Sciopero

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Questa voce è stata curata da Enzo Martino e aggiornata da Arianna Castelli

Scheda sintetica

La sciopero è una forma di autotutela collettiva dei lavoratori finalizzata alla tutela dei loro diritti ed interessi.
Consiste in un’astensione concertata dal lavoro, posta in essere al fine di esercitare una pressione nei confronti di una controparte, che normalmente, ma non necessariamente, coincide con il datore di lavoro.

Lo sciopero, che era una mera libertà nel periodo pre-fascista e un reato nell’ordinamento corporativo, è elevato a rango di diritto soggettivo fondamentale dall’art. 40 della Costituzione repubblicana del 1948.

Il diritto di sciopero è dunque un diritto individuale, che può essere esercitato soltanto in forma collettiva.

L’art. 40 della Costituzione riconosce il diritto di sciopero, ma nel contempo afferma che si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.

Nel 1990 è intervenuta la Legge n. 146/1990 per regolamentare lo sciopero nei soli servizi pubblici essenziali.
Tuttavia, anche la contrattazione collettiva si è occupata di regolamentare l’esercizio di questo diritto in modo tale da colmare le lacune derivanti dal limitato intervento legislativo in materia.

La definizione di limiti e regole all’esercizio del diritto di sciopero era stata nel frattempo operata dai Giudici in decenni di sentenze in materia.

Il lavoratore che aderisce allo sciopero non ha diritto alla retribuzione per le ore di astensione dal lavoro.

Fonti normative

  • Costituzione, art. 40
  • Legge 12.6.1990 n. 146, modificata ed integrata dalla Legge 11.4.2000 n. 83
  • Legge 11.7.1978 n. 382, art. 8 per i militari
  • Legge 1.4.1981 n. 121, art. 84 per gli appartenenti alla Polizia di Stato
  • D.Lgs. 17.3.1995 n. 230, art. 48 per gli addetti agli impianti nucleari
  • Legge 23.5.1980 n. 242, art. 4 per gli addetti ai servizi di assistenza al volo

 

Finalità

Tra le forme di autotutela collettiva dei lavoratori (boicottaggio, non collaborazione, ostruzionismo, cosiddetto “picchettaggio”, etc.), lo sciopero è certamente lo strumento storicamente più importante e diffuso.

Si esprime in un’astensione totale dal lavoro da parte di una pluralità di dipendenti, diretta ad esercitare una pressione su una o più controparti.

Oltre che nel datore di lavoro, la controparte può essere individuata nelle associazioni imprenditoriali, ad esempio negli scioperi indetti a sostegno dei rinnovi contrattuali, ovvero nel governo od altre istituzioni, nel caso di scioperi con finalità economico sociali.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 40, di numerose norme penali del codice Rocco del 1930 che punivano severamente varie forme di sciopero.

In alcune importanti decisioni degli anni ‘70 è stata quindi sancita la legittimità dello sciopero anche ove questo non sia diretto in via immediata alla tutela delle condizioni salariali o normative dei prestatori di lavoro, ma sia più in generale finalizzato alla difesa e lo sviluppo dei diritti della classe lavoratrice.

In quest’ottica, è stato ritenuto legittimo lo sciopero di “protesta”, lo sciopero di “solidarietà” e lo stesso sciopero “per finalità politiche”, purché non diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare.

Modalità di attuazione e limiti

Lo sciopero normalmente si esercita come astensione totale dal lavoro di una collettività di lavoratori, ma sono lecite anche altre modalità di attuazione.

Ad esempio, sono state ritenute legittime forme articolate di sciopero, come quello “a singhiozzo” (effettuato ad intervalli frazionati di tempo) ovvero “a scacchiera” (effettuato a gruppi alternati di addetti).

Va tenuto però presente che, in taluni casi, è posto in discussione il diritto alla retribuzione dei non scioperanti, messi in libertà dal datore di lavoro, sul presupposto che la loro prestazione non sia proficuamente utilizzabile: su questo punto si rinvia alla giurisprudenza nell’apposita sezione a questa dedicata.

Sono indiscutibilmente legittime altre forme articolate di sciopero, quali ad esempio quello “parziale”, e cioè effettuato solo per una parte della giornata, e quello limitato al lavoro straordinario.

Nell’esperienza sindacale italiana è viceversa assai raro il ricorso allo sciopero ad “oltranza”, pur essendo certamente lecita la proclamazione di uno sciopero senza un limite prefissato di durata.

Non è necessario un atto formale di proclamazione dello sciopero, se non nell’area dei servizi pubblici essenziali, nell’ambito della quale peraltro la legge prevede anche uno specifico obbligo di preavviso.

Fuori dall’area regolamentata, è dunque certamente legittimo lo sciopero “improvviso”, detto anche “a sorpresa”.

Dal punto di vista soggettivo, poche sono le categorie di lavoratori private del diritto di sciopero: in particolare la legge espressamente esclude il ricorso all’astensione dal lavoro per i militari (art. 8 Legge 11.7.1978 n. 382) e per gli appartenenti alla Polizia di Stato durante il servizio (art. 84 legge 1.4.1981 n. 121).

La Corte Costituzionale già nel 1962 (sentenza n. 124/62) ha chiarito che, nonostante il codice della navigazione preveda il reato di ammutinamento, anche il personale marittimo sia titolare del diritto di sciopero, sempre che le modalità di esercizio di esso non comportino il pregiudizio di valori di rango costituzionale.

Dal punto di vista oggettivo, in passato si parlava di limiti “interni” e di limiti “esterni” al diritto di sciopero.

Limiti “interni” erano quelli connaturati alla stessa nozione di sciopero, intesa quale astensione concertata e continuativa dal lavoro di tutti i dipendenti: con l’elaborazione di questa categoria concettuale si tendeva a porre in discussione la legittimità delle cosiddette forme “anomale” di sciopero (a scacchiera, a singhiozzo, a sorpresa, etc.).
La nozione di limiti interni può considerarsi del tutto superata con la citata giurisprudenza che ha ritenuto la liceità degli scioperi “articolati”.

Questo orientamento è culminato con la storica sentenza della Cassazione n. 711 del 1980, che ha definitivamente respinto anche la teoria del “danno ingiusto”, con la quale si pretendeva di mettere al bando gli scioperi attuati con modalità tali da creare all’imprenditore un danno proporzionalmente superiore alla mera sospensione dal lavoro.

Si può parlare invece ancora di limiti “esterni”, intesi quali vincoli che possono rinvenirsi in norme che tutelano posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario, o quantomeno paritario, rispetto al diritto di sciopero.

La stessa Corte di Cassazione, a partire dalla citata sentenza n. 711 del 1980, individua infatti i seguenti limiti all’esercizio del diritto di sciopero: il diritto alla vita, alla salute ed all’incolumità personale, il diritto all’integrità dei beni del datore di lavoro e di terzi, e più in genere il diritto dell’imprenditore alla continuazione dell’attività e dunque all’integrità del patrimonio aziendale.

Dal punto di vista dell’interesse dell’imprenditore, il limite (esterno) al diritto di sciopero è costituito non più dalla perdita sproporzionata di produzione, come nella superata teoria del danno ingiusto, bensì dalla necessità di tutelare il potenziale produttivo delle aziende.

L’applicazione concreta di questi principi, ai quali si è ispirato anche il legislatore del 1990 regolamentando lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, trova notevoli difficoltà applicative in situazioni particolari, quali gli impianti a ciclo continuo: anche su questo punto si rimanda all’apposita sezione dedicata alla giurisprudenza.

La regolamentazione dello sciopero nella contrattazione collettiva

Come anticipato nel primo paragrafo, un contributo alla regolamentazione del diritto di sciopero è stato offerto anche dalla contrattazione collettiva: infatti, fin dall’inizio del ‘900, la parti sociali nell’ambito delle trattative negoziali hanno iniziato a prevedere un’apposita disciplina circa la gestione del conflitto.

In particolare, tale prassi si è estrinsecata dell’inserimento di due diverse tipologie di clausole contrattuali: clausole disciplinanti le procedure di rinnovo degli accordi e le cd. “clausole di pace sindacale”.

Nel primo caso, le clausole prevedono, in concomitanza con il rinnovo dei contratti, procedure di conciliazione e appositi periodi di raffreddamento durante i quali nessuna delle parti è legittimata ad assumere iniziative unilaterali e, dunque, neppure a proclamare uno sciopero.

La logica sottesa a tali previsioni è quella di garantire un certo intervallo di tempo in cui le trattative negoziali possono svolgersi liberamente senza alcuna forma di forzatura.

I primi esempi di disposizioni di questo tipo si trovano nel Protocollo Scotti del 1983 e nel Protocollo IRI-INTERSIND, ma il testo fondamentale in materia è il Protocollo 23 giugno 1993 ove, da un lato, è stato chiarito il riparto di competenze tra contrattazione aziendale e nazionale, dall’altro, è stato individuato un cd. periodo di raffreddamento durante il quale le parti non avrebbero potuto proclamare alcuno sciopero.

Proprio quest’ultimo aspetto è particolarmente importante nell’ottica dell’analisi della regolamentazione del diritto di sciopero da parte della contrattazione collettiva: infatti, era stato stabilito che nel periodo intercorrente tra i tre mesi antecedenti la scadenza del contratto e il mese successivo allo stesso termine alle parti era vietato assumere alcun tipo di iniziativa unilaterale. Oltre a ciò, se tale disposizione non fosse stata rispettata, era stato previsto anche un meccanismo sanzionatorio in forza del quale nel caso di violazione del divieto vi sarebbe stato uno slittamento o un’anticipazione dell’indennità di vacanza contrattuale, ossia di quella somma che veniva riconosciuta ai lavoratori durante il periodo di tregua.

In questo quadro si inseriscono le innovazioni apportate dall’Accordo quadro del 22 gennaio 2009 e dell’Accordo interconfederale attuativo del 15 aprile 2009. Tali provvedimenti hanno prolungato il periodo di tregua, ora decorrente dai sei mesi antecedenti la scadenza del contratto al mese successivo (o comunque pari a un periodo di sette mesi calcolato a partire dalla data di presentazione delle proposte di rinnovo), e hanno previsto un autonomo e analogo periodo in relazione alla contrattazione aziendale.

A ciò ha fatto da contraltare l’eliminazione del meccanismo sanzionatorio di cui si è detto poiché, in caso di mancato rispetto dell’obbligo, è stata riconosciuta esclusivamente la possibilità di chiedere la revoca o la sospensione dello sciopero.

Come già anticipato, l’altra tipologia di clausole che regolano l’esercizio del diritto di sciopero sono invece le “clausole di pace sindacale” propriamente dette, ossia quelle disposizioni che proibiscono di rimettere in discussione con azioni di forza unilaterali il contenuto del contratto collettivo prima della sua naturale scadenza. I primi esemplari di queste clausole si trovano nel Protocollo Intersind/Asap e Federazioni dei lavoratori metalmeccanici, nonché nel contratto collettivo dei metalmeccanici del 1963.

Oggetto del contendere era dunque la cd. “esigibilità del contratto”, tema che negli ultimi anni è divenuto nuovamente attuale in seguito alle vicende del gruppo Fiat.

Infatti, la dirigenza Fiat dopo l’uscita da Federmeccanica decise di dar vita a un’autonoma contrattazione aziendale in cui veniva disciplinata anche la gestione del conflitto sindacale: proprio in questo contesto, tra il 2010 e il 2011, vennero stipulati una serie accordi -con contenuto pressoché identico- nei diversi stabilimenti del Gruppo.

In particolare, in tutti questi accordi è possibile individuare due diverse tipologie di clausole negoziali, ossia le “clausole di responsabilità” e le “clausole integrative del contratto (o cd. “clausole di inscindibilità”).

Le prime, oltre a sancire che il contratto costituisse un “sistema integrato”, vietavano esplicitamente tanto alle Organizzazioni sindacali firmatarie, quanto alle rappresentanze dei lavoratori, di attuare comportamenti tali da pregiudicare il rispetto di qualsivoglia obbligo previsto nell’accordo. In caso contrario, l’Azienda sarebbe stata liberata dall’obbligo di rispettare le disposizioni del medesimo contratto in materia di contributi e permessi sindacali (salvo naturalmente il rispetto dei minimi stabiliti dalla legge).

Oltre a ciò, identico effetto liberatorio era stato previsto anche nel caso in cui le disposizioni contrattuali fossero state violate significativamente da comportamenti di singoli lavoratori o da gruppi di essi.

Tra le condotte idonee a violare le previsioni negoziali e, dunque, a rendere inesigibili i contenti degli accordi devono certamente essere annoverate anche l’indizione di uno sciopero da parte delle 00.SS (o dalle rappresentanze aziendali) e l’astensione volontaria dal lavoro dei prestatori.

Le “clausole di inscindibilità” invece stabilivano che i diversi articoli del contratto collettivo dovessero essere considerati correlati e inscindibili, così che i contratti individuali di lavoro sarebbero stati integrati non solo dalla parte normativa del contratto collettivo, ma anche da quella obbligatoria e, dunque, anche dalla clausola di responsabilità di cui si è detto. In questo modo, la violazione di una qualsiasi disposizione del contratto collettivo avrebbe legittimato il datore di lavoro a irrogare le sanzioni disciplinari.

In altre parole, la formulazione letterale di queste disposizioni avrebbe potuto legittimare una lettura secondo la quale il datore di lavoro avrebbe potuto esercitare il potere disciplinare nei confronti di quei lavoratori che avessero esercitato il loro diritto di sciopero senza rispettare le previsioni del contratto anche per quanto attiene il periodo di raffreddamento e la clausola di responsabilità. In questo modo il cd. obbligo di pace sindacale sarebbe stato esteso anche ai prestatori di lavoro, mentre storicamente tale obbligo era stato limitato alle sole associazioni sindacali.

Un’interpretazione di questo tipo avrebbe senz’altro pregiudicato il riconoscimento del diritto di sciopero in capo al singolo lavoratore, ponendosi quindi in contrasto con l’art. 40 della Costituzione. Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni proposta da taluni interpreti, invece, la sanzione disciplinare potrebbe essere irrogata solo nel caso in cui i lavoratori abbiano violato disposizioni del contratto collettivo disciplinanti il loro rapporto di lavoro, ossia la cd. parte normativa. Già da queste brevi osservazioni emerge chiaramente come la regolamentazione prevista nei contratti del Gruppo Fiat avesse sollevato una serie di questioni interpretative; per questo motivo opportunamente le parti sociali sono nuovamente intervenute sulla materia con l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, con il Protocollo del 31 maggio 2013 e con T.U. sulla rappresentanza 10 gennaio 2014.

Le disposizioni del T.U. sulla rappresentanza -che costituisce il punto di arrivo della vicenda negoziale di cui si tratta- prevedono che sia i contratti collettivi nazionali che quelli aziendali possono disciplinare la materia della gestione del conflitto.

Nel primo caso, saranno gli stessi CCNL a dover stabilire appositi procedimenti sanzionatori da applicarsi in relazione a tutte quelle condotte -tanto attive quanto omissive- volte a mettere in discussione il contenuto degli accordi. In particolare, queste sanzioni potranno essere di carattere economico oppure pregiudicare le prerogative sindacali di fonte contrattuale, ma, in ogni caso, dovranno essere applicate esclusivamente alle “parti contraenti”, ossia alle Federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie (anche se nel caso di specie non abbiano sottoscritto l’accordo di cui si tratta).

Nella seconda ipotesi, saranno invece i contratti collettivi aziendali-approvati secondo le modalità previste nel T.U.- a sancire clausole di tregua sindacale e le relative sanzioni che, anche in questo caso, potranno essere applicate solo al datore di lavoro, alle rappresentanze sindacali dei lavoratori, alle associazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie o che abbiano aderito al T.U.

Superando le incertezze interpretative sorte in seguito agli accordi del Gruppo Fiat, le parti sociali hanno dunque previsto una regolamentazione che in entrambe le ipotesi chiarisce come la violazione delle disposizioni contrattuali in materia di gestione del conflitto non potrà mai comportare l’irrogazione di sanzioni a carico dei singoli prestatori.

In conclusione, una regolazione del diritto di sciopero di questo tipo può dirsi certamente coerente con la titolarità individuale del diritto di sciopero, nonché con il dettato costituzionale.

La regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali

La previsione costituzionale di limiti legislativi all’esercizio del diritto di sciopero trova una sua realizzazione organica, anche se limitata ai servizi pubblici essenziali, con la Legge n. 146/1990 (modificata con la Legge n. 83 dell’11.4.2000, che ne ha ampliato notevolmente il campo di applicazione estendendolo sino a ricomprendere forme di astensione dal lavoro di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che tecnicamente non rientrano nella nozione di sciopero).

