Paternità

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Questa voce è stata curata da Alexander Bell

 

Scheda sintetica

La legge prevede diverse forme di tutela della paternità. Negli ultimi anni, in particolare, si è assistito a una progressiva estensione ai lavoratori padri delle tutele originariamente previste per le sole lavoratrici madri, nell’ottica di una sempre maggiore condivisione della cura dei figli all’interno della coppia.

Il legislatore tutela la paternità anzitutto garantendo al lavoratore padre la facoltà di assentarsi dal lavoro per determinati periodi di tempo nel corso dei primi anni di vita del figlio, senza che ciò pregiudichi la permanenza del rapporto lavorativo, e assicurandogli un certo trattamento economico durante i periodi di assenza.

Al lavoratore padre spetta, in primo luogo, il c.d. congedo di paternità – ovverosia il diritto ad astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, cui si aggiunge il diritto a percepire un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione – nelle seguenti ipotesi:

  • morte o grave infermità della madre;
  • abbandono del figlio da parte della madre;
  • affidamento esclusivo del bambino al padre.

Lo stesso diritto vale anche in caso di adozione o affidamento di minore, con i limiti previsti per il congedo di maternità.

La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha poi introdotto un regime, da applicarsi in via sperimentale per il triennio 2013-2015, in forza del quale al padre lavoratore, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, sono riconosciuti:

  • un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro della durata di un giorno;
  • un periodo di astensione facoltativa della durata di due giorni, anche continuativi, da fruirsi previo accordo con la madre e in sua sostituzione.
    La legge n. 208/2015 (c.d. Legge di stabilità 2016) ha recentemente prorogato per l’anno 2016 l’applicazione della disciplina di entrambi i congedi (obbligatorio e facoltativo), aumentando a due giorni la durata del congedo obbligatorio.

Oltre al periodo di congedo di paternità, il lavoratore padre ha facoltà di assentarsi dal lavoro, nei primi 12 anni di vita del figlio, anche per un ulteriore periodo, non superiore a 6 mesi, elevabile a 7 qualora il lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo superiore a 3 mesi (periodo di c.d. astensione facoltativa).

Al lavoratore sono poi riconosciuti riposi retribuiti e congedi in caso di malattia del figlio.

La tutela della paternità da parte del legislatore trova infine attuazione attraverso il divieto di licenziamento del padre lavoratore che fruisca del congedo di paternità fino al compimento di un anno di età del bambino, nonché attraverso la predisposizione di una particolare procedura di convalida delle dimissioni, volta ad accertare la genuinità della scelta del lavoratore padre.

 

Fonti normative

  • Decreto Legislativo 151/2001 “Testo Unico disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92 recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto legislativo 23/2015, recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Decreto legislativo n. 80/2015, recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’art. 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Decreto legislativo 148/2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183
  • Legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)
  • Contratto Collettivo di Lavoro applicato

 

 

Cosa fare – Tempi

  • Per fruire del congedo di paternità, il lavoratore deve presentare al datore di lavoro e all’INPS la relativa domanda, nonché la documentazione attestante, alternativamente,
    • la morte o la grave infermità della madre (certificato morte o specifica certificazione medica);
    • l’abbandono del figlio da parte della madre;
    • l’affidamento del bambino al solo padre.
  • Per fruire del periodo di astensione facoltativa, il lavoratore deve darne comunicazione al datore di lavoro con un preavviso di almeno 5 giorni (2 giorni nel caso di congedo a ore) e presentare la relativa domanda all’INPS, consegnandone copia al datore di lavoro.
  • Per fruire dei riposi giornalieri, il lavoratore deve presentare la relativa domanda sia al datore di lavoro sia all’INPS, allegando altresì la documentazione attestante, alternativamente:
    • l’affidamento del bambino al solo padre;
    • che la richiesta è inoltrata in alternativa alla lavoratrice madre dipendente che non si avvalga dei riposi giornalieri;
    • che la madre non è lavoratrice dipendente;
    • la morte o la grave infermità della madre.
  • Perché il lavoratore possa fruire dei congedi in caso di malattia del figlio, occorre che il medico del Servizio Sanitario Nazionale che ha in cura il figlio trasmetta per via telematica all’INPS la relativa certificazione medica; l’INPS, a sua volta, provvede a inoltrare detta certificazione al datore di lavoro.

