Rappresentanze sindacali nel pubblico impiego

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Questa voce è stata curata da Arianna Castelli

Scheda sintetica

Nell’ambito della Pubblica Amministrazione, la disciplina delle rappresentanze sindacali ha subito un’evoluzione alquanto travagliata: infatti, l’originario art. 47 del D.Lgs. n. 29/1993, benché contenuto nell’apposito titolo dedicato alla regolamentazione dell’attività sindacale, si occupava esclusivamente della “maggiore rappresentatività” generalmente intesa, non facendo nessun riferimento alle rappresentanze sindacali. Tuttavia, in seguito al referendum tenutosi il 16 giugno 1995, la disposizione venne abrogata sia perché vi era un rinvio a un successivo accordo per definire i criteri misuratori della rappresentatività, sia perché la formulazione comportava l’applicazione dei criteri operanti antecedentemente alla cd. prima privatizzazione del Pubblico Impiego. Successivamente, il D.Lgs. n. 396/1997 riscrisse l’art. 47, collocandovi per la prima volta la disciplina della rappresentanza sindacale vera e propria; infine, la materia è stata trasfusa nell’art. 42 del D.Lgs. n. 165/2001 che, ad oggi, prevede la disciplina sia delle RSA che delle RSU.

Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore privato, il legislatore, pur avendo demandato la disciplina di dettaglio delle rappresentanze unitarie alla contrattazione collettiva, si è occupato di dettare quanto meno le linee guida per la regolamentazione di entrambi gli organismi e dei rispettivi rapporti.

In ogni caso, a tutte e due le forme di rappresentanza sono riconosciuti importanti prerogative, ossia il diritto di assemblea, ai locali, di affissione, nonché ai permessi retribuiti e non retribuiti.

Per quanto concerne la struttura, nonostante le assonanze nominali, si differenziano profondamente dai loro omonimi del settore privato, sia per quanto concerne la legittimazione a costituire le RSA, sia per la struttura delle RSU.

Anche nel settore pubblico si è in presenza del cd. canale unico poiché, nel caso in cui vengano costituite RSU, quest’ultime sono destinate a sostituire le RSA dei sindacati che abbiano optato per le Rappresentanze unitarie. Lo stesso A.Q. 7 agosto 1998 ha espressamente favorito la costituzione di RSU prevedendo che i sindacati aderenti all’Accordo rinuncino formalmente ed espressamente a costituire Rappresentanze aziendali. Unica concessione a favore di quest’ultimo organismo risiede nella previsione che permette a queste associazioni sindacali di mantenere o costituire rappresentanze di tipo associativo -che conservano anche talune prerogative sindacali-, purché ne diano comunicazione all’Amministrazione.

Fonti normative

  • D.Lgs. n. 3 febbraio 1993, n. 29
  • D.Lgs. 4 novembre 1997, n. 396
  • D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165

A chi rivolgersi

  • Ufficio legale specializzato in diritto del lavoro
  • Ufficio di vertenze sindacale

Le Rappresentanze Sindacali Aziendali – RSA

Le Rappresentanze sindacali aziendali, analogamente a quanto avviene nel settore privato, sono disciplinate direttamente dalla legge. In particolare, l’art. 42 D.Lgs. n. 165/2001 prevede che tali organismi possano essere costituiti dai sindacati rappresentativi ex art. 43 del medesimo decreto. Tuttavia, a differenza di quanto previsto per gli organismi operanti nel settore privato e disciplinati dall’art. 19 della l. n. 300/1970, l’iniziativa per la costituzione delle RSA non viene demandata ai lavoratori, bensì viene riconosciuta ai sindacati esterni, a condizione – come già si è detto – che siano rappresentativi.

