 2012, con una norma di interpretazione autentica, ha precisato che tale disposizione riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per le quali l’iscrizione all’albo è necessaria, mentre, in caso contrario, l’iscrizione all’albo non è di per sé circostanza idonea a determinare la non applicazione della normativa sulla collaborazione a progetto;
  • collaborazioni rese nei confronti delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;
  • componenti di organo di amministrazione e controllo di società;
  • partecipanti di collegi e commissioni (inclusi gli organismi di natura tecnica);
  • titolari di pensione di vecchiaia.

Risultano altresì escluse dall’applicabilità del contratto a progetto le cd. “prestazioni occasionali”, ossia i rapporti occasionali e di lavoro autonomo aventi durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare (sempre con lo stesso committente) sia superiore a 5 mila Euro.
La legge 92/2012 aveva inoltre introdotto una norma (l’art. 69 bis D.Lgs. 276/2003), che era finalizzata a contrastare l’abuso della collaborazione prestata dai liberi professionisti titolari di partiva IVA da parte dei datori di lavoro, che spesso la utilizzano per evitare l’applicazione della disciplina relativa al lavoro subordinato o quella del contratto del progetto.
Il legislatore della riforma 2012 aveva previsto, in particolare, che le prestazioni fornite da persona titolare di partita IVA dovessero considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa al ricorrere di almeno due dei seguenti presupposti:

  1. che la collaborazione avesse durata complessivamente superiore ad otto mesi nell’arco dell’anno solare;
  2. che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi, costituisse più dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
  3. che il collaboratore disponesse di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

In altri termini, era stata introdotta una presunzione a favore del titolare di partita IVA, che, al ricorrere di almeno due delle condizioni elencate, poteva chiedere l’applicazione della normativa relativa alla collaborazione a progetto e, ove il contratto stipulato non avesse rispettato i parametri richiesti da tale normativa, poteva chiedere l’accertamento in via presuntiva della natura subordinata del rapporto di lavoro.
La legge precisava peraltro che la presunzione ora descritta non operava quando:

  • la prestazione di lavoro era connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi ovvero capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
  • la prestazione era svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo1 comma 3, l. 233/1990;
  • la prestazione era svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale o appositi registri, albi, ruoli o elenchi.

Il d.lgs. n. 81/2015 , nell’abrogare l’intera disciplina del contratto di lavoro a progetto, ha disposto l’abrogazione anche della suddetta presunzione a tutela delle partite IVA, prevista dall’art. 69 bis del d.lgs. 276/03 .

 

Differenze tra lavoro a progetto e lavoro occasionale

Il lavoro a progetto è un contratto di collaborazione coordinata e continuativa riconducibile alla realizzazione di uno o più progetti specifici, o programmi di lavoro o fasi di esso D.Lgs. 276/2003, artt. 61 e ss.). Le caratteristiche di questo contratto sono:

  • autonomia gestionale del collaboratore, esente da vincoli di subordinazione nei confronti del committente;
  • libertà nella scelta dei mezzi e nell’organizzazione della propria attività;
  • coordinamento con la struttura del committente, funzionale al raggiungimento del risultato;
  • irrilevanza del tempo impiegato nella realizzazione della propria attività: il collaboratore deve cioè essere autonomo anche nella scelta dei propri orari di lavoro.

L’individuazione da parte del committente di uno o più progetti specifici (o, per i contratti stipulati sotto la normativa previgente, programmi di lavoro o fasi di esso) e del relativo risultato da raggiungere è essenziale: se nel contratto manca questo riferimento, lo stesso viene considerato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione dell’accordo.
Invece, per lavoro occasionale si intende un rapporto di lavoro di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, non sia superiore ad € 5.000,00 D.Lgs. 276/2003, art. 61).
Per casi come questi, lo stesso art. 61 dispone espressamente la non applicabilità delle norme in tema di lavoro a progetto.
Conseguentemente, i caratteri differenziali del lavoro autonomo occasionale rispetto alla collaborazione a progetto vanno individuati tendenzialmente nell’assenza del coordinamento con l’attività del committente, nella mancanza dell’inserimento nell’organizzazione aziendale, nel carattere episodico dell’attività, nella completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione.

 

Differenza tra lavoro a progetto e lavoro occasionale di tipo accessorio

Il contratto a progetto è legato all’esistenza, appunto, di uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente.
Invece, per lavoro occasionale di tipo accessorio nella nuova formulazione fornita dalla legge 92/2012, si intendono tutte quelle attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso dell’anno solare. Inoltre se le prestazioni sono rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di tipo accessorio possono essere rese a favore di ciascun committente per compensi non superiori a 2.000 euro.
In origine, la legge prevedeva che solo alcune categorie di lavoratori potessero accedere al lavoro occasionale di tipo accessorio e, in particolare:

  • i disoccupati da oltre un anno;
  • le casalinghe, gli studenti ed i pensionati;
  • i disabili ed i soggetti in comunità di recupero;
  • i lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita di lavoro.

Tale norma è stata tuttavia abrogata con il D.L. 112/2008, convertito con la legge 133/2008.
Altri limiti riguardano la durata massima del contratto (trenta giorni nel corso dell’anno) e il compenso, che non può essere superiore a € 5.000,00 all’anno con riferimento alla totalità dei committenti (e € 2.000 con riferimento ai singoli committenti, se questi sono imprenditori commerciali o professionisti).
I soggetti interessati a svolgere prestazioni di lavoro occasionale di tipo accessorio sono tenuti a dare la propria disponibilità lavorativa ai servizi per l’impiego delle province del territorio di riferimento o agli organismi accreditati in materia.
A seguito di detta comunicazione i prestatori di lavoro occasionale di tipo accessorio ricevono una tessera magnetica, atta a registrare la loro condizione.
Chi intende utilizzare il lavoro occasionale di tipo accessorio deve acquistare presso rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni, con cui retribuire il lavoratore.
Quest’ultimo, in seguito, si deve recare presso l’ente o la società concessionaria per convertire i buoni in denaro.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contratto a progetto