La legge tiene in vita, per quanto non diversamente disposto, normative emanate in passato per particolari categorie di lavoratori (art. 49 d.p.r. 13.2.1964 n. 185, sostituito in seguito dall’art. 48 del D.Lgs. 17.3.1995 n. 230 per gli addetti agli impianti nucleari, ed art. 4 legge 23.5.1980 per gli addetti ai servizi di assistenza al volo), e si propone di realizzare un regolamentazione unitaria del diritto di sciopero in tutti i servizi pubblici essenziali.

Obiettivo della legge è quella di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali con il godimento di diritti egualmente garantiti sul piano costituzionale.

I servizi pubblici essenziali, e dunque il campo di applicazione della specifica regolamentazione dell’esercizio del diritto, così vengono definiti dall’art. 1:

“Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”.

Con l’espressione “indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto”, il legislatore ha inteso ricomprendere nel campo applicativo della presente disciplina anche i rapporti di lavoro in regime privatistico, nonché le collaborazioni autonome, il lavoro in somministrazione, i soci lavoratori di cooperative e simili.

Con l’espressione “anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione” la legge intende ricomprendere anche tutti gli appalti e le “terziarizzazioni” effettuate dalle aziende eroganti servizi pubblici essenziali.

Dopo la definizione generale appena trascritta, la legge fornisce un’elencazione estremamente ampia di settori importanti nei quali l’esercizio del diritto di sciopero subisce una compressione.

Per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico, i settori coinvolti sono:

  • la sanità
  • l’igiene pubblica
  • la protezione civile
  • la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi
  • le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili
  • l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi
  • l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione
  • i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali.

Per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione, i settori coinvolti sono:

  • i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali
  • i trasporti marittimi limitatamente al collegamento con le isole.

Per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti, i settori coinvolti sono:

  • i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario.

Per quanto riguarda l’istruzione, i settori coinvolti sono:

  • l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami
  • l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione.

Per quanto riguarda infine la libertà di comunicazione, i settori coinvolti sono:

  • le poste
  • le telecomunicazioni
  • l’informazione radiotelevisiva pubblica.

Mentre l’individuazione dei diritti della persona di cui all’art. 1 è considerata tassativa, l’elencazione dei servizi essenziali è considerata prevalentemente esemplificativa.

Come si può facilmente intuire, anche settori che non erogano direttamente servizi pubblici essenziali, possono essere coinvolti nella regolamentazione attraverso terziarizzazioni ed appalti.

Come esempio, si possono citare (traendo spunto dai provvedimenti della Commissione di garanzia):

Nel settore del terziario:

  • gli appalti presso gli Ospedali
  • le mense scolastiche e le mense nelle caserme
  • i servizi di vigilanza presso le banche, uffici postali, e simili
  • gli appalti per le pulizie ovvero per la raccolta rifiuti in Ospedali, caserme, scuole, treni.

Nel settore sanità:

  • le attività cosiddette strumentali all’assistenza sanitaria, come, ad esempio, la portineria, la reception, il servizio di cucina, la raccolta e l’allontanamento dei rifiuti, attività queste spesso appaltate ad aziende esterne.

Nei settori interessati la legge impone fondamentalmente due obblighi, demandando alla contrattazione collettiva la disciplina di dettaglio ed l’ulteriore obbligo di attivare una procedura obbligatoria di “raffreddamento”:

  • quello di garantire in ogni caso le cosiddette “prestazioni indispensabili”;
  • quello di dare un “preavviso” scritto non inferiore a dieci giorni, con espressa indicazione della durata, delle modalità di attuazione, nonché delle motivazioni, dell’astensione collettiva dal lavoro (comunicazione da inviare sia all’azienda che alla Prefettura).

L’azienda, a sua volta, deve dare una specifica comunicazione agli utenti , nelle forme adeguate, almeno cinque giorni prima dell’inizio dello sciopero, dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi nel corso dello sciopero e delle misure per la riattivazione degli stessi.

In via transitoria, la disciplina di dettaglio era provvisoriamente assicurata da codici di autoregolamentazione ovvero, in mancanza, da proposte della Commissione di garanzia, organismo indipendente composto da nove membri istituito ad hoc dalla legge.

Attualmente, in molti settori, sono stati stipulati specifici accordi sindacali, accordi che sono stati “giudicati idonei” dalla Commissione stessa.

In questi accordi, oltre ad essere meglio messo a fuoco l’ambito dei servizi considerati essenziali e le modalità idonee a garantire le prestazioni indispensabili, è anche previsto una sorta di tentativo obbligatorio di conciliazione, denominato “procedura di raffreddamento”, da svolgersi preventivamente, a livello aziendale o eventualmente nazionale.

Per garantire le “prestazioni indispensabili”, che vanno in ogni caso assicurate, i contratti collettivi individuano idonee misure che possono consistere: nell’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni; nella previsione di forme di erogazione periodica; nell’indicazione di intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo.

È peraltro attribuito alla Commissione il potere di sostituirsi temporaneamente alle parti collettive – in caso di indisponibilità delle stesse a raggiungere un accordo o qualora la Commissione non ritenga idoneo l’accordo raggiunto – nella definizione delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero col godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti.

In caso di violazione delle regole contrattuali o legali, prende avvio una complessa procedura di infrazione presso la Commissione di garanzia, al termine della quale la Commissione stessa può valutare negativamente la condotta tenuta dall’organizzazione sindacale proclamante lo sciopero.

In caso di valutazione negativa scattano sanzioni pecuniarie a carico della stessa Organizzazione (con il meccanismo della sospensione dei permessi ovvero dei contributi sindacali per tutta la durata dell’astensione, da un minimo ad un massimo prestabiliti, graduati a seconda della gravità dell’infrazione).

Il comportamento dei lavoratori che abbiano aderito comunque allo sciopero è passibile di sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità della vicenda (non comunque del licenziamento).

Qualora sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, su segnalazione della Commissione di garanzia, ovvero di propria iniziativa, l’Autorità competente può disporre la precettazione dei lavoratori con ordinanza, l’inosservanza della quale comporta l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie sia nei confronti dei singoli che nei confronti delle organizzazioni sindacali.

Va ricordato infine che la Legge n. 83 del 2000 ha formalizzato il divieto del cosiddetto “effetto annuncio”, detto anche sciopero “virtuale”, stabilendo che la revoca spontanea dello sciopero proclamato dopo che ne sia stata data comunicazione all’utenza costituisce forma sleale di azione sindacale, come tale soggetta a valutazione negativa da parte della Commissione di garanzia.

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di sciopero

Finalità, limiti e modalità di attuazione del diritto di sciopero

1) Il diritto di sciopero, che l’art. 40 cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della “ratio” storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso. (Nella specie, la Corte cass. ha confermato la sentenza della Corte d’appello, che aveva ritenuto legittimo lo sciopero finalizzato a tutelare l’interesse professionale collettivo dei lavoratori, riguardante l’orario di lavoro, pur se formalizzato dalla presenza di tre dei sei lavoratori dipendenti della società e comunicato al datore di lavoro nella medesima giornata).
Cassazione civile , sez. lav., 17 dicembre 2004, n. 23552

2) La collocazione del ripudio della guerra tra i principi fondamentali della Costituzione consente di affermare che esso costituisce un interesse fondamentale della collettività e quindi la legittimità dello sciopero contro la guerra è riconducibile – oltre che in generale alla fattispecie dello sciopero per fini non contrattuali quale “mezzo idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui all’art 3, comma 2, cost. – anche, in particolare, alla specifica previsione dell’art. 2, comma ultimo, l. n. 146 del 1990.
Cassazione civile , sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16515

3) L’esercizio del diritto all’attività sindacale, pur costituzionalmente garantito (art. 39 e 40 cost.), non può considerarsi insuscettibile di limiti, in guisa da operare come una generale causa di esclusione dell’antigiuridicità idonea a rendere lecite condotte capaci di arrecare pregiudizio grave ed irreparabile a diritti ed interessi aventi del pari copertura costituzionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare irrogata a carico di due dei componenti del consiglio di fabbrica di una impresa che, dopo aver richiesto alla direzione aziendale, ricevendone risposta negativa, lo spostamento, per tutti i dipendenti, dell’intervallo per il pranzo, in modo da permettere, nella imminenza di uno sciopero di due ore, la cessazione unitaria del lavoro, secondo l’uso già invalso, e derogato da alcuni giorni, per effetto di una richiesta aziendale, liberamente accolta dai dipendenti, di effettuare la pausa a turno – richiesta originata, a seguito del momentaneo arresto di una macchina confezionatrice, dalla esigenza di utilizzare a tempo pieno l’altra – avevano interrotto il ciclo produttivo della impresa, impedendo il funzionamento della macchina con conseguente imposizione agli altri dipendenti della propria volontà circa la collocazione temporale della pausa lavorativa; comportamento, quello sanzionato, che la S.C. ha confermato non essere legittimato da alcuna norma legale o contrattuale, in quanto dall’art. 15 della contrattazione collettiva, e dalla l. 26 aprile 1934 n. 653, invocati dai sindacalisti a fondamento della legittimità della propria condotta, si evince l’obbligo di una pausa quando la giornata lavorativa si protrae per otto ore consecutive per le donne e i minori lavoranti a squadre, senza che peraltro nessuna specifica disposizione impedisca che l’orario di tale pausa possa essere fissato attraverso un accordo tra il datore di lavoro e i lavoratori).
Cassazione civile , sez. lav., 15 marzo 2002, n. 3852

4) Poiché sono irrilevanti le modalità con cui lo sciopero viene effettuato – con il solo limite che lo stesso non pregiudichi la produttività dell’azienda, ovvero non comporti la distruzione (anche parziale) o una duratura inutilizzabilità degli impianti, mettendo in pericolo la loro integrità – rientra nel concetto di sciopero legittimo anche quello parziale. (Nella specie lo sciopero era stato attuato dai dipendenti di un’impresa di vigilanza privata procedendo agli ordinari giri di sorveglianza, ma astenendosi dall’apporre i prescritti biglietti attestanti l’espletamento del controllo).
Cassazione civile , sez. lav., 06 ottobre 1999, n. 11147

5) Poiché lo sciopero ben può legittimamente attuarsi attraverso lo svolgimento dell’attività con prestazioni ridotte rispetto alle dovute (nel caso i metronotte omettevano il rilascio alla clientela del biglietto di controllo o la ricarica degli orologi funzionalmente equivalente), tiene comportamento antisindacale l’impresa che procede in via disciplinare per questa forma di lotta.
Cassazione civile , sez. lav., 06 ottobre 1999, n. 11147

6) Qualora la lotta sindacale non consista nella mera astensione collettiva dal lavoro, ma assuma forme diverse dallo sciopero per la carica di violenza delle manifestazioni che incidono, direttamente e immediatamente, sull’integrità degli impianti e sull’incolumità dei lavoratori ad essi addetti, è da considerarsi giustificabile la reazione del datore di lavoro che chiude tutti i reparti dello stabilimento industriale e gli uffici amministrativi.
Cassazione civile , sez. lav., 20 aprile 1995, n. 4426

7) Lo sciopero deve ritenersi legittimo, indipendentemente dalle sue modalità, quando risultino rispettati i limiti cosiddetti esterni posti dalla concorrente tutela giuridica su un piano prioritario di posizioni soggettive eventualmente confliggenti, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, o comunque paritario, come il diritto del datore di lavoro alla libertà di iniziativa economica, la cui tutela resta limitata alla salvaguardia dell’organizzazione aziendale, intesa come struttura finalizzata al conseguimento di un risultato economico nel quadro generale della produzione e del mercato. (Nella specie, la sentenza dei giudici del merito, confermata dalla S.C., aveva affermato la legittimità – in assenza di ogni pregiudizio per la produttività della azienda – dell’astensione dalle prestazioni di lavoro nella giornata festiva, considerate ai fini contrattuali come di lavoro straordinario, rilevando che lo sciopero si era in concreto esteso all’intera giornata lavorativa).
Cassazione civile , sez. lav., 28 gennaio 1992, n. 869

8) Uno sciopero parziale (nella specie attuato nel settore del pubblico servizio di trasporto e con riguardo alla prima mezz’ora di ciascun turno lavorativo) non è di per sè illecito, in quanto l’astensione dal lavoro per una sola parte della durata giornaliera delle prestazioni non comporta necessariamente violazione dei limiti esterni posti all’esercizio del diritto di sciopero, nè si configura come lesiva di diritti della persona costituzionalmente tutelati o della produttività dell’azienda, intesa come salvaguardia dell’integrità degli impianti e, come tale, distinta dalla conservazione del livello di produzione nonché dal disagio che la contrazione temporanea di questo può comportare per gli utenti.
Cassazione civile , sez. lav., 28 ottobre 1991, n. 11477

9) Lo sciopero dei lavoratori è legittimo se realizza un’astensione dal lavoro intesa a tutelare un interesse professionale collettivo dei lavoratori e non se persegue finalità pretestuose e il soddisfacimento di contingenti esigenze di singoli dipendenti. (La S.C. ha confermato la decisione dei giudici del merito, secondo cui nel caso di specie tale interesse collettivo non era ravvisabile perché l’agitazione era stata indetta con l’intento di raccogliere adesioni tra i lavoratori consentendo loro di assentarsi dal lavoro secondo le personali esigenze ed usufruire così dell’equivalente di permessi non retribuiti, ricorrendo alla protezione attribuita all’esercizio del diritto di sciopero).
Cassazione civile , sez. lav., 23 luglio 1991, n. 8234

10) Il diritto di sciopero non conosce limitazioni per quanto concerne le modalità del suo esercizio (assenza, cioè, di limiti “interni”), laddove il solo limite “esterno” è costituito dalla non possibilità dell’effettuazione di atti diretti contro l’organizzazione aziendale in modo da impedirne il funzionamento o da comprometterne gravemente la stessa produttività, così come di atti che provochino pregiudizio a fondamentali diritti del pari costituzionalmente garantiti in modo assoluto (principio affermato in conferma della sentenza di merito nella quale si è ritenuto esulante dai limiti del diritto di sciopero il comportamento di due dipendenti che, nel corso di uno sciopero avevano impedito ad un altro dipendente, non aderente allo sciopero, la manovra di un carrello rifornitore della saldatrice).
Cassazione civile , sez. lav., 16 novembre 1987, n. 8401

11) L’attuazione dello sciopero non richiede una formale proclamazione nè una preventiva comunicazione al datore di lavoro, salva la eventuale particolare disciplina del codice di autoregolamentazione e salva, in ogni caso, la valutazione della diversa offensività dello sciopero così detto “selvaggio”. Costituendo, tuttavia, lo sciopero un diritto individuale del lavoratore, suscettibile di collettivo esercizio, perché diretto alla tutela di un interesse collettivo, il suo esercizio richiede, comunque, che l’astensione totale o parziale dal lavoro sia collettivamente concordata, a prescindere, quindi, da chi prende l’iniziativa della sua attuazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice del merito, il quale, senza accertare se effettivamente sussistesse una situazione conflittuale implicante la tutela di un interesse collettivo e se vi fosse stata o meno un’astensione dal lavoro collettivamente concordata, aveva ritenuto l’astensione dal lavoro attuata dal dipendente riconducibile all’esercizio del diritto di sciopero).
Cassazione civile , sez. lav., 08 agosto 1987, n. 6831

12) Il datore di lavoro che senza ricorrere – come di prassi – al previo accordo con le organizzazioni sindacali, richieda ad alcuni lavoratori, aderenti ad uno sciopero cosiddetto dello straordinario, di effettuare la prestazione lavorativa oltre l’orario settimanale normale, pone in essere un comportamento antisindacale con la conseguenza che sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate ai lavoratori che a tale richiesta si siano opposti, senza che possa rilevare che la prestazione lavorativa sia finalizzata ad opere di manutenzione degli impianti ove non vi sia quel rischio di compromissione della stessa potenzialità produttiva degli impianti che rende legittima la richiesta dell’imprenditore.
Cassazione civile , sez. lav., 30 luglio 1987, n. 6622

13) Il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l’entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la necessaria genericità della sua nozione comune presupposta dal precetto costituzionale (art. 40 cost.) e la mancanza di una legge attuativa di questo, se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, nonché la libertà dell’iniziativa economica. L’accertamento al riguardo va condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai parimenti concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all’incolumità delle persone e alla integrità degli impianti produttivi.
Cassazione civile , sez. lav., 26 giugno 1987, n. 5686

