Lavoro occasionale

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Scheda sintetica

Nel linguaggio comune l’espressione “lavoro occasionale” è stata spesso utilizzata in modo promiscuo, essa infatti poteva riferirsi a tre distinte tipologie contrattuali:

  1. le collaborazioni occasionali
  2. il lavoro autonomo occasionale
  3. il lavoro accessorio occasionale.

Negli ultimi anni, queste forme contrattuali sono state oggetto di interventi legislativi che hanno profondamente modificato il mercato del lavoro.
In particolare, le collaborazioni occasionali (cd. mini co.co.co) sono state abolite dal nostro ordinamento in seguito all’emanazione del d.lgs. n. 81/2015: l’unica eccezione è costituita dai contratti già in atto alla data del 25 giugno 2015, ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina previgente fino alla loro naturale scadenza.
Il lavoro autonomo occasionale, invece, rimane disciplinato dagli artt. 2222 e ss. del codice civile, nonché dalle disposizioni -ad esso compatibili- della l. n. 81/2017; al contrario, il lavoro accessorio occasionale è stato abrogato dal d.l. 17 marzo 2017, n. 25, conv. l. 20 aprile 2017, n. 49 e sostituito dal nuovo contratto di prestazione occasionale, disciplinato dal d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 giugno 2017, n. 96.

 

Fonti normative

  • D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 2017, n.96;
  • D.L. 17 marzo 2017, n. 25, conv. L. 20 aprile 2017, n. 49;
  • D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81;
  • L. 28 giugno 2012, n. 92;
  • D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133;
  • D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276;
    Art. 2222 c.c.;

 

 

Collaborazioni occasionali

Tale tipologia contrattuale era stata definita espressamente come “lavoro occasionale” nella rubrica del Capo I, del titolo VII del d.lgs. 276/2003: con tale locuzione il legislatore aveva voluto indicare una particolare forma di collaborazione coordinata e continuativa caratterizzata da una durata limitata, ossia non superiore a trenta giorni per anno solare oppure, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona non superiore a 240 ore. Oltre a ciò, era necessario che il compenso derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa non superasse i 5,000 euro annui.
Entrambi i requisiti dovevano essere riferiti al medesimo committente.
I mini-co.coc.co erano esclusi dall’applicazione della disciplina del contratto a progetto – maggiormente garantista – ma restavano comunque collaborazioni coordinate continuative a tutti gli effetti, poiché continuavano a presentare i caratteri tipizzanti dei co.co.co tradizionali.
Per queste ragioni, i collaboratori occasionali restavano assoggettati all’obbligo di contribuzione alla Gestione separata Inps indipendentemente dall’ammontare del reddito annuo percepito e i redditi derivanti dall’attività lavorativa dovevano essere assimilati ai redditi da lavoro dipendente.
Come anticipato nel primo paragrafo, il d.lgs. 81/2015 ha abolito le collaborazioni occasionali, abrogando gli articoli da 61 a 69 del d.lgs. n. 276/2003.

Per maggiori informazioni si veda la scheda Collaborazione occasionale.

 

 

Lavoro autonomo occasionale

Questa tipologia contrattuale differisce da quella esaminata nel paragrafo precedente poiché difetta dei requisiti della continuità e dell’organizzazione, essendo ascrivibile all’area del lavoro autonomo ex art. 2222 del codice civile.
Il lavoratore autonomo occasionale, infatti, oltre a non essere inserito nell’organizzazione produttiva del committente, può organizzare liberamente la propria attività lavorativa sia per quanto riguarda le tempistiche che le modalità esecutive, non essendo necessaria alcuna forma di coordinamento. Oltre a ciò, la prestazione deve essere resa in modo del tutto episodico e saltuario cosicché non è possibile ricondurre una data attività lavorativa a questa tipologia contrattuale ogniqualvolta si sia in presenza di una collaborazione continuativa neppure se di durata limitata. Occorre però sottolineare come il legislatore non abbia fornito parametri di riferimento prestabiliti al fine di compiere tale valutazione e quindi stabilire se, nel caso concreto, ricorra o meno il requisito della regolarità.
Al contrario, ai fini della qualificazione contrattuale, è irrilevante l’ammontare dei compensi percepiti durante l’anno solare -a differenza di quanto era previsto per le collaborazioni occasionali-.
Per tali motivi non è possibile applicare né la disciplina previdenziale né quella fiscale prevista per le collaborazioni coordinate e continuative: l‘iscrizione alla Gestione separata diviene obbligatoria solo nel caso in cui il reddito percepito nel corso dell’anno solare superi i 5,000 euro, mentre, in ogni caso, i redditi percepiti devono essere considerati redditi diversi ex art. 67 co.1, lett. i), D.P.R. 917/ 1986.

