Ramo di azienda – Definizione

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Scheda sintetica

Ai sensi dell’art. 2112, comma 5, c.c. (così come modificato dapprima dall’art. 1, L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 1998/50, quindi dall’art. 32, d. lgs. 276/2003, attuativo della direttiva 2001/23), si definisce ramo d’azienda ogni “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

Il trasferimento del ramo d’azienda è soggetto alla medesima disciplina prevista per il trasferimento d’azienda, che prevede in primo luogo la continuazione in capo al cessionario dei rapporti di lavoro dei lavoratori che erano occupati presso il cedente, con conservazione di tutti i diritti che ne derivano. L’unica differenza consiste nell’oggetto della cessione: nel caso del trasferimento di ramo, infatti, non si tratta dell’impresa nel suo complesso, ma solo di una parte di essa, connotata da un’autonomia funzionale che le consenta di collocarsi sul mercato come un indipendente centro di profitto.

La logica che accomuna la disciplina in materia di trasferimento d’azienda e di ramo è quella di tutelare i lavoratori coinvolti nel trasferimento, garantendone innanzitutto il posto di lavoro e la conservazione dei trattamenti acquisiti, ma anche tutelandone i crediti da lavoro, per i quali il cessionario diventa solidalmente responsabile insieme al cedente, e assicurando l’applicazione del contratto collettivo applicato dal cedente, che può essere sostituito da quello applicato dal cessionario solo se di pari livello. Nelle imprese sopra i quindici dipendenti, inoltre, come nel caso del trasferimento d’azienda, anche il trasferimento di ramo deve essere preceduto da una apposita procedura di informazione e consultazione sindacale (art. 47 l. 428/1990).

Sebbene la regola della continuazione del rapporto di lavoro in capo al cessionario sia ispirata ad una logica protettiva nei confronti dei lavoratori, si assiste con sempre maggiore frequenza ad un utilizzo distorto dello strumento del trasferimento di ramo per conseguire l’espulsione dall’organizzazione aziendale di lavoratori ritenuti in eccedenza senza dover passare attraverso la disciplina dei licenziamenti collettivi (c.d. eterogenesi dei fini della norma di cui all’art. 2112 c.c.). Proprio la regola della cessione automatica del contratto del lavoratore, anche senza il suo consenso, viene in questi casi adoperata per aggirare l’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi.

Per questa ragione, vi possono essere sia situazioni nelle quali i lavoratori avranno interesse a far valere l’applicazione dell’art. 2112 c.c. per vedere la continuazione del proprio rapporto, a condizioni invariate, nei confronti del cessionario, sia situazioni opposte in cui i lavoratori avranno invece interesse a contestare la sussistenza di un trasferimento di ramo, per vedere il proprio rapporto di lavoro permanere in capo al cedente.

 

Cosa fare – Tempi

Il lavoratore, se intende impugnare la cessione del proprio contratto di lavoro avvenuta in seguito a un trasferimento di ramo d’azienda, deve rispettare una serie di termini di decadenza.
In particolare, l’art. 32, l. 183/2010, ha previsto che il dipendente debba:

  • impugnare la cessione del contratto con qualsiasi atto, anche una semplice lettera inviata al datore di lavoro per mezzo di raccomandata a.r., entro 60 giorni dalla data del trasferimento del ramo d’azienda;
  • depositare nel successivo termine di 180 giorni il ricorso in tribunale, a pena di inefficacia della prima impugnazione stragiudiziale (oppure comunicare nello stesso termine al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene rifiutata oppure non si raggiunge l’accordo, il lavoratore deve depositare il ricorso in tribunale nei successivi 60 giorni).

 

Normativa

  • Codice civile, art. 2112
  • Direttive CE nn. 1998/50 e 2001/23
  • Legge 428/1990, art. 47
  • Decreto Legislativo 276/2003, art. 29

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

Definizione di ramo d’azienda

L’espressione ramo di azienda indica una parte dell’azienda connotata da specifiche caratteristiche. In particolare, il legislatore italiano ha definito ramo d’azienda quella “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. Analogamente il legislatore comunitario ha parlato di “entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, direttiva 2001/23).

Elementi caratterizzanti il ramo d’azienda, dunque, sono l’autonomia e l’organizzazione.