 

 

Congedo di paternità

Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro (percependo un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione posta a carico dell’INPS, ma anticipata di regola dal datore di lavoro), in alternativa alla madre, per tutta la durata del congedo di maternità – che di regola copre i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi al parto – o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, nei seguenti casi:

  • morte o grave infermità della madre;
  • abbandono del figlio da parte della madre;
  • affidamento esclusivo del bambino al padre.

Lo stesso diritto vale anche in caso di adozione o affidamento di minore, con i limiti previsti per il congedo di maternità.

Per fruire del congedo di paternità, il lavoratore deve presentare al datore di lavoro e all’INPS la relativa domanda, nonché la documentazione attestante, alternativamente,

  • la morte o la grave infermità della madre;
  • l’abbandono del figlio da parte della madre;
  • l’affidamento del bambino al solo padre.

L’invio della domanda all’INPS deve avvenire esclusivamente per via telematica (Circolare INPS 5 agosto 2011 n. 106).

Al termine del congedo di paternità, il lavoratore padre ha diritto di conservare il posto di lavoro e di rientrare nella stessa unità produttiva ove era occupato all’inizio del periodo di congedo o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino. Il lavoratore ha altresì diritto di essere adibito alle stesse mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi ovvero in via legislativa o regolamentare, che gli sarebbero spettati durante l’assenza dal lavoro.

La riforma del 2012 ha poi introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, un periodo di astensione obbligatoria a favore del padre lavoratore dipendente, il quale, entro 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, con un’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, pari al 100 per cento della sua retribuzione.
La medesima riforma ha inoltre previsto, sempre in via sperimentale, che, nello stesso periodo, il padre lavoratore ha la facoltà di assentarsi dal lavoro per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. L’utilizzo delle ulteriori giornate di congedo facoltativo da parte del padre comporta la riduzione del congedo di maternità della madre per il medesimo numero di giorni, con conseguente anticipazione del termine finale dell’astensione post-partum. Per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre, al lavoratore è riconosciuta un’indennità giornaliera a carico dell’INPS pari al 100 per cento della retribuzione.

Per poter fruire di tali congedi, il lavoratore ha l’obbligo di comunicare per iscritto al datore di lavoro i giorni prescelti con un termine di preavviso di 15 giorni.

La legge n. 208/2015 (c.d. Legge di stabilità 2016) ha recentemente prorogato per l’anno 2016 l’applicazione della disciplina di entrambi i congedi introdotti nel 2012, aumentando a due giorni la durata del congedo obbligatorio.

Con nota n. 8629 del 20 febbraio 2013, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio ha peraltro chiarito che il regime introdotto dalla legge 92/2012 non è direttamente applicabile ai dipendenti pubblici; a tal fine, occorrerà infatti attendere l’approvazione di una apposita normativa su iniziativa del Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione. In attesa che tale specifica normativa venga effettivamente introdotta, per i dipendenti pubblici rimangono validi e applicabili gli ordinari istituti previsti dal d.lgs. 151/2001 e dai contratti collettivi di comparto.

 

Congedi parentali (c.d. astensione facoltativa)

Per congedo parentale si intende il diritto in capo a entrambi i genitori di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino.

Le modalità e i tempi di fruizione dei congedi parentali sono stati ampiamente modificati da due recenti decreti legislativi (il n. 80 e il n. 81 del 2015), entrambi emanati per dare attuazione al c.d. Jobs Act.

Le nuove disposizioni, originariamente previste in via sperimentale per il solo anno 2015, sono state successivamente rese definitive e strutturali dal decreto legislativo n. 148/2015, entrato in vigore a settembre 2015.