La rappresentatività non è legata all’eventuale sottoscrizione di un contratto collettivo applicabile, ma viene calcolata sulla base di parametri fissi e standard: infatti, la disposizione richiama i criteri fissati dal legislatore al fine di valutare la rappresentatività delle associazioni sindacali ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi. Dunque, sono legittimati a costituire le rappresentanze aziendali solo quei sindacati che, nell’area o nel comparto, hanno una rappresentanza pari al 5%, calcolata sulla base della media tra il dato associativo e il dato elettorale, rispettivamente deducibili dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate, e dalla percentuale dei voti ottenuti durante le elezioni per le rappresentanze unitarie del personale rispetto al totale dei voti.

La rappresentatività è anche rilevante ai fini del riconoscimento delle garanzie previste dagli artt. 23, 24 e 30 della l. n. 300/1970, poiché sia i permessi retribuiti che i permessi non retribuiti per trattative sindacali e per le riunioni degli di organi di appartenenza vengono riconosciuti solo in misura proporzionale al grado di rappresentatività accertato (stante il limite minimo delle otto ore mensili per i permessi retribuiti) (si veda il paragrafo dedicato).

Rispetto al settore privato, dunque, le RSA presentano delle caratteristiche strutturali profondamente diverse: la diversa legittimazione a costituire l’organismo influisce infatti sulla natura dello stesso. Nel settore privato, l’iniziativa è rimessa ai singoli lavoratori e sussiste un mero collegamento con l’associazione sindacale esterna (che abbia sottoscritto il contratto applicabile) nell’ambito della quale la rappresentanza sia stata costituita. Nel settore pubblico, al contrario, la RSA può essere considerata un organo periferico del sindacato.

Nonostante ciò, l’art. 42, nel regolamentare l’organismo, non appronta una disciplina di dettaglio ma rinvia proprio a quella contenuta nell’art. 19 della l. n. 300/1070.

Per ulteriori approfondimenti si veda la voce Rappresentanze sindacali (RSA-RSU)

Le Rappresentanze Sindacali Unitarie – RSU

L’art. 42 D.Lgs. n. 165/2001 disciplina anche gli organismi di rappresentanza unitaria del personale, riconoscendo la facoltà di istituirli, ad iniziativa anche disgiunta dei sindacati rappresentativi nel medesimo ambito applicativo delle RSA, tramite elezioni a suffragio universale.

Salvo che i contratti collettivi prevedano diversamente, tali organismi possono essere costituiti nelle unità produttive che occupano più di quindici dipendenti e, nel caso di pluralità di sedi, possono essere costituiti anche presso le sedi periferiche, purché esse vengano considerate livelli decentrati di contrattazione da parte della contrattazione collettiva nazionale.

La regolamentazione dell’istituto dettata della legge non può certamente dirsi dettagliata, limitandosi a prevedere talune linea guida generali e a demandare una funzione integrativa agli accordi stipulati tra ARAN e sindacati rappresentativi. Infatti, una disciplina maggiormente particolareggiata è stata apprestata dall’Accordo Quadro del 7 agosto 1998, nonché dai successivi accordi di integrazione della disciplina riferiti ai singoli comparti, ossia al comparto del personale SS.NN., al comparto del personale delle Regioni e delle autonomie locali, al comparto degli enti pubblici non economici e, infine, al comparto dei ministeri.

In particolare, gli accordi di comparto erano già stati legittimati a disciplinare i seguenti aspetti:

  • la costituzione di particolari forme organizzative delle RSU, soprattutto nel caso di amministrazioni che occupino sino a 15 dipendenti;
  • la eventuale costituzione di organismi di coordinamento tra le RSU;
  • le modalità applicative per garantire un’adeguata presenza all’interno dell’organismo di quelle figure professionali che nel contratto collettivo beneficiano di una disciplina apposita;
  • eventuali adattamenti della disciplina generale alle obiettive esigenze del comparto.

In questa sede, è stata anzitutto specificato come siano legittimate ad istituire le RSU non solo le associazioni sindacali rappresentative che abbiano stipulato l’Accordo Quadro, bensì anche quelle, costituite con proprio statuto, che vi abbiano aderito successivamente e che rispettino le disposizioni inerenti lo sciopero nei servizi pubblici essenziali ex l. 146/1990.