14) In caso di sciopero di rendimento attuato da lavoratori retribuiti a cottimo misto – i quali non hanno diritto a due distinte retribuzioni, una a tempo e l’altra ad incentivo, ma ad un’unica retribuzione che, globalmente considerata, deve essere conforme ai canoni di cui all’art. 36 cost. – il datore di lavoro non può decurtare la retribuzione complessiva proporzionalmente al calo del ritmo di rendimento normalmente raggiunto nel periodo precedente lo sciopero, ove tale rendimento non sia sceso al di sotto di quello espressamente definito come minimo con accordo tra le parti. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice del merito il quale aveva ritenuto immotivatamente legittima la decurtazione della retribuzione complessiva in un’ipotesi in cui la produttività era scesa sotto l’indice di rendimento previsto contrattualmente come massimo, e normalmente raggiunto prima dello sciopero, ma si era tenuta al di sopra del rendimento previsto come minimo).
Cassazione civile , sez. lav., 16 giugno 1987, n. 5340

15) Il diritto di sciopero non è suscettibile di delimitazione in relazione alla sua forma, normale od anomala, di esercizio o alla entità del conseguente danno alla produzione, attesa l’estraneità di tale delimitazione alla comune nozione di sciopero quale presupposta e recepita dall’art. 40 cost.; ma, al pari di qualsiasi diritto, incontra i limiti cosiddetti esterni che sono posti dalla concorrente tutela giuridica, su un piano prioritario o, quanto meno, paritario, di posizioni soggettive con esso eventualmente confliggenti, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale o alla produttività dell’azienda, ossia il diritto dell’imprenditore di continuare ad esercitare la libertà di iniziativa economica. Consegue quindi che anche il cosiddetto sciopero articolato (quale lo sciopero a singhiozzo) è legittimo quando risultino rispettati tali limiti esterni, limiti che invece devono ritenersi superati allorché le ripetute interruzioni dell’attività produttiva nell’arco della stessa giornata, in corrispondenza con le ripetute astensioni dal lavoro dei dipendenti in sciopero, implicano pregiudizio, anche solo potenziale, per la vita o l’incolumità delle persone oppure per l’integrità o la funzionalità degli impianti.
Cassazione civile , sez. lav., 04 aprile 1987, n. 3303

16) Il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio, trova un limite soltanto nelle norme che tutelano posizioni soggettive concorrenti su un piano paritetico, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, nonché la libertà dell’iniziativa economica costituzionalmente garantita, con la conseguenza che l’esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito, se risulti idoneo a pregiudicare irreparabilmente la possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la propria iniziativa economica ovvero comporti la distruzione o la duratura inutilizzabilità degli impianti. Pertanto negli impianti a ciclo continuo, lo sciopero consistente nel temporaneo arresto della loro attività risulta illecito soltanto quando sia tale da pregiudicare la stessa produttività dell’azienda determinando il rischio della loro distruzione o della loro compromissione con la conseguenza che in tale caso non costituisce condotta antisindacale la sospensione dell’attività produttiva decisa dall’imprenditore.
Cassazione civile , sez. lav., 04 marzo 1987, n. 2282

17) Dal coordinamento del diritto di sciopero con i diritti di proprietà e di libera iniziativa economica, anch’essi di pari dignità costituzionale (art. 42 e 43), discende l’esistenza di un limite essenziale all’esercizio del diritto di sciopero, consistente nell’esigenza di tutelare il patrimonio aziendale, salvaguardando l’integrità strutturale e funzionale degli impianti e, quindi, la stessa funzionalità organizzativa e dinamica dell’impresa, che costituisce fonte di attività produttiva a vantaggio non solo dell’imprenditore, ma dell’intera comunità sociale.
Cassazione civile , sez. lav., 12 dicembre 1986, n. 7443

18) Il danno che il datore di lavoro deve subire in occasione di scioperi è quello derivante dalla mancata produzione e non può riguardare gli impianti produttivi, i quali devono essere comunque tutelati, nell’interesse, oltre che del datore di lavoro, dei lavoratori e della collettività. Ne consegue che non può considerarsi condotta antisindacale quella dell’imprenditore che, in presenza dello sciopero di dipendenti, provveda a mantenere accesi, ma in regime di sottoalimentazione, i forni, per evitare il pregiudizio derivante dallo spegnimento alle parti refrattarie dei forni.
Cassazione civile , sez. lav., 24 aprile 1986, n. 2899

19) Il diritto di sciopero, che l’art. 40 cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità o della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso.
Cassazione civile , sez. lav., 20 luglio 1984, n. 4260

20) Il diritto di sciopero quale che sia la sua forma di esercizio e l’entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la genericità della sua nozione comune, presupposta dal precetto costituzionale (art. 40 cost.), e la mancanza di una legge attuativa di questo, se non quelli meramente esterni che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario, come il diritto alla vita o all’incolumità personale, o, quantomeno, paritario, come il diritto alla libertà di iniziativa economica la cui illegittima lesione può ravvisarsi esclusivamente in quelle norme di sciopero idonee a pregiudicare irreparabilmente, non la produzione ma la produttività dell’azienda.
Cassazione civile , sez. lav., 09 maggio 1984, n. 2840

21) Posto che l’esercizio del diritto di sciopero deve svolgersi in modo da non arrecare danno o pericolo all’incolumità fisica e alla dignità delle persone, nè all’integrità e funzionalità degli impianti e comunque alla potenzialità produttiva dell’azienda, spetta al giudice di merito di valutare se l’effettuazione di “cortei interni” da parte dei lavoratori in sciopero sia avvenuta nel rispetto dei limiti anzidetti, e se, di conseguenza, sia qualificabile come antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero, abbia impedito alle maestranze l’accesso agli uffici amministrativi ed a quelli della direzione.
Cassazione civile , sez. lav., 04 febbraio 1983, n. 945

22) Sono illegittime le forme di sciopero che importino pericoli o danni e alterazioni alla integrità e funzionalità degli impianti o che siano dirette ed idonee a pregiudicare non la produzione, ma la produttività dell’azienda.
Cassazione civile , sez. lav., 26 giugno 1980, n. 4030

23) Allorquando sia avvenuta la proclamazione di uno sciopero non è consentito – a meno che non si palesi in modo certo ed univoco che sia stato pretestuosamente usato per scopi illeciti o comunque esulanti dalle finalità riconducibili alla Costituzione – indagare circa la fondatezza dei suoi motivi. Pertanto, ove emerga che il licenziamento di un dipendente sia stato determinato dalla partecipazione del medesimo ad uno sciopero o dallo svolgimento da parte sua di attività sindacale, il provvedimento è assolutamente nullo ex art. 4 l. n. 604 del 1966 e 15 l. n. 300 del 1970.
Cassazione civile , sez. lav., 11 aprile 1980, n. 2314

24) Il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l’entità del danno arrecato, non ha altri limiti, attesa la necessaria genericità della sua nozione comune presupposta dal precetto costituzionale (art. 40 cost.) e la mancanza di una legge attuativa di questo, se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale nonché la libertà dell’iniziativa economica, cioè, dell’attività imprenditoriale (art. 4 comma 1 cost.), che con la produttività delle aziende e concreto strumento di realizzazione del diritto costituzionale al lavoro per tutti i cittadini. Pertanto, l’esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente – in una determinata ed effettiva situazione economica generale o particolare – non la produzione, ma la produttività dell’azienda, cioè la possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero comporti la distruzione o una duratura inutilizzabilità degli impianti, con pericolo per l’impresa come organizzazione istituzionale, non come mera organizzazione gestionale, con compromissione dell’interesse generale alla preservazione dei livelli di occupazione. L’accertamento al riguardo va condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai parimenti concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all’incolumità delle persone e alla integrità degli impianti produttivi.
Cassazione civile , sez. lav., 30 gennaio 1980, n. 711

Conseguenze retributive dirette ed indirette per gli scioperanti

1) La trattenuta da operare sulla retribuzione di lavoratori scioperanti in giorno festivo deve essere limitata alla perdita della retribuzione stabilita per la giornata festiva lavorativa e non già estendersi alla retribuzione del giorno di riposo compensativo fissato dal datore di lavoro in altro giorno non festivo della settimana.
Cassazione civile , sez. lav., 20 agosto 2003, n. 12250

2) Con riferimento alle ipotesi in cui il rapporto di lavoro pur in mancanza della prestazione lavorativa non si estingue ma rimane soltanto sospeso è necessario distinguere i casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione nei quali, in via del tutto eccezionale, il rischio della mancata prestazione si trasferisce sul datore di lavoro (infortunio, malattia, gravidanza e puerperio), il quale resta quindi obbligato a corrispondere la retribuzione, dal caso in cui l’assenza dal lavoro sia dovuta a sciopero. Tale ultimo caso, infatti, pur concretandosi nell’esercizio di un diritto garantito dalla Costituzione, non rientra nelle suddette ipotesi eccezionali sicché ad esso si applica la regola generale della sinallagmaticità delle prestazioni del rapporto di lavoro che comporta che, a fronte della sospensione dell’obbligazione dei lavoratori aderenti allo sciopero di prestare la propria attività lavorativa, sia sospesa anche l’obbligazione del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione. Ne consegue che, salvo che sia diversamente disposto dalla contrattazione collettiva, anche la tredicesima mensilità, le eventuali ulteriori mensilità aggiuntive e gli altri istituti di retribuzione indiretta o differita devono essere ridotti in misura proporzionale alle giornate di sciopero.
Cassazione civile , sez. lav., 26 maggio 2001, n. 7196

3) La retribuibilità del giorno di riposo settimanale presuppone l’attuale sussistenza dell’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro, che viene temporaneamente meno a seguito della sospensione del rapporto per astensione dal lavoro a causa di sciopero. Pertanto nel caso di partecipazione a sciopero proclamato per un periodo continuativo tale da ricomprendere anche giornate di riposo settimanale, non compete l’intera retribuzione che sarebbe maturata in quel periodo, ivi compresa anche la retribuzione relativa ai giorni di riposo medesimi, ancorché non sia comunque dovuta alcuna prestazione in essi. (Fattispecie relativa al settore degli autoferrotranvieri la cui contrattazione collettiva statuisce che la retribuzione giornaliera venga determinata dividendo per 30 la retribuzione mensile, prevedendo quindi una quota retributiva anche per il giorno di riposo).
Cassazione civile , sez. lav., 16 novembre 2000, n. 14828

4) In tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, allorquando il giorno di riposo settimanale si inserisce in un periodo ininterrotto di sciopero, in relazione al quale viene meno l’obbligo retributivo del datore di lavoro, così come non è dovuta la retribuzione per le giornate lavorative che cadono in quel periodo neppure è dovuta per le giornate di riposo ivi comprese.
Cassazione civile , sez. lav., 16 novembre 2000, n. 14828

5) I permessi retribuiti introdotti dalla disciplina collettiva (nella specie, art. 86 C.C.N.L. 30 aprile 1987 per i dipendenti delle aziende di credito), afferendo all’area retributiva e perseguendo finalità non già di riposo del lavoratore ma d’incentivazione dell’attività nei giorni di festività soppresse dall’art. 1 della l. 5 marzo 1977 n. 54, non vanno corrisposti quando, per l’esercizio del diritto di sciopero in uno dei detti giorni, la prestazione lavorativa non viene effettuata e, conseguentemente, non è corrisposto il trattamento economico giornaliero.
Cassazione civile , sez. lav., 08 luglio 1992, n. 8327

6) Nel caso di retribuzione pattuita in misura fissa mensile, la determinazione della retribuzione giornaliera, soggetta a trattenuta a seguito di sciopero, deve essere effettuata, in mancanza di regole legali inderogabili che impongano l’adozione di un determinato divisore, alla stregua della disciplina collettiva del rapporto, l’interpretazione della quale (ove di diritto comune) è censurabile in sede di legittimità per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la Suprema Corte ha censurato l’impugnata sentenza, la quale, alla stregua del c.c.n.l. 22 settembre 1981 per i piloti dipendenti da compagnie di navigazione aerea a partecipazione statale, aveva ritenuto, in particolare, che una giornata di sciopero importasse la ritenuta di un trentesimo – anziché di un ventesimo – della retribuzione mensile).
Cassazione civile , sez. lav., 14 marzo 1990, n. 2049

7) Costituisce condotta antisindacale ex art. 28 stat. lav. l’aver il datore di lavoro (esercente, nella specie, l’attività di trasporto) operato, sulle retribuzioni dei lavoratori che abbiano partecipato ad uno sciopero di breve durata, delle trattenute corrispondenti – non già alla durata dell’astensione dal lavoro – ma a quella dei ritardi causati nell’espletamento del servizio dalla astensione medesima, atteso che in generale i lavoratori che attuano uno sciopero non sono responsabili delle perdite conseguite dal datore di lavoro in termini di disfunzione dell’attività aziendale e quindi di riduzione del profitto, non incontrando il diritto di sciopero – in mancanza di quell’organica disciplina prefigurata dall’art. 40 cost. – altro limite che quello della intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente protetti. Nè in senso contrario rileva la disciplina dettata dall’art. 171 della l. 11 luglio 1980 n. 312 che, in alcuni casi e a determinate condizioni, consente, per gli scioperi cosiddetti brevi, una trattenuta superiore alla durata dell’effettiva interruzione del lavoro, giacché tale norma speciale riguarda soltanto il settore del pubblico impiego e non è suscettibile di applicazione analogica anche al settore privato.
Cassazione civile , sez. lav., 06 marzo 1986, n. 1492

8) Dalla mancata previsione nella norma costituzionale che sancisce il diritto di sciopero anche di una garanzia di tipo economico per i lavoratori consegue che questi ultimi – ove si astengano dal lavoro in attuazione di uno sciopero – non hanno diritto (salva una diversa, e più favorevole, disposizione del contratto collettivo di lavoro) nè alla retribuzione, nè ad alcun emolumento a carattere retributivo per le ore o le giornate non lavorate, anche nell’ipotesi in cui eventualmente il contratto collettivo stabilisca che determinati periodi non lavorati in ragione di specifiche circostanze di fatto – non inclusive anche dello sciopero – siano comunque rilevanti in ordine ad alcuni istituti retributivi. (Nella specie il giudice del merito – chiamato ad interpretare l’art. 5 del contratto collettivo nazionale di lavoro 29 aprile 1975 per il settore manufatti in cemento, norma che, nel prevedere una maggiorazione per il lavoro c.d. supplementare, compreso tra le 40 e le 48 ore settimanali, computava a tale fine anche le ore non lavorate dovute a malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, congedo matrimoniale, ferie, permessi retribuiti, ma non anche sciopero – aveva riconosciuto il diritto del lavoratore alla maggiorazione suddetta conteggiando, per il superamento della soglia delle 40 ore settimanali, anche le ore non lavorate per sciopero; la S.C. ha cassato tale pronuncia affermando il principio di cui sopra.
Cassazione civile , sez. lav., 02 gennaio 1986, n. 1

9) In presenza di una disciplina collettiva – quale, nella specie, quella degli art. 33 e 34 del c.c.n.l. 25 settembre 1976 per i dipendenti di aziende commerciali – che, in conformità al disposto dell’art. 4 della l. 31 marzo 1954 n. 90 (contenente modificazioni alla l. 27 maggio 1949 n. 260 sulle ricorrenze festive), includa la solennità del patrono del luogo ove si svolge il lavoro fra le festività infrasettimanali da retribuire, prevedendo anche che le ore di lavoro prestate in tali festività siano compensate come lavoro straordinario festivo, non è contestabile il diritto dei lavoratori alla retribuzione normale per la giornata non lavorata corrispondente alla festività patronale, giacché l’astensione dal lavoro in tale giorno (ancorché eventualmente effettuata nell’esercizio del diritto di sciopero) comporta il venir meno soltanto del diritto alle maggiorazioni retributive e non anche del diritto alla retribuzione normale, di cui è già prevista la corresponsione nonostante la mancanza di prestazione lavorativa.
Cassazione civile , sez. lav., 21 febbraio 1985, n. 1575

