Lavoro a domicilio

Tu sei qui:

Questa voce è stata curata da Arturo Di Mario

 

Definizione e caratteristiche

(Legge n. 877/1973, art. 1)
È lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione:

  1. esegue il lavoro nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia disponibilità;
  2. esegue il lavoro personalmente o anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti;
  3. utilizza materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi;
  4. osserva le direttive dell’imprenditore.

Vincolo di subordinazione

In deroga all’art. 2094 c.c. ”il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo, in cui l’oggetto della prestazione del lavoratore assume rilievo non già come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, resa in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, e però organizzata ed utilizzata in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all’interno di essa, e, correlativamente, il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività del lavoratore nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione lavorativa da lui resa, pur se in ambienti esterni all’azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente anche con l’ausilio dei suoi familiari, purché conviventi e a carico, diventa elemento integrativo (c.d. subordinazione tecnica)” (Cass. n. 5840/2002; conf. Cass. n. 4118/1992, n. 11434/1995, n. 9516/1998, n. 7328/2002, n. 21594/2002, n. 15915/2004).

La subordinazione deve escludersi allorquando il lavoratore ha piena libertà di accettare o rifiutare il lavoro commissionato, ha la piena discrezionalità sui tempi e le modalità di consegna, ha la facoltà di negoziare il corrispettivo della prestazione, si avvale della collaborazione non accessoria dei familiari (fatturato eccessivo), occupa apprendisti, fornisce un lavoro altamente creativo (ex multis: Cass. n. 4144/1999, n. 6803/2002, n. 22429/2004, n. 22129/2006, n. 21954/2007).

Stante comunque la non facile qualificazione nell’ambito del lavoro a domicilio tra rapporto autonomo e rapporto subordinato, nei casi in cui ci sia incertezza e ambiguità sarà utile “avere riguardo anche alla volontà delle parti, espressa nella regolamentazione del loro rapporto, nonché ad altri elementi da sempre ritenuti capaci di caratterizzare il rapporto in termini di subordinazione o autonomia, quale il possesso da parte del lavoratore a domicilio di macchinari e attrezzature idonei ad attestare l’esistenza di una piccola impresa e/o la sua natura artigianale” (Cass. n. 6803/2002).

Per quanto riguarda il lavoro espletato da un’impresa artigiana, la Suprema Corte ha precisato che – una volta accertata la mancanza di una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi, come pure, di una struttura, anche se semplice, di tipo imprenditoriale – l’iscrizione del lavoratore all’albo delle imprese artigiane, l’emissione di fatture e lo svolgimento dell’attività lavorativa per una pluralità di committenti non costituiscono elementi idonei ad escludere la configurazione di un rapporto di lavoro a domicilio (ex multis: Cass. n. 151/1995, n. 9516/1998, n. 5558/1999, n. 5840/2002, n. 7524/2002, n. 21594/2004).

L’Inps con circolare n. 79/1997 ha così fissato gli elementi, concreti e concomitanti, per stabilire quando si è in presenza di un rapporto autonomo e non di un rapporto di lavoro a domicilio:

  1. la ditta che esegue i lavori è una ditta iscritta all’Albo provinciale delle imprese artigiane;
  2. la ditta fattura il lavoro svolto;
  3. non sussistono di norma termini rigorosi per la consegna del prodotto;
  4. il lavoro viene eseguito in locali propri e con macchinari di proprietà della ditta artigiana;
  5. l’oggetto della prestazione è il risultato e non la estrinsecazione di energie lavorative;
  6. esiste l’assunzione del rischio in proprio, intendendo per rischio quello di impresa, presente e incidente sulla quantità di guadagno in rapporto alla rapidità, alla precisione ed organizzazione del lavoro nella quale la ditta committente non ha alcun potere di interferire essendo interessata solo al risultato della lavorazione.

 

 

Esecuzione del lavoro presso il proprio domicilio

La prestazione lavorativa deve essere eseguita presso il domicilio del lavoratore o in un locale di cui abbia la disponibilità (decentramento produttivo); nel caso in cui i lavori si svolgano in locali di pertinenza dell’imprenditore, anche se per l’uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti si corrisponde un compenso di qualsiasi natura, il rapporto di lavoro deve intendersi come dipendente a tempo indeterminato.

 

Collaborazione dei familiari

Il lavoro a domicilio deve essere eseguito personalmente dal lavoratore che ha comunque la facoltà di servirsi dell’aiuto accessorio, ma non necessariamente saltuario, dei componenti la sua famiglia, conviventi e a carico (Cass. n. 151/1995, n. 21594/2004, n. 4761/2006).
L’Inail precisa che l’aiuto abituale (prestato con continuità, regolarità, frequenza nonché indispensabile per il completamento del ciclo lavorativo), non deve in ogni caso trascendere i limiti dell’accessorietà (Circ. Inail n. 43/1975).
È assolutamente vietato occupare nelle lavorazioni manodopera retribuita, anche saltuariamente, e apprendisti (Cass. n. 2750/1985 e n. 6023/1993).

 

Materie prime e attrezzature

Il lavoratore nell’esecuzione delle lavorazioni di prodotti deve utilizzare materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi.
Le attrezzature di proprietà del lavoratore possono essere anche costose, purché non si sconfini nell’appalto e ciò accade quando il valore dei beni strumentali è di gran lunga superiore al compenso pattuito (Cass. n. 9516/1998).
L’art. 1 della Legge n. 877/1973, inizialmente, disponeva la comproprietà delle materie prime e delle attrezzature tra l’imprenditore e il dipendente, successivamente però il Legislatore interveniva con l’art. 2 della Legge n. 858/1982 sostituendo nell’espressione “materie prime e accessorie e attrezzature proprie e dello stesso imprenditore” la congiuntiva “e” con la disgiuntiva “o” (v. Corte. cost. n. 152/1982).