Oltre a ciò, il medesimo Accordo Quadro ha richiesto che le liste presentate da tali sindacati siano comunque corredate da un numero minimo di firme dei lavori dipendenti dall’amministrazione, pari ad almeno il 2% dei prestatori se l’amministrazione occupa fino a 2.000 dipendenti, ovvero l’1% (e mai più di 200) se si tratta di un’amministrazione di dimensioni maggiori.

Ai fini dell’attribuzione dei seggi deve essere seguito il metodo proporzionale e, nell’ambito delle liste che hanno ottenuto i voti, i seggi devono essere distribuiti tra i singoli candidati che hanno ottenuto più voti.

L’elettorato attivo viene riconosciuto a tutti i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, compresi quelli provenienti da altre amministrazioni ma che si trovano in quella di riferimento in posizione di comando e fuori ruolo.

Sono invece eleggibili tutti i dipendenti a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, nonché i lavoratori assunti con un contratto a tempo determinato purché perduri almeno 12 mesi dopo la costituzione della RSU.

Le elezioni possono essere ritenute valide solo se vi hanno partecipato almeno più della metà dei lavoratori con diritto di voto; laddove non venga raggiunto tale quorum, le elezioni dovranno essere ripetute entro 30 giorni e, se anche in questo caso non vi fosse l’affluenza richiesta, la procedura dovrà essere riattivata nei successivi 90 giorni.

Il voto è segreto e non può essere effettuato per interposta persona.

Il numero dei componenti delle RSU non può essere inferiore a tre componenti se l’amministrazione di riferimento occupa fino a 200 dipendenti; se, invece, quest’ultima ha un numero di dipendenti compreso tra 200 e 3.000, devono essere eletti 3 componenti per ogni frazione di 300 dipendenti. Infine, se l’amministrazione occupa più di 3.000 dipendenti, vi dovranno essere tre membri RSU per ogni frazione di 500.

Per i componenti delle RSU non è prevista la prorogabilità dell’incarico decorsi i tre anni previsti dalla legge e, laddove uno dei componenti dovesse presentare le dimissioni durante il mandato, lo stesso verrà sostituito dal primo dei non eletti appartenenti alla medesima lista.

I componenti della RSU sono equiparati ex lege ai dirigenti delle RSA, mentre è la contrattazione collettiva a individuare le concrete modalità con cui vengono loro trasferite le competenze delle RSA delle associazioni sindacali che abbiano aderito agli accordi in questione. Inoltre, per quanto riguarda le prerogative collettive, i CCNL di comparto disciplinano le modalità con cui la RSU può esercitare in via esclusiva i diritti di informazione e partecipazione previsti dall’art. 9 del d.lgs. 165/2001, nonché sottoscrivere accordi integrativi. Tuttavia, gli accordi in parola, in relazione a tale capacità negoziale, lungi dal riconoscere una titolarità esclusiva, hanno preferito adottare una soluzione maggiormente idonea a valorizzare il dato associativo a discapito di quello elettivo, prevedendo che gli organismi vengano integrati con rappresentanti delle organizzazioni rappresentative firmatarie del contratto collettivo nazionale di comparto.

Prerogative sindacali riconosciute alle RSA e RSU

L’art. 50 D.Lgs. n. 165/2001 demanda espressamente la disciplina delle aspettative, dei permessi e degli altri diritti sindacali a un apposito Accordo Quadro. Infatti, proprio l’Accordo Quadro 7 agosto 1998 sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi retribuiti si era originariamente occupato di definire il contenuto dei diritti in commento e la relativa titolarità. Ad oggi, la disciplina è contenuta nell’Accordo Quadro del 4 dicembre 2017.

