Corte di cassazione, sentenza 18 maggio 2021 n. 15999

18 Maggio 2022

Il rifiuto del lavoratore part time di effettuare la prestazione a tempo pieno non può dar luogo a licenziamento disciplinare.
Salva un’ipotesi temporanea e isolata nel pubblico impiego, il rientro unilaterale dal part time al full time è previsto solo nell’interesse del lavoratore.

Tipo di Atto: Giurisprudenza di Cassazione

Una dipendente pubblica part time era stata licenziata nel 2017 perché aveva rifiutato il ritorno a tempo pieno disposto dall’Amministrazione datrice di lavoro. In giudizio, la Corte, cassando la sentenza dell’appello che aveva respinto le domande della dipendente licenziata, afferma anzitutto che per la legge italiana, che attua al riguardo una normativa comunitaria, un tale rifiuto non giustifica il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Procedendo inoltre a un’analisi della normativa italiana in materia, nella sua successione nel tempo, la Cassazione rileva che un potere della pubblica amministrazione di revoca del part time è stato previsto solo da una legge del 2010, per la durata di 180 giorni dalla sua approvazione e con esclusivo riferimento ai c.d. passaggi automatici da full time a part time effettuati prima del 2008. In tutti gli altri casi, il rientro dal part time è esclusivamente nell’interesse del lavoratore (consensuale o per precedenza nelle nuove assunzioni a tempo pieno).