 

Direttive dell’imprenditore

Il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore per quel che riguarda le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere, nell’esecuzione parziale, nel completamento o nella intera lavorazione di prodotti oggetto dell’attività del committente (Cass. n. 8221/2000, n. 5840/2002, n. 2895/2006, n. 21954/2007).
Le direttive non devono essere necessariamente specifiche e reiterate essendo sufficiente, secondo le circostanze (lavorazioni identiche e ripetitive), che esse siano inizialmente impartite una volta per tutte, anche mediante la consegna di un modello da seguire in tutti i particolari, mentre i controlli possono anche limitarsi alla verifica (ex post) della buona riuscita della lavorazione (ex multis: Cass. n. 5096/1983, n. 1361/1993, n. 11431/1995, n. 1433/1997, n. 7661/1998, n. 14120/1999, n. 5840/2002, n. 6405/2002, n. 9168/2003, n. 3835/2005).

 

Assunzione


Comunicazioni di assunzione

Il datore di lavoro deve comunicare, al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro, l’assunzione del lavoratore a domicilio, entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del rapporto.
Il termine per inviare la comunicazione di assunzione scade alle ore 24 del giorno precedente l’inizio del rapporto di lavoro.
Per inizio del rapporto di lavoro si intende la data da cui decorrono l’obbligo della prestazione lavorativa e l’obbligo della remunerazione. (Nota Ministero lavoro n. 4746/2007).
La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato. (art. 9-bis, D.L. n. 510/1996)
La comunicazione è valida ai fini dell’assolvimento degli obblighi di comunicazione nei confronti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, o di altre forme previdenziali sostitutive o esclusive, nonché nei confronti della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo. (art. 4-bis, c. 6, D.Lgs. n. 181/2000)

 

Registrazione nel Libro unico del lavoro (LUL)

(Legge n. 877/1973, artt. 3 e 10 come modificati dal D.L. n. 112/2008 conv. dalla Legge n. 133/2008)
Il Registro dei committenti e il Libretto di controllo sono stati soppressi dall’art. 39 del D.L. n. 112/2008; ora il datore di lavoro deve riportare nel Libro unico del lavoro i seguenti dati riguardanti il lavoratore a domicilio:

  • il nome e cognome;
  • il codice fiscale;
  • il domicilio;
  • la misura della retribuzione;
  • la data e l’ora di consegna del lavoro;
  • la data e l’ora di riconsegna del lavoro;
  • la descrizione del lavoro eseguito;
  • la specificazione della quantità e della qualità del lavoro.

I dati devono essere registrati per ciascun mese di riferimento, entro il giorno 16 del mese successivo.

 

Registro dei lavoratori a domicilio

(Legge n. 877/1973, art. 4, c. 1)
Presso ogni Centro per l’impiego è istituito un registro dei lavoratori a domicilio nel quale sono iscritti i lavoratori che ne facciano richiesta.

 

Computo dei lavoratori a domicilio

Riserva obbligatoria dei disabili

(Legge n. 68/1999, art. 4, c. 3)
I lavoratori disabili dipendenti occupati a domicilio sono computati ai fini della copertura della riserva.

 

Limiti dimensionali delle imprese artigiane

(Legge n. 443/1985, art. 4, c. 2, n. 2)
Ai fini del calcolo dei limiti dimensionali fissati per il riconoscimento dell’impresa artigiana non sono computati i lavoratori a domicilio, sempre che non superino un terzo dei dipendenti non apprendisti occupati presso l’impresa stessa.

 

Contributo per l’integrazione guadagni

(Legge n. 164/1975, art. 13)
Ai fini della determinazione del limite numerico dei 50 dipendenti e dell’applicazione dell’aliquota ridotta del contributo per l’integrazione guadagni nell’industria e dell’addizionale sulle integrazioni salariali i lavoratori a domicilio sono computati fra i dipendenti dell’impresa così come lo sono i dirigenti e gli impiegati.

 

Obblighi del committente

(Legge n. 877/1973, art. 2)
È fatto divieto ai committenti di:

  • assegnare lavorazioni che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o la incolumità del lavoratore e dei suoi familiari;
  • affidare lavoro a domicilio, per la durata di un anno, nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro;
  • valersi dell’opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, in caso contrario, verranno considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell’interesse del quale hanno svolto la loro attività.

Il committente è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale (art. 115, c. 1, D.Lgs. n. 196/2003).

 

Obblighi del lavoratore

(Legge n. 877/1973, art. 11)
Il lavoratore a domicilio deve:

  • prestare la sua attività con diligenza;
  • custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli;
  • attenersi alle istruzioni ricevute dall’imprenditore nell’esecuzione del lavoro.

Il lavoratore a domicilio non può eseguire lavoro per conto proprio e di terzi in concorrenza con l’imprenditore, quando questi gli affida una quantità di lavoro atto a procurargli una prestazione continuativa corrispondente all’orario normale di lavoro.

 

Orario di lavoro

(D.Lgs. n. 66/2003, art. 17, c. 5, lett. d)
Al lavoratore a domicilio, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non si applica la disciplina dell’orario di lavoro limitatamente ai seguenti profili:

  • orario normale e durata massima (artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 66/2003);
  • lavoro straordinario (art. 5, D.Lgs. cit.);
  • riposo giornaliero (art. 7, D.Lgs. cit.);
  • pause (art. 8, D.Lgs. cit.);
  • lavoro notturno (artt. 12 e 13, D.Lgs. cit.).

 

 

Ferie e festività

Circ. Inps n. 6/1989
Stante la peculiarità dello speciale rapporto di lavoro, normalmente il prestatore d’opera non usufruisce delle norme che regolano le ferie e le festività nazionali ed infrasettimanali.
I CCNL di categoria prevedono, a titolo di indennità sostitutiva per il mancato godimento degli istituti contrattuali citati, una maggiorazione retributiva che come tale deve essere assoggettata a contribuzione.