A seguito delle novità introdotte dai decreti attuativi del Jobs Act, la legge ora prevede che i genitori lavoratori, nei primi 12 anni di vita del figlio (8 anni, nella disciplina pre-riforma), possono astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 10 mesi, frazionati o continuativi; i mesi sono 11, se il padre si astiene almeno per 3 mesi.
All’interno del suddetto limite complessivo, l’astensione spetta:

  • alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo per maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore sei mesi;
  • al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a 7 quando il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi;
  • qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
    Nel caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale sussiste per ciascun bambino.

Nel periodo del congedo parentale, le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto a una indennità a carico dell’INPS (ma di regola anticipata dal datore di lavoro) pari al 30% della retribuzione.
Il diritto all’astensione facoltativa è riconosciuto anche ai genitori adottivi e affidatari, che possono usufruire dei congedi parentali entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia (art. 36 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015).

In alternativa alla lavoratrice madre, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata (legge n. 104/1992 art. 4, comma 1) ha diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di congedo parentale ordinario, non superiore a tre anni, o, in alternativa, nei primi tre anni di vita del minore, a un permesso giornaliero di due ore retribuite, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore (art. 33 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015).

Per quanto riguarda la fruizione dei congedi parentali, il decreto 80/2015 ha introdotto la possibilità per i genitori di scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria (il congedo a ore era stato introdotto già con la legge di stabilità 2013, che ne aveva tuttavia subordinato l’applicabilità a previ accordi in sede di contrattazione collettiva).
La legge precisa che la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale.

Ai fini dell’esercizio del diritto al congedo parentale, il lavoratore deve:

  • preavvisare, salvo casi di oggettiva impossibilità, il datore di lavoro secondo le modalità previste dai rispettivi contratti collettivi e, comunque, con un periodo di preavviso non inferiore a 5 giorni (2, nel caso di congedo a ore);
  • presentare per via telematica la relativa domanda all’Inps precisando il periodo di assenza, e consegnarne copia al datore di lavoro.

Il genitore richiedente deve allegare alla domanda presentata all’Inps:

  • certificato di nascita (o dichiarazione sostitutiva) da cui risulti la paternità (i genitori adottivi o affidatari sono tenuti a presentare il certificato di stato di famiglia che includa il nome del bambino e il provvedimento di affidamento o adozione);
  • dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore da cui risulti il periodo di congedo eventualmente fruito per lo stesso figlio (nella dichiarazione occorre indicare il proprio datore di lavoro o la condizione di non avente diritto al congedo);
  • analoga dichiarazione non autenticata di responsabilità del genitore richiedente relativa ai periodi di astensione eventualmente già fruiti per lo stesso figlio;
  • impegno di entrambi i genitori a comunicare le variazioni successive.

La malattia del lavoratore durante il periodo di congedo parentale interrompe il periodo stesso con conseguente slittamento della scadenza e fa maturare il trattamento economico relativo alle assenze per malattia. In tal caso, occorre inviare all’azienda il relativo certificato medico e comunicare esplicitamente la volontà di sospendere il congedo per la durata del periodo di malattia ed eventualmente spostarne l’utilizzo.

Il periodo di astensione facoltativa è computato nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia.

Ai lavoratori genitori è infine riconosciuta la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50% (novità introdotta dal d.lgs. 81/2015).

 

Riposi giornalieri

Durante il primo anno di vita del bambino, il lavoratore ha diritto a risposi giornalieri retribuiti nei seguenti casi:

  • qualora il figlio sia affidato al solo padre;
  • in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
  • nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
  • in caso di morte o di grave infermità della madre.

I permessi hanno la seguente durata:

  • 2 ore al giorno (due riposi di un’ora ciascuno, cumulabili), se l’orario di lavoro giornaliero è pari o superiore a 6 ore;
  • 1 ora al giorno, se l’orario di lavoro giornaliero è inferiore a 6 ore.

Le ore di permesso sono retribuite come normale orario di lavoro mediante un’indennità a carico dell’INPS (ma anticipata dal datore di lavoro) e sono considerate lavorative a tutti gli effetti.

