Fondo solidarietà bilaterale

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Questa voce è stata curata da Arianna Castelli

 

Scheda sintetica

Storicamente, il compito di assicurare un adeguato sostegno al reddito ai lavoratori in caso di sospensioni o di riduzioni dell’attività lavorativa è stato affidato alla CIG. Tuttavia, quest’ultimo istituto, come è noto, ha sempre avuto un ambito di applicazione limitato a determinate categorie di prestatori, mentre gli altri non godevano di alcuna protezione a fronte della mancata erogazione della retribuzione.
Pertanto, a causa di questi vuoti di tutela derivanti dall’applicazione degli ammortizzatori sociali tradizionali, spesso in passato le parti sociali, autonomamente oppure sulla scorta di talune prescrizioni legislative, hanno costituito appositi fondi bilaterali categoriali finalizzati a garantire una copertura reddituale analoga a quella fornita dall’integrazione salariale.
In particolare, in alcuni casi, questi fondi bilaterali hanno erogato prestazioni esclusivamente integrative degli ammortizzatori sociali statali (ossia della CIG), mentre, in altri casi, tali prestazioni hanno sostituito quelle pubbliche in relazione a quei lavoratori che non potevano beneficiarne affatto.
Al termine di un lungo processo di riforma in cui si sono alternate una serie di misure transitorie o settoriali, nel 2012 il legislatore ha previsto una disciplina generalizzata dei cd. Fondi di solidarietà bilaterali, in modo tale da istituzionalizzare un sistema di welfare fondato alternativamente su CIG e Fondi, così da fornire un’adeguata tutela alla generalità dei prestatori di lavoro. Infatti, nei settori esclusi dall’ambito di applicazione della CIG, in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per le cause previste per l’integrazione salariale, le prestazioni di sostegno al reddito avrebbero dovuto essere erogate proprio dai fondi di solidarietà bilaterali.
Successivamente, il Jobs Act ha confermato questo sistema binario, apportando però taluni correttivi alla disciplina previgente.
Ad oggi, dunque, possiamo individuare quattro diverse tipologie di fondi di solidarietà bilaterale:

  1. fondi di solidarietà bilaterale ordinari;
  2. fondi di solidarietà bilaterale alternativi;
  3. fondo di integrazione salariale (ex fondo di solidarietà residuale);
  4. fondo intersettoriale delle province autonome di Trento e Bolzano.

 

 

Fonti normative

  • d.l. 20 maggio 1993, n. 148, conv. l. 19 luglio 1993, n. 236;
  • l. 23 dicembre 1996, n. 662;
  • d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. l. 14 maggio 2005, n. 80;
  • d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. l. 28 gennaio 2009, n. 2:
  • l. 28 giugno 2012, n. 92;
  • d. lgs. 14 settembre 2015, n. 148

 

 

A chi rivolgersi

  • studio legale specializzato in diritto del lavoro e diritto previdenziale
  • ufficio vertenze sindacale

 

 

Evoluzione storica

Come anticipato nel primo paragrafo, l’esperienza dei fondi di matrice bilaterale è risalente nel tempo: infatti, il primo antecedente storico di tali istituti deve essere individuato nelle Casse di mutuo soccorso dell’800 istituite prevalentemente nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e del commercio.
Successivamente, i fondi bilaterali vennero fortemente valorizzati nel settore artigiano proprio perché tale campo era escluso dell’ambito di applicazione della CIG e, dunque, i lavoratori necessitavano di una diversa forma di sostegno del reddito in caso di sospensione dell’attività lavorativa. L’art. 5 del d. l. 20 maggio 1993, n. 148, conv. l. 19 luglio 1993, n. 236, aveva stabilito che, nel settore artigiano, alle imprese con meno di 15 dipendenti (dunque escluse dall’ambito di applicazione della CIG, dei contratti di solidarietà e di altri ammortizzatori in deroga), al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale, venisse comunque concesso un contributo statale purché quest’ultimo venisse integrato dagli enti bilaterali. Dunque, originariamente, l’intervento degli enti bilaterali avrebbe svolto il ruolo di condizione legittimante per l’accesso ai contributi pubblici.
Al contrario, l’art. 2, co. 28, l. 23 dicembre 1996, n. 662 stabilì che la contrattazione collettiva nazionale istituisse una serie di fondi categoriali -che sarebbero poi stati costituiti presso l’Inps in seguito al loro recepimento in decreti ministeriali- al fine di sostenere il reddito dei lavoratori dei settori d’impresa privi di ammortizzatori sociali in situazioni di crisi aziendale o di ristrutturazione. In questo caso, a differenza dell’ipotesi precedente, le prestazioni erogate da tali fondi erano interamente sostitutive di quelle statali.