Per quanto riguarda il primo profilo, la porzione dell’attività economica considerata deve essere dotata di un’autonomia tale da consentire l’esercizio dell’impresa anche prescindendo dall’inserimento della stessa nell’intero complesso aziendale. La giurisprudenza, tuttavia, ha sottolineato come possa esservi ramo d’azienda anche nel caso in cui l’esercizio dell’impresa sia reso possibile da un’integrazione o da un apporto successivo da parte del cessionario.

Il requisito dell’organizzazione, invece, si concretizza nell’esistenza di una serie di legami imprescindibili tra le attività dei lavoratori di quella parte d’azienda, in modo tale che, solo tramite un’interazione reciproca delle rispettive funzioni, è possibile la produzione di una serie beni e servizi specificatamente individuabili.

La caratteristica dell’organizzazione, inoltre, deve caratterizzare permanentemente la parte di azienda di cui si discute, non essendo possibile che essa sia riscontrabile solo per la realizzazione di un’opera determinata.

Sulla base di questi principi, i giudici hanno ritenuto che può esservi trasferimento di ramo d’azienda anche nel caso in cui il trasferimento abbia ad oggetto solo un gruppo di lavoratori con particolari know-how o competenze (anche senza il trasferimento di beni materiali come macchinari o attrezzature), purché le rispettive attività siano tra loro coordinate e organizzate al fine di produrre un bene o erogare un servizio.

In sintesi, tale organizzazione deve sempre essere funzionale alla realizzazione di un risultato produttivo definito e predeterminato.

La riforma del 2001 aveva previsto tra i requisiti necessari per potersi parlare di ramo d’azienda quello della preesistenza.

Tale disposizione era evidentemente volta a limitare i poteri delle due imprese al momento del trasferimento, al fine di evitare che esse “ritagliassero” un semplice segmento dell’impresa per destinarlo al trasferimento.

L’art. 32 del D. Lgs. 276/2003 ha modificato il dettato normativo, eliminando il requisito della preesistenza dell’autonomia dell’attività economica organizzata, stabilendo anzi che essa potesse essere “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”.

La nuova normativa, tuttavia, non legittima le parti a individuare il perimetro del ramo d’azienda da destinare al trasferimento a propria discrezione, magari proprio per individuare un gruppo di determinati lavoratori sgraditi al cedente.

La giurisprudenza, infatti, ha ritenuto che la nuova formulazione della norma non esclude la necessità della sussistenza di una preesistente attività economica organizzata e autonoma.

Tale conclusione non trova solo riscontro nel fatto che la legge delega n. 30 del 2003, non aveva incaricato il Governo a modificare il requisito della preesistenza, con la conseguenza che se interpretata nel senso dell’eliminazione tale requisito, la nuova norma sarebbe costituzionalmente illegittima per eccesso di delega ai sensi dell’art. 76 Cost.
Inoltre, la necessaria preesistenza del ramo deriva soprattutto dalla nozione di trasferimento di ramo fatta propria dal diritto europeo (direttive CE nn. 1998/50 e 2001/23), secondo cui l’entità oggetto di trasferimento deve “conservare nel trasferimento la propria identità”. Dunque, quest’ultima deve necessariamente preesistere alla cessione poiché, logicamente, non è possibile “conservare nel trasferimento” qualcosa che non preesista al trasferimento stesso.

I lavoratori addetti al ramo d’azienda trasferito cui si applica la specifica disciplina prevista dall’articolo 2112 c.c. sono i lavoratori adibiti esclusivamente a mansioni inerenti a quella porzione d’azienda oggetto del trasferimento.

Per quanto riguarda, invece, quei dipendenti che prestavano la propria attività lavorativa anche in altri settori dell’impresa cedente, verranno considerati appartenenti al ramo ceduto solo se prestavano la propria opera in modo prevalente presso il ramo di cui si discute.

Se però l’imprenditore cedente decide di mantenere alle proprie dipendenze alcuni dipendenti che prestavano la propria opera nella parte d’azienda ceduta, questi lavoratori non possono vantare alcun diritti nei confronti dell’acquirente.

 

Effetti del trasferimento del ramo d’azienda sui rapporti di lavoro dei lavoratori ceduti

In caso di trasferimento di ramo d’azienda si applica la disciplina prevista per il trasferimento dell’azienda nel suo complesso. Anche in questo caso, infatti, tanto la normativa nazionale quanto quella comunitaria garantiscono al lavoratore ceduto la continuità del rapporto di lavoro con l’acquirente.