10) Il periodo di assenza dal lavoro per sciopero, poiché l’esercizio di tale diritto comporta, in relazione alla sinallagmaticità che caratterizza le prestazioni delle parti del rapporto di lavoro, il venir meno dell’obbligo (del datore di lavoro) di corrispondere la retribuzione, non è utile ai fini del conseguimento del diritto alle ferie annuali retribuite, salve disposizioni della disciplina collettiva, favorevoli ai lavoratori, da interpretare nel rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, l’impugnata sentenza – confermata dalla S.C. – aveva ritenuto che l’arrotondamento ad un mese delle frazioni superiori a quindici giorni di servizio, disposto dall’art. 13 del contratto collettivo del 1976 per i dipendenti da aziende industriali del settore legno e sughero, operasse soltanto in favore dei lavoratori con anzianità di servizio inferiore ad un anno e non fosse estensibile al caso di sospensione del lavoro per sciopero).
Cassazione civile , sez. lav., 15 febbraio 1985, n. 1315

11) La gratifica natalizia e le altre mensilità aggiuntive, avendo natura retributiva, sono soggette a proporzionale riduzione in caso di sciopero, il quale, sebbene si concreti nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, determina la sospensione dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione.
Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 1985, n. 418

12) Il fatto che il datore di lavoro abbia omesso, in occasione di pregressi scioperi dei dipendenti, di effettuare ritenute, ai sensi della disciplina collettiva del rapporto (nella specie, art. 36 del c.c.n.l. 23 luglio 1976 per i dipendenti delle aziende di credito), sugli importi delle mensilità aggiuntive non può, di per sè, essere considerato nè come rinuncia all’effettuazione di trattenute in occasione di successivi scioperi, nè come rivelatore di un patto individuale o di una prassi aziendale modificativi, in senso favorevole ai lavoratori, della clausola collettiva anzidetta.
Cassazione civile , sez. lav., 26 ottobre 1984, n. 5506

13) In tema di riduzione della tredicesima mensilità per effetto della mancata prestazione di lavoro a causa di sciopero, va tenuto presente che la dizione ” lavoratore considerato in servizio ” di cui all’art. 15 del c.c.n.l. 19 aprile 1973 per i metalmeccanici, che attribuisce a quest’ultimo il diritto a tale emolumento pur in carenza della prestazione stessa, non può ritenersi comprensiva del lavoratore assente per sciopero, ma si riferisce esclusivamente a casi di assenza dovuta ad eventi, quale la malattia, l’infortunio, la gravidanza ecc., sottratti alla volontà del lavoratore e posti dalla legge a carico del datore di lavoro per la tutela dei beni della vita e della salute del lavoratore stesso, costituzionalmente protetti, mentre, per quanto concerne lo sciopero, l’assenza dipende da fatto volontario, pur se legittimo, del lavoratore con la conseguenza che alla sospensione del rapporto si accompagna, in applicazione del principio di sinallagmaticità contrattuale, il temporaneo venir meno della obbligazione di pagamento della retribuzione, nella quale la tredicesima mensilità rientra.
Cassazione civile , sez. lav., 13 aprile 1984, n. 2397

14) Nell’interpretazione dell’art. 15 del C.C.N.L. 19 aprile 1976 per il settore metalmeccanico, che prevede la corresponsione della tredicesima mensilità o gratifica natalizia al lavoratore ” considerato in servizio “, il giudice – in relazione all’ipotesi in cui il rapporto di lavoro, in mancanza di prestazione lavorativa, non si risolve e si considera soltanto sospeso – deve distinguere il caso dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, nel quale il rischio della mancata prestazione lavorativa si trasferisce sul datore di lavoro senza alcuna incidenza sul diritto alla retribuzione, dal caso in cui l’assenza dal lavoro sia dovuta a sciopero, il quale, sebbene si concreti nell’esercizio di un diritto garantito dalla Costituzione, determina, con la sospensione del rapporto di lavoro, il temporaneo venir meno dell’obbligazione del pagamento della retribuzione, nella quale rientra la tredicesima mensilità.
Cassazione civile , sez. lav., 12 gennaio 1983, n. 216

Sostituzione degli scioperanti, crumiraggio interno ed esterno

1) Nella logica del bilanciamento del diritto di sciopero e del diritto di libertà di iniziativa economica dell’imprenditore, entrambi garantiti da norme costituzionali, il primo non può dirsi leso quando il secondo sia esercitato per limitare gli effetti negativi dell’astensione dal lavoro sull’attività economica dell’azienda, affidando ad altri dipendenti i compiti degli addetti aderenti all’agitazione, purché la sostituzione venga effettuata in modo legittimo. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha confermato l’antisindacalità della condotta, in quanto i lavoratori chiamati a sostituire i dipendenti in sciopero erano stati utilizzati in mansioni inferiori, quindi in contrasto con l’art. 2103 c.c., al di fuori dell’ipotesi della marginalità o della mera complementarietà di tali mansioni rispetto a quelle proprie dell’inquadramento in godimento).
Cassazione civile , sez. lav., 03 giugno 2009, n. 12811

2) Nella logica del bilanciamento del diritto di sciopero e del diritto di libera iniziativa economica dell’imprenditore, entrambi garantiti da norma costituzionali, il primo non può dirsi leso ove, in caso di sciopero delle maestranze, il secondo sia esercitato, per limitare gli effetti negativi dell’astensione dal lavoro sull’attività economica dell’azienda, affidando ad altri dipendenti i compiti degli addetti all’agitazione, senza che risultino violate norme poste a tutela di situazioni soggettive dei lavoratori (nella specie, la sentenza di merito, cassata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto antisindacale la condotta del datore di lavoro, che in occasione dello sciopero aveva adibito personale di qualifica superiore alle mansioni inferiori del personale astenutosi dal lavoro).
Cassazione civile , sez. lav., 26 settembre 2007, n. 20164

3) Costituisce comportamento antisindacale la sostituzione di lavoratori in sciopero con altri dipendenti della medesima impresa, in violazione delle previsioni di cui all’art. 3 comma 13 d.lg. n. 61 del 2000 e del contratto collettivo nazionale di lavoro in tema di lavoro supplementare nonché delle disposizioni contenute nelle norme del contratto collettivo aziendale circa la possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine con lavoratori a tempo indeterminato dipendenti da altro datore di lavoro.
Cassazione civile , sez. lav., 09 maggio 2006, n. 10624

4) Ove con contratto aziendale sia convenuta la possibilità di stipulare (con lavoratori a tempo indeterminato dipendenti da altro datore) contratti a termine per prestazioni nei giorni di sabato e domenica, il disporre che i lavoratori, concretamente assunti con tali contratti, lavorino in altro giorno e al fine di sostituire i lavoratori in sciopero, è comportamento lesivo del diritto di sciopero. Egualmente è a dirsi per lo svolgimento di lavoro supplementare, disposto per sostituire lavoratori in sciopero, e assegnato a lavoratori “part time” a tempo determinato, in contrasto con la norma che preveda tale prestazione solo per lavoratori a tempo indeterminato.
Cassazione civile , sez. lav., 09 maggio 2006, n. 10624

5) L’art. 40 cost., che riconosce e attribuisce direttamente ai lavoratori il diritto di sciopero (e l’art 28 st. lav., che sanziona ogni comportamento idoneo a ledere il diritto stesso), pur comportando la legittimità della produzione di danni a carico del datore di lavoro e la soggezione di quest’ultimo a una tale forma di pressione, tuttavia certamente non esclude il diritto del datore di lavoro stesso – postulato, anzi, dal carattere conflittuale del rapporto – di avvalersi di ogni mezzo legale che possa, senza impedire l’esercizio del diritto, evitarne o attenuarne gli effetti nocivi. Deve pertanto ritenersi che al datore di lavoro non possa essere negato, in occasione di uno sciopero, di continuare lo svolgimento della propria attività aziendale mediante il personale dipendente che ancora resti a sua disposizione, in quanto non partecipante allo sciopero, e che venga temporaneamente adibito alle mansioni proprie degli scioperanti, anche se inferiori a quelle di appartenenza; tale comportamento non appare di per sè antisindacale ai sensi dell’art. 28 st. lav.
Cassazione civile , sez. lav., 04 luglio 2002, n. 9709

6) Nel caso della proclamazione di uno sciopero da parte delle organizzazioni sindacali di categoria, non costituisce attività antisindacale la condotta del datore di lavoro che, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, disponga la adibizione del personale rimasto in servizio alle mansioni dei lavoratori in sciopero, anche se tale adibizione avvenga mediante l’assegnazione a mansioni inferiori. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva escluso la natura antisindacale del comportamento della Rai, che, in occasione della proclamazione di uno sciopero inteso a bloccare la messa in onda delle trasmissioni, aveva adibito a tale attività personale non scioperante, anche appartenente a categorie superiori).
Cassazione civile , sez. lav., 04 luglio 2002, n. 9709

7) La sostituzione del personale docente in sciopero con docenti non scioperanti e supplenti, al fine di consentire il regolare svolgimento di scrutini ed esami, non configura condotta antisindacale, poiché non è diretta ad impedire l’esercizio della libertà sindacale e l’esercizio del diritto di sciopero.
Cassazione civile , sez. lav., 29 novembre 1991, n. 12822

8) Il datore di lavoro, ai fini della riorganizzazione dell’attività aziendale e della prosecuzione dell’attività lavorativa durante lo sciopero, può temporaneamente adibire il personale rimasto in servizio alle mansioni proprie degli scioperanti, essendo invece illegittime (e configurando condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970) sia l’assunzione a termine di altri lavoratori per sostituire quelli scioperanti – la quale sarebbe in contrasto anche con la legge n. 230 del 1962 – sia la corresponsione di trattamenti di miglior favore ai dipendenti disposti a sostituire quelli in sciopero.
Cassazione civile , sez. lav., 16 novembre 1987, n. 8401

Messa in libertà dei non scioperanti, comandata e ciclo continuo

1) La comandata del datore di lavoro, che, in caso di sciopero nei s.p.e., individui quali lavoratori debbano continuare a svolgere la consueta attività, è illegittima anche se conforme alla proposta della commissione di garanzia. Comunque, infatti, il potere di comandata non è previsto dalla legge.
Cassazione civile , sez. lav., 15 marzo 2001, n. 3785

2) Nell’ipotesi di sciopero in un impianto produttivo a ciclo continuo, la legittimità del rifiuto da parte del datore di lavoro delle prestazioni offerte dagli addetti a reparti diversi da quelli interessati dalla astensione dal lavoro presuppone, ai fini della liberazione dall’obbligo retributivo, l’inutilizzabilità di dette prestazioni nelle mansioni attribuite, in relazione al tipo e alla natura dell’organizzazione produttiva, che l’imprenditore non è tenuto a modificare con misure implicanti perdite economiche o spese ulteriori.
Cassazione civile , sez. lav., 04 marzo 2000, n. 2446

3) Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell’impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l’adesione ad uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia ai sensi dell’art. 2110 c.c., atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall’art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un trattamento privilegiato.
Cassazione civile , sez. lav., 09 aprile 1998, n. 3691

4) Nell’ipotesi di sciopero in un impianto produttivo a ciclo continuo, la legittimità del rifiuto da parte del datore di lavoro delle prestazioni offerte dagli addetti a reparti diversi da quelli interessati dalla astensione dal lavoro presuppone, ai fini della liberazione dall’obbligo retributivo, l’inutilizzabilità di dette prestazioni nelle mansioni attribuite, in relazione al tipo e alla natura dell’organizzazione produttiva, che l’imprenditore non è tenuto a modificare con misure implicanti perdite economiche o spese ulteriori. (Nella specie la S.C., cassando per difetto di motivazione la sentenza impugnata, ha precisato che le prestazioni offerte non avrebbero potuto essere legittimamente rifiutate se la loro utilizzazione avesse richiesto solo una variazione di modalità contingenti di programmazione, attinenti alla distribuzione dei ritmi produttivi, senza costi tali da impedire la realizzazione dell’utilità economica finale cui è rivolta l’organizzazione dell’attività aziendale).
Cassazione civile , sez. lav., 01 settembre 1997, n. 8273

5) Nell’ipotesi in cui si deduca la lesione, in violazione dell’art. 28 Statuto lavoratori, della libertà ed attività sindacale in relazione ad uno sciopero per il quale risultino operate dal datore di lavoro trattenute retributive non solo per le giornate di astensione dal lavoro, ma anche per le giornate, ricadenti nel turno interessato dallo sciopero, per le quali vi sia stata l’offerta delle prestazioni lavorative (non accettate dal datore di lavoro), l’accertamento – ai fini della esclusione della antisindacabilità di tale comportamento – della impossibilità di utilizzazione di dette prestazioni costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che, se logicamente e congruamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità. (Nella specie, la decisione impugnata, confermata dalla S.C., ha ravvisato l’impossibilità di utilizzazione delle prestazioni offerte dagli assistenti di volo di una compagnia aerea durante le giornate del “turno di avvicendamento” non interessate dallo sciopero, tenendo conto delle peculiarità del sistema dei turni del personale, caratterizzato da un meccanismo di utilizzazione programmata di riserve).
Cassazione civile , sez. lav., 21 gennaio 1995, n. 685

6) Non costituisce comportamento antisindacale il rifiuto dell’imprenditore di ricevere, in occasione di uno sciopero parziale posto in essere nei reparti “a valle”, le prestazioni offerte dai lavoratori non scioperanti, addetti al reparto “a monte”, allorché, in relazione al metodo di organizzazione del lavoro, in concreto l’imprenditore sarebbe tenuto, per ricevere dette prestazioni, a cambiare i programmi di lavoro o a predisporre misure implicanti perdite economiche o spese ulteriori, verificandosi in tale ipotesi una impossibilità obiettiva ai sensi dell’art. 1256 c.c.
Cassazione civile , sez. lav., 15 luglio 1992, n. 8574

7) La valutazione del giudice del merito circa la proficua utilizzabilità o meno, tenuto conto della particolare organizzazione aziendale, delle prestazioni lavorative offerte dal lavoratore dopo uno sciopero – l’inutilizzabilità delle quali, al fine dell’esonero dal correlativo obbligo retributivo, dev’essere provata dal datore di lavoro – costituisce un giudizio di fatto, che, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. (Nella specie, concernente la pretesa di un assistente di volo alla retribuzione per giorni, successivi a quello di sciopero, durante i quali avrebbe dovuto essere in servizio sul volo intercontinentale sul quale non si era imbarcato per l’astensione predetta, l’impugnata sentenza – confermata dalla S.C. – aveva ritenuto, in particolare, che l’inutilizzabilità delle prestazione del lavoratore non potesse automaticamente desumersi dalla destinazione del medesimo al volo predetto).
Cassazione civile , sez. lav., 09 novembre 1990, n. 10804

8) Il comportamento antisindacale – l’attualità del quale o, almeno, dei relativi effetti, è necessaria ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970 – è integrato da ogni atto volto ad impedire, a colpire o a limitare l’esercizio delle libertà e delle attività sindacali, sicché, se non è mai identificabile con una condotta violatrice di meri interessi patrimoniali o morali di singoli, dovendo risultare di pregiudizio agli interessi collettivi di una larga sfera di lavoratori, può essere integrato anche da un comportamento che, pur lesivo di interessi di singoli lavoratori, sia altresì diretto a limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero. Pertanto, nel caso in cui il datore di lavoro abbia effettuato trattenute retributive in relazione non solo alle giornate di sciopero, attuato su indicazione e secondo la disciplina del sindacato, ma anche alle giornate, ricadenti nel turno interessato dallo sciopero, per le quali vi sia stata l’offerta delle prestazioni lavorative, non accettata dal datore di lavoro, l’esclusione dell’antisindacalità del comportamento di quest’ultimo postula l’accertamento della impossibilità di utilizzazione delle dette prestazioni, configurandosi altrimenti il rifiuto di esse come esercizio di un inammissibile controdiritto di serrata e l’ingiustificata corresponsione della relativa retribuzione come fatto obiettivamente idoneo, di per sè solo, a ledere il bene protetto dal citato art. 28.
Cassazione civile , sez. lav., 08 maggio 1990, n. 3780

9) Nel caso di sciopero parziale, il rifiuto, da parte del datore di lavoro, della prestazione lavorativa offerta dal lavoratore non scioperante è giustificato – con le conseguenze dell’esonero dell’imprenditore dagli effetti della mora accipiendi e della legittimità del mancato pagamento della retribuzione – non dalla mancanza di convenienza economica di detta prestazione lavorativa, o dall’inopportunità del funzionamento parziale dell’impianto, bensì dall’assoluta impossibilità di utilizzare in qualsiasi modo la prestazione stessa, atteso che riconoscere all’imprenditore la possibilità, di fronte allo sciopero di parte dei propri dipendenti, di rifiutare per mere ragioni organizzative aziendali la prestazione dei lavoratori non scioperanti comporterebbe, in sostanza, la legittimazione di un diritto di serrata, che non è ammesso dall’ordinamento quale causa giustificatrice della sospensione del rapporto di lavoro e del rifiuto della retribuzione contrattualmente prevista.
Cassazione civile , sez. lav., 13 gennaio 1988, n. 150