Successivamente, l’art. 13, co. 7 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. l. 14 maggio 2005, n. 80, stabilì che l’assegno di disoccupazione ordinaria venisse riconosciuto, anche in seguito a sospensioni dell’attività lavorativa dovute a eventi transitori o situazioni temporanee di mercato (ossia in ipotesi in cui ordinariamente interveniva la CIG), entro il limite di sessantacinque giornate annue di indennità. Per quanto riguardava il settore artigiano, in presenza delle medesime causali giustificative, l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti veniva invece riconosciuta ai lavoratori in possesso dei requisiti contributivi richiesti, subordinatamente all’intervento integrativo degli enti bilaterali. Anche in questo caso, l’indennità a requisiti ridotti veniva concessa, a causa di mere sospensioni dell’attività lavorativa, solo in seguito all’erogazione di un’ulteriore prestazione da parte degli enti. Dunque, ancora una volta, nel settore artigiano, le prestazioni statali erano legittimate e integrate da quelle erogate tramite la bilateralità.
Questo modello venne riproposto dall’art. 19, co. 1, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. l. 28 gennaio 2009, n. 2 che riconobbe l’indennità di disoccupazione (ordinaria e a requisiti ridotti), per un periodo massimo di 90 giornate annue, ai lavoratori in possesso dei requisiti contributivi, non dipendenti da imprese rientranti nell’ambito di applicazione della CIG e sospesi dal lavoro per crisi aziendali o occupazionali, purché un importo pari ad almeno il 20 per cento di tale indennità venisse posto a carico dei fondi bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva.
Infine, il legislatore ha riformato ancora una volta le esperienze precedenti con la l. n. 92/2012 introducendo un sistema che è stato poi confermato dal Jobs Act.
La legge Fornero mirava a creare un sistema di welfare che assicurasse a tutti i lavoratori un adeguato sostegno al reddito nei casi di riduzione o sospensione del lavoro: pertanto, accanto alla CIG, venivano istituzionalizzati stabilmente i Fondi bilaterali di solidarietà in modo tale da fornire prestazioni similari all’integrazione salariale anche a coloro che non rientravano nel campo di applicazione dell’ammortizzatore sociale pubblico.
Pare opportuno precisare che, visto le rilevanti similitudini tra questi due modelli, in questa sede, si ritiene maggiormente opportuno delineare solo i tratti fondamentali della disciplina contenuta nella l. n. 92/2012.
Nei settori esclusi dall’ambito di applicazione della CIG, le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale dovevano sottoscrivere contratti collettivi al fine di erogare prestazioni volte a sostenere il reddito dei lavoratori in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. Questi accordi dovevano poi essere recepiti in appositi decreti ministeriali così da divenire gestioni autonome Inps. Questa soluzione avrebbe dovuto essere originariamente estesa a tutti i settori esclusi dalla CIG, tuttavia durante i lavori parlamentari, ci si rese conto che ciò sarebbe stato eccessivamente penalizzante per quei settori ove, anche in riferimento al sostegno al reddito dei prestatori, già operavano con buoni risultati gli enti bilaterali. Dunque, a tale modello si affiancò il modello dei fondi bilaterali alternativi, destinati ad operare in quei campi ove vi era una “consolidata bilateralità”. In questi casi, le parti avrebbero dovuto esclusivamente adeguare i fondi già esistenti alla nuova disciplina. Infine, era stato previsto un fondo residuale destinato ad intervenire in tutti quei casi in cui i datori di lavoro non avessero provveduto ad istituire fondi ordinari o alternativi in violazione delle disposizioni di legge.
Come anticipato, il D.Lgs. n. 148/15 ha mantenuto la stessa struttura di base appena descritta, ha però apportato talune modifiche e previsto una disciplina maggiormente dettagliata, confermando di fatto la scelta di fondo di affiancare al welfare statale un welfare di matrice privatista.

 

Fondi di solidarietà bilaterale ordinari

Nel disegno predisposto dal D.Lgs. n. 148/2015, nei settori esclusi dall’ambito di applicazione della CIG, in relazione ai datori di lavoro con più di cinque dipendenti, devono essere costituiti appositi fondi di solidarietà bilaterale volti ad erogare ai lavoratori prestazioni di sostegno al reddito in caso di sospensione dell’attività lavorativa dovuta alle stesse causali giustificative della CIG. Ai fini del raggiungimento della soglia dimensionale devono essere computati anche gli apprendisti, mentre le prestazioni e i relativi obblighi contributivi non si applicano al personale dirigente se non espressamente previsto.
Pare opportuno sottolineare come nel vigore della legge Fornero la soglia dimensionale prevista affinché l’istituzione dei fondi fosse obbligatoria era di 15 dipendenti; il d.lgs. n. 148/2015, invece, ha abbassato tale limite così da ampliare il novero dei lavoratori garantiti dalle prestazioni dei nuovi fondi.
Tali fondi sono stati prima previsti in accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, successivamente, sono stati istituiti presso l’Inps tramite un decreto del Ministero del lavoro in concerto con quello dell’economia. I fondi, dunque, costituiscono vere e proprie Gestioni separate Inps e da ciò deriva l’obbligatorietà della contribuzione a carico del datore di lavoro e l’erogazione di prestazioni integralmente sostitutive di quelle statali.
Oltre a ciò, un decreto del Ministero del lavoro può modificare anche le fonti istitutive dei fondi, nonché deciderne l’ambito di applicazione sulla base di quanto previsto nei contratti collettivi e avendo riguardo al settore di attività e alla natura giuridica del datore di lavoro.
Al fine di garantire il sostegno del reddito dei prestatori esclusi dall’ambito di applicazione della CIG in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorative i fondi erogano il cd. assegno ordinario.
Come già anticipato, infatti, la prestazione viene erogata esclusivamente quando ricorrono le stesse e identiche cause integrative della CIGO e della CIGS. I fondi stabiliscono la durata massima della prestazione, comunque non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile e non superiore, a seconda della causale giustificativa invocata, alla durata massima prevista rispettivamente per la CIGO e la CIGS.
La domanda di accesso all’assegno ordinario erogato dai fondi deve essere presentata non prima di 30 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa eventualmente programmata e, in ogni caso, non oltre il termine di 15 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione.
L’assegno può essere corrisposto per un periodo massimo di 12 mesi in un biennio mobile e il relativo ammontare deve essere calcolato alla luce dei medesimi criteri stabiliti per il calcolo dell’integrazione salariale.
Oltre a questa prestazione, i fondi possono erogare prestazioni integrative ulteriori, la cui previsione non è tuttavia obbligatoria secondo il dettato normativo.

In particolare, i fondi possono avere anche le seguenti finalità:

  1. assicurare ai lavoratori prestazioni integrative, in termini di importi o durate, rispetto alle prestazioni previste dalla legge in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, rispetto a trattamenti di integrazione salariale previsti dalla normativa vigente;
  2. prevedere un assegno straordinario per il sostegno al reddito, riconosciuto nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni;
  3. contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea.
    Al fine di erogare queste prestazioni ulteriori e non essenziali, i fondi possono essere costituiti anche in settori già coperti dall’ambito di applicazione della CIG.
    La contribuzione ordinaria, ripartita tra datore e lavoratore in misura di un terzo e due terzi, è obbligatoria per il datore ed è prevista direttamente dalla legge, mentre le relative aliquote vengono stabilite con decreto ministeriale.
    Nel caso in cui il fondo eroghi l’assegno ordinario o l’assegno di solidarietà è prevista una contribuzione addizionale a carico del datore di lavoro che ricorre alla sospensione o alla riduzione dell’attività lavorativa.
    Tali fondi hanno l’obbligo di bilancio in pareggio e non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità.
    La gestione dei fondi è demandata a un comitato amministratore, composto da esperti designati dalle organizzazioni sindacali stipulanti l’accordo collettivo costitutivo, cui sono demandati una serie di compiti specifici, quali la predisposizione e la gestione dei bilanci annuali, la delibera in ordine alla concessione delle prestazioni, l’attività di vigilanza sull’affluenza dei contributi e la decisione sui ricorsi inerenti le materie di competenza.