Per maggiori informazioni si vedano le schede:

 

 

Lavoro occasionale accessorio

Il lavoro occasionale accessorio è una tipologia contrattuale introdotta dal d.lgs. 276/2003 (e modificata poi più volte), volta a garantire un livello minimo di tutela a forme di lavoro del tutto marginali e saltuarie -solitamente svolte in maniera irregolare- che non potevano essere ricondotte né nell’area delle collaborazioni occasionali né in quella del lavoro autonomo occasionale.
Originariamente, questa tipologia di lavoro poteva essere svolta esclusivamente da soggetti a rischio di esclusione sociale (o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro o sul punto di uscirne): la previsione di un limite soggettivo di questo tipo avrebbe dovuto evitare un abuso nel ricorso a tale tipologia di lavoro; tuttavia, già nel 2008, il d.l. n. 112 ridimensionò fortemente quel limite e anche gli interventi legislativi successivi chiarirono definitivamente che il lavoro accessorio potesse essere svolto da qualsiasi soggetto.
Oltre a ciò, nel 2003, erano stati previsti anche una serie di limiti oggettivi che ne legittimavano il ricorso solo in determinati settori, anche in questo caso però, a conclusione di una serie di interventi di riforma, la l. 92/2012 stabilì che si potesse ricorrere al lavoro occasionale accessorio nella generalità dei settori -tranne limitate eccezioni- purché venissero rispettati determinati limiti economici, correlati al compenso massimo percepibile dal prestatore nel corso dell’anno solare.

Da sempre, l’elemento caratterizzante del lavoro accessorio occasionale è stata la modalità di pagamento del compenso, fondato sul sistema dei buoni-lavoro: il credito dovuto al lavoratore viene, infatti, cartolarizzato in voucher aventi un valore nominale totale, comprendente, oltre al compenso spettante al lavoratore, anche quote per la gestione separata INPS, per l’assicurazione INAIL e una quota ulteriore a favore dell’INPS per la gestione del servizio.
Successivamente, il decreto legislativo n. 81 del 2015 ha abrogato totalmente la previgente regolamentazione dettata dagli articoli da 70 a 74 del decreto legislativo n. 276 del 2003.

La riforma del 2015, pur non stravolgendo la fisionomia complessiva dell’istituto, aveva tuttavia introdotto alcune importanti novità, tra cui:

  • l’innalzamento da 5000 a 7000 euro del compenso massimo che il prestatore di lavoro accessorio poteva percepire su base annua dalla totalità dei suoi committenti (rimaneva invece fermo a 2000 euro il compenso massimo percepibile da parte di ciascun singolo committente);
  • l’introduzione in via definitiva della possibilità di svolgere prestazioni di lavoro accessorio nel limite di 3000 euro all’anno, da parte di chi percepiva prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (la disciplina previgente contemplava tale possibilità solo per il biennio 2013-2014);
  • l’introduzione del divieto di ricorrere al lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi (fatte salve le specifiche ipotesi che avrebbero dovuto essere individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali);
  • la previsione dell’obbligo, per gli imprenditori e i professionisti che utilizzavano prestazioni di lavoro accessorio, di fornire una preventiva comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro riguardante i dati del lavoratore e del luogo della prestazione.

Oltre a ciò, la Riforma si era riproposta di garantire la piena tracciabilità dei buoni lavoro erogati, pertanto i committenti imprenditori o liberi professionisti sarebbero stati obbligati ad acquistare i buoni lavoro esclusivamente tramite modalità telematiche, mentre qualsiasi committente avrebbe dovuto comunicare alla sede territorialmente competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione.
Tali limitazioni, tuttavia, non si sono rivelate sufficienti al fine di porre un freno all’uso distorto di tale strumento da parte dei datori di lavoro che, lungi dal ricorrervi solo in casi marginali, negli ultimi decenni, avevano impiegato massicciamente i cd. voucher al fine di ridurre i costi ed eludere la disciplina maggiormente garantista connessa a un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato.
In questo quadro si è inserita la proposta della CGIL di indire un referendum popolare per l’abrogazione degli artt. 48, 49 e 50 del d. lgs. 81/2015, disciplinati appunto il lavoro accessorio.
Tuttavia, in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale che aveva dichiarato ammissibile il referendum, il Governo ha deciso di evitare la consultazione popolare, intervenendo direttamente con il D.L. 17 marzo 2017, n. 25, conv. L. 20 aprile 2017, n. 49 e abrogando in toto la disciplina di cui si discute.

Ciò nonostante, con una mossa alquanto discutibile sotto il profilo della legittimità costituzionale, il legislatore è nuovamente intervento sul punto e, eludendo la volontà popolare emersa dalla raccolta delle firme per il referendum abrogativo, ha supplito al vuoto normativo conseguito all’abrogazione del lavoro accessorio introducendo nella legge di conversione del d.l. 50/2017 l’art. 54-bis che disciplina ex novo le prestazioni occasionali introducendo due diversi istituti:

  • Libretto Famiglia (LF), utilizzabile dalle persone fisiche, non nell’esercizio dell’attività professionale o d’impresa, per richiedere prestazioni occasionali che riguardino piccoli lavori domestici, compresi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione; assistenza domiciliare a bambini, persone anziane, ammalate o con disabilità; insegnamento privato supplementare;
  • Contratto di Prestazione Occasionale (CPO), utilizzabile da professionisti, lavoratori autonomi, imprenditori, associazioni, fondazioni ed altri enti di natura privata, nonché amministrazioni pubbliche.

Questa scelta, tuttavia, è criticabile per un duplice ordine di motivi.
Infatti, da un lato, è stata vanificata la volontà popolare che si era pronunciata a favore dell’indizione di un referendum riguardante l’abrogazione dei cd. buoni lavoro; dall’altro, i nuovi strumenti, lungi dall’essere esclusivamente funzionali a favorire l’emersione del lavoro nero, scoraggerebbero l’utilizzo di forme contrattuali già esistenti che riconoscono maggiori garanzie ai prestatori ma sono più costose per il datore di lavoro.

Per ulteriori informazioni si vedano le schede: