SIL – Servizio Ispezioni del Lavoro – Ispettorato del lavoro

Tu sei qui:
  • Home
  • Enti
  • SIL – Servizio Ispezioni del Lavoro – Ispettorato del lavoro

Questa voce è stata curata da Andrea Mannino e aggiornata da Arianna Castelli

 

Scheda sintetica

Nel linguaggio comune l’espressione Ispettorato del Lavoro viene utilizzata per indicare quell’istituzione, facente capo al Ministero del Lavoro, deputata al controllo della corretta applicazione della normativa lavoristica, sostanziale e previdenziale, nei luoghi di lavoro.

Occorre subito precisare che parlare di Ispettorato del lavoro non è tecnicamente corretto: si tratta, infatti, di un’istituzione soppressa dal 1997. Le sue funzioni sono state assorbite prima dal Servizio Ispezioni del Lavoro delle Direzioni provinciali del lavoro, poi dall’ Ispettorato nazionale del lavoro, istituito dal D. Lgs. 149/2015.

Originariamente, però proprio l’Ispettorato del lavoro (e solo successivamente la Direzione provinciale del lavoro) rappresentava il soggetto principale nel complesso sistema in cui si articolavano gli strumenti istituzionali di prevenzione, ispezione e controllo della regolarità dell’applicazione delle norme lavoristiche e previdenziali.
I suoi compiti principali erano la vigilanza sulla normativa in materia di lavoro e sulla corretta applicazione dei contratti collettivi, l’attività di chiarimento sulle disposizioni vigenti, la vigilanza sul funzionamento delle attività previdenziali e assistenziali compiute da associazioni professionali e da altri enti pubblici e privati (con esclusione delle funzioni esercitate direttamente, per i propri dipendenti da stato, regioni e province), l’effettuazione di inchieste e indagini richieste dal Ministero e le eventuali altre funzioni demandate o delegate dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

È d’obbligo segnalare come il sistema istituzionale di vigilanza giuslavoristica, da sempre ha coinvolto diversi soggetti con funzioni ispettive e/o accertative tendenzialmente differenti ma talvolta sovrapposte. In tale contesto, solo gli ispettori del lavoro avevano una competenza generale in materia (mentre i restanti organi istituzionali avevano funzioni limitate e specifiche) e assolvevano altresì la funzione di coordinamento in ipotesi di sovrapposizione di competenze e/o funzioni con altri soggetti ispettivi.

Tra coloro che operavano in quest’ambito, meritano di essere ricordati:

  • gli ispettori di vigilanza degli enti previdenziali (principalmente Inps e Inail; tali ispettori, che, al contrario degli ispettori del lavoro non rivestono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, hanno poteri ispettivi limitatamente alle proprie competenze e possono emettere provvedimenti di diffida);
  • gli accertatori del lavoro, con poteri molto simili a quelli degli ispettori e dipendenti anch’essi dalla direzione provinciale del lavoro;
  • il tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (ovvero uno dei servizi dei dipartimenti di prevenzione istituiti presso ogni ASL);
  • il corpo dei vigili del fuoco del Ministero dell’interno;
  • infine, limitatamente alla sicurezza dei lavoratori di tali settori, il personale degli uffici di sanità aerea e marittima e delle autorità marittime, portuali e aeroportuali.

L’accennato dedalo di istituzioni operanti in campi analoghi e spesso sovrapposti ha indotto il legislatore a intervenire dapprima con una normativa volta alla semplice razionalizzazione e al coordinamento delle competenze dei soggetti coinvolti nel sistema ispettivo e, successivamente, tramite l’istituzione di un unico organismo cui sono state demandate pressoché la totalità delle funzioni ispettive riguardanti la materia lavoristica.
In un primo momento, infatti, al fine di razionalizzare l’intero sistema e superare la disorganicità e la frammentazione dei compiti attribuiti ai diversi soggetti competenti, il D. Lgs. 124/2003 aveva provveduto ad operare una riorganizzazione dell’attività di vigilanza nell’ambito del lavoro e della previdenza sociale esclusivamente tramite la creazione di opportuni meccanismi di coordinamento tra gli stessi.
Successivamente, all’interno del più ampio disegno di riforma prefigurato dalla L. 183/2014, è stata istituito l’Ispettorato nazionale del lavoro, ossia un unico organismo che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Inps e dell’Inail, al fine di semplificare l’intero sistema di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, nonché di evitare alla radice ogni possibile sovrapposizione di interventi.