10) In caso di sciopero parziale (intendendosi per tale sia quello di durata minore dell’intera giornata lavorativa, sia quello non esteso a tutti, ma solo ad alcuni comparti aziendali), che – ancorché legittimo perché rispettoso dei limiti esterni attinenti al diritto alla vita, all’incolumità personale, nonché all’organizzazione istituzionale e alla funzionalità dell’azienda – comporti che la residua prestazione lavorativa offerta non sia proficuamente utilizzabile nella preesistente organizzazione dell’azienda e nella sua potenzialità produttiva ovvero implichi oneri e spese maggiori di quelle ricollegabili direttamente all’esercizio del diritto di sciopero, l’astensione lavorativa costituisce in tal caso un comportamento non conforme alla regola – desumibile dalla disciplina legale del rapporto di lavoro subordinato – secondo cui la prestazione lavorativa non deve limitarsi ad una generica e formale disponibilità del lavoratore, ma deve consistere in un’attività proficua ed utile per l’impresa. Consegue che il datore di lavoro non incorre in mora accipiendi ove non accetti la prestazione irregolare offertagli ed è liberato dall’obbligo di corrispondere la correlativa retribuzione, determinandosi quella sopravvenuta impossibilità delle contrapposte obbligazioni, che deve essere provata dallo stesso datore di lavoro e che può consistere anche nell’alterazione qualitativa del prodotto finale. (Nella specie il giudice del merito aveva accertato, avvalendosi di una consulenza tecnica, che l’utilizzazione della residua prestazione lavorativa, offerta dai lavoratori in sciopero parziale limitato ad alcune ore dell’orario giornaliero, avrebbe comportato un elevato decadimento qualitativo del prodotto finale e quindi aveva ritenuto giustificato il rifiuto del datore di lavoro di tale prestazione irregolare; la S.C. – nel confermare tale pronuncia – ha enunciato il suddetto principio di diritto -).
Cassazione civile , sez. lav., 11 gennaio 1988, n. 84

11) Nello sciopero delle maestranze di un settore dell’organizzazione aziendale, che impedisca la prosecuzione dell’attività di altri settori, la sopravvenuta impossibilità (parziale, in quanto temporanea) delle prestazioni dei lavoratori addetti a tali settori comporta l’esonero del datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la retribuzione ai detti lavoratori non scioperanti, sempreché i medesimi siano stati posti effettivamente in libertà. Pertanto, l’obbligo retributivo sussiste ove i lavoratori non scioperanti siano stati invece trattenuti nei reparti e non è escluso dal fatto che gli stessi dipendenti non si siano attenuti a disposizioni loro legittimamente impartite per far fronte alla particolare situazione, potendo ciò dar luogo a provvedimenti disciplinari (o all’obbligo di risarcimento), ma non ad un’automatica riduzione del corrispettivo commisurata al calo di produzione.
Cassazione civile , sez. lav., 12 marzo 1987, n. 2606

12) In ipotesi di sciopero cosiddetto a singhiozzo in un impianto a ciclo continuo il datore di lavoro può legittimamente rifiutare l’irregolare prestazione offerta ove questa sia inutilizzabile e non più proficua, in relazione alla particolare tecnologia degli impianti, e quindi rimane esonerato dall’obbligo di corrispondere la relativa retribuzione; a tal fine vengono in rilievo anche le perdite economiche della produzione consistenti nella distruzione o nell’inefficacia del prodotto ottenuto ovvero l’assunzione di maggiori oneri e costi, quali quelli inerenti alla sospensione o riattivazione del ciclo produttivo od all’opposto mantenimento in funzione degli impianti a vuoto. Nè al riguardo può ritenersi che il datore di lavoro debba provvedere a modificare il ciclo produttivo per rendere utilizzabile e proficua la prestazione offerta, atteso che la scelta di quest’ultimo rientra nella sfera di autonomia decisionale dell’imprenditore quale titolare dell’attività produttiva ed economica costituzionalmente tutelata dall’art. 41 cost. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice del merito, il quale – in un’ipotesi di sciopero realizzato con l’alternanza di un quarto d’ora di lavoro e di uno di astensione, sciopero che, pur senza mettere in pericolo la funzionalità o la produttività degli impianti, aveva ridotto la produzione del 91, 5% (aveva ritenuto illegittima e antisindacale la serrata del datore di lavoro e la messa in libertà dei lavoratori, omettendo di dare rilievo alla circostanza dell’anomala riduzione della produzione).
Cassazione civile , sez. lav., 07 febbraio 1987, n. 1331

13) Con riguardo a prestazioni lavorative parziali dei dipendenti (cosidetto “sciopero a singhiozzo”) la mora accipiendi del datore di lavoro presuppone che la prestazione lavorativa offerta e rifiutata consista effettivamente in un’attività utile, proficua e redditizia, avuto riguardo all’organizzazione aziendale, senza però che essa debba essere commisurata in modo tale da soddisfare tutte indistintamente le esigenze dell’azienda, sì da escludere una qualunque selezione da parte dell’imprenditore della clientela da rifornire. Pertanto, non può essere rifiutata da quest’ultimo una prestazione parziale dei lavoratori in sciopero che sia almeno idonea a soddisfare le esigenze di una parte soltanto della clientela senza richiedere modifiche consistenti dell’organizzazione del lavoro.
Cassazione civile , sez. lav., 01 dicembre 1986, n. 7092

14) Il datore di lavoro non è esonerato dall’obbligo retributivo ove – assumendo che nel periodo di tempo immediatamente successivo ad uno sciopero siano state di fatto inutilizzabili, in un ciclo di produzione in linea, le prestazioni dei lavoratori (a valle) per la mancanza di un adeguato flusso (a monte) – non abbia però rifiutato la messa a disposizione delle proprie energie lavorative fatta dai lavoratori suddetti al termine dello sciopero.
Cassazione civile , sez. lav., 22 marzo 1986, n. 2049
È legittima la chiusura, da parte dell’imprenditore, di uno stabilimento vetrario a ciclo continuo in conseguenza della proclamazione di uno sciopero articolato (nel caso: astensione dal lavoro di mezz’ora per ogni turno) dei dipendenti, qualora, nonostante la predisposizione di una squadra di “indispensabili”, l’effettuazione dello sciopero, così come programmato, avrebbe comportato una situazione di pericolo per l’incolumità delle persone e la sicurezza e la produttività degli impianti.
Cassazione civile , sez. lav., 05 novembre 1985, n. 5378

15) La sospensione della produzione di un reparto dell’azienda non direttamente interessato da scioperi, in atto invece in altro settore aziendale, può essere disposta dal datore di lavoro – con conseguente venir meno dell’obbligo di corrispondere la retribuzione ai lavoratori non scioperanti – nel caso in cui la continuazione della produzione del reparto cui questi sono addetti si riveli antieconomica, in quanto possibile solo a prezzo di maggiori oneri, e rischiosa, comportando pericoli per la funzionalità degli impianti o per l’incolumità personale di coloro che vi sono addetti. La valutazione espressa al riguardo dal consulente tecnico d’ufficio non è vincolante per il giudice del merito, fermo, peraltro, l’obbligo del medesimo di dare adeguata e convincente motivazione del proprio dissenso.
Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 1985, n. 419

16) Quando per uno sciopero (o per altra causa di forza maggiore) non imputabile al datore di lavoro, la prestazione del lavoratore che si presenta per fornire la propria opera non sia obiettivamente utilizzabile nel processo produttivo dell’azienda, si determina una impossibilità temporanea delle contrapposte obbligazioni che, finché dura l’impedimento, libera il lavoratore dall’obbligo della prestazione d’opera ed il datore di lavoro dall’obbligo di corrispondere la retribuzione.
Cassazione civile , sez. lav., 27 luglio 1983, n. 5167

17) In relazione ai periodi di esercizio del diritto di sciopero, che determina la sospensione dell’obbligo retributivo, non sono dovuti i corrispondenti ratei della tredicesima mensilità, data la natura retributiva di tale indennità, a nulla rilevando che le pattuizioni collettive (nella specie l’art. 15 del c.c.n.l. 19 aprile 1973 per gli addetti di industria metalmeccanica privata) prevedono la corresponsione di tale emolumento anche ai dipendenti che materialmente non prestino la loro attività, ma che sono ” considerati in servizio “, atteso che siffatta previsione va interpretata sul rilievo che l’assenza dal lavoro è tutelata in quanto dipendente da un’impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al lavoratore (art. 2110 c.c.) e che per contro nei casi di sciopero, determinandosi una sia pure temporanea sospensione delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro, il lavoratore certamente non è, nè può essere ” considerato ” in servizio.
Cassazione civile , sez. lav., 12 aprile 1983, n. 2588

Servizi pubblici essenziali

1) Non può ritenersi elusa la normativa sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali in caso di assenza massiva dei dipendenti dovuta a malattia o permesso ex legis 104/90 o 53/2000. In questo caso, infatti, i comportamenti individuali dei dipendenti non devono essere ricondotti a un’astensione collettiva, ma possono al massimo essere singolarmente valutati agli eventuali fini disciplinari. (Trib. Roma 7/12/2016, Est. Picozzi, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di F. Maffei, “Assenze per malattia, protesta anomala e regia sindacale”, 391)

2) Non può ritenersi elusa la normativa sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali in caso di assenza massiva dei dipendenti dovuta a malattia o permesso ex legis 104/90 o 53/2000. In questo caso, infatti, i comportamenti individuali dei dipendenti non devono essere ricondotti a un’astensione collettiva, ma possono al massimo essere singolarmente valutati agli eventuali fini disciplinari. (Trib. Roma 29/3/2016, Est. Baraschi, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di F. Maffei, “Assenze per malattia, protesta anomala e regia sindacale”, 390)

3) Costituisce una dissimulata forma anomala di protesta, elusiva della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, di cui alla legge n. 146 del 1990, e successive modificazioni, l’abnorme numero di assenze per malattia, comunicate, peraltro, a seguito di una riunione sindacale organizzata per definire le forme di lotta contro la richiesta di lavoro straordinario in occasione delle festività. La stretta connessione logica e temporale tra le iniziative sindacali fino ad allora attuate e la successiva azione collettiva degli agenti di Polizia Municipale sono indicative della riconducibilità dell’azione di sciopero all’iniziativa delle suddette Organizzazioni sindacali che hanno condotto congiuntamente e in prima persona la vertenza, fin dalla sua fase iniziale e, nel momento di maggior esasperazione del conflitto, hanno promosso azioni di protesta eclatanti, esercitando un’influenza rilevante sui lavoratori. (Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali 2/3/2015, n. 61, Est. Boria, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di F. Maffei, “Assenze per malattia, protesta anomala e regia sindacale”, 390)

4) È antisindacale il comportamento del datore di lavoro che essendo rimasta inosservata la proposta della Commissione di garanzia seguita al giudizio di inidoneità dell’accordo di determinazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, abbia “comandato” l’espletamento delle prestazioni (e, successivamente instaurato procedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori in sciopero) nei limiti stabiliti dalla cennata proposta non esplicante efficacia vincolante, nè nei confronti delle parti, nè nei confronti del giudice. Questo perché la l. n. 146 del 1990 non assegna certo alla parte datoriale il potere di individuare unilateralmente le prestazioni indispensabili – e, quindi, di “comandare” e di sanzionare i lavoratori in sciopero -, così come non attribuisce alla proposta della commissione di garanzia un’efficacia che vada al di là del mero carattere propositivo, prevedendo espressamente, quale atto della commissione di più rilevante efficacia, il “lodo” ex art. 13 ultima parte della lett. a).
Cassazione civile , sez. lav., 15 marzo 2001, n. 3785

5) La comandata del datore di lavoro, che, in caso di sciopero nei s.p.e., individui quali lavoratori debbano continuare a svolgere la consueta attività, è illegittima anche se conforme alla proposta della commissione di garanzia. Comunque, infatti, il potere di comandata non è previsto dalla legge.
Cassazione civile , sez. lav., 15 marzo 2001, n. 3785

6) Nel sistema delineato dalla l. 12 giugno 1990 n. 146 per i servizi pubblici essenziali – che al comma 1 dell’art. 2 (con norma imperativa dotata di effettiva esigibilità anche qualora tra le parti non siano intervenuti i contratti collettivi o gli accordi previsti nel comma 2), stabilisce le procedure da seguirsi nella proclamazione degli scioperi ed impone i limiti concernenti la necessità dell’erogazione agli utenti delle prestazioni indispensabili per garantire loro il godimento dei diritti della persona – la previsione concordata di tali prestazioni non esaurisce il ventaglio a tutela degli utenti, restando comunque assegnato alla competenza finale dell’autorità giudiziaria il vaglio della contesa sul corretto bilanciamento e sul rispetto degli opposti interessi costituzionalmente meritevoli di tutela. (Principio affermato con riferimento al preteso comportamento antisindacale di una società di comunicazioni telefoniche).
Cassazione civile , sez. lav., 14 settembre 2000, n. 12150

7) Con riferimento alla disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali ed al legittimo esercizio del potere di precettazione, l’inottemperanza di un docente all’ordinanza ministeriale del 2 giugno 1992 diretta ad assicurare nella scuola misure idonee per il regolare svolgimento delle operazioni di esame e scrutinio finale, è sanzionabile a prescindere dalla durata dell’illegittima astensione dal lavoro, che invece incide sulla graduazione, tra il minimo ed il massimo, della pena.
Cassazione civile , sez. lav., 14 luglio 2000, n. 9394

8) Al fine di garantire il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della personalità di fondamentale e primaria rilevanza costituzionalmente tutelati – quali sono il diritto alla libertà di circolazione assicurato dai trasporti pubblici (specialmente per le fasce sociali più deboli), nonché gli altri diritti indicati dal legislatore nell’art. 1, comma 1, della l. n. 146 del 1990 (di attuazione della riserva di legge di cui all’art. 40 cost.) – e per assicurare l’effettività dei diritti medesimi nel loro contenuto precipuo, la l. n. 146 citata pone l’obbligo di effettuare o consentire l’erogazione delle “prestazioni indispensabili”, cioè l’esecuzione dei servizi pubblici essenziali. Tale obbligo incombe su tutti i soggetti, individuali o collettivi, che attuano o semplicemente promuovono lo sciopero. Con riguardo ai soggetti collettivi esso, quindi, è posto a carico non soltanto dei soggetti che hanno provveduto ad istituire codici di autoregolamentazione sindacale ovvero a stipulare accordi con le imprese o con le amministrazioni erogatrici dei servizi, ma anche dei soggetti che non hanno inteso vincolarsi a discipline di tal genere. Qualora uno di tali ultimi soggetti collettivi proclami o aderisca allo sciopero la nozione e il contenuto delle “prestazioni indispensabili” – non essendo ricavabili dai suddetti codici o accordi – devono essere desunti dall’art. 2 della l. n. 146 in argomento. In applicazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, tale operazione ermeneutica va eseguita non soltanto sulla base del dato testuale della norma, ma anche tenendo conto dell’intenzione del legislatore. Ne consegue che deve considerarsi corretta l’interpretazione secondo cui vanno qualificate come indispensabili le prestazioni consistenti nell’erogazione di pubblici servizi di trasporto nei particolari periodi dell’anno in cui si manifesta la, unanimemente sentita, esigenza della collettività di fruire di quei servizi in occasione di determinate evenienze di elevata rilevanza sociale, in ambito nazionale o anche solo locale, e che generalmente implicano notevoli spostamenti sul territorio. Tra tali evenienze sono da ricomprendere, ad esempio, le festività pasquali e natalizie o le altre festività di analoga importanza in determinate località, nonché le ferie nei periodi ad esse usualmente destinati o ancora le elezioni degli organi pubblici rappresentativi. (Fattispecie in tema di sciopero esclusivamente proclamato dalla F.A.I.S.A. nella provincia di Perugia in concomitanza con la così detta “fiera dei morti”, festività particolarmente sentita nella coscienza sociale collettiva locale).
Cassazione civile , sez. lav., 05 ottobre 1998, n. 9876