In genere

  1. Nel previgente disposto di cui agli artt. 61 ss., D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, l’esistenza di uno specifico progetto non vale a impedire la conversione iussu iudicis in un ordinario rapporto di lavoro subordinato ove l’attività del collaboratore, riguardante mansioni elementari e ripetitive, sia svolta con modalità analoghe a quella dei dipendenti del committente. (Cass. 26/11/2020 n. 27076, ord., Pres. Raimondi Rel. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2021, 314)
  2. È illegittima l’abusiva reiterazione di diciassette contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto su base mensile in un arco temporale di diciassette mesi in un call center con modalità outbound, con conseguente accertamento della natura subordinata di un unico rapporto. (Trib. Catanzaro 18/4/2018, Est. Ionta, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di R. Diamanti, “Abuso e reiterazione di contratti di collaborazione nei call center”, 743)
  3. In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, l’accertamento dell’esistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato in luogo di uno di lavoro a progetto per la mancanza di uno specifico progetto, benché regolarmente denunciato e registrato, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla l. n. 388/2000, art. 116, c. 8, lett. b, e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett. a della medesima norma. La stipulazione di un contratto a progetto privo dei requisiti prescritti dalla legge costituisce occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l’esistenza della volontà del datore di lavoro di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. (Cass. 13/3/2017, n. 6405, Pres. D’Antonio Est. D’Oronzo, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di R. Barletta, “L’evasione contributiva mediante la simulazione contrattuale come ipotesi speciale di evasione fiscale”, 663)
  4. L’art. 1, c. 25 della l. n. 92/12, nella parte in cui limita la applicazione anche del c. 24 ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge, non può che riferirsi, non alla natura della presunzione dettata dall’art. 69, c. 1, del d.lgs. n. 276/2003, rispetto alla quale la norma assume valenza interpretativa, bensì alle conseguenze della mancanza dei requisiti del progetto, così come delineato nel nuovo art. 61, sempre che non vengano in rilievo elementi formali già indispensabili sulla base della precedente normativa. (Corte app. Roma 12/6/2014, Pres. Gallo Rel. Bonanni, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Roberta Nunin, 993)
  5. Ai sensi dell’art. 67 D.Lgs. n. 276/03 la facoltà di recesso con preavviso in data anteriore al termine di scadenza del contratto a progetto può essere pattuita nell’ambito del contratto di lavoro solo in favore del collaboratore. La mancata analoga previsione in favore della controparte impone l’esclusione di una valida pattuizione in tal senso. Ne discende che in difetto di giusta causa (…) spettano al collaboratore, a fronte dell’illegittimo esercizio del diritto di recesso da parte del committente in data anteriore alla scadenza del contratto, le somme di cui il collaboratore avrebbe avuto diritto in esecuzione del contratto. (Trib. Milano 21/3/2014, Giud. De Carlo, in Lav. nella giur. 2014, 720)
  6. Nel caso in cui committente e collaboratore abbiano previsto il pagamento di una penale a carico della parte che receda in anticipo dal contratto a progetto, tale somma non deve essere erogata dal committente che receda anticipatamente per giusta causa. (Cass. 1/10/2013 n. 22396, Pres. Miani Canevari Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 82)
  7. Ai sensi di quanto previsto dall’art. 61 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 il contratto di lavoro a progetto è una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzata dall’assenza del vincolo di subordinazione e, anzi, da rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale, riconducibile a uno o più progetti specifici determinati da committenti e gestiti autonomamente dal collaboratore in vista del conseguimento di un determinato risultato finale. (Cass. 25/6/2013 n. 15922, Pres. Lamorgese Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2013, 955)
  8. La proroga di cui all’art. 66 d.lgs. n. 276 del 2003 della durata del rapporto in caso di gravidanza deve e può giustificarsi purché permanga l’interesse delle parti alla prosecuzione del progetto e/o del programma e ancora purché tale progetto sia ancora perseguibile, non potendo in caso contrario la proroga medesima avere alcuna efficacia. (Trib. Milano 11/2/2013, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2013, 621)
  9. È legittimo il contratto di lavoro a progetto stipulato da una società cooperativa per l’affidamento di attività di assistenza domiciliare a persone non autosufficienti, ove sia specificatamente indicato il nominativo del beneficiario e siano elencate, a titolo esemplificativo, le prestazioni assistenziali, rimettendo agli accordi tra il collaboratore e l’assistito la scelta quotidiana delle attività da svolgere e la determinazione dei tempi della presenza del collaboratore presso l’abitazione dell’assistito entro un limite massimo giornaliero predefinito dalla committente, con corrispondente correlato alle ore di lavoro effettivamente svolte. (Corte app. Bologna 29/10/2012, Pres. Rel. Brusati, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Federico Martelloni, “Semaforo alle badanti ‘a progetto’: un’interpretazione osteggiata dalla riforma Fornero”, 361)
  10. In presenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ad tempus, è illegittima la risoluzione del contratto prima della sua scadenza naturale se il committente che ha incaricato il collaboratore non dimostra la sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza e, altresì, il rapporto di proporzionalità tra il suddetto inadempimento e il recesso, ai sensi delle norme generali in tema di contratti a prestazioni corrispettive e in specifico degli artt. 1453 e 1455 c.c. Ne consegue il diritto del collaboratore al risarcimento del danno in misura non inferiore ai compensi previsti fino alla scadenza prefissata dal contratto di collaborazione. (Cass. 18/4/2012 n. 6039, Pres. Vidiri Est. Manna, in D&L 2012, con nota di Giuseppe Bulgarini d’Elci, “Sulle conseguenze del recesso ingiustificato da co.co.co.”, e con nota di Enrico U. M. Cafiero, “Nuove problematiche relative alla risoluzione ante tempus nell’ambito del contratto di co.co.co.”, 547)
  11. Il legislatore utilizza l’espressione “sono considerati” da cui si ricava che la conversione prevista dall’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 opera di diritto e la pronuncia del giudice ha valore di accertamento. La conversione non si pone, quindi, come presunzione ma come vero e proprio imperativo. Nessuna prova dunque può fornire il committente, essendo chiaro che si parla di rapporti inizialmente autonomi, che si trasformano in rapporti di lavoro subordinato indeterminato come sanzione per la violazione del divieto di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa al di fuori del contratto a progetto. (Trib. Milano 20/3/2012, Giud. Porcelli, in Lav. nella giur. 2012, 727)
  12. Il progetto non può coincidere con la mera attribuzione di mansioni rientranti nella normale attività di impresa, posto che, già sul piano logico, non è concepibile che tali mansioni siano destinate a cessare per il raggiungimento del risultato finale. (Trib. Bergamo 15/3/2012, Est. Cassia, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Il contratto di lavoro a progetto alla luce della riforma del lavoro”, 483)