 

Lavoro a tempo parziale

Interpello Ministero lavoro n. 19/2008
Qualora la quantità di lavoro dedotta nel contratto di lavoro a domicilio sia tale da non richiedere un tempo pari al normale orario di lavoro, lo stesso non appare incompatibile con altro rapporto di lavoro part time.

 

Prestazioni previdenziali

Infortunio

Legge n. 877/1973, art. 9; Circ. Inail n. 37/1974 e n. 43/1975
Il primo comma dell’art. 9 della Legge n. 877/1973 stabilisce che ai lavoratori a domicilio si applicano in materia di assicurazioni sociali, le norme vigenti per i lavoratori subordinati e quindi, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, si applicano le disposizioni del T.U. emanato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
In caso di infortunio il committente dovrà redigere la denuncia di infortunio indicando la retribuzione effettiva riferita alla commessa, o alle commesse, ricadenti nei quindici giorni precedenti l’evento.
Dovranno in particolare essere evidenziati:

  1. data di consegna e di riconsegna per le lavorazioni ultimate nella quindicina precedente l’evento (cioè, per le quali si é verificata la riconsegna nel periodo considerato), nonché per quella in corso alla data dell’infortunio o di manifestazione della malattia professionale;
  2. misura della retribuzione corrisposta per ogni singola commessa, comprensiva di tutti gli emolumenti assoggettabili a contribuzione;
  3. numero di giornate comprese nel periodo o nei periodi di lavorazione, inclusi i giorni di consegna e riconsegna, con l’avvertenza che, nel caso di sovrapposizione di commesse, le giornate dovranno essere calcolate una sola volta e riferite alla prima lavorazione.

 

 

Malattia

Si applica la normativa vigente per la generalità dei lavoratori subordinati.
L’indennità viene erogata dall’Inps a partire dal quarto giorno di malattia; i primi tre giorni sono erogati direttamente dal datore di lavoro se previsto dal CCNL.
In caso di malattia durante il periodo di sospensione dal lavoro, intercorrente tra la data di consegna del lavoro e la data di una nuova commessa, l’indennità viene corrisposta direttamente dall’Istituto sempreché la malattia non sia intervenuta oltre 60 giorni dalla riconsegna dell’ultimo lavoro.
Per la determinazione della retribuzione di riferimento, ai fini del calcolo della prestazione, si dovrà:

  1. determinare la retribuzione lorda del mese precedente l’inizio della malattia comprensiva delle maggiorazioni previste per ferie, festività, ecc., esclusa l’indennità di anzianità. Il computo della retribuzione complessiva deve essere effettuato sommando le retribuzioni delle lavorazioni riconsegnate nel mese anzidetto;
  2. determinare il numero delle giornate di lavorazione comprese nel mese considerato (escluse le domeniche) intercorrenti tra la data di consegna del lavoro e quella della sua riconsegna. Se nel mese sono state riconsegnate più lavorazioni l’operazione deve essere effettuata sommando tra loro i giorni compresi tra la data di consegna e quella di riconsegna delle singole lavorazioni. Se una delle lavorazioni riconsegnate è stata consegnata in un mese diverso da quello della riconsegna devono essere considerate le sole giornate cadenti nel mese della riconsegna;
  3. dividere l’importo di cui alla lettera a) per il numero dei giorni di cui alla lettera b): il dato ottenuto costituisce la retribuzione media globale giornaliera. (Circ. Inps n. 134368/1981, par. 11.4)

 

 

Maternità/Paternità

D.Lgs. n. 151/2001, art. 61; D.P.R. n. 1026/1976, art. 19
Le lavoratrici e i lavoratori a domicilio hanno diritto al congedo di maternità e di paternità.
Durante il periodo di congedo, spetta l’indennità giornaliera di cui all’art. 22 D.Lgs. n. 151/2001, a carico dell’INPS, in misura pari all’80% del salario medio contrattuale giornaliero, vigente nella provincia per i lavoratori interni, aventi qualifica operaia, della stessa industria.
La lavoratrice a domicilio, all’inizio dell’astensione obbligatoria dal lavoro, deve inviare all’istituto assicuratore, oltre al mod. MAT SR01, il certificato di gravidanza redatto nei termini indicati e una dichiarazione del datore di lavoro dalla quale risulti la data di riconsegna di tutte le merci ed il lavoro affidato, anche se non ultimato, prima dell’inizio del periodo indennizzabile
Non spettano l’astensione facoltativa e i riposi giornalieri. (Circ. Inps n. 182/1997, par. 10.2)

 

Assegni familiari

Legge n. 877/1973, art. 9, c. 1; Circ. Inps n. 1430/1975 e n. 110/1992
L’art. 9, c. 1, della Legge n. 877/1973 estende ai lavoratori a domicilio l’applicazione delle norme sugli assegni familiari.
Ai lavoratori a domicilio spettano 6 assegni giornalieri su 7 giornate di commessa comprese nel periodo intercorrente tra la data di consegna del lavoro affidato e quella di riconsegna del lavoro eseguito. Possono essere corrisposti massimo 26 assegni mensili, soggetti a contribuzione.
L’assegno deve essere corrisposto in occasione della corresponsione dei compensi relativi al periodo di commessa.
Il diritto del datore di lavoro a richiedere il rimborso dell’assegno per il nucleo familiare erogato ai propri lavoratori a domicilio si prescrive nel termine di cinque anni a decorrere dalla fine del mese in cui scade il periodo di commessa, cioè quello in cui cade la data di riconsegna del lavoro eseguito.