9) La facoltà di comminare la sanzione della sospensione temporanea dell’erogazione dei contributi sindacali, di cui all’art. 4 comma 2 l. n. 146 del 1990, non può non essere attribuita al datore di lavoro essendo a questi demandato il compito di effettuare – ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 3, l. n. 300 del 1970, abrogato, con effetto dal 30 settembre 1995, dal d.P.R. n. 313 del 1995 – le “ritenute sul salario” corrispondenti ai contributi che i lavoratori intendono versare al sindacato. Tale principio trova conferma nella sentenza della Corte cost. n. 57 del 1995 ove si è sottolineato che il potere sanzionatorio in questione, essendo strumentale alla salvaguardia delle finalità limitative dello sciopero, funzionale a garantire i servizi pubblici essenziali e collegato quindi alla tutela di un interesse pubblico, implica un’attività valutativa nel cui esercizio la discrezionalità del datore di lavoro deve essere limitata dalla Commissione di garanzia.
Cassazione civile , sez. lav., 05 ottobre 1998, n. 9876

10) Nel settore dei servizi pubblici essenziali, quando non sia raggiunto l’accordo fra le parti contrapposte sulle prestazioni indispensabili, è consentito un intervento della pubblica autorità (tramite la precettazione), senza che vi sia spazio perché il datore di lavoro assuma una sua iniziativa volta a contrastare in altro modo – come nell’ipotesi di ricorso a lavoratori esterni – gli effetti dell’esercizio del diritto di sciopero (nel caso di specie, la Corte ha confermato la sentenza del tribunale che aveva dichiarato antisindacale la condotta datoriale consistente nell’aver utilizzato personale dipendente da altra impresa per sostituire i propri dipendenti in sciopero).
Cassazione civile , sez. lav., 22 giugno 1998, n. 6193

11) La preventiva contestazione dell’infrazione, con le modalità previste dall’art. 14 della n. 689 del 1981, non costituisce requisito di legittimità dei decreti con cui, a norma dell’art. 9 della l. n. 146 del 1990 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, vengono irrogate le sanzioni amministrative pecuniarie per l’inosservanza da parte dei prestatori di lavoro delle disposizioni impartite dall’autorità competente con ordinanza emanata a norma dell’art. 8 della stessa legge, al fine di imporre adeguati livelli del funzionamento del servizio ovvero un differimento dell’azione di protesta, considerato che l’art. 9, comma 4, l. n. 146 del 1990 non richiama l’art. 14 della l. n. 689 del 1981 (limitandosi a rinviare all’art. 22 della legge stessa), diversamente dall’art. 4, comma 4, a proposito di altre sanzioni, e che l’omissione del contraddittorio in tale fase trova giustificazione nella circostanza che una garanzia effettiva del diritto di difesa del singolo è assicurata dalle articolazioni del procedimento nella fase che precede l’emanazione dell’ordinanza ex art. 8, portata a conoscenza degli interessati mediante l’uso di appositi strumenti di comunicazione e di pubblicità.
Cassazione civile , sez. lav., 22 giugno 1998, n. 6190

12) L’osservanza delle regole procedimentali delineate dall’art. 8, l. 12 giugno 1990 n. 146 costituisce il necessario presupposto di legittimità dell’ordinanza di precettazione: in particolare sono proceduralmente necessari sia il previo esperimento del tentativo di conciliazione, sia l’invito alla Commissione di garanzia affinché questa formuli la proposta di cui all’art. 13, lett. a), legge cit.
Cassazione civile , sez. lav., 06 novembre 1997, n. 10889

Varie

1) Il solo fatto della proclamazione di uno sciopero illegittimo, poi non attuato, comporta la responsabilità dell’organizzazione sindacale promotrice.
Cassazione civile , sez. lav., 05 ottobre 1998, n. 9876

2) Durante lo sciopero, mentre restano sospese le obbligazioni relative alla prestazione di lavoro e al pagamento delle retribuzioni, non restano sospesi gli altri diritti ed obblighi costituenti il contenuto del rapporto di lavoro, estranei all’interruzione della prestazione lavorativa; la sospensione del lavoro non può quindi incidere sulla sfera dei diritti sindacali non collegati direttamente con l’esecuzione della prestazione, ed in particolare sull’attuazione del diritto di assemblea garantito dall’art. 20 Statuto dei lavoratori, che ha anzi un nesso immediato con l’esercizio del diritto di sciopero, come con ogni iniziativa per la tutela di interessi collettivi dei lavoratori nelle situazioni di conflitto.
Cassazione civile , sez. lav., 30 ottobre 1995, n. 11352

Ulteriori decisioni della Magistratura in tema di sciopero

In genere

  1. Ai sensi dell’art. 4, co. 4, parte seconda, l. n. 146/1990, il titolo che giustifica la responsabilità solidale delle associazioni o degli organismi rappresentativi della categoria può essere rappresentato anche da un comportamento omissivo, che sia qualificato in termini di inadempimento di un obbligo giuridico di agire, rectius di impedire quei fatti illeciti così configurati dalla l. n. 146/90, con conseguente criterio di riparto dell’onere probatorio. Incombe sull’obbligato l’onere di offrire la prova positiva dell’adempimento, ossia dell’intervenuto controllo ovvero di aver fatto il possibile (ad esempio adeguata propaganda o persuasione per forme legittime di autotutela, esercizio di eventuali poteri statutari verso gli iscritti, etc.) per evitare forme “selvagge” di protesta. (Corte app. Roma 29/5/2012 n. 3685, Pres. ed Est. Panariello, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Anna Rota, “Dovere di influenza sulle astensioni collettive dal lavoro: una “maliziosa” strategia mascherata o una rigorosa decisione?”, 443)
  2. Lo sciopero deve essere considerato, agli effetti dei turni lavorativi e del connesso riposo, come lavoro, e il dipendente deve riprendere la prestazione “come se” nel turno precedente avesse lavorato. (Il caso si riferisce all’interpretazione del periodo di riposo riconosciuto a fine turno ai dipendenti di Trenitalia dall’art. 22 punti 2.6 e 2.7 del CCNL a seguito dell’adesione a uno sciopero). (Corte app. Firenze 22/11/2011, Pres. e Rel. Bazzoffi, in Lav. nella giur. 2012, 312)
  3. Poiché sono irrilevanti le modalità con cui lo sciopero viene effettuato – con il solo limite che lo stesso non violi i c.d. “limiti esterni” e pertanto pregiudichi la produttività dell’azienda, ovvero non comporti la distruzione (anche parziale) o una duratura inutilizzabilità degli impianti, mettendo in pericolo la loro integrità – deve ritenersi la legittimità anche dello sciopero parziale o a singhiozzo; ne consegue la carenza di interesse ad agire del datore di lavoro che richieda una pronuncia di accertamento negativo della legittimità di uno sciopero a singhiozzo e parziale, senza allegare la violazione dei predetti “limiti esterni” (nella fattispecie era stato proclamato uno sciopero a oltranza nell’ambito del quale ciascun lavoratore si asteneva dalla prestazione “come, quanto e quando riterrà più opportuno”). (Corte app. Firenze 6/3/2009, Pres. Pieri Est. Schiavone, in D&L 2009, con nota di Irene Romoli, “Sciopero a singhiozzo, sciopero parziale, sciopero a oltranza: sono legittimi entro i limiti dell’assenza di pregiudizio alla produttività aziendale”, 941)
  4. Non è funzione della Commissione di Garanzia sindacare la natura e il contenuto delle azioni di sciopero, poiché questa deve solo verificare se l’azione sindacale non determini danni per l’utenza. (Trib. Milano 29/7/2008 Est. Peragallo, in Orient. della giur. del lav. 2008, 543)
  5. Lo sciopero dei dipendenti dell’appaltatore addetti alla mensa determina l’impossibilità di fornire il servizio stesso ed è un fatto estraneo all’organizzazione imprenditoriale dell’appaltante, non essendo ragionevolmente e facilmente prevedibile secondo la comune diligenza all’atto dell’assunzione dell’obbligazione, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1218 e 1256 c.c.; non sussiste pertanto alcun obbligo risarcitorio nei confronti dei lavoratori che, a causa dello sciopero, non hanno potuto fruire del servizio mensa. (Trib. Milano 9/5/2008, Est. Vitli, in D&L 2008, con nota di Alessandro Premoli, “Sulla responsabilità del datore di lavoro per la mancata erogazione del servizio mensa dovuta allo sciopero dei dipendenti dell’appaltatore”, 1008)
  6. Lo sciopero dei dipendenti dell’impresa alla quale è affidato in appalto il servizio mensa, del quale il datore di lavoro appaltante risponde ex art. 1228 c.c., non impedisce allo stesso di garantire comunque il pasto, assolvendo in tal modo al proprio obbligo contrattuale, avvalendosi in sostituzione dell’appaltatore proprio ausiliari, di altre forme alternative di esecuzione come a esempio la concessione di buoni pasto; in caso ciò non avvenga, sorge l’obbligo di risarcire il danno ai lavoratori rimasti privi del pasto, da valutarsi in via equitativa. (Trib. Milano 4/4/2008, Est. Di Leo, in D&L 2008, con nota di Alessandro Premoli, “Sulla responsabilità del datore di lavoro per la mancata erogazione del servizio mensa dovuta allo sciopero dei dipendenti dell’appaltatore”, 1008)
  7. Nella logica del bilanciamento del diritto di sciopero e del diritto di libera iniziativa economica dell’imprenditore, entrambi garantiti da norme costituzionali, il primo non può dirsi leso quando il secondo sia stato esercitato per limitare gli effetti negativi dell’astensione dal lavoro sull’attività economica dell’azienda, affidando ad altri dipendenti i compiti degli addetti aderenti all’agitazione, senza che risultino violate norme poste a tutela di situazioni soggettive dei lavoratori. (Trib. Milano 29/2/2008, D.ssa Scudieri, in Lav. nella giur. 2008, 1066)
  8. L’astensione selettiva, relativa, cioè, soltanto a una parte delle prestazioni lavorative contrattualmente dovute, non è configurabile quale sciopero delle mansioni allorquando l’iniziativa adottata dai lavoratori tragga essenzialmente origine dalla presunta non riconducibilità di alcune mansioni a quelle proprie della qualifica di appartenenza. (Trib. Massa Carrara 14/2/2008, Giud. Agostini, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota diFabrizio De Falco, “Astensione ‘selettiva’ e diritto di sciopero”, 193)
  9. Lo sciopero è legittimo se realizza una astensione dal lavoro intesa a tutelare un interesse professionale collettivo dei lavoratori, e non, invece, quando è teso a perseguire il soddisfacimento di contingenti esigenze di singoli lavoratori. (Trib. Roma 27/11/2007, Giud. Micciché, in Lav. Nella giur. 2008, con commento di Ilaria Alvino, 827)
  10. Non sussiste, relativamente all’esercizio del diritto di sciopero nelle aziende private, alcun obbligo legale di preavviso, che è sancito soltanto per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali. (Trib. Roma 27/11/2007, Giud. Micciché, in Lav. Nella giur. 2008, con commento di Ilaria Alvino, 827)
  11. In presenza di rivendicazioni di interesse collettivo dei lavoratori può esercitarsi il diritto di sciopero, restando vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità o della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso. (Trib. Roma 27/11/2007, Giud. Micciché, in Lav. Nella giur. 2008, con commento di Ilaria Alvino, 827)
  12. L’art. 40 Cost. attribuisce la titolarità del diritto di sciopero direttamente ai lavoratori e la legittimità dello sciopero non è subordinata alla proclamazione delle OO.SS., non potendo il datore di lavoro contestare la fondatezza o la ragionevolezza delle pretese avanzate attraverso lo sciopero. (Trib. Milano 4/7/2007, decr., Est. Cincotti, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Natura collettiva dello sciopero indetto dal singolo Rsu”, 691)
  13. Sebbene la Commissione di Garanzia abbia il potere di valutare in termini di legittimità oggettiva uno sciopero nei servizi pubblici essenziali, nondimeno il datore di lavoro mantiene la facoltà di valutare il comportamento del lavoratore dal punto di vista della sua responsabilità soggettiva, e anche la facoltà di non assumere provvedimenti sanzionatori, qualora ciò sia imposto da ragioni di opportunità (a esempio, particolari circostanze del conflitto), da considerazioni essenzialmente personali (a esempio, assenza in concreto di dolo o colpa), dall’eventuale rinuncia in camera caritatis a esercitare il potere punitivo, oppure ancora – come nella specie – dalla necessità di rispettare un preciso impegno pattuito con la controparte sindacale. (Trib. Torino 16/1/2007 decr., Giud. Aprile, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Maria Paola Monaco, “I diritti della persona costituzionalmente tutelati possono soccombere di fronte a un’intesa con la parte sindacale”, 233)
  14. Non costituisce reato ex art. 340 c.p. l’adesione a un’asetnsione collettiva dal lavoro non annunciata, in quanto lo sciopero illegittimo sfugge alla sanzione penale prevista dall’art. 340 c.p. essendo punibile solo in via disciplinare o amministrativa. (Trib. Trento 3/1/2007, Est. Forlenza, in D&L 2007, con nota di Andrea Danilo Conte, “L’intervento penale ripudiato come strumento di controllo dei conflitti di lavoro”, 708)
  15. In occasione di uno sciopero, al datore di lavoro deve essere consentito di avvalersi di ogni mezzo legale che, senza impedire l’esercizio del diritto dei lavoratori, possa tuttavia attenuarne gli effetti dannosi (nella fattispecie è stato ritenuto che il ricorso al personale somministrato, in sostituzione dei lavoratori in sciopero, non costituisce di per sé comportamento antisindacale, qualora risulti che detto personale sia già presente in azienda e assunto per diverse finalità). (Trib. Milano 9/3/2006, Est. Porcelli, in D&L 2006, con n. Giuseppe Cordedda, “La repressione della condotta antisindacale di fronte al bivio tra dichiarazione formale e tutela effettiva”, 420)
  16. Deve essere qualificato come prima azione di sciopero – e assoggettato pertanto al relativo limite di durata previsto dal codice di regolamentazione del settore – lo sciopero delle ferrovie proclamato per 24 ore dal 10 all’11 febbraio 2005 per una molteplicità di rivendicazioni, anche ma non soltanto in tema di sicurezza, dopo che il 12 gennaio immediatamente precedente era stato attuato uno sciopero breve di protesta per un sinistro verificatosi il giorno prima. (TAR Lazio 13/6/2005, Pres. Corsaro Est. Russo, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Fabrizio De Falco, “Le ricadute sindacali, amministrative e giudiziali del disastro ferroviario di Crevalcore”, 52)
  17. Nell’ipotesi in cui lo sciopero attuato in tutti i comparti di un settore di servizio pubblico si concentri in un medesimo lasso di tempo di 24 ore (a fronte del limite di 8 ore ritenuto applicabile nel caso specifico), sì da impedire di fatto ai cittadini di fruire delle offerte alternative, si determina di per sè non il pericolo ma la certezza del pregiudizio arrecato agli utenti, ben giustificandosi, conseguentemente, l’esercizio del potere di precettazione. (TAR Lazio 13/6/2005, Pres. Corsaro Est. Russo, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Fabrizio De Falco, “Le ricadute sindacali, amministrative e giudiziali del disastro ferroviario di Crevalcore”, 52)
  18. La deroga all’obbligo di preavviso di cui all’art. 2, settimo comma della l. n. 146/90 concerne eventi eccezionali, che presuppongono l’immediatezza della conseguente astensione e non le vertenze relative a una molteplicità di rivendicazioni verso il datore di lavoro. (TAR Lazio 13/6/2005, Pres. Corsaro Est. Russo, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Fabrizio De Falco, “Le ricadute sindacali, amministrative e giudiziali del disastro ferroviario di Crevalcore”, 52)
  19. Il diritto di sciopero, che l’art. 40 attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di nature non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare ù, dell’incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati, mentre il fatto che o sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso. (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, che aveva ritenuto legittimo lo sciopero finalizzato a tutelare l’interesse professionale collettivo dei lavoratori, riguardante l’orario di lavoro, pur se formalizzato dalla presenza di tre dei sei lavoratori dipendenti della società e comunicato al datore di lavoro nella medesima giornata). (Cass. 17/12/2004 n. 23552, Pres. Ianniruberto Rel. Stile, in Dir. e prat. lav. 2005, 1248 e in Lav. nella giur. 2005, 694)
  20. Lo sciopero delle operazioni commerciali posto in essere dai rimorchiatoti portuali non è compreso nell’ambito di applicazione della L. n. 146/1990 qualora non interessi servizi ritenuti direttamente essenziali, quali il collegamento con le isole , né altri servizi ritenuti essenziali in diversi ambiti, quali le navi passeggeri, le navi cisterna gasiere e chimichiere in uscita, le navi per l’approvvigionamento energetico, il trasporto di animali vivi, i servizi di sicurezza all’interno e al di fuori delle dighe foranee, i servizi ritenuti necessari per la sicurezza dell’Autorità Marittima. (Trib. Roma 7/7/2004, Est. Pagliarini, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Francesca Marinelli, 970)
  21. Nel sistema delineato dalla l. 12/6/90, n. 146 per i servizi pubblici essenziali – che al primo comma dell’art. 2 (con norma imperativa dotata di effettiva esigibilità anche qualora tra le parti non siano intervenuti i contratti collettivi o gli accordi previsti nel secondo comma), stabilisce le procedure da seguirsi nella proclamazione degli scioperi ed impone i limiti concernenti la necessità dell’erogazione agli utenti delle prestazioni indispensabili per garantire loro il godimento dei diritti della persona – la previsione concordata di tali prestazioni non esaurisce il ventaglio a tutela degli utenti, restando comunque assegnato alla competenza finale dell’autorità giudiziaria il vaglio della contesa sul corretto bilanciamento e sul rispetto degli opposti interessi costituzionalmente meritevoli di tutela (Principio affermato con riferimento al preteso comportamento antisindacale di una società di comunicazioni telefoniche) (Cass. 14/9/00, n. 12150, pres. Giannantonio, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 899)
  22. La corresponsione di un premio economico a favore di tutti i dipendenti non aderenti a uno sciopero costituisce trattamento discriminatorio ai sensi del combinato disposto degli artt. 15 e 16 SL, al quale consegue la condanna del datore di lavoro al pagamento a favore del Fondo pensioni di una somma pari al totale dei premi discriminatori erogati (Trib. Milano 10 luglio 2000, est. Atanasio, in D&L 2000, 928)
  23. La partecipazione ad uno sciopero avverso la decisione del governo di concorrere con un contingente militare italiano all’intervento nato nell’ex Jugoslavia non è sanzionabile sul piano del rapporto di lavoro (Trib. Milano 29/5/00, est. Salmeri, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 603, con nota di Pera, Lo sciopero contro la partecipazione italiana all’intervento Nato nell’ex Jugoslavia)
  24. Oltre lo sciopero per ragioni contrattuali e collettive, positivamente riconosciuto dall’art. 40 Cost., nel nostro ordinamento il diritto soggettivo di sciopero comprende anche le ipotesi di astensione dal lavoro per ragioni economiche-politiche e per ragioni politiche in senso stretto (Trib. Milano 5 aprile 2000, est. Salmeri, in D&L 2000, 912, n. Panico)
  25. I pareri emessi dalla Commissione di garanzia sui servizi pubblici essenziali da garantire in caso di sciopero, in assenza dell’accordo tra le parti ai sensi dell’art. 13 L. 12/6/90 n. 146, non hanno natura vincolante per i destinatari (Pret. Genova 22/12/97, est. Gelonesi, in D&L 1998, 327, n. FRANCESCHINIS)
  26. Nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, non viola il precetto di cui all’art. 1 c. 2 L. 146/90, secondo il quale si deve contemperare il diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, lo sciopero che, per le sue caratteristiche, sia astrattamente inidoneo a riverberarsi sulla regolarità del servizio, e dunque non possa intaccare la garanzia delle prestazioni minime indispensabili ex art. 2 c. 1 L. 146/90, con conseguente illegittimità delle sanzioni inflitte ai lavoratori che a tale sciopero abbiano aderito (nel caso di specie, il Pretore ha ritenuto non sanzionabile il comportamento dei lavoratori che avevano aderito a uno sciopero indetto da un sindacato autonomo che riguardava i soli dipendenti delle FS interessati al trasferimento presso compartimenti del sud Italia) (Pret. Milano 7/3/95, est. Atanasio, in D&L 1995, 555. In senso conforme, v. Pret. Milano 15/10/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 79, nota FRANCESCHINIS, Poteri della commissione di garanzia e sanzioni disciplinari agli scioperanti. In senso contrario, v. Trib. Milano 30/5/97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 751, n. Franceschinis, Ancora in tema di sanzioni disciplinari e sciopero ex L. 146/90)