 

Normativa di riferimento

  • Decreto Legislativo 23 aprile 2004, n. 124, “Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro”
  • Decreto Legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, “Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro”
  • Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, “Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149, “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.”

 

 

Evoluzione storica della normativa in materia di vigilanza

Successivamente a prime esperienze, temporanee o contingenti, di istituzioni con compiti ispettivi di fine ‘800 (per la vigilanza sull’applicazione delle prime “leggi operaie”, la L. 3 aprile 1879, n. 4828, autorizzò l’assunzione di due ispettori delle industrie da parte del Ministero di agricoltura, industria e commercio) e inizio ‘900 (un Corpo di ispettori del lavoro venne istituito, con carattere di provvisorietà, dalla L. 19 luglio 1906, n. 380), si istituì il primo stabile ispettorato, funzionalmente dipendente dal Ministero delle corporazioni, nel periodo fascista, con il R.D. n. 2183 del 14 settembre 1929.

Soppresso l’ordinamento corporativo, l’Ispettorato prese la denominazione di Ispettorato dell’industria e del lavoro, alle dipendenze del Ministro dell’industria, del commercio e del lavoro (r.d.l. 9 agosto 1943, n. 748). In seguito alla separazione del Ministero dell’industria e del commercio dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale – operata con D.Lgs. luog. n. 474 del 10 agosto 1945 – le competenze dell’Ispettorato furono ripartite tra i due Ministeri.

Gli interventi normativi senza dubbio più rilevanti si ebbero nella seconda metà degli anni ’50 e nei primi anni ’60. Sono di questo periodo, infatti, il D.P.R. n. 520 del 19 marzo 1955 (Riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale) e la L. n. 628 del 22 luglio 1961 (Modifiche all’ordinamento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), che hanno rappresentato (seppur con le modificazioni apportate dal D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, e dalla L. n. 833 del 23 dicembre 1978), la pietra miliare della regolazione delle competenze e delle funzioni dell’Ispettorato del lavoro, quale istituzione funzionalmente dipendente dal Ministero del lavoro.
Tale ultimo impianto normativo conferiva la titolarità dell’attività ispettiva agli ispettorati del lavoro, a loro volta organizzati in ispettorati regionali e provinciali. Ad essi era espressamente attribuito il compito della vigilanza, mentre residuava alla competenza ministeriale l’amministrazione, l’organizzazione e il controllo sul personale ispettivo, nonché la fornitura delle direttive.

Quarant’anni dopo l’Ispettorato del lavoro è stato soppresso (con il D.Lgs. n. 469/1997) e i suoi compiti sono stati assorbiti dalla Direzione provinciale del lavoro, diffusa su tutto il territorio nazionale e presente in ogni Provincia. La Direzione Provinciale del Lavoro fa capo, dal 2008, al Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, già Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
Come accennato, l’esigenza di un efficace coordinamento tra le diverse autorità dettata dalla complessità ed eterogeneità di istituzioni competenti nel sistema ispettivo del lavoro ha indotto il legislatore a intervenire nuovamente sulla materia con il D.Lgs. n. 124/2004, in attuazione delle disposizioni contenute nella Legge n. 30/2003.

Con tale intervento si adotta un approccio sistemico di carattere generale e una strategia complessiva volta a sfruttare le sinergie esistenti fra i vari organismi deputati alla vigilanza, in una prospettiva non di unificazione delle competenze, ma in una visione globale delle materie orientata al contrasto delle irregolarità e del lavoro sommerso.
Il D.Lgs. n. 124/2004 esordiva conferendo al Ministero del lavoro il compito di coordinare, a livello centrale e decentrato, tutte le iniziative di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, di vigilanza in materia di rapporto di lavoro e di prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali.
Presso il Ministero, ai fini del miglior svolgimento dei compiti di coordinamento, era stata istituita una nuova Direzione generale che si occupava di sovrintendere le attività ispettive svolte da tutti i soggetti coinvolti nella vigilanza in materia di lavoro, nei confronti delle Direzioni regionali e provinciali, nonché verso i servizi ispettivi di altri istituti (Inps, Inail e gli altri enti previdenziali).