 

Congedo matrimoniale

I lavoratori a domicilio hanno diritto all’assegno per congedo matrimoniale e la prestazione, erogata dall’INPS, viene anticipata dal datore di lavoro.
L’assegno è così calcolato:

  • in un periodo di commessa di otto giorni, sette sono da considerare retribuiti, l’importo dell’assegno è determinato moltiplicando per sette il guadagno medio giornaliero realizzato dal lavoratore nell’ultimo periodo di commessa che precede l’inizio del congedo se la commessa è stata pari o superiore agli otto giorni, ovvero in più periodi di commessa la cui durata raggiunga almeno tale numero di giorni;
  • per la determinazione del guadagno medio giornaliero deve essere divisa la retribuzione del periodo o dei periodi di commessa per il numero delle giornate da considerare retribuite e da assoggettare a contribuzione. (Circ. Inps n. 312/1977)

 

 

Sicurezza sul lavoro

Il domicilio del lavoratore non è considerato luogo di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008, art. 62).
Il datore di lavoro deve:

  • non assegnare lavorazioni che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o la incolumità sia del lavoratore che dei suoi familiari (art. 2, Legge n. 877/1973);
  • fornire i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate al lavoratore (D.Lgs. n. 81/2008, art. 3, c. 9);
  • fornire una adeguata informazione:
    • sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale;
    • sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
    • sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate (D.Lgs. n. 81/2008, art. 36, c. 3);
  • assicurare una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008, art. 37);
  • nel caso in cui fornisca le attrezzature, deve verificare che esse siano conformi alle previsioni del tit. III del D.Lgs. 81/08).

Il datore di lavoro non è tenuto a fornire informazioni e formazione inerenti a:

  • primo soccorso;
  • antincendio (Interpello 24/10/2013, n. 13).

 

 

Ammortizzatori sociali

Cassa integrazione guadagni (CIG)

Legge n. 877/1973, art. 9, c. 1
Ai lavoratori a domicilio si applicano le norme vigenti per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta eccezione di quelle in materia di integrazione salariale (cassa integrazione).

 

CIG in deroga

Msg. Inps n. 1908/2010
Il Ministero del lavoro ha ritenuto che “anche i lavoratori a domicilio, in quanto lavoratori subordinati per definizione normativa, possano essere compresi tra i beneficiari dei trattamenti di integrazione salariale in deroga”.
Tali lavoratori dovranno necessariamente avere il requisito dei 90 giorni di anzianità lavorativa presso la ditta che li pone in CIG in deroga (art. 7-ter, c. 6, D.L. n. 5/2009 conv. dalla Legge n. 33/2009).
Ai fini del calcolo della prestazione si prenderà come retribuzione di riferimento quella ottenuta applicando i criteri per il calcolo dell’indennità di malattia, con in più un’ulteriore operazione per conoscere la retribuzione oraria: si dovrà dividere la retribuzione media globale giornaliera ottenuta per il numero di ore lavorative giornaliere previsto per la maggior parte dei lavoratori dipendenti dell’azienda.

 

Indennità di mobilità

Cass. S.U. n. 106/2001; Circ. Inps n. 142/2001
L’Inps e il Ministero del lavoro in base all’art. 16, c. 1, della Legge n. 223/1991, avevano negato il riconoscimento dell’indennità di mobilità ai lavoratori a domicilio perché non legati all’azienda da un rapporto di lavoro a carattere continuativo, ma la Suprema Corte, a Sezioni unite, è intervenuta affermando che “la subordinazione del lavoratore a domicilio non è ontologicamente diversa, sotto il profilo tecnico, da quella degli altri lavoratori, essendo anch’egli inserito nell’azienda, nel senso che, pur trovandosi decentrato rispetto al luogo ove normalmente avviene il processo lavorativo, concorre allo svolgimento di quest’ultimo con la messa a disposizione delle sue energie lavorative sotto la direzione del datore di lavoro” e puntualizzando che la legge cit. “si limita a richiedere che il lavoratore il quale, avendone i requisiti soggettivi, chieda di fruire dell’indennità di mobilità, dipenda da un’azienda che rientri, per le sue caratteristiche oggettive, nell’area di integrazione salariale, sicché è l’oggettiva connotazione produttiva dell’azienda, con la conseguente fruibilità da parte di essa della integrazione salariale straordinaria, il presupposto per ottenere l’indennità di mobilità, e non certo la fruibilità dell’integrazione stessa da parte del lavoratore colpito dal processo di riduzione dell’azienda”.
Quindi “anche i lavoratori a domicilio, i quali, a causa di licenziamento, per riduzione di personale o per cessazione dell’attività aziendale, intimato da imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, vengano a trovarsi in condizioni di disoccupazione, hanno diritto all’indennità di mobilità ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7 legge 23 luglio 1991, n. 223, ove possano far valere, ai sensi dell’art 16, primo comma, della medesima legge, una dipendenza di almeno dodici mesi dalla medesima azienda (di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione per ferie, festività e infortuni), con un rapporto di lavoro a carattere continuativo o comunque non a termine”.
Le agevolazioni contributive previste dalle leggi n. 407/1990 e n. 223/1991 sono applicabili anche ai lavoratori a domicilio.
Le agevolazioni vanno concesse qualora:

  • i datori di lavoro siano legittimati a tale tipo di assunzione;
  • i lavoratori, disoccupati da almeno 24 mesi iscritti nelle apposite liste ovvero iscritti nelle liste di mobilità, siano assunti come lavoranti a domicilio qualificati subordinati. (Msg Inps n. 3491/1998)

In caso di trasferimento d’azienda o di fusione di società i requisiti dell’anzianità aziendale e quello del lavoro effettivamente prestato vanno ricercati sommando i rapporti di lavoro effettuati presso le varie società.

 

Indennità di disoccupazione

Legge n. 877/1973, art. 9, c. 1; Circ. Inps n. 313/1962 e Msg. Inps n. 895/2003 e n. 5291/2004
“I lavoratori a domicilio hanno diritto all’indennità di disoccupazione involontaria sempre che il rapporto si estingua per licenziamento per giusta causa o dimissioni per giusta causa”. (Cass. n. 14127/2002)
L’indennità è corrisposta anche nel caso di sospensione dell’attività aziendale dovuta a motivi imprevedibili, mentre non è dovuta nei periodi di sosta tra una commessa e l’altra poiché detti periodi sono da considerarsi una naturale conseguenza del tipo di lavoro svolto.
I datori di lavoro che assumono lavoratori a domicilio licenziati, beneficiari dell’indennità di disoccupazione con requisiti normali (cinquantadue settimane di contributi biennio antecedente la data del licenziamento), e che hanno più di cinquant’anni, godono, in via sperimentale e per il solo 2010, di una riduzione contributiva. (art. 1, c. 134 e 135, Legge n. 191/2009)

 

Contratto di solidarietà

D.M. n. 46448/2009, art. 3, c. 1; Circ. Ministero del lavoro n. 33/1994
Il contratto di solidarietà non può essere applicato ai lavoratori a domicilio.