Rifiuto della prestazione residua

  1. È illegittima la trattenuta retributiva per il tempo lavorato tra due periodi di sciopero intermittente, nonché per la prestazione lavorativa resa alla fine del secondo di essi, quando la prestazione lavorativa venga effettivamente utilizzata dal datore di lavoro, sebbene in attività complementari e sussidiarie (Pret. Milano 11/12/95, est. Cincotti, in D&L 1996, 386)
  2. Il rifiuto da parte del datore di lavoro delle prestazioni di lavoro offerte da dipendenti operanti in un reparto non direttamente interessato allo sciopero, attuato in altri reparti, è legittimo solo ove sia oggettivamente impossibile l’utilizzazione di dette prestazioni in qualsiasi forma, prescindendo da una valutazione di convenienza ed è esclusivo onere del datore di lavoro provare di aver fatto quanto nelle proprie possibilità per ricevere le prestazioni lavorativa, anche modificando il programma o ciclo produttivo (Trib. Vicenza 13/3/95, pres. Lippiello, est. Castagnoli, in D&L 1995, 870, nota DAL LAGO, Sciopero e rifiuto delle prestazioni. In senso conforme, v. Pret. Milano 11/11/94, est. Taraborrelli, in D&L 1995, 318)

Scioperi c.d. anomali

  1. Il rifiuto dei lavoratori di garantire la propria reperibilità, in assenza di apposita regolamentazione contrattuale, costituisce una forma di agitazione sindacale legittima, per quanto posta in essere con modalità anomale, nel caso in cui non comprometta posizioni tutelate in via prioritaria, come il diritto del datore di lavoro alla libertà di iniziativa economica, intesa come salvaguardia dell’organizzazione aziendale, dell’integrità e funzionalità degli impianti. (Trib. Milano 7/1/2002, decr., Est. Marasco, in D&L 2002, 82)
  2. Allorché vengano adottate forme di lotta sindacale diverse dallo sciopero che, per entità, durata e modalità d’attuazione, siano tali da provocare una significativa riduzione del servizio pubblico essenziale, dovranno essere rispettati gli obblighi di preavviso, di predeterminazione della durata, nonché di erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di salvaguardare il contenuto essenziale dei diritti degli utenti. (Commissione di garanzia per l’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, 17/5/2001 n. 01/55, in D&L, 322, con nota di Lisa Giometti, “Diritto di assemblea nel settore dei servizi pubblici essenziali: presupposti del giudizio di legittimità della Commissione di garanzia in tema di esercizio del diritto di assemblea”)
  3. Nell’ipotesi di sciopero in un impianto produttivo a ciclo continuo, la legittimità del rifiuto da parte del datore di lavoro delle prestazioni offerte dagli addetti a reparti diversi da quelli interessati dalla astensione dal lavoro presuppone, ai fini della liberazione dall’obbligo retributivo, l’inutilizzabilità di dette prestazioni nelle mansioni attribuite, in relazione al tipo e alla natura dell’organizzazione produttiva, che l’imprenditore non è tenuto a modificare con misure implicanti perdite economiche o spese ulteriori (Cass. 4/3/00, n. 2446, pres. Lanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 327, con nota di Pileggi, Esercizio legittimo del diritto di sciopero e legittimità della serrata di ritorsione)
  4. Il blocco delle merci e il picchettaggio costituiscono forma legittima di lotta qualora siano strutturalmente connessi a un’azione sindacale e non siano violate posizioni soggettive, almeno paritarie, con l’interesse collettivo dei lavoratori (Pret. Milano 25/7/97, est. Porcelli, in D&L 1998, 80, n. SCORBATTI, Limiti di legittimità del cosiddetto blocco delle merci)
  5. È inammissibile un’automatica equivalenza tra sciopero “anomalo” e sciopero “illegittimo” al fine di giustificare l’inosservanza da parte del datore di lavoro del proprio obbligo contrattuale di consentire, nel caso di sciopero “a singhiozzo”, la prestazione offerta dagli scioperanti nel residuo orario di lavoro non interessato dall’astensione e, a maggior ragione, la normale prestazione contestualmente offerta dai rimanenti lavoratori, restando in ogni caso ferma la necessità di provare volta a volta le ragioni e la misura dell’addotta inutilizzabilità di dette prestazioni e il realizzarsi di un danno alla produttività (sia sotto forma di un abnorme danno alla produzione che sotto forma di rischio per la sicurezza degli e dagli impianti), nonché la congruenza, rispetto a tali dati e rispetto a tutti i lavoratori (o a tutti i settori) coinvolti, della sospensione di rimando decisa dal datore di lavoro (Pret. Milano 3/4/97, est. Mascarello, in D&L 1997, 500, nota Portera)
  6. Il fatto che una determinata prestazione (nella specie lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami) sia indicata come indispensabile dall’elenco di cui all’art. 1, 2° comma, L. 12/6/90 n. 146, non comporta che lo sciopero possa ritenersi, in tale ambito, del tutto vietato, dovendo comunque accertarsi di volta in volta anche il carattere indifferibile della prestazione stessa (Cass. 5/11/88 n. 11109, pres. Sensale, est. Proto, in D&L 1999, 53, n. Paganuzzi)

Comandata

  1. La comandata del datore di lavoro, che, in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, individui quali lavoratori debbano continuare a svolgere la consueta attività, è illegittima anche se conforme alla proposta della Commissione di garanzia, giacché il potere di comandata non è previsto dalla legge e, comunque, la proposta della Commissione di garanzia non ha efficacia vincolante (Cass. 15/3/01, n. 3785, pres. Santojanni, in Lavoro giur. 2001, pag. 535, con nota di Carinci, Il potere di comandata prima e dopo la l. n. 83/00)

Sanzioni nei confronti dei lavoratori

  1. In tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono di per sé illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta e il comportamento datoriale non è antisindacale. (Cass. 12/1/2011 n. 548, Pres. Miani Canevari Est. Curzio, in Orient. giur. lav. 2011, 1)
  2. Deve considerarsi antisindacale il comportamento aziendale concretizzatosi nel sanzionare il mancato esaurimento – nei tempi ordinariamente previsti – dell’arretrato fisiologicamente dovuto all’astensione lavorativa per adesione al giorno di sciopero. (Trib. Firenze 17/7/2007, decr., Est. Lococo, in D&L 2008, 111)
  3. Data la coessenzialità tra proclamazione (collettiva) e attuazione (individuale) dello sciopero, la illegittimità dello sciopero si trasferisce sull’attuazione individuale. Pertanto, è legittima la sanzione inflitta, ex lege n. 146/90 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, al lavoratore che abbia partecipato ad uno sciopero giudicato illegittimo dalla Commissione di garanzia per mancato rispetto del termine di preavviso di dieci giorni (Corte Appello Milano 23/2/01, pres. ed est. Mannaccio, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 21)
  4. In caso di violazione dell’ordinanza di precettazione prevista dall’art. 8 L. 12/6/90 n. 146, il lavoratore scioperante non rimane esposto a sanzioni disciplinari o a responsabilità da inadempimento all’interno del rapporto di lavoro, ma soltanto alle sanzioni amministrative previste dalla legge; ne consegue che la sanzione disciplinare irrogata dal datore di lavoro è illegittima e costituisce comportamento antisindacale per lesione del diritto di sciopero (Pretura Genova 22/12/97, est. Gelonesi, in D&L 1998, 327, n. FRANCESCHINIS)
  5. Sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro ai lavoratori scioperanti assumendo a presupposto la delibera della Commissione di garanzia che abbia dichiarato illegittimo lo sciopero, qualora lo stesso si sia svolto nel rispetto dell’accordo raggiunto tra le parti sull’individuazione dei servizi minimi da garantire ai sensi dell’art. 2 c. 2 L. 146/90 (Pret. Milano 15/10/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 79, nota FRANCESCHINIS, Poteri della commissione di garanzia e sanzioni disciplinari agli scioperanti; in senso contrario, v. Trib. Milano 30/5/97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 751, n. Franceschinis, Ancora in tema di sanzioni disciplinari e sciopero ex L. 146/90)

Sanzioni nei confronti delle OO. SS.

  1. L’art. 4, 2° comma, L. n. 146/90, laddove attribuisce implicitamente alla impresa-datore di lavoro il diritto-potere di sanzionare il sindacato, per la violazione delle prescrizioni dell’art.2 della legge medesima, sia pure nei limiti procedimentali, delineati dalla sentenza della Corte Costituzionale 20/2/95 n. 57, risulta in contrasto con l’art. 39 Cost., giacché la libertà delle organizzazioni sindacali appare compromessa per il solo fatto della sottoposizione di esse al potere giuridico sanzionatorio di carattere pubblico conferito all’impresa, trattandosi di soggetto antagonista del sindacato, gerarchicamente sovraordinato ai lavoratori dipendenti, che trovano, invece, nel sindacato la rappresentanza e la tutela. Inoltre, poiché la libertà sindacale, nella Carta Costituzionale, è stata strettamente collegata al diritto di sciopero, sia sotto il profilo istituzionale che sotto quello funzionale, quale principale strumento di autotutela dei lavoratori e del sindacato, si profilerebbe una violazione anche dell’art. 40 Cost., nonché dell’art. 3, 2° comma Cost., essendo lo sciopero un mezzo idoneo a favorire il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale, principio base, questo, del sistema sociale della Repubblica e fondamento stesso delle norme sulla libertà sindacale e sul diritto di sciopero e , non da ultimo, del 1°comma del citato art. 3 Cost., rilevandosi nel combinato disposto degli artt. 4°, 8°, 9°, comma, L. n. 146/90, una diversità di regolamentazione tra le sanzioni irrogabili alle organizzazioni sindacali e quelle ai responsabili delle violazioni compiute delle amministrazioni e delle imprese private, essendo stata posta la Commissione di garanzia quale organo super partes solo nei confronti delle organizzazioni sindacali (Trib. Bologna 1/9/99, ord. rimessione a Corte Cost. n. 2152, est. Governatori, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 527, con nota di Terenzio, Le sanzioni collettive e il relativo diritto-potere del datore di lavoro di irrogarle nella legge 12/6/90, n. 146, così come modificata dalla legge 11/4/00, n. 83)
  2. Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 39 e 40 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, 2° comma, L. 12/6/90 n. 146 (che disciplina il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali) nella parte in cui implicitamente affida al datore di lavoro la determinazione e l’applicazione delle sanzioni previste nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, sia pure nei termini e alle condizioni di cui alla sentenza della Corte Cost. 20/2/95 n. 57. Infatti la possibilità di regolamentare per legge l’esercizio del diritto di sciopero non può comportare la sottoposizione delle organizzazioni sindacali al potere sanzionatorio delle imprese, anche se conferito come potestà statuale delegata per fini diversi dall’autotutela seppure e nei limiti di sostanza e di procedura posti dalla L. 12/6/90 n. 146 (Trib. Bologna 30 agosto 1999 (ord.), est. Governatori, in D&L 2000, 103)
  3. È illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24 e 39 Cost., l’art. 4 c. 2 L. 146/90, nella parte in cui non prevede che la sanzione della sospensione dei benefici patrimoniali ex artt. 23 e 26 SL venga disposta su indicazione della Commissione di garanzia di cui all’art. 12 legge citata; infatti, il potere sanzionatorio previsto dalla norma censurata – che non è riconosciuto al datore di lavoro come forma di autotutela, bensì a salvaguardia degli interessi degli utenti – comporta valutazioni discrezionali e quindi non può prescindere da un idoneo procedimento che ne garantisca l’esercizio imparziale (Corte cost. 24/2/95 n. 57, pres. Casavola, rel. Ruperto, in D&L 1995, 533)