Anzitutto, tale accordo riconosce il diritto di indire l’assemblea e di affissione alla RSU -unitariamente intesa- e ai componenti della RSA. Il diritto di disporre di appositi locali spetta ai membri delle RSA e anche ai singoli componenti delle RSU. Occorre sottolineare, però, come tali prerogative vengono riconosciute anche ai componenti delle organizzazioni sindacali rappresentative cui sono demandate competenze in materia di contrattazione integrativa, ai componenti dei terminali di tipo associativo nominati dal sindacato esterno delle associazioni operanti in azienda anche dopo l’elezione delle RSU e ai membri degli organismi direttivi dei sindacati rappresentativi collocati in distacco o in aspettativa.

In particolare, l’Accordo Quadro prevede che l’assemblea possa essere convocata, durante l’orario di lavoro, in locali concordati con l’Amministrazione, nel limite di 10 ore annue pro capite senza decurtazione della retribuzione per i lavoratori che vi partecipino; il diritto di affissione si concreta invece nella possibilità di affiggere, in luoghi accessibili a tutto il personale all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro; l’Amministrazione è tenuta a fornire locali comuni per l’esercizio dell’attività sindacale a uso continuativo oppure occasionale a seconda della propria consistenza occupazionale.

I medesimi soggetti titolari del diritto di disporre di appositi locali possono usufruire di permessi sindacali retribuiti, giornalieri e orari, per l’espletamento del loro mandato o per presenziare a congressi sindacali. In particolare, tali permessi vengono ripartiti tra sindacati rappresentativi e RSU sulla base di quanto previsto dallo stesso Accordo Quadro; inoltre, i contratti collettivi sono legittimati a integrare i permessi riconosciuti a favore delle RSU fino a 60 minuti, destinando loro anche altre quote di permessi proprie delle oo.ss. I permessi di spettanza delle RSU vengono gestiti da queste ultime nel rispetto del tetto massimo stabilito.

Oltre a ciò, vengono riconosciuti -sempre a tali soggetti- permessi non retribuiti per la partecipazione a convegni di natura sindacale in misura non inferiore a otto giorni l’anno, cumulabili trimestralmente.

Il diritto ai distacchi e alle aspettative sindacali spetta invece (pur nel rispetto del contingente complessivo fissato nella contrattazione) esclusivamente ai dipendenti aderenti alle associazioni sindacali rappresentative.

Ai membri delle RSU e delle RSA si applicano anche le tutele previste dagli artt. 15 e 22 dello Statuto dei Lavoratori, in forza della previsione contenuta nel primo comma dell’art. 42 del D.Lgs. n. 165/2001, ove viene espressamente sancito che “la libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni”.

Pertanto, i dirigenti delle RSA (o i componenti delle RSU) possono essere trasferiti dalla propria unità produttiva solo in presenza di un preventivo nulla osta delle organizzazioni sindacali di appartenenza. Lo stesso AQ 4 dicembre 2017 conferma che i componenti delle RSU e delle RSA (nonché i componenti dei terminali di tipo associativo rimasti operativi nei luoghi di lavoro dopo l’elezione delle Rappresentanze unitarie e gli altri soggetti sindacali elencati nell’art. 3) possono essere trasferiti in un’unità operativa ubicata in un comune o in una circoscrizione diversa da quella di appartenenza, solo dopo che la rispettiva organizzazione sindacale o la propria rappresentanza abbia rilasciato un apposito nulla osta.

Tale previsione sostituisce il precedente art. 18 dell’AQ 7 agosto 1998 ove era stato statuito che il nulla osta fosse necessario in relazione ai trasferimenti operati tra unità produttive situate in sedi diverse. La formulazione letterale di quest’ultima disposizione aveva dato adito a una serie di interpretazioni restrittive in forza delle quali non ogni trasferimento avrebbe dovuto essere necessariamente preceduto dal nulla osta, bensì solo quelli operati tra sedi diverse, ossia in presenza di spostamenti tra ambiti geografici diversi.