  13. Con riferimento all’art. 69, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 si ritiene preferibile la tesi della presunzione assoluta, nel senso che la violazione del divieto di instaurare collaborazione coordinate e continuative prive dei requisiti specializzanti viene sanzionata con l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato. Tale interpretazione è la più coerente alla ratio della nuova disciplina, individuata nella volontà del legislatore di reprimere l’utilizzo fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative per eludere la tutela del lavoro subordinato. (Trib. Trieste 23/3/2011, Giud. Rigon, in Lav. nella giur. 2011, 744)
  14. Nel contratto a progetto, il progetto (o il programma) deve essere del collaboratore, non dell’azienda; spetta al collaboratore realizzarlo, non all’imprenditore. Il committente determina il progetto (un obiettivo imprenditoriale) sulla base della propria strategia, ma dovrebbe essere il collaboratore, con la propria attività, a determinare in concreto la propria attività. (Trib. Milano 14/1/2011, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2011, 417)
  15. L’art. 69, D.Lgs. 276 del 2003 impone alle parti, ed in particolar modo al committente, un onere descrittivo rigoroso nel senso che, mancando un’adeguata individuazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso il rapporto deve presumersi subordinato, con spostamento a carico del committente dell’onere di provare che esso si è svolto con modalità proprie del lavoro autonomo. (Trib. Trapani 22/7/2010, Giud. Antonelli, in Lav. nella giur. 2010, 1142)
  16. Procedendo con un’indagine ermeneutica di tipo teleologico sul significato dei termini progetto e programma appare evidente come il legislatore intendesse perseguire l’obiettivo antifrodatorio propostosi (il fine) tramite l’introduzione dell’obbligo per le parti di individuare, al momento dell’instaurazione del rapporto, “un progetto o programma o una fase di esso” (il mezzo). L’unica accezione delle parole “progetto” o programma”, che possa essere conforme alla finalità antifraudolenta, senza eccedere in elementi aggiuntivi o in significanti che alla medesima non appartengono, riporta semplicemente al concetto di “trasparenza” di quale sia la volontà delle parti al momento del perfezionamento del vincolo contrattuale. Adottando tale soluzione ermeneutica risulta chiaro come il progetto o programma (termini che appaiono un’endiadi) costituisce un elemento formale di carattere descrittivo che non muta la sostanza delle precedenti co.co.co. dovendo solo rendere “trasparente” quale sia il concreto “incarico” affidato al collaboratore “con una descrizione” onerata da forma “ad probationem”. (Trib. Milano 3/11/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Anna Piovesana, 601)
  17. L’introduzione del progetto/programma risponde all’intento di perseguire una “duplice finalità antielusiva” collegata al generale “scopo ultimo” di evitare, in ottica di trasparenza, la simulazione dei rapporti subordinati sotto l’apparenza di collaborazioni. Si può considerare: una prima finalità antifrodatoria di carattere “extraprocessuale” che obbliga le parti a ben focalizzare ex ante il contenuto del contratto, in modo da permettere al collaboratore di conoscere sin dall’inizio in modo dettagliato quale sia l’incarico affidatogli e operare con un’autonomia reale; una seconda finalità antifrodatoria di carattere “processuale” desumibile dall’esigenza di una forma scritta ad probationem per attestare l’esistenza del progetto/programma e il suo contenuto, pena la trasformazione del rapporto in a tempo indeterminato sin dall’inizio ai sensi dell’art. 61, comma 1. Inoltre il progetto, se sufficientemente dettagliato, consente di delineare in modo certo i contorni del giudizio e dell’istruttoria di cui all’art. 69, comma 2, atteso che quest’ultima non è ammissibile oltre l’ambito definito dal progetto/programma. (Trib. Milano 3/11/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Anna Piovesana, 601)
  18. Nel caso del lavoro a progetto, il decreto delegato ha previsto nell’art. 62 semplicemente una forma ad probationem per ciascuno dei requisiti del contratto, ivi incluso il progetto, come chiarito dall’inciso “ai fini della prova” menzionato nella stessa previsione. Ciò comporta che ai sensi dell’art. 2725 c.c. “quando secondo la legge (…) un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3” dell’art. 2724 c.c., ovvero unicamente nell’ipotesi in cui “il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”, restando, quindi, limitata la possibilità di avvalersi della prova testimoniale. Tuttavia, per la parte interessata alla dimostrazione di quanto sia sottoposto a detto onere formale, risulta pur sempre possibile avvalersi della concorde ammissione dei contendenti che, sulla base del principio di non contestazione, ponga al di fuori delle questioni controverse in causa l’esistenza dell’elemento di cui si tratti. (Trib. Milano 3/11/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Anna Piovesana, 601)
  19. Solo allorché, nel processo, si ritenga esistente un programma/progetto conforme alla legge e non trovi, dunque, applicazione la sanzione di cui al primo comma dell’art. 69, stabilita per la carenza nelle fattispecie di detto elemento formale, può trovare applicazione il secondo comma della stessa disposizione che statuisce che “qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”, potendosi, unicamente in tal caso, esperire un’istruttoria sulla natura del rapporto”. Infatti, una fase probatoria sulla sostanza del vincolo posto in essere tra le parti risulta concepibile solo qualora il giudice riconosca l’esistenza di una ordinaria collaborazione “riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso” (di cui al comma 1 dell’art. 61) oppure di una delle eccezionali e tassative “ipotesi escluse”. (Trib. Milano 3/11/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Anna Piovesana, 601)
  20. Nel lavoro a progetto la piena coincidenza tra progetto e oggetto sociale del committente integra la presunzione di subordinazione di cui all’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2002, a nulla rilevando la certificazione effettuata dalla commissione di certificazione istituita presso una sede universitaria. (Trib. Bergamo 20/5/2010, Est. Bertoncini, in Orient. giur. lav. 2010, con nota di Stefano Malandrini, “Procedure di certificazione e limiti del sindacato giudiziario”, 43, in Lav. Nella giur. 2011, con commento di Annamaria Minervini, 301)
  21. Ai fini della legittimità di un contratto a progetto ex art. 61 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, il progetto – costituendo l’oggetto del contratto – deve avere i requisiti di determinatezza di cui all’art. 1346 c.c. e non può essere identificato con l’obiettivo aziendale nel suo complesso (nella specie è stata ritenuta insufficiente l’identificazione del risultato con “l’obiettivo aziendale nel suo complesso” e con l’ottenimento del “massimo tornaconto possibile per l’azienda committente unitamente alla minore conflittualità sul posto di lavoro durante il periodo lavorativo”). (Corte app. Firenze 12/2/2010, Est. Schiavone, in D&L 2010, con nota di Anna Rota, “Lo stato dell’arte del contratto di lavoro a progetto (senza specificazione del progetto e del risultato”), 762)
  22. Il disposto di cui all’art. 69 del D.Lgs. 10/9/03 n. 276 configura una presunzione legale che rende superfluo, in mancanza di progetto, l’accertamento in concreto della sussistenza della subordinazione, qualora le mansioni siano tipiche di tale tipologia di rapporto, mentre ogni altra ipotesi negoziale costituisce eccezione da provarsi rigorosamente, nei presupposti formali e sostanziali, da parte del datore di lavoro. (Corte app. Firenze 26/1/2010, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2010, con nota di Irene Romoli, “Rapporto di lavoro a progetto e riforma Biagi: presunzione legale della subordinazione e inversione dell’onere della prova”, 419)