 

Retribuzione

Legge n. 877/1973, art. 8; Circ. Inps n. 114/1996
I lavoratori a domicilio debbono essere retribuiti sulla base di tariffe di “cottimo pieno” (la retribuzione è determinata esclusivamente in base alla quantità di lavoro effettivamente prestato) risultanti dai contratti collettivi della categoria.
Come risulta dall’analisi dei contratti collettivi nazionali di categoria, i parametri di riferimento per la determinazione della tariffa oraria e delle varie indennità aggiuntive sono costituiti:

  • dal trattamento economico salariale (quantificato su base oraria) degli operai interni all’azienda;
  • dalla misurazione tecnica del tempo normalmente necessario ad un lavoratore di normale capacità per eseguire l’operazione o il gruppo di operazioni ad esso richieste.

Qualora i contratti collettivi non dispongano in ordine alla tariffa di cottimo pieno, questa viene determinata da una commissione a livello regionale composta di 8 membri, in rappresentanza paritetica dei datori di lavoro e dei lavoratori nominati dal direttore dell’ufficio regionale del lavoro su designazione delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative. Presiede la commissione, senza diritto di voto, il capo dell’ispettorato regionale del lavoro.

Spetta altresì alla commissione determinare la percentuale sull’ammontare della retribuzione dovuta al lavoratore a titolo di rimborso spese per l’uso di macchine, locali, energia ed accessori, nonché le maggiorazioni retributive da valere a titolo di indennità per il lavoro festivo, le ferie, la gratifica natalizia e l’indennità di anzianità.

Ove la tariffa e le indennità accessorie non vengano determinate in un congruo termine fissato dal direttore dell’ufficio regionale del lavoro, le medesime sono stabilite con decreto dello stesso direttore dell’ufficio regionale del lavoro in relazione alla qualità del lavoro richiesto, in base alle retribuzioni orarie fissate dai contratti collettivi osservati dall’imprenditore committente o dai contratti collettivi riguardanti lavorazioni similari.

Entro il 30 giugno o il 31 dicembre di ogni anno, con decreto del direttore dell’ufficio regionale del lavoro, le tariffe sono adeguate alle variazioni dell’indennità di contingenza.

Il pagamento della retribuzione viene effettuato all’atto della riconsegna del lavoro e secondo le consuetudini in vigore presso le singole aziende e non contrastanti con le norme del contratto per i lavoratori interni.

 

Maggiorazione della retribuzioni

Alcune contrattazioni collettive hanno previsto una maggiorazione in percentuale della retribuzione, da computarsi sull’ammontare complessivo della retribuzione globale percepita dal lavoratore nel corso del periodo considerato, comprendente:

  • un’indennità sostitutiva della gratifica natalizia, delle ferie annuali, e delle festività nazionali e infrasettimanali;
  • un’indennità sostitutiva del TFR.

 

 

Licenziamento

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto a più riprese che nel lavoro a domicilio la disciplina limitativa dei licenziamenti (Legge n. 604/66, Legge n. 300/70 e Legge n. 108/90) sia ammessa solo in presenza di una continuità di prestazioni, valutata in relazione al normale orario di lavoro del settore di appartenenza. (Cass. n. 1570/1981 e n. 615/1987)