La giurisprudenza aveva però tentato di ampliare l’ambito di tutela dell’art. 18, chiarendo come il nulla osta sarebbe stato necessario anche in presenza di trasferimenti effettuati nell’ambito dello stesso comune o, comunque, in luoghi poco distanti dalla sede di lavoro originaria. Infatti, vi sarebbe stato un mutamento di sede in tutti quei casi in cui, anche in presenza di uno spostamento materiale di pochi metri, il trasferimento fosse stato idoneo a recidere il legame di appartenenza tra il dirigente e la rappresentanza (o organizzazione) di appartenenza, pregiudicando così l’esercizio dell’attività sindacale nel luogo di lavoro.

La nuova dizione letterale dell’Accordo del 2017 sembrerebbe accogliere l’interpretazione restrittiva del previgente art. 18 dell’Accordo Quadro, limitando la necessità del nulla osta alle sole ipotesi di trasferimento in comuni o circoscrizioni differenti.

La necessità del nulla osta, in ogni caso, dovrebbe scongiurare la possibilità che la PA possa liberarsi di un “sindacalista scomodo”, in modo tale da tutelare il libero esercizio dell’azione sindacale nei luoghi di lavoro. Pertanto, una regolamentazione del fenomeno conforme alla ratio sottesa all’art. 22 St. Lav. -applicabile come abbiamo detto anche ai rappresentanti nel Pubblico impiego- avrebbe dovuto accogliere i principi elaborati dalla giurisprudenza che, al contrario, aveva valorizzato non tanto il dato oggettivo della distanza spaziale tra le due sedi, bensì l’idoneità in sé del trasferimento a pregiudicare il libero esplicarsi di una dinamica sindacale.

Infine, deve sottolinearsi come la giurisprudenza pressoché unanime abbia individuato nel trasferimento operato senza il preventivo nulla osta un’ipotesi di condotta antisindacale, indipendentemente dalla sussistenza di uno specifico intento lesivo del datore di lavoro.