  23. L’art. 69, D.Lgs. n. 276/2003 prevede che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto. Tale norma non implica una trasformazione automatica del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, nel caso di assenza o non specificità del progetto. A tal fine è infatti necessaria la prova degli indici di subordinazione da parte del lavoratore. In ogni caso, è sempre ammessa, in capo al datore di lavoro, la prova contraria circa la natura autonoma e non subordinata del rapporto. (Trib. Roma 11/2/2009, Giud. Micciché, in Lav. nella giur. 2009, 632)
  24. Sono illegittimi i contratti di lavoro a progetto, stipulati tra una Cooperativa e i soci lavoratori, qualora il progetto consista nell’attività coincidente con l’oggetto sociale della Cooperativa, sicché i progetti consistono nella mera descrizione dell’attività che la Cooperativa senza alcun riferimento al risultato da raggiungere attraverso il progetto né alla realizzazione di un preciso piano di lavoro. In tal caso, mancando il progetto, il rapporto tra le parti deve essere considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. (Trib. Monza 23/1/2009, d.ssa Pizzi, in Lav. nella giur. 2009, 417)
  25. Si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003 per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. per contraddittorietà della norma con la sua ratio. Il primo periodo dell’art. 86, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003, stabilisce infatti l’anticipata cessazione dell’efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative già instaurate alla data della sua entrata in vigore. Ma una normativa che lo stesso legislatore definisce come finalizzata “ad aumentare i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro” (art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003) non può ragionevolmente determinare l’effetto esattamente contrario (perdita del lavoro) a danno di soggetti che, per aver instaurato rapporti di lavoro autonomo prima della sua entrata in vigore nel pieno rispetto della disciplina all’epoca vigente, si trovano penalizzati senza un motivo plausibile. Quest’ultimo non può essere individuato nella mera esigenza di evitare la prosecuzione nel tempo di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa difformi dalla nuova previsione legislativa, poiché l’intento del legislatore di adeguare rapidamente la realtà dei rapporti economici ai modelli contrattuali da esso introdotti non può giustificare, di per se stesso, il pregiudizio degli interessi di soggettin che avevano regolato i loro rapporti in conformità alla precedente disciplina giuridica. Conseguentemente, le collaborazioni coordinate e continuative già stipulate alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003 mantengono efficacia sino alla scadenza pattuita dalle parti. (Corte Cost. 5/12/2008 n. 399, Pres. Flick, Rel. Mazzella, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Nicola Di Leo, 247)
  26. Nei contratti di lavoro a progetto, qualora il programma o progetto, invece di essere individuato come realizzazione di un preciso e circostanziato piano di lavoro o risultato, consista semplicemente nella messa a disposizione dell’attività lavorativa del collaboratore lo stesso è da ritenersi assolutamente generico. In tal caso si realizza l’ipotesi di cui all’art. 69 del D.Lgs. n. 276/03, con la conseguenza che il rapporto tra le parti deve essere considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 28/8/2008, D.ssa Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2009, 92)
  27. Il progetto, oltre a dover essere necessariamente predeterminato ed elaborato per iscritto in modo e in termini sufficienti ad individuare il risultato che il prestatore deve dare e che il committente si attende, non può evidentemente coincidere con il concreto espletamento dell’attività aziendale genericamente intesa ma deve caratterizzarsi e connotarsi puntualmente rispetto ad essa, seppure evidentemente coordinandosi ed armonizzandosi con l’attività aziendale complessivamente intesa. (Trib. Milano 16/7/2008, Est. Lualdi, in Orient. della giur. del lav. 2008, 585)
  28. L’art. 69, d.lgs. n. 276 del 2003 sembra dare corso a una vera e propria norma precettiva e non a una mera presunzione vincibile dalla prova contraria eventualmente destinata ad accertare la sussistenza di un sotteso progetto caratterizzato da specificità, caratterizzazione, collegamento al risultato, durata limitata. (Trib. Milano 16/7/2008, Est. Lualdi, in Orient. della giur. del lav. 2008, 585)
  29. In caso di mancata formale individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, il rapporto di collaborazione si deve considerare lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto; tale presunzione può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo ma, come è noto, la mancata deduzione del progetto nel contratto preclude la possibilità di dimostrarne l’esistenza e la consistenza con prova testimoniale. (Trib. Milano 28/6/2008, Est. Mariani, in Orient. della giur. del lav. 2008, 650)
  30. Poiché la ratio legis che ha ispirato la riforma del “decreto Biagi” è l’intento di evitare l’utilizzazione delle co.co.co. “in funzione elusiva o frodatoria della legislazione a tutela del lavoro subordinato”, la novella non intendeva mutare in modo sensibile il concetto di collaborazioni coordinate e continuative – alle quali fa espresso riferimento nell’art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003 – ma solo aggiungere elementi per la configurazione dell’istituto (il progetto o programma e il termine) idonei a evitare, unitamente alle misure di cui all’art. 69, l’abuso della figura. Il “progetto o programma di lavoro o fasi di esso” è così un elemento formale aggiuntivo alla nota struttura della tipologia negoziale. (Trib. Milano 21/6/2008 n. 2841, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Alessandro Ripa, 1027)
  31. Un’indagine ermeneutica di tipo teleologico sul significato dei termini progetto e programma mostra come il legislatore intendesse perseguire l’obiettivo antifrodatorio propostosi (il fine) tramite l’introduzione dell’obbligo per le parti di individuar, al momento dell’instaurazione del rapporto, “un progetto o programma o una fase di esso” (il mezzo). L’unica accezione delle parole “progetto” e4 “programma”, che possa essere conforme alla finalità antifraudolenta senza eccedere in elementi aggiuntivi o in significati che alla medesima non appartengono, riporta semplicemente al concetto di “trasparenza” di quale sia la volontà delle parti al momento del perfezionamento del vincolo. (Trib. Milano 21/6/2008 n. 2841, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Alessandro Ripa, 1027)
  32. L’introduzione del progetto/programma risponde all’intento di evitare la simulazione dei rapporti subordinati e di perseguire una “duplice finalità antielusiva”: una prima di carattere “extraprocessuale” che obbliga le parti a ben focalizzare ex ante il contenuto del contratto, in modo da permettere al collaboratore di conoscere sin dall’inizio in modo dettagliato quale sia l’incarico affidatogli e operare con un’autonomia reale; una seconda di carattere “processuale” desumibile dall’esigenza di una forma scritta ad probationem per attestare l’esistenza del progetto/programma e il suo contenuto, e dalla necessità di una necessaria corrispondenza tra il progetto/programma scritto e la prestazione effettivamente resa; pena, per l’attività svolta non riconducibile al progetto/programma, il difetto dello stesso, con le conseguenze di cui all’art. 69, comma 1, (presunzione de iuris et de iure di subordinazione). Nel caso di specie, non vi sono motivi per reputare eccessivamente generico il progetto affidato alla lavoratrice, Art Director dell'”impaginazione e realizzazione grafica della rivista M.” per l’edizione di undici numeri all’anno della rivista, come in effetti descritto nel contratto. Esclusa l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 69, comma 1, si deve accertare la natura del rapporto ai sensi del secondo comma dello stesso, nell’ambito del quale è previsto l’ordinario regime di cui all’art. 2697 c.c., con i relativi consueti oneri gravanti su chi intenda sostenere una domanda in giudizio. (Trib. Milano 21/6/2008 n. 2841, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Alessandro Ripa, 1027)