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di lavoro a domicilio

  1. Ha natura di lavoro subordinato la prestazione resa a domicilio nel caso in cui la lavoratrice, appositamente formata dalla società, percepisca una retribuzione oraria fissa e utilizzi i macchinari forniti dalla datrice di lavoro, a nulla rilevando il fatto che essa presti la propria attività anche a favore di altri soggetti. (Cass. 13/11/2014 n. 24223, Pres. Coletti De Cesare Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2015, 197)
  2. Al lavoro subordinato a domicilio, disciplinato dalla Legge 18 dicembre 1973, n. 877 e nel silenzio di questa, sono applicabili le norme in tema di estinzione del rapporto di lavoro subordinato dettate dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 solo quando il rapporto di lavoro a domicilio sia di fatto caratterizzato da una qualificata e ragionevole continuità della prestazione, l’ambito della quale non si identifica nella rigida corrispondenza della prestazione all’ordinario orario di lavoro previsto nel settore di attività produttiva esercitata dall’impresa committente (Cass. 22/1/1987, n. 615, in Rep. F.I., 679, 1987; Riv. giur. lav., 1987, II, 64, con nota di M. Montanari; Mass. giur. lav., 1987, 203)
  3. La configurabilità della subordinazione, sia pure attenuata, che caratterizza il rapporto di lavoro a domicilio non è esclusa quando il lavoratore benché inserito nel ciclo produttivo aziendale e disponibile ad una sicura esecuzione del lavoro programmato in relazione alle esigenze e alle finalità dell’impresa sia costretto, in qualche caso, a rifiutare il lavoro commessogli per l’impossibilità di adempierlo nei termini temporali rigidamente prefissati dal datore di lavoro, restando da ciò anzi rafforzato il vincolo della subordinazione (Cass. 15/12/1999, n. 14120 – Pres. Trezza – ReLegge Dell’Anno, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 299, con nota di Legge Nogler)
  4. È costituzionalmente illegittimo l’art. 1, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui non prevede l’applicabilità alle lavoratrici a domicilio dell’art. 5 della medesima legge, che disciplina l’interdizione anticipata dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza. L’istituto dell’interdizione anticipata è equiparato sotto tutti i profili all’astensione obbligatoria ante partum, per identità delle rationes normative delle due fattispecie nell’aspetto funzionale, sostanziale ed economico e costituisce attuazione dei principi costituzionali che impongono la tutela della maternità, in applicazione dei quali, in presenza di situazioni omogenee, categorie di lavoratrici non possono essere escluse dal beneficio di quel livello di protezione assicurato, alla generalità delle lavoratrici subordinate, dalla legge n. 1204 del 1971. Infatti, le caratteristiche del lavoro a domicilio, ancorché peculiari, soprattutto in relazione alle concrete modalità di svolgimento, non sono idonee a giustificare l’inapplicabilità dell’interdizione anticipata alle donne occupate in tale settore, le quali risultano così irragionevolmente discriminate rispetto alla generalità di quelle impegnate nel lavoro subordinato e non adeguatamente garantite in relazione alla tutela della maternità, in violazione dei principi costituzionali che questa esigono (Corte Cost. n. 360/2000 – Pres. Mirabelli – ReLegge Contri, in Lav. giur. 2000, 1027, con nota di G. Mannaccio; Lav. e prev. oggi 2000, 2058; Dir. lav. 2000, 895; Orient. giur. lav. 2000, 720; Giust. civ. 2000, I, 3079)
  5. Il lavoro a domicilio – secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella legge 18 dicembre 1973 n. 877, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla Legge 13 marzo 1958 n. 264 – realizza una forma di decentramento produttivo, caratterizzata dal fatto che l’oggetto della prestazione del Lavoratore viene in rilievo non come risultato (opus), ma come energie lavorative (operae) utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro eseguito all’interno dell’azienda e, quindi, in esso il vincolo di subordinazione consiste nell’inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo aziendale di cui quest’ultimo – benché operante all’esterno e con la predisposizione di propri mezzi ed attrezzature – diviene elemento integrativo; mentre si configura la distinta fattispecie del lavoro autonomo allorché sia riscontrabile, nel soggetto cui l’imprenditore commette un determinato opus, una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi ed una struttura di tipo imprenditoriale (al qual fine, non è, peraltro, sufficiente la mera iscrizione nell’albo delle imprese artigiane): circostanze, queste ultime, la cui valutazione è demandata al prudente apprezzamento del giudice del merito, peraltro secondo il canone interpretativo di ritenere, nel dubbio, sussistente lo speciale rapporto di lavoro a domicilio (Cass. 13/1/2001, n. 438 – Pres. Sciarelli – ReLegge De Renzis)
  6. In tema di lavoro a domicilio, per applicare le norme sul lavoro subordinato non occorre accertare se sussistano i caratteri propri di questo, essendo, invece, necessario e sufficiente che ricorrano i requisiti indicati dall’art. 1 della legge n. 877 del 1973, come modificato dall’art. 2 della legge n. 858 del 1980, e cioè: a) che il lavoratore esegua il lavoro nel proprio domicilio e in locale di cui abbia la disponibilità; b) che il lavoro sia eseguito dal lavoratore personalmente, o anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata o di apprendisti; c) che il lavoratore sia tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere, nella esecuzione parziale, nel completamento o nella intera lavorazione di prodotti oggetto dell’attività del committente. Nel quadro di tale speciale disciplina legislativa, il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo, in cui l’oggetto della prestazione del lavoratore assume rilievo non già come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, resa in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, e però organizzata ed utilizzata in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all’interno di essa, e, correlativamente, il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività del lavoratore nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione lavorativa da lui resa, pur se in ambienti esterni all’azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente anche con l’ausilio dei suoi familiari, purché conviventi e a carico, diventa elemento integrativo (c.d. subordinazione tecnica). Né valgono, di per sé ad escludere la configurabilità del suddetto tipo di rapporto l’iscrizione del prestatore di lavoro all’albo delle imprese artigiane (in quanto ad una iscrizione formale, priva di valore costitutivo, può non corrispondere l’effettiva esplicazione di attività lavorativa autonoma) ovvero l’emissione di fatture per il pagamento delle prestazioni lavorative eseguite (potendo tale formalità essere finalizzata proprio alla elusione della normativa legale surrichiamata), oppure la circostanza che il lavoratore svolga la sua attività per una pluralità di committenti anche la mancata fissazione di termini rigorosi per la consegna del lavoro commissionato o infine la circostanza che il compenso pattuito sia oggetto di trattative tra le parti (atteso che simili trattative sono compatibili anche con il rapporto di lavoro subordinato ordinario) (Cass. 22/4/2002, n. 5840 – Pres. Mileo – ReLegge Cataldi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 518, con nota di S. Tozzoli; Foro it. 2003, I, 2462 con nota di G. Ricci)