L’art. 3 del decreto prevedeva l’istituzione, sempre a livello centrale, di un altro organismo: la Commissione centrale di coordinamento delle attività di vigilanza, presieduta dal Ministero del lavoro e composta dal Direttore generale della Direzione generale, dai Direttori generali di Inps e Inail, dal Comandante generale della guardia di finanza, dal Direttore generale dell’agenzia delle entrate, dal Coordinatore nazionale delle ASL e dal Presidente della commissione nazionale per l’emersione. Questa commissione si riuniva nell’ipotesi in cui si rendesse opportuno coordinare a livello nazionale tutti gli organi impegnati sul territorio, con il compito di individuare gli obiettivi strategici e le priorità degli interventi ispettivi.

Analoga previsione era dettata a livello periferico attraverso la costituzione della Commissione regionale di coordinamento della attività di vigilanza, che operava insieme con la Direzione regionale, la Direzione provinciale e i Comitati per il lavoro e l’emersione del sommerso.

Il decreto individuava poi una serie di strumenti volti a dare efficacia all’azione di vigilanza: una banca dati telematica, istituita presso il Ministero del lavoro e facente parte di una sezione riservata della borsa continua nazionale del lavoro, attraverso cui era possibile consultare le informazioni sui soggetti ispezionati; la possibilità di istituire gruppi di intervento straordinario, qualora si rendessero necessari specifici interventi; l’adozione di un modello unificato di verbale di accertamento, al fine di semplificare le procedure di rilevazione degli illeciti.

 

La semplificazione dell’attività ispettiva ex D. Lgs. 149/2015

Da ultimo, come accennato nel paragrafo precedente, la normativa in materia di vigilanza è stata profondamente modificata dal D. Lgs. 149/2015 che ha operato una razionalizzazione e semplificazione del sistema previgente.

L’obiettivo perseguito dal legislatore è stato quello di accorpare in un unico organismo le funzioni di vigilanza in materia di lavoro, di legislazione sociale e di diritto previdenziale. Mentre il D. Lgs. 124/2004 si era limitato a operare un coordinamento tra gli enti cui erano affidate tali funzioni (senza però incidere sull’originaria separazione delle stesse), la riforma del 2015, invece, ha sancito il passaggio della totalità di queste funzioni in capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro così da evitare la sovrapposizione tra le sfere di intervento dei diversi soggetti istituzionali.
A tal fine, l’Ispettorato è demandato a svolgere le attività ispettive in passato già svolte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’Inps e dall’ Inail. Coerentemente a tale premessa, il personale ispettivo del Ministero del lavoro, nonché quello dei suoi uffici periferici (DTL e DIL), è stato trasferito all’Ispettorato, mentre quello facente capo all’Inps e all’Inail è stato inserito solo in via transitoria in un ruolo ad esaurimento, pur continuando ad operare presso tali enti. In ogni caso, tutto il personale che svolge questi compiti (cioè sia quello impiegato presso l’Ispettorato, sia quello impiegato presso l’Inps o l’Inail) deve godere delle medesime prerogative al fine di garantire l’omogeneità operativa: pertanto, è stato espressamente previsto che, ad oggi, anche ai funzionari ispettivi dell’Inps e dell’ Inail spettano le medesime prerogative assegnate al corrispondente personale del Ministero del lavoro, compresa la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria (con il conseguente potere di elevare contravvenzioni).
Oltre a ciò, il D. Lgs. 149/2015 ha provveduto anche a riorganizzare il Comando dei carabinieri per la tutela del lavoro, al cui personale ispettivo vengono riconosciuti gli stessi poteri attribuiti a quello dell’Ispettorato.
L’Ispettorato è dotato di autonomia organizzativa e contabile ed è posto sotto la vigilanza del Ministero del lavoro che ne monitora periodicamente gli obiettivi e la corretta gestione delle risorse finanziarie.