  33. In mancanza di elementi quali l’inserimento nella struttura aziendale del datore di lavoro ed il controllo e la direzione dell’attività lavorativa, non è sufficiente a qualificare il lavoro a progetto come lavoro subordinato il mero obbligo di osservare e rispettare un orario di lavoro, non essendo l’orario di lavoro un elemento decisivo, ma piuttosto un indice sintomatico della subordinazione. (Trib. Benevento 29/5/2008, Est. Chiarotti, in Orient. della giur. del lav. 2008, 588)
  34. Per la mancata individuazione del progetto si deve intendere sia la mancata individuazione formale del contenuto del progetto o programma sia la non configurabilità di un effettivo progetto (…). Appara evidente come il progetto non possa rietenersi adeguatamente descritto, consistendo nella semplice descrizione del contenuto delle mansioni attribuite al lavoratore, con l’indicazione generica dell’obiettivo che si intende raggiungere e senza alcun cenno alle attività prodromiche al progetto e funzionali al suo conseguimento. (Trib. Milano 30/4/2008, Est. Procelli, in Lav. nella giur. 2008, 1280)
  35. L’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 276/03 pone la presunzione della natura di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato del contratto “a progetto” nell’ipotesi della mancata individuazione del progetto. (Trib. Grosseto 29/1/2008, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 848)
  36. Una volta confermata la carenza dei requisiti di forma (e di sostanza) indicati dall’art. 62 del D.Lgs. n. 276 e particolarmente quello di cui alla lett. b), la questione posta al vaglio del Collegio riguarda le conseguenze di siffatta carenza, ossia se sia ineluttabile quella stabilita dall’art. 69, comma 1, oppure resti aperta la possibilità per il datore di lavoro di provare che – pur in assenza di un vero e proprio progetto – il rapporto di lavoro si sia comunque svolto con modalità riconducibili a prestazioni di collaborazione autonoma di altro tipo. (App. Firenze 29/1/2008 n. 100, in Dir. e prat. lav. 2008, 2107)
  37. L’interpretazione teologica e sistematica del decreto n. 276/2003 rende incongrua la tesi della presunzione relativa di subordinazion: le garanzie relative alla forma e le sanzioni a essa collegate non possono che venire interpretate in senso rigoroso come strumento principale di dissuasione degli abusi e dell’uso strumentale della nuova figura di lavoro flessibile introdotta nell’ordinamento positivo, al fine di orientare in questo modo e con tali strumenti le scelte datoriali8 verso la “genuinità” delle collaborazioni a progetto. (App. Firenze 29/1/2008 n. 100, in Dir. e prat. lav. 2008, 2107)
  38. La mancanza del progetto, inteso come genuino apporto del prestatore di lavoro al committente di una capacità specialistica per la soddisfazione di esigenze ben individuate e puntuali dell’andamento del ciclo di produzione ovvero in occasione di riassetto/miglioramento di esso, comporta l’immediata conversione del contratto a progetto in lavoro subordinato, a norma dell’art. 69, d.lgs. n. 276/03, essendo irrilevante l’eventuale prova, offerta dal committente, della natura autonoma della prestazione. (Corte app. Firenze 22/1/2008, Pres. ed Est. Amato, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Giovanni Spinelli, “Collaborazioni senza progetto e conversione automatica: si rafforza la linea rigorista”, 75)
  39. Qualora manchi il requisito della personalità, inteso come prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sull’utilizzazione di una struttura materiale, deve essere esclusa la riconduzione del rapporto di lavoro nell’ambito delle collaborazioni coordinate e continuative, di cui all’art. 61, D.Lgs. n. 276 del 2003, con conseguente impossibilità di invocare la sanzione della conversione di cui all’art. 69, comma 1. (Trib. Milano 14/1/2008, Est. Scudieri, in Orient. della giur. del lav. 2008, con nota di Orsola Razzolini, 570)
  40. Ai sensi dell’art. 62 D.Lgs. 10/9/03 n. 276 l’indicazione del “progetto, programma di lavoro o fase di esso” è elemento essenziale del contratto e la mancanza di esso, alla quale viene equiparata la genericità o l’indeterminatezza dello stesso, viene sanzionata con la qualificazione ab origine del rapporto come di lavoro subordinato a tempo indeterminato (nel caso di specie, non è stato ritenuto adeguatamente enunciato il progetto, consistente nella semplice descrizione del contenuto delle mansioni della lavoratrice, senza alcun accenno all’obiettivo che si intendeva raggiungere e alle attività prodromiche e funzionali al suo conseguimento). (Trib. Milano 12/10/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2008, 145)
  41. La mancanza di specificità del progetto contenuto dal contratto determina che il rapporto tra le parti deve ritenersi sorto come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla sottoscrizione del contratto, indipendentemente dalle concrete modalità con le quali si è di fatto svolto il rapporto di lavoro. (Trib. Milano 10/10/2007, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 197)
  42. Rientra nel campo di applicazione dell’art. 409 n. 3 c.p.c. un’attività che comporti per il lavoratore un impegno costante a favore del committente, con protratto inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale e prevalenza della sua opera personale sul lavoro svolto da collaboratori e sull’utilizzazione di una struttura materiale. (Trib. Milano 4/10/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2008, con nota di Giuseppe Cordedda, “Sui criteri per la quantificazione del compenso spettante al lavoratore autonomo”, 148)
  43. In un rapporto qualificabile come collaborazione coordinata e continuativa, qualora manchi l’accordo tra le parti circa la determinazione del corrispettivo, questo viene stabilito dal Giudice in via equitativa, facendo ricorso ai parametri stabiliti dall’art. 2225 c.c. (nella fattispecie, è stata assunta come criterio la retribuzione percepita dal collaboratore per altre prestazioni rese nello stesso periodo in relazione attività equivalente per il lavoro svolto e il risultato conseguito). (Trib. Milano 4/10/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2008, con nota di Giuseppe Cordedda, “Sui criteri per la quantificazione del compenso spettante al lavoratore autonomo”, 148)
  44. Il lavoro a progetto non costituisce un tertium genus tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ma è riconducibile all’ambito concettuale del lavoro autonomo. (Trib. Milano 17/11/2007, Est. Martello, in D&L 2008, con nota di Sara Huge, “Requisiti di genuinità del lavoro a progetto”, 194)
  45. Requisiti fondamentali del lavoro a progetto sono: la specificità del progetto, programma o fase di essi, che devono essere dettagliati in modo sufficiente a individuare un risultato; l’autonomia della gestione del progetto, programma o fase di essi in funzione di un risultato, nel senso che grava sul lavoratore il rischio del lavoro, ossia l’alea tecnico-economica; il coordinamento di tale gestione autonoma con l’organizzazione del committente, fermo restando che le indicazioni e disposizioni del committente devono essere isolate nel tempo, circoscritte nella durata e limitate nel contenuto. (Trib. Milano 17/11/2007, Est. Martello, in D&L 2008, con nota di Sara Huge, “Requisiti di genuinità del lavoro a progetto”, 194)
  46. L’art. 69, d.lgs. n. 276/2003 stabilisce una presunzione relativa e non assoluta: pur mancando il progetto, la conversione in rapporto di lavoro subordinato non opera automaticamente, dovendosi consentire al committente la prova contraria, avente a oggetto la dimostrazione dell’autonomia del rapporto e non la mera natura coordinata e continuativa della prestazione. (Trib. Torino 23/3/2007, Giud. Malanetto, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Francesca Chiantera, “Meccanismi di conversione delle collaborazioni prive di progetto e criteri di liceità degli appalti ad alta intensità di lavoro”, 809)