  7. La disciplina della Legge 18 dicembre 1973, n. 877 è diretta a superare la distinzione tra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato. Più specificatamente, in tema di lavoro a domicilio, per applicare le norme sul lavoro subordinato non occorre accertare se sussistano i caratteri propri di questo, essendo invece necessario e sufficiente che ricorrano i requisiti indicati dall’art. 1 della legge. Nel quadro di tale speciale disciplina, il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo in cui l’oggetto della prestazione di lavoro assume rilievo non come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative rese in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, e però organizzate ed utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro eseguito all’interno di essa; correlativamente, il vincolo della subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività produttiva nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione resa dal lavoratore a domicilio diviene elemento integrativo (Cass. 4/5/2002, n. 6405 – Pres. Mileo – ReLegge Cataldi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 518 con nota di S. Tozzoli; Foro it. 2003, I, 2462 con nota di G. Ricci)
  8. La configurabilità della subordinazione, sia pura attenuata, che caratterizza il lavoro a domicilio, deve escludersi allorquando il lavoratore goda di piena libertà di accettare o rifiutare il lavoro commessogli, e allorquando sussista una sua piena discrezionalità in ordine ai tempi di consegna del lavoro, venendo meno per tali modalità della prestazione un effettivo inserimento del lavoratore (a domicilio) nel ciclo produttivo aziendale, che necessita, di contro, di una piena e sicura disponibilità del lavoratore ad eseguire i compiti affidatigli e a soddisfare le esigenze e le finalità programmate dall’impresa. Nei casi in cui l’accertamento e la valutazione di dette modalità lascino spazi di incertezza ed ambiguità risulta utile, ai fini della qualificazione del rapporto, avere riguardo anche alla volontà delle parti, espressa nella regolamentazione del loro rapporto, nonché ad altri elementi da sempre ritenuti capaci di caratterizzare il rapporto in termini di subordinazione o autonomia, quale, ad esempio, il possesso da parte del lavoratore a domicilio di macchinari ed attrezzature, idonei ad attestare l’esistenza di una piccola impresa e/o la sua natura artigianale (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva affermato la natura subordinata del rapporto di alcune lavoratrici a domicilio iscritte all’albo delle imprese artigiane, senza dare alcun rilievo alla circostanza che esse avevano piena libertà di accettare o rifiutare i lavori che venivano loro commissionati, senza effettuare alcun accertamento in merito ai tempi e alle modalità di consegna dei lavori stessi e non facendo alcun riferimento alla volontà delle parti e al tipo di organizzazione di cui erano in possesso le lavoratrici) (Cass. 11/5/2002, n. 6803 – Pres. Genghini – ReLegge Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 519 con nota di S. Tozzoli e Foro it. 2003, I, 2462 con nota di G. Ricci)
  9. Con il lavoro a domicilio si realizza una forma di decentramento produttivo caratterizzato dal fatto che l’oggetto della prestazione non viene in rilievo come risultato, ma come energie lavorative utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro eseguito all’interno dell’azienda. Il vincolo della subordinazione è qualificato non tanto dall’elemento della collaborazione, intesa come svolgimento di attività per il conseguimento dei fini dell’impresa, quanto da quello tipico dell’inserimento dell’attività lavorativa nel ciclo produttivo dell’azienda, di cui il lavoratore a domicilio diventa elemento ancorché esterno (Cass. 22/5/2002, n. 7328)
  10. Ricorre la fattispecie del rapporto subordinato di lavoro a domicilio tutte le volte in cui il lavoratore esegua, in un proprio locale ed anche con l’eventuale ausilio dei propri familiari, lavorazioni analoghe o complementari a quelle eseguite all’interno dell’azienda datrice di lavoro, operando su campioni o modelli ricevuti da questa e sotto le sue direttive e controlli, restando, per converso, escluso il vincolo di subordinazione qualora, nel proprio domicilio, il soggetto organizzi e conduca una vera e propria struttura imprenditoriale; ne consegue che solo in tale ultima ipotesi il lavoratore ha diritto alla conservazione dell’iscrizione all’albo delle imprese artigiane, dovendosene, per converso, disporre la cancellazione tutte le volte in cui ricorrano i presupposti del lavoro subordinato a domicilio in base ai parametri dianzi ricordati (Cass. 22/5/2002, n. 7524 – Pres. Trezza – ReLegge Foglia)
  11. Il lavoro a domicilio – secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella legge 18 dicembre 1973, n. 877, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla Legge 13 marzo 1958, n. 264 – realizza una forma di decentramento produttivo, caratterizzata dal fatto che l’oggetto della prestazione del lavoratore viene in rilievo non come risultato (opus), ma come energie lavorative (operae) utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro eseguito all’interno dell’azienda e, quindi, in esso il vincolo di subordinazione consiste nell’inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo aziendale di cui quest’ultimo – benché operante all’esterno e con la predisposizione di propri mezzi ed attrezzature – diviene elemento integrativo; mentre si configura la distinta fattispecie del lavoro autonomo allorché sia riscontrabile, nel soggetto cui l’imprenditore commette un determinato opus, una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi ed una struttura di tipo imprenditoriale (al qual fine non è, peraltro, sufficiente la mera iscrizione nell’albo delle imprese artigiane), circostanze, queste ultime, la cui valutazione è demandata al prudente apprezzamento del giudice del merito, peraltro secondo il canone interpretativo di ritenere, nel dubbio, sussistente lo speciale rapporto di lavoro a domicilio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a domicilio attribuendo rilievo sia alla volontà delle parti, sia al possesso, da parte del lavoratore, di una distinta organizzazione di mezzi e macchinari, tale da farlo ritenere un piccolo imprenditore) (Cass. 5/5/2003, n. 6810)
  12. Il lavoro a domicilio – secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella legge 18 dicembre 1973, n. 877, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla 1. 13 marzo 1958, n. 264 – realizza una forma di decentramento produttivo, caratterizzata dal fatto che l’oggetto della prestazione del lavoratore viene in rilievo non già come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, rese in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, ma organizzate ed utilizzate in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all’interno di essa. Correlativamente, nel lavoro a domicilio il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione lavorativa resa, pur se in ambienti esterni all’azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente anche con l’ausilio dei suoi familiari, purché conviventi e a carico, diventa elemento integrativo; mentre si configura la distinta fattispecie del lavoro autonomo allorché sia riscontrabile, in capo al soggetto cui l’imprenditore abbia commesso un determinato risultato, una vera e propria organizzazione imprenditoriale, distinta da quella del committente, cosicché l’attività lavorativa possa dirsi prestata con inserimento in quella e non nel ciclo produttivo di questa, ovvero nei casi in cui la prestazione, pur personalmente resa, risulti caratterizzata da autonomia tale escludere anche la subordinazione attenuata sopra definita. In mancanza di sufficienti indici rivelatori della sussistenza di un vincolo di subordinazione, la cui dimostrazione è a carico di chi lo deduce, va esclusa l’applicabilità al lavoro a domicilio della disciplina del lavoro subordinato (Cass. 14/8/2004, n. 15915)