Precettazione

  1. Configura comportamento antisindacale ex art. 28 Statuto dei lavoratori l’iniziativa del datore di lavoro pubblico, il quale, in occasione di uno sciopero-adducendo la necessità di assicurare l’erogazione di prestazione indispensabile ai sensi della l. n. 146 del 1990- adibisca il personale rimasto a disposizione alle mansioni proprie dei lavoratori scioperanti. (Trib. Caltagirone 26/9/2002, Giud. Rao, (dec), in Foro it. 2003 parte prima, 205)
  2. L’impugnazione di un’ordinanza di precettazione del Ministero dei trasporti è assoggettata alla giurisdizione del giudice amministrativo. E’ illegittima l’ordinanza di precettazione che riduca la durata dello sciopero proclamato senza una valutazione della fattispecie concreta e della sua inidoneità ad assicurare i diritti minimi dell’utenza. Nel caso di concomitanza di altre azioni di sciopero, il momento in indizione dello sciopero non incide sul contenuto dell’ordinanza di precettazione (TAR Lazio 15/9/99, n. 2784, sez. III ter, pres. Giulia, est. Sanduli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 187, con nota di De Carlo, Impugnazione dell’ordinanza di precettazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali)
  3. L’impugnazione di un’ordinanza di precettazione del Ministero dei trasporti è assoggettata alla giurisdizione del giudice amministrativo. E’ illegittima l’ordinanza di precettazione che differisca uno sciopero senza tenere conto della data in cui lo stesso risulta essere stato proclamato, dando la preferenza a quello indetto per primo. Costituisce corretto esercizio di precettazione il fatto che l’ordinanza di precettazione disponga il differimento sine die dello sciopero proclamato (TAR Lazio 15/9/99, n. 2785, sez. III ter, pres. Giulia, est. Sanduli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 187, con nota di De Carlo, Impugnazione dell’ordinanza di precettazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali)
  4. L’impugnazione di un’ordinanza di precettazione del Ministero dei trasporti è assoggettata alla giurisdizione del giudice amministrativo. La proposta della Commissione di garanzia relativa alla definizione delle prestazioni indispensabili, emanata ex art. 13, 1° comma, lett. a), l. 146/90, può assumere, indirettamente, un carattere cogente, se per il persistere del disaccordo delle parti intervenga un’ordinanza di precettazione nella quale l’autorità precettante rinvia a esse, appropriandosi dei suoi contenuti. È illegittima l’ordinanza di precettazione che detti in astratto le misure idonee a garantire le prestazioni indispensabili: le misure idonee per garantire le prestazioni indispensabili sono quelle proprie della situazione interessata da una determinata astensione dal lavoro. L’applicazione del principio della cd. rarefazione oggettiva, secondo il quale tra uno sciopero e un altro successivo deve intercorrere un intervallo di tempo necessario e predeterminato, è subordinata a valutazioni concrete relative agli elementi capaci di incidere sulla soglia minima dei servizi da garantire (TAR Lazio 15/9/99, n. 2786, sez. III ter, pres. Giulia, est. Sanduli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 187, con nota di De Carlo, Impugnazione dell’ordinanza di precettazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali)
  5. L’impugnazione di un’ordinanza di precettazione del Ministero dei trasporti è assoggettata alla giurisdizione del giudice amministrativo. E’ illegittima l’ordinanza che valuti aprioristicamente le modalità dello sciopero proclamato: l’ordinanza di precettazione deve dettare regole relative al caso concreto e determinate dall’agitazione sindacale in questione (TAR Lazio 15/9/99, n. 2787, sez. III ter, pres. Giulia, est. Sanduli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 187, con nota di De Carlo, Impugnazione dell’ordinanza di precettazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali)
    In caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali l’art. 8 L. 12/6/90 n. 146 prevede, quale presupposto indefettibile per il legittimo esercizio del potere di precettazione, il previo esperimento del tentativo di conciliazione tra le parti, a opera (per i conflitti di rilevanza nazionale) della Presidenza dei Consiglio dei Ministri. In mancanza di tale essenziale fase procedimentale l’ordinanza di precettazione è illegittima e tale illegittimità può essere accertata incidenter tantum dal giudice ordinario, nell’ambito del giudizio di impugnazione delle sanzioni individuali conseguenti al mancato rispetto della precettazione (Cass. 5/11/88 n. 11109, pres. Sensale, est. Proto, in D&L 1999, 53, n. Paganuzzi)

Condotta antisindacale

  1. Nell’ipotesi di proclamazione e attuazione di uno sciopero, gli avvisi con i quali il datore di lavoro rifiuti preventivamente le prestazioni dei lavoratori che decidano di non aderire all’astensione collettiva, sono dotati di una oggettiva valenza dissuasiva sull’esercizio futuro del diritto costituzionalmente tutelato. Tali avvisi, pertanto, integrano gli estremi di condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. (Trib. Bologna 7/4/2010 Est. Marchesini, 344)
  2. Non costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, adibisca il personale rimasto in servizio alle mansioni dei lavoratori scioperanti (Trib. Massa Carrara 14/2/2008, Giud. Agostini, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Fabrizio De Falco, “Astensione ‘selettiva’ e diritto di sciopero”, 193)
  3. Costituisce comportamento antisindacale il licenziamento di un gruppo di lavoratori che avevano partecipato a uno sciopero di protesta per il mancato pagamento della retribuzione, non avendo rilevanza l’accertamento della legittimità delle ragioni per il quale lo sciopero era stato indetto. (Trib. Milano 31/7/2007, decr., in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale”, 1032)
  4. È antisindacale la sostituzione dei lavoratori in sciopero con lavoratori assunti con contratto a termine, qualora tale assunzioni siano avvenute sulla scorta di un contratto aziendale, che prevede la possibilità di stipulare contratti a termine per prestazioni nei giorni di sabato e domenica, e sempre che l’utilizzazione di tali lavoratori, ai fini sostitutivi anzidetti, avvenga in giornate diverse dal sabato o dalla domenica. (Cass. 9/5/2006 n. 10624, Pres. Mileo Est. Cuoco, in D&L 2006, con n. Eleonora Perini, “La sostituzione dei lavoratori in sciopero”, 411 e in Lav nella giur. 2006, con commento di Giorgio Mannacio, 1113)
  5. È antisindacale disporre, al fine di sostituire lavoratori in sciopero, lo svolgimento di lavoro supplementare da parte di dipendenti assunti a tempo parziale e a termine, in contrasto con quanto disposto dall’art. 3, 13° comma, D.Lgs. 25/2/2000 n. 61 che, prima dell’abrogazione della norma a opera del D.Lgs. 10/9/03 n. 276, vietava il ricorso al lavoro supplementare nei confronti di tali lavoratori. (Cass. 9/5/2006 n. 10624, Pres. Mileo Est. Cuoco, in D&L 2006, con n. Eleonora Perini, “La sostituzione dei lavoratori in sciopero”, 411)
  6. Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che, in violazione dell’art. 24, 4° comma, D.Lgs. 10/9/03 n. 276 e dei correlati obblighi informativi, omette di comunicare alle Rsu elenchi nominativi e qualifiche dei lavoratori assunti con contratto di somministrazione; tuttavia non può essere emessa dal giudice adito una condanna in futuro a effettuare detta comunicazione. (Trib. Milano 9/3/2006, Est. Porcelli, in D&L 2006, con n. Giuseppe Cordedda, “La repressione della condotta antisindacale di fronte al bivio tra dichiarazione formale e tutela effettiva”, 420)
  7. Costituisce esercizio legittimo del diritto di sciopero l’astensione parziale dal lavoro nell’ambito di una protesta sindacale che, svolgendosi nel periodo di chiusura delle scuole, non può incidere sui diritti dell’utenza; configura pertanto una condotta antisindacale l’irrogazione, da parte dell’Amministrazione, di sanzioni disciplinari a carico dei partecipanti alla protesta. (Trib. Milano 11/1/2005, decr., Est. Vitali, in D&L 2005, con nota di Giuseppe Cordedda, “Modifiche unilaterali (e antisindacali) dell’organizzazione del lavoro nella PA”, 136)
  8. Poiché il limite delle iniziative datoriali dirette a limitare i danni da sciopero è dato dalla normalità e legittimità dello strumento utilizzato, deve ritenersi antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero e per far fronte ai disagi causati dallo stesso, utilizzi soggetti che non siano suoi dipendenti e richieda, in violazione dell’art. 3, 13° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61, attività di lavoro straordinario al personale interinale con rapporto di lavoro part-time. (Corte d’appello Milano 9/2/2004, Pres. ed est. Mannacio, in D&L 2004, 63)
  9. Non può essere considerato comportamento antisindacale la sostituzione di lavoratori in sciopero con personale interno che non aderisca allo sciopero, sia pure con una distribuzione del lavoro diversa da quella programmata. La manomissione degli impianti da parte di personale scioperante, al fine di contrastare la continuazione dell’attività aziendale o distruggere la merce già prodotta, non costituisce legittimo esercizio del diritto di sciopero e giustifica il comminato licenziamento disciplinare. (Trib. Bari 26/11/2003, ord., Est. Caso, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Alessia Muratorio, 1185)
  10. È legittimo e non integra gli estremi della condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro il quale, in occasione di uno sciopero, adibisca il personale rimasto a disposizione alle mansioni proprie dei lavoratori scioperanti. La disposizione dell’art. 2103 c.c. non impedisce che al lavoratore possa essere richiesto lo svolgimento di attività corrispondenti a mansioni inferiori, laddove ciò avvenga eccezionalmente e marginalmente, per specifiche ed obiettive esigenze aziendali, quale quella di evitare la paralisi della produzione in occasione di uno sciopero. (Cass. 4/7/2002, n.9709, Pres. Mercurio, Est. Di Lella, in Foro it. 2003 parte prima, 205)
  11. Nell’ambito dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 SL l’individuazione unilaterale da parte del datore di lavoro, in occasione degli scioperi stessi, delle quote dei lavoratori necessari a garantire le prestazioni indispensabili con conseguente imposizione della loro osservanza. (Trib. Milano 20/6/2002, decr., Est. Atanasio, in D&L 2002, 858)
  12. Costituisce comportamento antisindacale, per la valenza oggettivamente intimidatoria, l’invio alle lavoratrici che si siano astenute dal lavoro per aver aderito ad uno sciopero, di una richiesta di giustificazioni ai sensi dell’art. 7 SL (nella fattispecie il Giudice ha ordinato alla parte convenuta di non dare seguito a tali contestazioni e d’astenersi per il futuro dall’utilizzare il potere disciplinare per limitare l’esercizio della libertà sindacale, nonché del diritto di sciopero). (Trib. Milano 3/4/2002, decr., Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 602)
  13. Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che ricorre all’utilizzo di propri dipendenti in sostituzione di lavoratori scioperanti e dipendenti della società appaltatrice (nel caso di specie, è stato escluso qualsiasi comportamento antisindacale a carico della società appaltatrice che era risultata del tutto estranea all’attività autonomamente posta in essere dall’appaltante). (Trib. Milano 16/2/2002, decr., Est. Marasco, in D&L 2002, 325)
  14. È antisindacale la condotta del datore di lavoro che, qualora non sussista un fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, ma sia rimasta inosservata la proposta della commissione di garanzia seguita al giudizio di inidoneità dell’accordo di determinazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali, abbia comandato l’espletamento di tali prestazioni nei limiti stabiliti dalla commissione con la sua proposta, non esplicante efficacia vincolante (Cass. 15/3/01, n. 3785, pres. Santojanni, est. Balletti, in Foro it. 2001, pag.1127)
  15. È antisindacale la comandata di lavoratori scioperanti a effettuare prestazioni non previste come essenziali (nel caso di specie, la società – prima dello sciopero – aveva effettuato comandate per garantire treni non essenziali, la cui partenza era programmata dopo l’inizio dello sciopero; pertanto, tali comandate non erano conformi a quanto disposto dalla Commissione di Garanzia al fine di assicurare l’arrivo a destinazione dei treni partiti prima dell’inizio dell’astensione del lavoro) (Trib. Milano 26 aprile 2000 (decr.), est. Chiavassa, in D&L 2000, 687)
  16. È antisindacale la sostituzione degli scioperanti con altri dipendenti di livello superiore (Trib. Milano 26 aprile 2000 (decr.), est. Chiavassa, in D&L 2000, 687)
  17. Costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro che – in presenza di presidi minimi concordati ex art. 2, 2° comma, L. 12/6/90 n.146 – determini unilateralmente, in assenza del parere della Commissione di garanzia, i presidi minimi in caso di astensione dal lavoro e comandi alcuni lavoratori per assicurare, durante uno sciopero, prestazioni inerenti servizi non contemplati nell’accordo vigente (Pret. Milano 17/3/98, est. Vitali, in D&L 1998, 632, n. SCORBATTI, In tema di dolo antisindacale. In senso conforme, v. Trib. Milano 14 febbraio 2000, est. Cincotti, in D&L 2000, 333 )
  18. Costituisce comportamento antisindacale la comandata unilaterale in servizio effettuata dal datore di lavoro nei confronti dei lavoratori scioperanti, anche nel caso in cui essa consegua a un parere della Commissione di garanzia che abbia ritenuto insufficienti le prestazioni minime garantite da un accordo collettivo tra le parti (Trib. Trento 19/3/96, pres. Ancora, est. Forlenza, in D&L 1996, 932, nota Franceschinis. In senso contrario, v. Pret. Bologna 7/11/95, ivi 1996, 379)
  19. Integra gli estremi della condotta antisindacale la decisione di una società datrice di lavoro di sostituire i lavoratori in sciopero con altri lavoratori dipendenti da una società a essa collegata (Trib. Cassino 25 maggio 2000 (decr.), est. Di Giulio, in D&L 2000, 909)
  20. Nel caso di sciopero dei redattori di una testata giornalistica, la sostituzione di questi collaboratori esterni costituisce comportamento antisindacale laddove numericamente gli esterni siano in misura tale da farne gli autori esclusivi della rivista (Trib. Milano 2/7/99 (decr.), est. Canosa, in D&L 1999, 811)

Questioni retributive

  1. Non costituisce lesione imminente ed irreparabile del diritto di sciopero il comportamento del datore di lavoro che opera una trattenuta sugli stipendi dei lavoratori scioperanti, incapace di incidere in maniera grave sui bilanci familiari di ciascun lavoratore, così da indurlo a desistere da ogni ulteriore azione di sciopero (Trib. Roma 28/3/01, pres. Tatarelli, est. Garri, in Lavoro giur. 2001, pag. 772, con nota di Menegatti, I provvedimenti d’urgenza nel processo del lavoro: limiti, contenuto e presupposti)
  2. In tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, allorquando il giorno di riposo settimanale si inserisce in un periodo ininterrotto di sciopero, in relazione al quale viene meno l’obbligo retributivo del datore di lavoro, così come non è dovuta la retribuzione per le giornate lavorative che cadono in quel periodo neppure è dovuta per le giornate di riposo ivi comprese (Cass. 16/11/00, n. 14828, pres. De Musis, est. Di Lella, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 18)

Discriminazione antisciopero

  1. L’attribuzione di un premio erogato in favore dei soli lavoratori non aderenti ad uno sciopero è sufficiente a determinare la fattispecie di cui agli artt. 15 e 16 SL, indipendentemente dal fatto che fossero state esercitate o meno pressioni per non scioperare o che il premio fosse stato o meno promesso a chi non avesse scioperato. (Corte d’Appello Milano 25/1/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 337)
  2. Il giudice che, in sede di condanna ex art. 16, 2° comma, SL, disponga il pagamento in favore di un fondo diverso da quello indicato dalla parte, non viola il principio di corrispondenza tra richiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. (Corte d’Appello Milano 25/1/2002, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2002, 337)

Serrata

  1. La sospensione dal lavoro, che sia decisa dal datore di lavoro, esonera lo stesso dall’obbligo di corrispondere la retribuzione solo nel caso in cui derivi da accordo specifico, caso fortuito o forza maggiore. La clausola del contratto collettivo che configuri in capo al datore di lavoro quel potere di sospensione, al di fuori delle ipotesi suddette e agganciato invece alla sua sola volontà, è qualificabile come condizione meramente potestativa, e perciò nulla. La nullità della clausola, che non si estende a tutto il contratto, conferisce ai lavoratori sospesi il diritto al risarcimento del danno, pari alla retribuzione per i periodi di sospensione, qualora provino d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le loro energie lavorative, da quest’ultimo illegittimamente rifiutate (Cass. 2/3/00, n. 6928, pres. Prestipino, est. Celentano, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 62, con nota di Giancotti, Regolarità formale e sostanziale nel lavoro cd. Flessibile)
  2. Avendo l’illegittima serrata aziendale sottratto ai dipendenti la stessa possibilità di aderire o meno, in parte o in tutto, all’astensione programmata, va ordinato il pagamento a tutti i lavoratori di tutte le ore perdute a causa della sospensione dell’attività disposta dall’azienda, ivi comprese le ore imputate a ferie o altro, sulla base di richieste successive alla disposta sospensione (Pret. Milano 3/4/97, est. Mascarello, in D&L 1997, 500, nota Portera)