  47. Il contratto di lavoro a progetto ex art. 61 D.Lgs. 10/9/03 n. 276 non costituisce un tertium genus tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, ma rientra a pieno titolo nell’ambito del lavoro autonomo, ove il progetto o programma non costituiscono l’oggetto dell’obbligazione, ma dati estrinseci alla stessa o mera modalità organizzativa della prestazione lavorativa. (Trib. Pavia 13/2/2007, Est. Balba, in D&L 2007, 433)
  48. Qualora un rapporto di lavoro autonomo nasca in assenza di un progetto specifico (tale dovendosi intendere un obiettivo o un risultato estraneo all’ordinaria attività aziendale) trova applicazione l’art. 69, c. 1°, D.Lgs. 10/9/03 n. 276 che fonda una presunzione non assoluta, ma sola relativa circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; in tale ipotesi il convenuto datore di lavoro ha l’onere di fornire la prova non che il rapporto, pur in assenza di progetto/programma/fase di esso, si è comunque estrinsecato in una collaborazione coordinata e continuativa (posto che detta figura è stata espunta dall’ordinamento) ma che si è estrinsecato come contratto d’opera ex art. 222 c.c. (Trib. Pavia 13/2/2007, Est. Balba, in D&L 2007, 433)
  49. La conversione del contratto di lavoro a progetto in lavoro subordinato, prevista dall’art. 69, d.lgs. n. 276/03, quale sanzione per il difetto dell’elemento essenziale del riferimento al progetto, opera automaticamente di diritto, non essendo data al committente la possibilità di fornire alcuna prova contraria. La norma configura, più che una presunzione, una vera e propria disposizione imperativa sostanziale, rispetto alla quale la pronuncia del giudice ha valore di mero accertamento (decisione relativa alla controversia su di un rapporto di lavoro in un call centre). (Trib. Milano 5/2/2007, Giud. Porcelli, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Francesca Chiantera, “Meccanismi di conversione delle collaborazioni prive di progetto e criteri di liceità degli appalti ad alta intensità di lavoro”, 809)
  50. Ai sensi degli artt. 61 ss. del D.Lgs. n. 276/2003, il contratto di lavoro a progetto integra una fattispecie di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, che è disciplinata soltanto dalle disposizioni in esso previste, cui possono essere aggiunte clausole pattizie, individuali o collettive, se più favorevoli al lavoratore (art. 61); il contratto può essere risolto al momento della realizzazione del progetto, del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto, oppure ante tempus per giusta causa, ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti (art. 67). Il patto di prova – disciplinato positivamente ex art. 2096 c.c. con riguardo all’antitetica fattispecie del rapporto di lavoro subordinato – non può certo considerarsi una norma vantaggiosa per il lavoratore, tale da legittimare l’applicazione anche alla fattispecie di contratto di lavoro a progetto, per il tramite dell’art. 61 citato: la norma indicata consente invero la libera recedibilità del datore di lavoro durante il periodo di esperimento della prova, mitigata peraltro da un correttivo che non muta il giudizio di svantaggiosità (onere di provare di aver consentito una prova fattiva). (Trib. Roma 6/12/2006, Est. Marrocco, in Lav. nella giur. 2007, 833, e in D&L 2007, con nota di Emanuela Fiorini, “Nullità del patto di prova nel contratto a progetto”, 754)
  51. Trova applicazione la sanzione disposta dall’art. 69 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, qualora l’indicazione del progetto di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa risulti assolutamente generica e indeterminata (nel caso di specie la società, nel formulare l’indicazione del progetto, si era limitata a conferire alla lavoratrice l’incarico di consulente in ambito commerciale). (Trib. Milano 24/10/2006, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, 115)
  52. L’indicazione non sufficientemente precisa del progetto di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa deve essere equiparata, al fine dell’applicazione della sanzione disposta dall’art. 69 D.Lgs. 10/9/03 n. 276, all’assenza del progetto stesso, il cui contenuto caratterizzante deve essere indicato ai sensi dell’art. 62 D.Lgs. 10/9/03 n. 276 (nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha ritenuto non sufficiente la definizione di “procuratrice per immagine azienda presso fiere ed eventi nel centro-nord Italia in presenza di verbale di assemblea”). (Trib. Milano 18/8/2006, Est. Atanasio, in D&L 2007, 115)
  53. Per mancata individuazione del progetto, che realizza l’ipotesi di cui all’art. 69, comma 1, D. Lgs. n. 276 del 2003, con la conseguenza che il rapporto tra le parti viene considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, si deve intendere sia la mancata individuazione formale del contenuto delle mansioni attribuite alla lavoratrice, senza alcun accenno all’obiettivo che si intende raggiungere e alle attività a esso prodromiche e funzionali al suo conseguimento (fattispecie di progetto di monitoraggio delle opinioni, tendenze e grado di soddisfazione dei consumatori). (Trib. Milano 2/8/2006 n. 2655, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2007, 67 e in Lav. nella giur. 2007, 632)
  54. La stipulazione di un contratto a progetto privo del requisito dell’indicazione specifica del progetto comporta l’applicabilità dell’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003, sicché, in difetto della prova, da parte del datore di lavoro, dell’autonomia del lavoro, incompatibile in linea di principio con il meccanismo della turnazione, il rapporto deve ritenersi subordinato ed a tempo indeterminato (Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto di natura subordinata ed a tempo indeterminato il contratto di collaborazione a progetto privo dei requisiti di specificità del progetto, essendo tale presunzione legale superabile mediante l’assoluzione della prova dell’autonomia del rapporto da parte del datore di lavoro. Il Tribunale ha inoltre ribadito carattere vincolante dell’orario di lavoro, ovvero l’idoneità dello stesso a valere come indice di subordinazione del rapporto) (Trib. Torino 16/5/2006, est. Malanetto, in Guida al Lav. 2006, 29, 13, n. Bausardo, Contratto a progetto: forma, specificità e trasformazione)
  55. La prestazione dedotta in un contratto a progetto priva di qualsivoglia riferimento ad un risultato, ancorché parziale, finisce per tradursi in mera messa a disposizione delle energie lavorative con onere di diligenza, caratteristiche che ne determinano la natura subordinata (Trib. Torino 10/5/2006, est. Malanetto, in Guida al Lav. 2006, 24, 12, n. Bausardo, Il contratto a progetto nella decisione del Tribunale di Torino)
  56. I termini “progetto” e “programma” costituiscono un’endiadi avente la funzione di indicare segmenti dell’attività organizzata dal committente ben identificati e definiti sia sotto il profilo strutturale che sotto quello temporale, consentendo la stipulazione di contratti a progetto soltanto in presenza di situazioni produttive particolari e teleologicamente individuate, anche se non necessariamente uniche e irripetibili. Un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa privo del requisito del progetto non può essere considerato per ciò solo un rapporto di lavoro subordinato. L’art. 69, primo comma, d.lgs. n. 276/03 pone infatti una presunzione relativa e non assoluta e soltanto l’esistenza nei fatti della subordinazione giustifica l’applicazione delle garanzie e delle tutele previste dall’ordinamento per tale tipo di rapporto. (Trib. Genova 5/5/2006, Giud. Scotto, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Stefano Bartalotta, “Il lavoro a progetto senza progetto: una critica all’interpretazione “morbida” dell’art. 69 d.lgs. n. 276/03″, 40)