Per fruire dei riposi giornalieri, il lavoratore deve presentare la relativa domanda sia al datore di lavoro sia all’INPS, allegando altresì la documentazione attestante, alternativamente,

  • l’affidamento del bambino al solo padre;
  • che la richiesta è inoltrata in alternativa alla lavoratrice madre dipendente che non si avvalga dei riposi giornalieri;
  • che la madre non sia lavoratrice dipendente;
  • la morte o la grave infermità della madre.

 

 

Congedi non retribuiti in caso di malattia del figlio

I congedi non retribuiti per malattia del figlio spettano:

  • fino al compimento dei tre anni del bambino: entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie del figlio;
  • per figli di età compresa tra i tre e gli otto anni: ciascun genitore, alternativamente, ha diritto di astenersi dal lavoro per cinque giorni lavorativi all’anno.

Perché il lavoratore possa fruire dei congedi, occorre che il medico del Servizio Sanitario Nazionale che ha in cura il figlio trasmetta per via telematica all’INPS la relativa certificazione medica; l’INPS, a sua volta, provvede a inoltrare detta certificazione al datore di lavoro.
I periodi di congedo per la malattia del figlio sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità.
Il congedo per malattia del bambino spetta anche in caso di adozione e affidamento (con aumento del limite di età da tre a sei anni).

 

Lavoro notturno

Il lavoratore padre non può essere obbligato a prestare lavoro notturno nel caso in cui:

  • conviva con la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni;
  • sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;
  • abbia a proprio carico una persona disabile.

 

 

Divieto di licenziamento

Il lavoratore padre che fruisca del congedo di paternità non può essere licenziato per tutta la durata del congedo e fino al compimento di un anno di età del bambino. L’eventuale licenziamento comminato in quest’arco temporale è nullo.
È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda ovvero dalla fruizione dei congedi parentali e per la malattia del figlio.

Il divieto di licenziamento si applica anche in caso di adozione o affidamento e vale fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Il divieto di licenziamento non opera nel caso di:

  • colpa grave da parte del lavoratore, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  • cessazione dell’attività dell’azienda cui il lavoratore è addetto;
  • ultimazione della prestazione per la quale il lavoratore è stato assunto o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
  • esito negativo della prova.

Al di fuori di queste ipotesi, il licenziamento intimato nel periodo coperto da divieto è nullo e il lavoratore ha diritto alle tutele previste dalla legge, e in particolare:

  • alle tutele indicate dai primi tre commi dell’art. 18 della legge 300/1970, come modificati dalla legge 92/2012, se è stato assunto prima del 7 marzo 2015;
  • alle tutele indicate dall’art. 2 del decreto legislativo 23/2015 (decreto attuativo del cd. Jobs act, contenente la disciplina del contratto a tutele crescenti), se l’assunzione è avvenuta a decorrere dal 7 marzo 2015.

Tali norme, dal contenuto sostanzialmente identico, stabiliscono che il lavoratore padre licenziato nel periodo di fruizione del congedo di paternità e fino a un anno di età del bambino gode della cd. tutela reintegratoria piena, che prevede:

  • l’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro;
  • la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, nella misura della retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto solo quanto percepito attraverso un’altra occupazione (l’indennità non può comunque essere inferiore alle cinque mensilità);
  • il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per tutto il periodo intercorso fra il licenziamento a quello della reintegrazione;
  • il cd. diritto di opzione a favore del lavoratore, ossia la possibilità per quest’ultimo di scegliere, in luogo della reintegra, il pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità.

 

 

Dimissioni

In caso di dimissioni del lavoratore padre, la legge prevede una particolare procedura di convalida, volta ad accertare che le dimissioni siano frutto di una genuina scelta del lavoratore e non siano invece il risultato di un’illecita imposizione da parte del datore di lavoro.
A tal fine, la legge stabilisce che le dimissioni rese da un lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino, ovvero nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. Alla convalida è condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
In caso di dimissioni presentate dal padre che fruisca del congedo di paternità fino al compimento di un anno di vita del bambino, al lavoratore è in ogni caso riconosciuto il diritto a percepire le indennità previste in caso di licenziamento.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di paternità

Si veda l’apposita sezione contenuta nella voce Maternità – Tutele e diritti