Unità produttiva

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Questa voce è stata curata da Eugenio Polizzi

 

Scheda sintetica

Costituisce unità produttiva una qualsiasi articolazione organizzativa dell’impresa, caratterizzata da un minimo di complessità, e intesa alla realizzazione di una o più parti dell’attività dell’impresa.

Essa è definita:

  • dall’art. 35 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) come ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti
  • dalla legge 626/1994, come modificata dal D.Lgs. 242/96, come “stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”(art.2).


Da un punto di vista lavoristico si tratta di categoria sostanzialmente omogenea, la cui definizione si rinviene nell’art. 35 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), a partire dal quale sono state elaborate dalla giurisprudenza delle precisazioni della categoria “unità produttiva”, con riferimento ad uno o ad altro istituto.
Tra questi, principalmente, l’applicabilità della c.d. tutela reale di cui all’articolo 18 S.L. in relazione alle dimensioni globali dell’impresa ovvero della unità produttiva cui era addetto il lavoratore licenziato (anche in relazione al regime prescrizionale dei crediti); ovvero i limiti al potere di trasferimento del lavoratore da parte del datore di lavoro, da una unità produttiva ad altra, ex art. 2103 c.c.; ovvero ancora l’esercizio delle attività sindacali di cui al titolo III dello S.L..

 

Normativa

  • art. 35, Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori)
  • Legge 626/1994, come modificata dal D.Lgs. 242/96

 

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

 

L’unità produttiva ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 S.L.

L’art. 18 della Legge 300/1970 oggi vigente recita:

il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge (legge n. 604/66) o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro”.

La formula della legge richiama dunque, nel caso dell’art. 18, solo indirettamente il concetto di unità produttiva, che risulta pertanto una elaborazione giurisprudenziale, fondata sulla ricorrenza di tale locuzione in numerosi altri articoli della stessa legge, al fine di accertare le condizioni di applicabilità della tutela reale.

Secondo l’insegnamento giurisprudenziale “Agli effetti della tutela reintegratoria del lavoratore ingiustamente licenziato, per unità produttiva deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale.
Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa. (Cass. civ., sez. Lavoro 04-10-2004, n. 19837; conformi Cass. civ., sez. Lavoro, 14-06-1999, n. 5892 – RV527459 ; Cass. 19 luglio 1995 n. 7848 ed ivi ulteriori citazioni).

L’applicabilità della tutela reale ha importanti e diretti effetti anche sul regime prescrizionale dei crediti retributivi del lavoratore, dal momento che la Corte costituzionale con sentenza del 10 giugno 1966, n. 63, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2948 n.5 c.c. limitatamente alla parte in cui consente che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro.

Successivamente all’entrata in vigore della legge n. 604/66 e poi della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori, la giurisprudenza ha limitato l’effetto di quella pronuncia ai rapporti privi di tutela reale, anche sulla scorta di nuove sentenze delle Corte Costituzionale, che hanno espressamente limitato l’efficacia della pronuncia del 1966 (sentenze n. 143/69 e 174/72):

Premesso che il principio della non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro opera solo per quei rapporti che non sono assistiti dalla garanzia della stabilita – come risulta dalla evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia – deve ritenersi stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate, e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo. Il che, se per la generalità dei casi coincide attualmente con l’ambito di operatività della legge 20 maggio 1970, n. 300 (dati gli effetti attribuiti dall’art. 18 all’ordine di riassunzione, ben più incisivi di quelli previsti dall’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604), può anche realizzarsi ogni qual volta siano applicabili le norme del pubblico impiego o leggi speciali o specifiche pattuizioni che diano al prestatore d’opera una tutela di pari intensità. (Cass. civ., sez. Unite 12-04-1976, n. 1268 – Pres. CAPORASO S – Rel. VELA A – SOC AUTOSTRADE c. MARTINELLI – massima 3)

La prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, anche in costanza del rapporto, dalla data di maturazione dei crediti di lavoro, ove questo sia assistito dalla garanzia della stabilità, come nelle aziende agricole con oltre cinque dipendenti; l’onere di provare il requisito occupazionale grava sul datore di lavoro che eccepisca la decorrenza del termine di prescrizione. (Cass. civ., sez. Lavoro 06-08-2002, n. 11793 – Pres. Senese S – Rel. Putaturo Donati M – P.M. Velardi M (conf.) – Vitale c. Intonato)

 

L’unità produttiva, come elemento costitutivo del “trasferimento”, sulla scorta della ricorrenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive

L’art 2103 c.c., come sostituito dall’art.13 della legge n. 300/70, opera un diretto richiamo alla categoria in esame: “ Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto …..Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
L’assegnazione ad una nuova posizione di lavoro all’interno della stessa unità produttiva, non costituisce trasferimento e risulta quindi compreso nello jus variandi del datore di lavoro, con il limite del diritto alle mansioni già svolte di cui alla stessa norma.

A proposito di tale categoria concettuale, la giurisprudenza ha elaborato un concetto simile, fino alla sovrapposizione, a quello in tema di art. 18:

In tema di trasferimento del lavoratore, poiché la finalità principale della norma di cui all’art 2103 cod. civ. è quella di tutelare la dignità del lavoratore e di proteggere l’insieme di relazioni interpersonali che lo legano ad un determinato complesso produttivo, le tutele previste per il lavoratore trasferito rilevano anche quando lo spostamento avvenga in un ambito geografico ristretto (ad es. nello stesso territorio comunale) da una unità produttiva ad un’altra, intendendo per unità produttiva ogni articolazione autonoma dell’azienda, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima, della quale costituisca una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica ed amministrativa tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale.
Cass. civ., sez. Lavoro 29-07-2003, n. 11660 – Pres. Mileo V – Rel. D’Agostino G – P.M. Gialanella A (Conf.) – Fiat Auto Partecipazioni SpA c. Ceravolo

L’unità produttiva va individuata in ogni articolazione autonoma dell’impresa, avente sotto il profilo funzionale e finalistico idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa medesima, della quale costituisce elemento organizzativo, restando invece esclusi quegli organismi minori che, se pur dotati di una certa autonomia, siano destinati a scopi meramente strumentali rispetto ai fini produttivi dell’impresa; ne consegue che l’ispettore di produzione di una compagnia di assicurazione facente capo ad un ufficio appositamente riservato alla rete ispettiva nell’ambito di un’agenzia (in base ad accordi della stessa con la società mandante) usufruisce della tutela assicurata dall’art. 2103 cod. civ. rispetto al provvedimento con cui sia trasferito all’ufficio analogo costituito presso l’agenzia di un’altra città.
Cass. civ., sez. Lavoro 21-07-2000, n. 9636 – Pres. Santojanni Md – Rel. Cuoco P – P.M. Nardi D (diff.) – Annechiarico c. Ass. Generali SpA

Ai fini dell’identificazione della fattispecie del trasferimento del lavoratore, di cui all’art. 2103 cod. civ., è necessario che vi siano i seguenti elementi: a) un mutamento definitivo del luogo di adempimento della prestazione lavorativa dedotta nel rapporto; b) due unità produttive: quella di provenienza e quella di destinazione. In questo ambito, così come agli effetti della tutela reintegratoria del lavoratore ingiustamente licenziato, per “unità produttiva” deve intendersi non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell’impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che – eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune – si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di un’unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa.
Cass. civ., sez. Lavoro 14-06-1999, n. 5892 – Pres. Ianniruberto G – Rel. Castiglione V – P.M. Carnevali A (diff.) – Frette SpA c. Leonardi

 

Le attività sindacali

L’art. 35 S.L. prevede che:

Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell’articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano più di cinque dipendenti.
Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.

In sostanza, l’esercizio delle libertà sindacali di cui al titolo III viene quindi garantito in tutte le unità produttive, cioè in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, con più di 15 dipendenti (5, nel caso di imprese agricole).