  13. Il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo, in cui l’oggetto della prestazione del lavoratore assume rilievo non già come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, resa in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, e però organizzata ed utilizzata in funzione complementare o sostitutiva dei lavoro eseguito all’interno di essa, e, correlativamente, il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività del lavoratore nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione lavorativa da lui resa, pur se in ambienti esterni all’azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente anche con l’ausilio dei suoi familiari, purché conviventi e a carico, diventa elemento integrativo (c.d. subordinazione tecnica). Né valgono, di per sé, ad escludere la configurabilità del suddetto tipo di rapporto l’iscrizione del prestatore di lavoro all’albo delle imprese artigiane (in quanto ad una iscrizione formale, priva di valore costitutivo, può non corrispondere l’effettiva esplicazione di attività lavorativa autonoma) ovvero l’emissione di fatture per il pagamento delle prestazioni lavorative eseguite (potendo tale formalità essere finalizzata proprio alla elusione della normativa legale surrichiamata), oppure la circostanza che il lavoratore svolga la sua attività per una pluralità di committenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto sussistente – con motivazione immune da vizi logici e giuridici – il rapporto di lavoro subordinato di due lavoratrici a domicilio “carteggiatrici” di mobili sulla base della loro sottoposizione alle direttive date dalla società dell’inserimento di esse nel ciclo produttivo della società stessa del non alto contenuto professionale delle loro prestazioni, delle emissione sistematica e periodica di fatture da parte delle lavoratrici a scadenza mensile e sempre alla fine del mese) (Cass. 15/11/2004, n. 21594 – Pres. Mileo – ReLegge Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1064)
  14. È qualificabile come subordinato il rapporto di lavoro a domicilio che, come nella specie, venga svolto sulla base di direttive imprenditoriali, relative alle modalità di esecuzione del lavoro, impartite una volta per tutte all’inizio dell’attività lavorativa, anche mediante la consegna di un modello da riprodurre nei suoi particolari, così da poter escludere margini di autonomia esecutiva nello svolgimento della prestazione di lavoro (Cass. 24/2/2005, n. 3835 in Foro it. 2005, I, 2059)
  15. Il lavoro a domicilio – secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella legge 18 dicembre 1973, n. 977, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla legge 13 marzo 1958, n. 264 – realizza una forma di decentramento produttivo, caratterizzata dal fatto che l’oggetto della prestazione viene in rilievo non come risultato, ma come l’estrinsecazione di energie lavorative, rese in maniera continuativa all’esterno dell’azienda, ma organizzate ed utilizzate in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all’interno di essa. Correlativamente, nel lavoro a domicilio il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo, del quale la prestazione lavorativa resa, pur se in ambienti esterni all’azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente con l’ausilio dei suoi familiari purché conviventi ed a carico, diventa parte integrante e tale integrazione si esprime non solo con l’obbligo di seguire analitiche e vincolanti indicazioni dell’azienda, bensì con 1’ineludibile obbligo di lavorare; diversamente, si configura la distinta fattispecie del lavoro autonomo allorché sia riscontrabile, in capo al soggetto cui l’imprenditore abbia commesso un determinato risultato, una vera e propria organizzazione imprenditoriale, distinta da quella del committente, cosicché l’attività lavorativa possa dirsi prestata con inserimento in quella e non nel ciclo produttivo di questa, ovvero nei casi nei quali la prestazione, pur personalmente resa, risulti caratterizzata da autonomia tale da escludere anche la subordinazione attenuata precedentemente definita. In difetto di sufficienti indici rivelatori della sussistenza di un vincolo di subordinazione, il cui onere probatorio incombe a chi lo deduce, deve essere esclusa l’applicabilità al lavoro a domicilio della disciplina del lavoro subordinato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non si era attenuta all’enunciato principio, ritenendo che il lavoratore a domicilio fosse, in quanto tale, lavoratore dipendente, senza accertare se tanto era stato dedotto e provato dalla lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento) (Cass. 6/3/2006, n. 4761 – Pres. Sciarelli – ReLegge Cuoco, in Lav. giur. 2006, 813)
  16. Nel lavoro a domicilio, secondo la disciplina della Legge 18 dicembre 1973, n. 977, il vincolo di subordinazione si configura come inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo dell’azienda, che si esprime nell’obbligo di seguire analitiche e vincolanti indicazioni dell’azienda, atteso che la configurabilità della subordinazione deve escludersi allorquando, invece, il lavoratore goda di piena libertà in ordine ai tempi di consegna del lavoro (Cass. 16/10/2006, n. 22129 – Pres. Ciciretti – ReLegge Morcavallo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di M.C. Cataudella, 283 e Foro it. 2007, I, 92, con nota di G. Ricci)
  17. Perché possa reputarsi integrata la fattispecie di lavoro a domicilio, secondo i requisiti dettati dall’art. 1 della legge n. 877 del 1973 (come modificato dall’art. 2 della legge n. 858 del 1980), occorre, anzitutto, che il prestatore esegua il lavoro, nel proprio domicilio oppure in un locale di cui abbia la disponibilità, personalmente ovvero anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata o di apprendisti, nonché sia tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore per quel che riguarda le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere, e che, inoltre, il datore di lavoro possa fare affidamento sulla prestazione del lavorante a domicilio, prestazione che si inserisce così nel ciclo produttivo aziendale e diviene elemento integrativo dell’attività imprenditoriale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nel qualificare la fattispecie oggetto di cognizione come lavoro a domicilio, non aveva, però, adeguatamente motivato in ordine alle circostanze, pur riferite in sentenza, per cui i lavoratori avevano la possibilità di accettare o rifiutare le singole commesse di lavoro ovvero di negoziare il corrispettivo delle loro prestazioni, mancando di indagare sulla portata delle facoltà concesse ai lavoratori rispetto al contenuto complessivo del contratto di lavoro e se esse, quindi, potessero caratterizzare o meno il rapporto come ipotesi di lavoro autonomo) (Cass. 19/10/2007, n. 21954 – Pres. Ciciretti – ReLegge Monaci, in Lav. giur. 2008, 308 e Dir. e prat. lav. 2008, 1644)