  57. La sanzione prevista dall’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 per l’ipotesi di omessa individuazione dello specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, di cui all’art. 61, comma 1, del D. Lgs. Cit., consistente nella declaratoria della natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto, va applicata anche nel caso in cui, pur essendo presente la suddetta indicazione, venga accertato che l’attività in concreto svolta dal lavoratore sia divergente con l’individuato progetto, programma di lavoro o fase di esso (Nel caso di specie il giudice ha accertato la natura subordinata di un rapporto di lavoro il cui progetto era stato indicato nel contratto ma che, di fatto, non era corrispondente all’attività in concreto svolta dal lavoratore) (Trib. Milano 23/3/2006, est. Porcelli, in Guida al Lav. 2006, 24, 15, n. Mordà, Il contratto a progetto (…) nella decisione del Tribunale di Milano)
  58. Per mancata individuazione del progetto, che realizza l’ipotesi di cui all’art. 69, comma 1, D. Lgs. n. 276 del 2003, con la conseguenza che il rapporto tra le parti viene considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, si deve intendere sia la mancata individuazione formale del contenuto del progetto o programma del contratto sia la mancanza, in concreto, di questi ultimi, per mancata corrispondenza dell’attività di fatto svolta a quanto previsto nel contratto (fattispecie di progetto di “tracciare le linee guida di un progetto di riorganizzazione della zona di Milano/Vigevano al fine di acquisire nuova clientela e mantenere in essere quella vecchia” a fronte di attività di “autista”). (Trib. Milano 23/2/2006 n. 822, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2007, 68)
  59. Non costituisce indice di subordinazione, che possa far dedurre simulato un contratto di lavoro a progetto, il fatto che il collaboratore a progetto lavorasse abitualmente in ufficio o che dovesse comunque avvertire in caso di assenza, che sono dati equivoci e spiegabili in ragione delle esigenze di coordinamento con la struttura aziendale e della necessità dello stesso ricorrente di utilizzare gli strumenti e l’apparato logistico messo a disposizione del datore di lavoro; né costituisce valida spia del potere gerarchico il fatto che alcune direttive fossero rivolte indifferentemente al collaboratore a progetto ed a un dipendente, in mancanza di contenuti di per sé idonei a rivelare un preciso meccanismo di eterodirezione; non appare di per sé significativa di subordinazione neppure la previsione di un “budget” di vendita e di relativi “bonus”, che sono elementi non estranei al progetto e quindi al risultato richiesto al collaboratore; perché fosse accertato un lavoro subordinato sarebbe stato necessario allegare e provare un’effettiva ingerenza del committente sugli aspetti organizzativi e di gestione del progetto, come nella specie sulle decisioni quanto ai clienti da contattare, alle modalità per allacciare i rapporti commerciali, alle strategie di marketing poste in essere (Trib. Modena ord. 21/2/2006, est. Ponterio, in Guida al Lav. 2006, 14, 13, n. De Fusco, Legittimo il lavoro a progetto nelle reti commerciali)
  60. L’art. 62, D.Lgs. 276/2003 richiede l’indicazione di un programma nel contratto di lavoro a progetto puntuale e specifica, senza che possa risolversi in una clausola di stile evanescente ed ermetica nei suoi contenuti, né in formule standardizzate. La prestazione del collaboratore a progetto è di natura autonoma e concreta un’obbligazione di risultato; la mancanza di uno specifico progetto o programma nel suo contenuto caratterizzante riconduce il rapporto, ex art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. (Trib. Piacenza 15/2/2006, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Alessia Muratorio, 885)
  61. Vi è compatibilità tra lavoro a progetto e attività di assistenza continuativa, per cui è legittima l’individuazione di un orario di lavoro anche nell’ambito di una collaborazione a progetto, quando la costante presenza del lavoratore sul luogo di lavoro e per un preciso lasso di tempo giornaliero sia elemento essenziale e indefettibile per l’utile realizzazione del programma o del progetto (Nel caso di specie il Consiglio di Stato, affrontando una questione in tema di lavoro a progetto ha ritenuto che non sarebbe l’orario di lavoro, eventualmente pattuito, a qualificare il rapporto, bensì assumerebbe rilevanza giuridica l’obiettivo finale perseguito, indipendentemente dal tempo impegnato) (Consiglio di Stato 29/11/2005, n. 1743, pres. Santoro, est. Carlotti, in Guida al Lav. 2006, 18, 13, n. Falasca, L’orario di lavoro non è incompatibile con il contratto a progetto)
  62. Qualora non venga fornita prova dell’esistenza della subordinazione e il contratto stipulato tra le parti possegga i requisiti formali del contratto a progetto, non può farsi luogo alla trasformazione in rapporto di lavoro subordinato ex art. 69 c. 2 D. Lgs. 276/03 (nella specie il progetto consisteva nella “verifica della conoscenza, diffusione e posizionamento del mercato dei farmaci con conseguente necessità di realizzare uno studio che comporti la rilevazione, l’analisi e l’elaborazione dei dati relativi alle specialità farmaceutiche sul territorio nazionale”) (Trib. Milano 10/11/05, est. Porcelli, in D&L 2006, 176, con nota di Polizzi)
  63. Nel caso in cui il lavoratore a progetto svolga mansioni estranee al progetto medesimo, il rapporto deve essere considerato di tipo subordinato, tanto più allorchè risulti che la prestazione è stata resa in regime sostanziale di subordinazione; tale riqualificazione del progetto travolge anche il termine di durata originariamente previsto dal contratto a progetto (Trib. Milano 26/9/05, est. Frattin, in D&L 2006, 132)
  64. Al di là degli specifici elementi da indicarsi in contratto, di cui alle lett. da a) e e) dell’art. 62, D.Lgs. n. 276/2003, la legge non pone un requisito di forma ad probationem del contratto a progetto. È evidente come sia la parte che vuole sostenere, prima ancora che la bontà, l’esistenza del progetto ad avere l’onere di produrre il contratto. Ciononostante, non essendo la forma scritta prevista ad substantiam, e poiché nel caso di specie tutti i ricorrenti lamentano l’illegittimità del progetto, pur dandone per pacifica l’esistenza, si ritiene provata, perché non contestata, l’effettiva stipulazione dei contratti a progetto. Essendo altresì pacifico che i contratti stipulati avevano contenuto standardizzato anche in mancanza dei contratti individuali, è possibile valutarne la legittimità per i singoli ricorrenti) (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  65. Appare certamente contraddittoria la pretesa di qualificare la stessa identica prestazione, fornita con le stesse modalità e senza soluzione di continuità per diversi mesi (il D.Lgs. 276/2003, art. 61, comma 2, pone un limite di trenta giorni nel corso dell’anno solare per le collaborazioni occasionali), dapprima quale collaborazione occasionale e, quindi, quale realizzazione di contratto a progetto, i cui obiettivi sarebbero stati in tal modo perseguiti ancor prima che venissero individuati. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651 )