L’Ispettorato esercita le seguenti attribuzioni:

  • esercita e coordina su tutto il territorio nazionale, sulla base di direttive emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria, nonché legislazione sociale, compresa la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • si occupa degli accertamenti in materia di riconoscimento del diritto a prestazioni per infortuni su lavoro e malattie professionali, della esposizione al rischio nelle malattie professionali, delle caratteristiche dei vari cicli produttivi ai fini della applicazione della tariffa dei premi;
  • emana circolari interpretative in materia ispettiva e sanzionatoria, sulla base di un parere conforme del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché direttive operative rivolte al personale ispettivo;
  • propone, sulla base di direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, gli obiettivi quantitativi e qualitativi delle verifiche ed effettua il monitoraggio sulla loro esecuzione;
  • cura la formazione e l’aggiornamento del personale ispettivo, compreso quello Inps e Inail;
  • svolge attività di promozione e prevenzione della legalità presso enti, datori di lavoro e associazioni finalizzate al contrasto del lavoro sommerso e irregolare;
  • esercita e coordina le attività di vigilanza sui rapporti di lavoro nel settore dei trasporti su strada, i controlli previsti dalle norme di recepimento delle direttive di prodotto e cura la gestione delle vigilanze speciali sul territorio nazionale;
  • svolge attività di studio e analisi relative ai fenomeni del lavoro sommerso e irregolare e alla mappatura dei rischi, al fine di orientare l’attività di vigilanza,
  • gestisce le risorse assegnate al fine di garantire l’uniformità delle attività di vigilanza, delle competenze professionali e delle dotazioni strumentali in uso al personale ispettivo;
  • svolge tutte le attività connesse allo svolgimento delle funzioni ispettive demandategli dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  • riferisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all’Inps e all’Inail le informazioni rilevanti ai fini della programmazione e dello svolgimento delle attività istituzionali di tali amministrazioni;
  • si coordina con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale in modo tale da assicurare l’uniformità di comportamento ed una maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi.

Occorre precisare però che, anche in seguito alla riforma, la competenza dell’Ispettorato in materia di vigilanza non diviene generale, in quanto per ciò che attiene la sicurezza del lavoro essa è limitata a quei settori che comportano rischi particolarmente elevati, ossia nel caso di attività nel settore delle costruzioni edili o del genio civile, di lavori effettuati mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei, nonché di ulteriori attività individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero del lavoro, adottato sentito il Comitato per la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Infatti, analogamente a quanto accadeva in passato, in via generale, la vigilanza sull’applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro spetta ancora alle Aziende sanitarie locali competenti per territorio, mentre
una competenza residuale permane in capo alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale, nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco.

Infine, il D. Lgs. 149/2015, nel ridisegnare l’assetto istituzionale dei soggetti deputati all’attività di vigilanza, è intervenuto anche in riferimento alla Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza istituita, come si è detto nel paragrafo precedente, dall’art. 3 del D. Lgs. 124/2004. Ad oggi, infatti, al fine coordinarne l’operato con il nuovo Ispettorato, è stato espressamente previsto che quest’ultima elabori indirizzi, obiettivi strategici e la scala di priorità degli interventi ispettivi proprio sulla base di rapporti annuali presentati dall’Ispettorato.

 

Funzioni e prerogative

Le funzioni ispettive, svolte secondo il riparto di competenze delineato nel paragrafo precedente, possono essere evase tramite accessi nei luoghi di lavoro; tali accessi non sono subordinati ad autorizzazioni da parte del datore di lavoro o di un magistrato. L’esercizio dei poteri di indagine include la possibilità di raccogliere dichiarazioni spontanee da parte di chi operi sul luogo di lavoro, esigere tutta la documentazione utile alle indagini, nonché chiedere informazioni a tutti gli uffici pubblici, oltre che ai Consulenti del lavoro, ai patronati e agli istituti di previdenza (Inps, Inail, Inpdap, ecc.). I verbali di accertamento così redatti sono fonti di prova relativamente agli elementi di fatto acquisiti e possono essere utilizzati per l’adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori, amministrativi e civili, da parte di altre amministrazioni interessate.
In particolare, al termine del primo accesso viene rilasciato al datore di lavoro o alla persona presente all’ispezione -in questo caso con l’obbligo della tempestiva consegna al datore stesso- il verbale di primo accesso ispettivo contenente: l’identificazione dei lavoratori presenti e delle modalità del loro impiego, l’indicazione delle attività svolte dal personale ispettivo, le eventuali dichiarazioni rese dal datore di lavoro, da chi lo assiste, o dalla persona presente all’ispezione e ogni richiesta, anche documentale, utile al proseguimento dell’istruttoria finalizzata all’accertamento degli illeciti.