In seguito al trasferimento, il rapporto di lavoro dei lavoratori ceduti prosegue nei confronti del cedente: i dipendenti possono dunque far valere nei confronti di quest’ultimo la posizione previdenziale e tutti i diritti connessi al rapporto di lavoro che vantavano nei confronti di quest’ultimo (anzianità, diritti relativi alla qualifica, alle mansioni svolte e ai livelli retributivi). Occorre tuttavia precisare che i lavoratori ceduti possono rivendicare nei confronti del nuovo datore di lavoro solo quei diritti che hanno già acquisito, non le semplici aspettative, ossia quei diritti che avrebbero potuto acquisire eventualmente solo in futuro.

La prosecuzione del rapporto col cedente avviene automaticamente in seguito al trasferimento del ramo d’azienda. Non è dunque necessario che i lavoratori interessati manifestino il proprio consenso, non trovando applicazione la disciplina generale della cessione del contratto (art. 1406 c.c.), che richiede al contrario il consenso del contraente ceduto. Solo quando oggetto del trasferimento non sia una porzione dell’impresa definibile come ramo d’azienda, in quanto mancante del carattere dell’autonomia e della preesistenza, il consenso del lavoratore torna ad essere necessario ai fini dell’efficacia della cessione del rapporto.

Il legislatore, in un’ottica particolarmente garantista nei confronti dei lavoratori ceduti, ha inoltre previsto uno speciale regime di responsabilità solidale del cedente e del cessionario per quanto riguarda i diritti di credito (specialmente quelli di natura retributiva) esistenti al momento del trasferimento (art. 2112, secondo comma, c.c.).

Pertanto, al fine di ottenere il pagamento dei propri crediti i lavoratori potranno rivolgersi indifferentemente al cedente o al cessionario (salvo il diritto del cessionario a rivalersi sul cedente).

Resta ferma la possibilità per i lavoratori interessati di liberare il cedente tramite un procedimento conciliativo in sede amministrativa (art. 410 c.p.c.) o sindacale (art. 412ter c.p.c.). Tale regime non si applica tuttavia ai contributi previdenziali obbligatori non versati e al TFR.

Inoltre, il cessionario è obbligato a continuare ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti nei contratti collettivi di qualunque livello applicati dal cedente fino alla loro naturale scadenza. L’unica eccezione a tale disposizione è costituita dall’ipotesi in cui il cessionario applichi altri contratti collettivi di pari livello (art. 2112, comma 3, c.c.). La sostituzione dunque può avvenire solo tra contratti del medesimo livello (per esempio, un contratto collettivo aziendale può essere sostituito solo da un altro contratto collettivo aziendale). Laddove invece il cessionario non applichi un contratto di pari livello o non applichi nessun contratto, sopravvive il contratto originariamente applicato dal cedente.

Il nuovo contratto di pari livello che sostituisce il precedente può essere peggiorativo, ma non può pregiudicare diritti già acquisiti dai lavoratori in forza del contratto originariamente applicato dal cedente.

Infine, il legislatore ha espressamente stabilito che il trasferimento del ramo d’azienda non costituisce un giustificato motivo di licenziamento (art. 2112, comma 4, c.c.) Pertanto il cessionario potrà interrompere il rapporto di lavoro con i dipendenti ceduti solo ove sussistano i presupposti previsti dalla legge. Al contrario, nel caso in cui vi sia stato un mutamento notevole nelle condizioni di lavoro, il lavoratore potrà rassegnare entro tre mesi dal trasferimento le dimissioni per giusta causa, senza quindi dare il preavviso e anzi ricevendo l’indennità sostitutiva del preavviso e di disoccupazione (laddove ne ricorrano i presupposti). In questa circostanza ricorre, infatti, un’ipotesi tipizzata di dimissioni per giusta causa cui si applica la relativa disciplina, indipendentemente dalla ricorrenza di una circostanza formalmente qualificabile come giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.