Casistica di decisioni della Magistratura

  1. Deve essere escluso il carattere antisindacale della condotta tenuta dall’azienda sanitaria locale perché l’assemblea dei lavoratori non può essere indetta dal singolo componente della Rsu dovendosi ritenere che l’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 non si applichi al impiego pubblico contrattualizzato, nel cui ambito anche la disciplina del diritto di assemblea è dettata dalla contrattazione collettiva. (Cass. 8 febbraio 2017, n. 3095).
  2. Si deve escludere che, nel settore pubblico, nello svolgimento della loro attività sindacale, le rappresentanze dei lavoratori siano portatrici di funzioni dirette al perseguimento dei fini e degli interessi della p.a.; si deve escludere altresì che eventuali conseguenze dannose scaturenti da contratti collettivi integrativi illegittimi possano essere oggetto di responsabilità contabile a carico dei rappresentanti sindacali che hanno concluso i suddetti accordi. (Cassazione civile, sez. un., 14/07/2015, n. 14689 in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2016, 2, II, 401 (nota di: PASSANANTE)
  3. L’ipotesi di accordo, sottoscritta in data 28 luglio 2009, modifica il CCNQ del 26 novembre 2008, con cui erano state definite e ripartite le prerogative sindacali nei comparti di contrattazione per il biennio 2008-2009, al fine di dare necessaria attuazione al d.m. Ministero p.a. e innovazione del 23 febbraio 2009 che ha introdotto, a decorrere dall’1 luglio 2009, l’obbligo di una riduzione del 15% dei permessi e distacchi sindacali. La Corte, in particolare, ha osservato che l’ipotesi in questione opera una riduzione dell’entità delle prerogative sindacali che, in effetti, non comporta risparmi in senso proprio per le amministrazioni interessate ma esclusivamente un recupero di produttività e, pertanto, si è riservata di poter vagliare la quantificazione delle predette economie in sede di controllo sui decreti di variazione di bilancio, necessari per la riassegnazione delle somme al fondo in questione. (Corte Conti, sez. riun., 14/10/2009, n. 35 in Riv. corte conti 2009, 5, 45).
  4. Ai sensi dell’art. 47, l. 18 marzo 1968, n. 249 la possibilità per il dipendente statale, con qualifica di rappresentante sindacale, di assentarsi dall’ufficio per svolgere la relativa attività postula l’espressa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, il cui diniego di prolungamento del permesso sindacale già accordato non può essere contestato dall’interessato sul rilievo che nel suo caso non sussisterebbero eccezionali ed inderogabili esigenze di servizio ostative all’accoglimento della sua istanza, atteso che non spetta all’interessato valutare la sussistenza o meno dei presupposti di pubblico interesse per autorizzare o non simili permessi. (Consiglio di Stato, sez. IV, 26/01/2009, n. 386 in Foro amm. CDS 2009, 1, 133 (s.m).
  5. Nessun provvedimento può essere adottato dall’amministrazione datore di lavoro in ordine alla composizione della R.S.U., ponendosi qualsiasi potere di ingerenza, o controllo, sul funzionamento dell’organismo sindacale in evidente contraddizione con l’autonomia ad esso attribuita ai fini della realizzazione della sua funzione di rappresentanza dei lavoratori e di protezione dei loro interessi. (Cassazione civile, sez. lav., 20/03/2008, n. 7604 in Lavoro nelle p.a. 2008, 2, II, 382 (nota di: MATTEI).
  6. Non decade dalla carica di membro della rappresentanza sindacale unitaria il lavoratore che, eletto nella lista di un sindacato, si dimette da questo per passare ad un’altra organizzazione sindacale. Le delibere della r.s.u. che sanciscano, in virtù di tale passaggio, l’esistenza di una situazione di incompatibilità e di decadenza dalla carica sono illegittime. (Tribunale Parma, sez. lav., 19/11/2007 in Riv. it. dir. lav. 2009, 2, II, 418 (nota di: Nucci).
  7. Relativamente alla questione dell’autenticazione della firma del presentatore di lista la normativa di riferimento è costituita dal regolamento per la disciplina delle elezioni delle r.s.u. allegato all’Accordo collettivo nazionale quadro del 7 agosto 1998 e in particolare l’art. 4 comma VII, con la conseguenza che non può farsi ricorso ad altre forme di autenticazione della sottoscrizione, seppure previste dalla legge, pena l’estromissione della lista sindacale dalla competizione elettorale. (Tribunale Castrovillari, 14/02/2007, in Lavoro nelle p.a. 2007, 5, 941 (nota di: DURANTE).
  8. La Commissione elettorale costituita per le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie nei comparti delle pubbliche amministrazioni (prevista dall’Accordo Collettivo Quadro del 7 agosto 1998), quale organismo costituente centro di imputazione autonomo di effetti giuridici, titolare di situazioni giuridiche soggettive attive e passive di cui ha il libero esercizio anche sul piano processuale, è legittimata a resistere in giudizio qualora sia proposta istanza cautelare ex art. 700 c.p.c. affinché, previo annullamento delle elezioni già espletate, venga accertato il diritto a parteciparvi dei candidati di una lista esclusa con l’emissione di ogni altro provvedimento consequenziale. (Tribunale Castrovillari, sez. lav., 22/03/2007, in Redazione Giuffrè 2007).