Nel caso in cui durante il primo accesso non sia invece possibile completare le attività di accertamento, viene rilasciato un verbale interlocutorio in cui vengono esplicate le ragioni legittimanti il differimento delle operazioni; in ogni caso, al termine di tutte le attività ispettive, qualora venga rilevata un’inosservanza delle norme di legge o del contratto collettivo in materia di lavoro e legislazione sociale e qualora il personale ispettivo rilevi inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, viene notificato al trasgressore e all’eventuale obbligato in solido un verbale unico di accertamento e notificazione contenente l’esito dell’attività, la diffida a regolarizzare le irregolarità constatate, l’indicazione delle modalità con cui estinguere gli illeciti e quelle con cui opporsi a tale atto.
Per quanto concerne le dichiarazioni rese dai prestatori di lavoro, esse devono essere acquisite in assenza del datore di lavoro o di altri superiori gerarchici, in modo tale che i lavoratori non subiscano pressioni indebite; oltre a ciò, sempre nell’ottica di garantire la correttezza e la neutralità delle operazioni, l’attività di accertamento deve essere svolta conformemente ai principi contenuti nel codice unico di comportamento del personale ispettivo.
L’accesso al luogo di lavoro al fine di svolgere tale attività ispettiva può essere sollecitato anche da parte dei lavoratori o delle associazioni sindacali.

Come anticipato, la seconda categoria di poteri riconosciuta agli organismi addetti all’attività di vigilanza comprende, innanzi tutto, ex art. 13, D.Lgs. n. 124/2004, la possibilità di diffidare il datore di lavoro alla regolarizzazione delle inosservanze normative (sanabili) riscontrate.
L’ottemperanza alla diffida –da effettuarsi entro trenta giorni dalla notificazione del verbale unico –, comporta l’assoggettamento alla sanzione nella misura del minimo previsto dalla legge o di un quarto della misura stabilita in misura fissa. Il pagamento, effettuato entro 15 giorni dalla scadenza del termine fissato dalla legge per ottemperare alla diffida, estingue il procedimento sanzionatorio.
Occorre precisare che si può ricorrere allo strumento della diffida solo nei casi in cui l’illecito sia ancora materialmente sanabile, ciò tuttavia non avviene in tutte quelle ipotesi in cui gli adempimenti richiesti -pur se astrattamente possibili-in concreto non possono più essere effettuali dal datore di lavoro

L’ispettore può, inoltre, diffidare il datore di lavoro al pagamento di crediti patrimoniali certi in favore del lavoratore. Presupposto dell’esercizio di tale potere è che l’ammontare del credito sia non solo certo per quanto attiene l’esistenza del diritto, ma anche già quantificato. Successivamente al ricevimento della notifica della diffida, in questo caso, il datore di lavoro può decidere di adempiere versando direttamente la somma al lavoratore, oppure può proporre una conciliazione presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato del lavoro, entro trenta giorni dalla notificazione della diffida. Se questa va a buon fine, viene firmato un verbale e il procedimento perde efficacia; il lavoratore percepirà dunque la somma concordata -che in astratto può essere anche inferiore a quella a cui avrebbe diritto-; i relativi obblighi contributivi però saranno parametrati sulla somma dovuta per legge.
In caso contrario (oppure se il datore faccia decorrere inutilmente il termine entro cui era possibile promuovere la conciliazione), la diffida accertativa acquisisce il valore di accertamento tecnico con valore di titolo esecutivo. Avverso tale diffida è ammesso ricorso innanzi al Comitato per i rapporti di lavoro istituito presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato del lavoro. Il ricorso sospende l’esecutività della diffida.

