Amministrazione controllata

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Questa procedura concorsuale è stata abrogata dal D.Lgs. 5/2006, art. 147 e 148

 

Questa voce è stata curata da Chiara Zambrelli

 

Scheda sintetica

L’amministrazione controllata era una procedura concorsuale abrogata con il D.Lgs. 5/2006, art. 147 e 148.
Tale procedura era prevista per le imprese in temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni ed era finalizzata al conseguimento del risanamento dell’impresa, tramite il superamento della situazione di insolvenza e il soddisfacimento delle ragioni creditorie.
L’elemento che doveva caratterizzare tale istituto era, quindi, la temporaneità della crisi, dalla quale derivava la impossibilità a soddisfare i crediti dei terzi, impossibilità però priva di un carattere definitivo.

 

Disciplina generale

La disciplina era dettata dal R.D. 16/03/1942 n. 267, titolo IV, artt. da 187 a 193.
Presupposto soggettivo: qualità di imprenditore commerciale.
Tale procedura non trovava applicazione per le società semplici.

 

Presupposto oggettivo

Temporanea difficoltà dell’impresa ad assolvere le proprie obbligazioni e una comprovata possibilità di risanamento.
La effettiva possibilità di recupero della situazione di crisi era l’elemento distintivo di tale procedura rispetto alle altre procedure concorsuali.

 

Condizioni di ammissibilità

Le condizioni di ammissibilità erano le medesime previste per il concordato preventivo ex art. 160 Legge Fallimentare ovvero:

  1. iscrizione da almeno due anni nel registro delle imprese con regolare tenuta della contabilità;
  2. assenza di dichiarazioni di fallimento o di ammissione al concordato negli ultimi 5 anni. Non costituiva ostacolo all’ammissione dell’impresa l’eventuale autorizzazione ad una procedura di amministrazione concordata nei 5 anni precedenti.
  3. assenze di condanne penali ostative.

 

 

Procedura

Legittimato a presentare la domanda era il solo debitore, ovvero, l’imprenditore commerciale.
La forma della domanda era un ricorso da presentare presso il Tribunale del luogo in cui aveva sede l’impresa.
Il debitore, in particolar modo, con la domanda di ammissione alla procedura doveva presentare un piano di risanamento per il recupero della situazione di difficoltà dell’impresa.
Tale piano non poteva concretizzarsi nella mera dismissione dei rami dell’azienda; la eventuale cessione di rami aziendali doveva, infatti, inserirsi in un più ampio piano di risanamento volto alla salvezza dell’impresa.
La previsione di comprovate possibilità di risanamento era requisito funzionale ad evitare l’utilizzo di tale strumento solo quale anticamera del fallimento e, quindi, a soli fini dilatori rispetto a tale evento.
Il Tribunale competente si pronunciava con decreto di accoglimento o rigetto.
Ai fini dell’accoglimento, il Tribunale doveva accertare la possibilità di superamento della crisi sulla base del piano proposto dall’imprenditore e della documentazione contabile prodotta.
In caso di accoglimento della domanda, veniva nominato un Giudice delegato, designato il Commissario giudiziale e convocati i creditori.
Sulla proposta di risanamento formulata dal debitore si dovevano pronunciare i creditori. Il Giudice delegato, accertato il raggiungimento della maggioranza per l’approvazione del piano, provvedeva con decreto a nominare il comitato dei creditori.
In caso di rigetto della domanda, il Tribunale dichiarava contestualmente il fallimento della società stessa, sussistendone i presupposti.

 

Effetti

Effetti per il debitore

Dopo il decreto di ammissione, tutto il patrimonio del debitore restava assoggettato all’amministrazione controllata. Il Tribunale operava una gestione cosiddetta indiretta dell’esercizio dell’attività dell’impresa sottoposto alla procedura.
L’imprenditore ammesso ad amministrazione controllata non poteva compiere – senza parere positivo del Commissario e l’autorizzazione del Giudice delegato – atti di straordinaria amministrazione (a titolo esemplificativo: mutui, transazioni, compromessi, alienazioni di beni immobili, cancellazione di ipoteche, accettazioni di eredità, rinunzia alle liti).
In casi eccezionali poteva, invece, esservi una vera e propria gestione diretta da parte del Tribunale operata per il tramite della figura del Commissario.

 

Effetti per i creditori

Erano vietate le azioni esecutive individuali e le azioni cautelari, ivi comprese le azioni che in sede di fallimento subiscono eccezioni, quali ad esempio le azioni in materia di credito fondiario; i rapporti giuridici pendenti continuavano a rimanere in essere.

 

Durata della procedura

La procedura poteva avere una durata massima di due anni, non prorogabili (cfr Cass. 6.05.1985 n. 2832).
Prima della scadenza del termine, la procedura di amministrazione controllata poteva:

  1. essere revocata
  2. chiudersi positivamente.

 

Revoca

La revoca poteva avvenire a seguito di segnalazione del Commissario Giudiziale – deputato al controllo sull’andamento della procedura – che in occasione delle relazioni bimestrali al Giudice Delegato – segnalava i fatti che consigliavano la revoca dell’amministrazione.
La revoca poteva, inoltre, avvenire a seguito di segnalazione dei creditori o sulla base di relazioni straordinarie.
La revoca veniva pronunciata dal Tribunale appresi e valutati i motivi – di legittimità o di convenienza – che imponevano la non prosecuzione della procedura.
In caso di revoca, veniva dichiarato il fallimento o, su proposta dell’imprenditore, poteva esservi la conversione in concordato preventivo.

 

 

Chiusura positiva

Nel secondo caso, la procedura di amministrazione controllata poteva concludersi prima del termine concesso, se il debitore dimostrava di essere in grado di far fronte a tutti i suoi debiti e, quindi, in presenza di un definitivo superamento dello stato di difficoltà.
Tale condizione doveva essere provata dall’imprenditore tramite la produzione dei libri contabili, bilancio straordinario o, comunque, di documenti dai quali emergesse che l’imprenditore era in grado di soddisfare tutte le ragioni creditorie, sia con riferimento ai debiti scaduti prima della domanda che di quelli contratti in corso di procedura, con possibilità di continuare altresì l’attività di impresa.

Alla scadenza del termine, qualora il debitore non fosse stato ancora in grado di pagare tutti i debiti, erano possibili due soluzioni:

  1. la conversione della procedura in concordato preventivo su domanda del debitore
  2. la conversione nel fallimento.

In tale ultima ipotesi, la conversione veniva promossa direttamente dal Giudice delegato.

 

Fonti normative

  • R.D. 247/1942, titolo IV, artt. 187 a 193. (abrogato)
  • D.Lgs. 5/2006, artt. 147, 148, 150
  • D.Lgs. 169/2007

 

 

Cosa fare – Tempi

Data l’avvenuta abrogazione della procedura a decorrere dal luglio 2006, ad opera del D.Lgs. 5/2006 art. 147 la procedura in esame, già oggetto di scarso utilizzo prima della novella legislativa, non è più utilizzabile.
Le procedure in corso al momento dell’abrogazione, avvenuta con effetto dal 16.07.2006, sono proseguite sino alla loro scadenza come da termine fissato, in analogia a quanto previsto dalla disposizione transitoria di cui all’art. 150 D.Lgs. 5/2006.