Indennità per morte e indennità “una tantum”

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Questa voce è stata curata da Alexander Bell

 

Indennità per morte

L’indennità per morte è un’indennità erogata al coniuge superstite del lavoratore assicurato al 31 dicembre 1995 che, al momento del decesso, non abbia maturato il diritto alla pensione (art. 13 Legge 218/1952).

L’indennità è pari a 45 volte i contributi versati e può essere richiesta a condizione che nei 5 anni precedenti il decesso sia stato versato almeno 1 anno di contributi.
In assenza del coniuge, l’indennità spetta ai figli, purché non abbiano superato l’età di 18 anni ovvero siano riconosciuti inabili al lavoro e risultino a carico del genitore al momento del decesso di questi. Per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età è elevato a 21 anni qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26° anno di età, qualora frequentino l’Università.

La domanda per ottenere l’indennità per morte deve essere presentata all’INPS, a pena di decadenza, entro un anno dalla data del decesso del lavoratore assicurato.

 

Indennità “una tantum”

L’indennità “una tantum”, introdotta contestualmente all’entrata in vigore del sistema contributivo, spetta ai superstiti del lavoratore assicurato dopo il 31 dicembre 1995, a condizione che essi (art. 1, co. 20, L. 218/1952):

  • non possiedano i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione ai superstiti;
  • non abbiano diritto a rendite per infortunio sul lavoro o malattia professionale in conseguenza della morte del lavoratore assicurato;
  • si trovino nelle condizioni reddituali richieste dalla legge per la corresponsione dell’assegno sociale.

La misura dell’indennità “una tantum” è pari all’ammontare mensile dell’assegno sociale moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione accreditata.