In caso di inottemperanza ai provvedimenti di diffida, è possibile provvedere alla contestazione o alla notificazione al datore di lavoro dell’illecito amministrativo per violazione di una o più disposizioni giuslavoristiche (art. 14, L. n. 689/1981), sulla base di quanto emerso durante le ispezioni.
Il datore di lavoro conserva la possibilità di ottemperare a quanto previsto dalla contestazione o dalla notificazione, incorrendo nelle sanzioni previste dalla legge.
Uno dei poteri conferiti agli ispettori dal D.Lgs. n. 124/2004 è quello di poter provvedere ad effettuare una conciliazione monocratica (art. 11) in ipotesi di controversie con il datore di lavoro, qualora vi sia stata una richiesta di intervento da parte del lavoratore, ovvero in sede di ispezione, sempre che non vi siano a prima vista – o si suppongano – gli estremi di reato. In genere si tratta di rivendicazioni di natura economica (retribuzioni non pagate, straordinari, ecc.).
Se il tentativo di conciliazione ha esito positivo e si giunge a un accordo, deve essere redatto un apposito verbale che può essere dichiarato esecutivo con decreto del giudice, su istanza della parte interessata.
I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, e il pagamento delle somme dovute al lavoratore estinguono il procedimento ispettivo.
In seguito alla riforma del 2015 la competenza in materia spetta a tutto il personale ispettivo dell’Ispettorato.

Deve infine essere ricordato un ulteriore potere attinente la possibilità di sospensione dell’attività imprenditoriale ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008. Introdotta per combattere più efficacemente il c.d. “lavoro nero”, all’inizio tale misura operò solo per il cantiere edilizio, ai sensi dell’art. 36 bis della legge 248/2006, successivamente venne estesa a qualunque attività imprenditoriale, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 123/2007. Infine, tale facoltà è stata completamente rivista dal nuovo Testo Unico Sicurezza Lavoro, il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in vigore dal 15 maggio 2008 e modificato dal D. Lgs. 151/2015.

Il provvedimento consiste in una sostanziale chiusura dell’attività e può essere adottato dagli organi di vigilanza dell’Ispettorato, oppure, nel caso di reiterate violazioni in materia di sicurezza sul lavoro dal personale ispettivo delle ASL (salvo il caso in cui si tratti di dei settori particolarmente rischiosi di cui si è detto in precedenza).
Presupposto per l’emanazione di tale provvedimento può essere o la presenza di lavoratori irregolari (c.d. “in nero”) in percentuale pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, oppure la presenza di grave e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della tutela sul lavoro.
Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti essere l’unico occupato dall’impresa. Sempre nei casi di sospensione per lavoro irregolare, inoltre, gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo oppure dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi.
In entrambe le ipotesi, la sospensione può però essere applicata esclusivamente nei confronti delle attività imprenditoriali.

Il provvedimento di sospensione è notificato direttamente al datore di lavoro, nonché comunicato all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di cui al D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al fine dell’adozione, da parte di quest’ultimo di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche. Il mancato rispetto della sospensione è punito con l’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare. Ai fini della revoca della sospensione irrogata dall’Ispettorato del lavoro, il datore di lavoro deve regolarizzare gli illeciti riscontrati e versare una somma di € 2.000 nelle ipotesi di lavoro irregolare e di € 3.200 nelle ipotesi di reiterate violazioni in materia di tutela della salute. Nell’ipotesi in cui il provvedimento di sospensione sia stato emanato dall’organo di vigilanza delle ASL, esso potrà essere revocato solo se, oltre al ripristino delle regolari condizioni di lavoro, il datore di lavoro provveda al pagamento di una somma unica pari a Euro 3.200 In ogni caso, tali importi si sommeranno alle altre sanzioni irrogate. Il D. Lgs. 151/2015 ha stabilito che, su istanza di parte, la revoca è altresì concessa subordinatamente al pagamento del venticinque per cento della somma aggiuntiva dovuta. L’importo residuo, maggiorato del cinque per cento, è versato entro sei mesi dalla data di presentazione dell’istanza di revoca. In caso di mancato versamento o di versamento parziale dell’importo residuo entro detto termine, il provvedimento di accoglimento dell’istanza costituisce titolo esecutivo per l’importo non versato.

Avverso i provvedimenti di sospensione emessi dai funzionari dell’Ispettorato è ammesso ricorso, entro 30 giorni, alla sede territorialmente competente dell’Ispettorato stesso, mentre i provvedimenti emessi dagli organi delle Aziende Sanitarie Locali, al Presidente della Regione. Questi si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso, ma decorso inutilmente il termine il provvedimento di sospensione perde efficacia. La giurisprudenza non è unanime nel riconoscere al provvedimento natura sanzionatoria o cautelare, tale incertezza si riflette anche nell’individuazione dell’organo competente in caso di impugnazione dello stesso. Infatti, laddove gli si attribuisca natura sanzionatoria, l’impugnazione dovrebbe essere presentata al giudice ordinario, mentre in caso contrario la competenza spetterebbe al giudice amministrativo.