  66. Senza volere né potere entrare nel merito di scelte aziendali relative al tipo di attività da affidare in forma di contratto a progetto (art. 69, comma 3, D.Lgs. 276/2003), ed anche accogliendo la più ampia tesi interpretativa, che ritiene che questo tipo contrattuale non sia di per sé riservato ad attività di carattere altamente specialistico o di particolare contenuto professionale, e possa riguardare prestazioni eventualmente identiche a parte dell’attività aziendale, non si può ignorare che il progetto, ex lege, deve avere una sua specificità. Anche a non intendere la specificità quale individualizzazione del progetto sul singolo collaboratore non si può accettare l’estremo opposto, verificatosi nel caso di specie, di una standardizzazione di centinaia di contratti a progetto in tutto e per tutto identici tra loro, ed identici altresì all’oggetto sociale; tale standardizzazione conferma che ai collaboratori non è stato affidato uno specifico incarico o progetto o una specifica fase di lavoro ma, in totale, l’unica attività che non può che essere identica per tutti, l’attività aziendale in se stessa. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  67. Caratteristica prevista dalla legge per il lavoro a progetto è che l’attività sia indipendente dal tempo di esecuzione. Ammettendo che la prestazione possa essere di mezzi, si ritiene indiscutibile che, per le stesse indicazioni normative di cui all’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003, di indipendenza dal tempo impiegato e di finalizzazione ad un risultato, l’attività non possa comunque consistere in una mera messa a disposizione di energie lavorative, nel caso di specie valutate e controllate con scadenze temporali quotidiane. Pur dovendosi e potendosi qualunque collaboratore coordinare con il destinatario della collaborazione, tale coordinamento non potrà mai essere inteso come organizzazione su turni con costante monitoraggio dell’attività più volte al giorno. La stessa organizzazione del lavoro a turni appare incompatibile con il concetto di autonomia della prestazione, perché il sistema a turni è efficiente se ed in quanto vincolante, altrimenti risulta vanificato a priori. L’attività di un collaboratore autonomo, come tale pur sempre individuato dall’art. 61, D.Lgs. n. 276/2003, non potrà essere verificata che alla scadenza fissata nel progetto, con possibilità di non rinnovarlo, se a quel momento la prestazione non sarà considerata soddisfacente; non deve aver invece alcun rilievo, ai sensi della D.Lgs. n. 276/2003, quanto tempo quotidianamente si è impiegato, purchè l’obiettivo sia stato raggiunto nei termini generali di cui al progetto. Né i vincoli orari possono essere surrettiziamente reintrodotti con giustificazioni di natura statistica, dovendosi altrimenti concludere che vi sono attività per la loro natura strutturalmente incompatibili con una prestazione autonoma a progetto. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  68. Vi è contrasto in dottrina circa la natura della prestazione a progetto quale obbligazione di risultato o di mezzi. La prima interpretazione si fonda sull’art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, che prevede che il collaboratore si gestisca autonomamente in funzione del risultato. Tale soluzione è tuttavia contraddetta dall’art. 63, D.Lgs. n. 276/2003, che prevede che il compenso corrisposto al collaboratore sia proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e dall’art. 67, comma 2, che prevede che le parti possano recedere anche prima della scadenza del termine o della realizzazione del progetto per giusta causa o per le altre causali indicate in contratto, possibilità che sembra contraddire la necessità di raggiungere un risultato. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  69. Il raffronto tra i requisiti minimali di carattere generale del progetto individuati dall’art. 61, D.Lgs. 276/2003 e i contratti stipulati dai ricorrenti porta a concludere che si verta in un’ipotesi di cui all’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 di mancanza di uno specifico progetto, con la conseguenza che i rapporti instaurati debbono, in accoglimento del ricorso, considerarsi di lavoro subordinato a tempo indeterminato sino dalla loro instaurazione. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  70. Si ritiene di aderire a quella parte della dottrina che considera la presunzione di cui all’art. 69, comma 1 D.Lgs. n. 276/2003 di carattere relativo. Contrasterebbe con quanto statuito dal giudice delle leggi con le pronunce nn. 115/1994 e 121/1993 la previsione di una presunzione assoluta. Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale come sia contraria agli artt. 3, 36 38 Cost. una previsione normativa o contrattuale che, a discapito dell’effettiva natura subordinata del rapporto, ne imponga la qualificazione in termini di autonomia. Su tali presupposti la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che poneva una presunzione assoluta di autonomia di un rapporto, in quanto poteva sottrarlo alle inderogabili garanzie del lavoro subordinato, quale concretamente realizzatosi in termini di subordinazione (Corte Cost. n. 121/1993); a maggior ragione la Corte ha escluso che le parti possano direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, sottrarre un rapporto alla disciplina inderogabile prevista a tutela del lavoratore subordinato (Corte Cost. 115/1994). Nel caso di specie ricorrerebbe l’ipotesi inversa di presunzione assoluta di subordinazione. Se è pur vero che tale presunzione assoluta non andrebbe a scontrarsi con le inderogabili garanzie di cui agli artt. 36 e 38 Cost., resterebbe a parere di questo giudice, un grave vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., potendo arrivare ad imporre le specifiche e forti tutele del lavoro subordinato ad attività che in nessun modo abbiano concretamente presentato le caratteristiche che tali garanzie giustificano. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  71. Ritenuto di interpretare la previsione dell’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 quale presunzione relativa, ne consegue l’inversione dell’onere della prova; parte convenuta avrebbe potuto e dovuto offrire di provare l’autonomia dell’attività svolta, a prescindere dalla bontà del progetto. La prova della fattiva autonomia della prestazione non deve, infatti, essere confusa con la prova dell’esistenza e della legittimità del progetto che, stante la già ricordata prescrizione di forma ad probationem, incontra il limite della prova documentale. Una cosa è infatti sostenere che si sia posto in essere un valido contratto a progetto, altra cosa è sostenere che, pur nell’inidoneità del progetto, come nel caso di specie, l’attività si sia di fatto svolta in modo autonomo. In mancanza di qualsivoglia idonea prova di autonomia dei ricorrenti essi non possono che considerarsi lavoratori subordinati, già in applicazione della presunzione di cui all’art. 69, D.Lgs. n. 276/2003. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)
  72. Qualificati i rapporti di collaborazione a progetto quali subordinati ai sensi dell’art. 69, D.Lgs. n. 276/2003, i recessi integrano dei licenziamenti irrogati ad nutum, come tali illegittimi. L’accertamento della fattiva subordinazione dei ricorrenti, alla luce del pacifico dato emergente in atti che la prestazione di tutti i collaboratori a progetto si svolgeva con identiche modalità, non può esimere il giudice da una valutazione incidentale delle identiche posizioni degli altri collaboratori, con conseguente accertamento della sussistenza di fatto in capo alla convenuta del requisito dimensionale di cui all’art. 18, L. n. 300/1970. I dipendenti da considerarsi ai fini dell’applicabilità della tutela reale non sono esclusivamente quelli figuranti a libro matricola, bensì tutti quelli di cui si deduca e risulti provata, anche incidenter tantum, la subordinazione, divenendo altrimenti facilmente eludibile il meccanismo della tutela reale, mediante la non formalizzazione o la diversa qualificazione dei rapporti di fatto subordinati. L’art. 18, L. n. 300/1970 prescrive che il datore di lavoro abbia alle dipendenze e non a libro matricola almeno sessanta lavoratori; la Suprema Corte individua il requisito dimensionale quale condizione di fatto, da accertarsi caso per caso. (Trib. Torino 5/4/2005, Est. Malanetto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Valeria Filì, 651)