 

Il c.d. outsourcing (appalto con azienda ceduta)

Sempre più diffuso è divenuto il fenomeno in cui il cedente trasferisce al cessionario un ramo o una parte della propria impresa per poi riacquistarne i beni e i servizi prodotti al suo interno attraverso la stipulazione di un contratto di appalto con il cessionario. Tale operazione avviene spesso nel contesto dei gruppi societari, dove non è infrequente che una società trasferisca un proprio ramo (o asserito tale) ad una società controllata, con cui stipula poi un contratto di appalto intragruppo che viene eseguito secondo le dettagliate istruzioni provenienti dalla controllante. In tale evenienza, in presenza degli indici di un collegamento societario rilevante, il lavoratore potrà agire per l’accertamento di una situazione di unicità d’impresa per vedere il proprio rapporto di lavoro permanere in capo alla società controllante-cedente. In altri casi, invece, il trasferimento di ramo ad una propria società controllata può precedere la cessione del pacchetto azionario del cessionario a un terzo soggetto, che viene di fatto a conseguire la titolarità della società proprietaria del ramo ceduto senza tuttavia essere stato parte del trasferimento e della relativa procedura, poiché la giurisprudenza esclude che la semplice cessione del pacchetto azionario dia luogo all’applicazione dell’art. 2112 c.c.

In caso di appalto tra cedente e cessionario, in ogni caso, opera non solo la garanzia della solidarietà prevista dallo stesso art. 2112 c.c. per tutti i crediti esistenti al momento del trasferimento, ma trova anche applicazione la regola della solidarietà prevista in generale per gli appalti dall’art. 29, secondo comma, d. lgs. 276/2003. Secondo tale disposizione, i dipendenti dell’appaltatore (cessionario), nel limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, possono agire in giudizio nei confronti del committente (cedente) al fine di ottenere i trattamenti retributivi, comprese le quote di TFR, i premi assicurativi e i contributi previdenziali dovuti in relazione all’esecuzione dell’appalto. Il lavoratore dunque, grazie a tale regime di responsabilità solidale tra committente e appaltatore, può convenire in giudizio sia l’appaltatore che il committente potendo chiedere di essere soddisfatto direttamente da quest’ultimo. Tuttavia, a seguito delle modifiche apportate dalla legge Fornero (l. 92/2012), il committente può eccepire la preventiva escussione dell’appaltatore, con la conseguenza che il lavoratore dovrà dimostrare di avere infruttuosamente tentato di valersi sull’appaltatore.

 

Procedura preventiva di informazione e consultazione sindacale

Nel caso di trasferimento d’azienda si applica la medesima procedura preventiva di consultazione sindacale prevista nel caso di trasferimento d’azienda dall’art. 47, l. 428/1990. Il procedimento si applica anche nel caso di trasferimento di un ramo d’impresa in cui sono occupati meno di quindici dipendenti, purché l’azienda nel suo complesso raggiunga tale soglia dimensionale.

Sia cedente che cessionario sono obbligati a comunicare la propria intenzione di procedere al trasferimento a:

  • alle RSA/RSU costituite nelle unità produttive interessate (in mancanza alle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative)
  • ai sindacati di categoria che hanno sottoscritto il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate.

Tale comunicazione deve essere effettuata almeno venticinque giorni prima del trasferimento o dell’accordo vincolante qualora quest’ultimo fosse stato stipulato in una data antecedente.

Se entro sette giorni dalla comunicazione perviene una richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, deve necessariamente essere avviato un esame congiunto tra cedente, cessionario e soggetti sindacali volto a trovare un accordo per rendere più agevole il trasferimento (per esempio prevedendo un’armonizzazione tra le diverse discipline contrattali). Tale esame non può durare più di dieci giorni.

Gli obblighi di informazione e esame congiunto (ove richiesto) devono essere rispettati anche nel caso i cui il trasferimento sia stato deciso da un’impresa controllante nell’ambito di un gruppo d’imprese. In tal caso, l’impresa controllata non può giustificare l’inadempimento degli obblighi di informazione e esame congiunto adducendo la mancata trasmissione dei dati rilevanti da parte dell’impresa controllante.

Il mancato espletamento di questa procedura costituisce, per espressa previsione di legge, un’ipotesi di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 Statuto dei lavoratori.

Per quanto concerne le conseguenze dell’accertamento giudiziale di tale antisindacalità, la giurisprudenza più sensibile alle istanze delle parti collettive è giunta ad affermare che il trasferimento, in questi casi, è inefficace. Alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi anche nel caso in cui, in assenza di un procedimento per condotta antisindacale, siano i singoli lavoratori interessati a invocare la violazione della procedura in cause individuali di lavoro.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in materia di trasferimento di azienda

Per la casistica di decisione della Magistratura in tema di trasferimento di ramo d’azienda, fare riferimento alla sezione specifica contenuta nella voce Trasferimento di azienda