Meritano di essere ricordate, infine, le ulteriori estrinsecazioni dei poteri sanzionatori degli ispettori.
Proprio in tema di lavoro nero si registrano le sanzioni più pesanti. In tali casi una sanzione era stata originariamente prevista dalla legge n° 73/2002, come modificata dalla legge n° 248/2006. Successivamente era intervenuta la L. 183/2010 che aveva modificato i meccanismi applicativi della sanzione, valorizzando l’esistenza della preventiva comunicazione di assunzione, e poi la L. 9/2014 che ne aveva invece ridefinito gli importi.
Da ultimo, il D. Lgs. 151/2015 è intervenuto nuovamente sulla materia, stabilendo che tale sanzione può essere irrogata esclusivamente nel caso di lavoratori subordinati (esclusi i lavoratori domestici) rispetto ai quali non è stata effettuata proprio la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore. Tuttavia, la sanzione non trova applicazione in due ipotesi: nel caso in cui il datore abbia assolto le obbligazioni contributive correlate al rapporto di lavoro in modo tale da rendere manifesta la sua volontà di non occultarlo e quando abbia provveduto spontaneamente a regolarizzarlo nonostante l’omessa denuncia iniziale. Laddove non ricorrano queste condizioni, è prevista una sanzione il cui importo varia a seconda della durata dell’utilizzo del prestatore: da € 1.500 a €9.000 in caso di impiego del lavoratore fino a 30 giorni di effettivo lavoro; da € 3.000 a € 18.000 nel caso di impiego del lavoratore da 31 a 60 giorni; da € 6.000 a € 36.000 nel caso di impiego del lavoratore per più di 60 giorni.
Le sanzioni vengono aumentate del 20% se il lavoratore irregolare è uno straniero privo del permesso di soggiorno, con permesso scaduto o revocato o annullato, oppure un minore di età.
In ogni caso è possibile che l’illecito venga estinto tramite la cd. diffida. Infatti, si estingue il procedimento sanzionatorio se, in relazione ai lavoratori irregolari ancora in forza presso l’impresa e fatta salva l’ipotesi in cui risultino regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo, il datore di lavoro proceda alla stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al cinquanta per cento dell’orario a tempo pieno, o di un contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi, nonché garantisca il mantenimento in servizio degli stessi per almeno tre mesi. In particolare, il datore è tenuto a fornire prova della regolarizzazione dei lavoratori entro 120 giorni dalla notifica del verbale unico e deve aver regolarizzato anche il precedente periodo di lavoro in nero.

Sanzioni ugualmente pesanti erano poste nel caso di non tenuta dei registri obbligatori presso la sede di lavoro.
Pare opportuno ricordare come però il D. Lgs. 151/2015 abbia sancito l’abolizione del registro infortuni a partire dal 23 dicembre 2015 e, dunque, anche dell’obbligo della relativa registrazione, pur restando fermo l’obbligo di denunciare gli eventi infortunistici verificatesi all’Istituto competente.
Per quanto concerne invece il Libro Unico del Lavoro, introdotto dalla L. 133/2008, la mancata tenuta era già originariamente punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro; mentre l’omessa esibizione agli organi di vigilanza era punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro.
Il D. Lgs. 151/2015 ha stabilito che a partire dal 1 gennaio 2017 sarà obbligatoria la tenuta dello stesso in modalità telematica presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, stabilendo un regime sanzionatorio transitorio operante nelle more dell’attuazione del LUL telematico nei casi di omessa e infedele registrazioni delle informazioni.
Tale scadenza è stata rimandata al 1 gennaio 2018 dal D. L. 244/2016 convertito in L. 19/2017.
Pertanto, ad oggi, continua ad applicarsi il regime sanzionatorio secondo cui, salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati previsti dalla legge, che determini differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore a sei mesi la sanzione va da 500 a 3.000 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da 1.000 a 6.000 euro.