  9. Nei casi d’incompatibilità previsti dall’art. 9 dell’accordo quadro per la costituzione delle RSU, la decadenza si determina “ope legis” al verificarsi della situazione d’incompatibilità, con la conseguenza che la successiva presa d’atto della RSU ha mero valore dichiarato dell’effetto già determinatosi. (Tribunale Lecce, 05/09/2005, in Lavoro nella giur. 2006, 2, 197).
  10. Anche i rappresentanti dei sindacati minori di pubblici impiegati hanno diritto all’aspettativa se chiamati a ricoprire cariche provinciali e nazionali ex art. 31 st. lav. (Cassazione civile, sez. lav., 05/08/2004, n. 15135 in Aran Newsletter 2005, 31).
  11. Gli art. 6, 18 e 19 dell’Accordo quadro 7 agosto 1998 per l’elezione delle r.s.u. nei comparti pubblici non configurano una clausola compromissoria, ma un sistema di ricorsi interni che non pregiudica la facoltà del soggetto che si ritenga leso di adire l’Ago. (Tribunale Pavia, 17/11/2003, in DL Riv. critica dir. lav. 2003, 925).
  12. La domanda con la quale una O.S deduca nei confronti di altre OO.SS., la violazione dell’accordo per la costituzione della r.s.u. e richieda una pronuncia di annullamento della elezione di detto organismo, rientra nella competenza del giudice del lavoro. (Tribunale Pavia, 17/11/2003, in DL Riv. critica dir. lav. 2003, 925).
  13. Costituisce comportamento antisindacale il trasferimento di un componente della r.s.u. disposto senza la preventiva richiesta di nulla osta all’organizzazione sindacale di appartenenza, essendo a tal fine irrilevante sia che detta organizzazione non rientri tra quelle maggiormente rappresentative, sia che sussista il nulla osta della r.s.u., posto che – ai sensi dell’art. 18 accordo quadro 5 settembre 1998 – quest’ultimo deve aggiungersi a quello dell’organizzazione di appartenenza. (Tribunale Milano, 17/07/2001, in DL Riv. critica dir. lav. 2001, 938).
  14. La r.s.u. è la struttura organizzativa endoaziendale attraverso cui l’associazione sindacale, che ha concorso a costituirla attraverso la presentazione di una lista all’elezione, esercita la sua attività; pertanto il componente eletto nella r.s.u. altri non è se non un rappresentante (mandatario) dell’associazione sindacale (mandante) che configura un rapporto giuridico di rappresentanza di diritto privato. (Nella fattispecie al componente di r.s.u. viene revocato l’incarico in seguito al disconoscimento dell’associazione sindacale nella cui lista era stato eletto). (Tribunale Messina, 15/03/2000, in Lavoro nelle p.a. 2000, 872 (nota di: BAVARO).
  15. La sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro si configura, anche nel settore pubblico, come “condicio sine qua” non per il godimento dei diritti, di cui agli art. 23, 24 e 30 st. lav., come adattati allo specifico settore, in proporzione alla rappresentatività sindacale, con la conseguenza che il dirigente sindacale di un sindacato rappresentativo che non abbia firmato l’accordo collettivo, applicato nell’unità produttiva, non può ottenere il riconoscimento del diritto ai permessi retribuiti. (Tribunale Palermo, 14/02/2000, in Dir. lav. 2000, II, 413 (nota di: DI STASI).
  16. Pur se l’espressione “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” di cui alla disposizione dell’art. 19 lett. a), l. n. 300 del 1970, è stata abrogata dal d.P.R. n. 312 del 1995 in esito al referendum indetto con d.P.R. 5 aprile 1995, il criterio del grado di rappresentatività continua ad avere la sua rilevanza in forza dell’altro indice previsto dalla stessa norma, e precisamente di quello che fa riferimento alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva. Viene così valorizzata l’effettività dell’azione sindacale – desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva – quale presunzione di detta “maggiore rappresentatività”. Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo alle rappresentanze sindacali nel pubblico impiego (art. 47 nel testo risultante dal d.lg. n. 546 del 1993), pur considerando gli effetti del referendum indetto con il cit. d.P.R. 5 aprile 1995. Il meccanismo di selezione delle associazioni legittimate, imperniato sul concetto di maggiore rappresentatività del sindacato, deve operare in modo tale da assicurare ad ogni associazione di categoria la possibilità di essere comparata con le altre, senza cristallizzare una valutazione che deve rimanere fluida, atteso che la rappresentatività è per sua natura soggetta a variazioni, sia in aumento che in diminuzione; per cui non pare consentito perpetuare una situazione che deve invece essere considerata contingente. (Corte Costituzionale, 04/12/1995, n. 492 in Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni (Il) 1998, 229).