 

 

Fondi di solidarietà bilaterale alternativi

Nel disegno del legislatore del 2015, i fondi di solidarietà bilaterale alternativi sono quei fondi, già operanti nei settori in cui operava un sistema di bilateralità consolidato prima dell’entrata in vigore della legge n. 92/2012, che avevano adeguato la propria disciplina alle previsioni di tale legge e che, successivamente, hanno adeguato le proprie disposizioni anche alla nuova normativa prevista nel Jobs Act entro il 31 dicembre 2015.
In particolare, solo i fondi già presenti nei settori dell’artigianato e della somministrazione avevano provveduto ad adeguare la propria disciplina alle disposizioni della legge Fornero, ragione per cui i nuovi fondi di solidarietà bilaterale alternativi avrebbero potuto essere costituiti solo in questi ambiti in seguito a un nuovo adeguamento delle fonti istitutive alle disposizioni del D.Lgs. n. 148/2015.
Questa tipologia di fondi può erogare due diverse tipologie di prestazioni:

  1. un assegno ordinario analogo a quello erogato dai fondi di solidarietà bilaterali:
  2. un assegno di solidarietà analogo a quello erogato dal fondo di integrazione salariale (si veda il paragrafo dedicato).

Come verrà illustrato nel proseguo della trattazione, l’assegno di solidarietà può essere corrisposto esclusivamente a favore dei dipendenti dei datori che hanno stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che prevedono una riduzione dell’orario di lavoro finalizzata a evitare o ridurre le eccedenze di personale.
Gli stessi accordi collettivi devono individuare i lavoratori interessati dalla riduzione oraria.
A differenza di quanto previsto per l’assegno di solidarietà erogato dal fondo di solidarietà di integrazione salariale, in questo caso, gli accordi istitutivi di questa tipologia di fondi possono ridurre il periodo massimo di erogazione purché non superino il limite minimo di 26 settimane nel biennio mobile.
Per l’ammissione all’assegno di solidarietà, il datore di lavoro deve presentare in via telematica all’INPS domanda di concessione, corredata dall’accordo sindacale, entro sette giorni dalla data di conclusione di questo. Nella domanda deve essere indicato l’elenco dei lavoratori interessati alla riduzione di orario, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali interessate e dal datore di lavoro. Tali informazioni sono inviate dall’INPS alle Regioni e Province Autonome, per il tramite del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.
Contrariamente a quanto avveniva sotto la legge Fornero questi fondi sono titolati ad erogare anche una prestazione integrativa rispetto alle indennità di cessazione del rapporto e di integrazione salariale, nonché somme volte a contribuire al finanziamento di programmi di qualificazione o riconversione professionale.
Inoltre, a differenza dei fondi di solidarietà bilaterali descritti nel paragrafo precedente, questi fondi vengono istituiti senza l’intervento di un decreto ministeriale, ragione per cui i commentatori ne hanno dedotto la natura interamente privatistica.
Coerentemente a tale impostazione, sono gli accordi e i contratti collettivi a definire l’aliquota di contribuzione (anche se il limite viene fissato dalla legge stessa), le tipologie di prestazioni erogabili in funzione della finalità del fondo, l’adeguamento dell’aliquota o la rideterminazione delle prestazioni, la possibilità di prevedere prestazioni accessorie, i criteri e i requisiti per la gestione del fondo.
Nonostante la loro natura privatistica, i commentatori si sono comunque pronunciati a favore dell’obbligatorietà della contribuzione anche in forza del fatto che è la stessa legge a stabilirne l’ammontare minimo.
Il decreto ministeriale invece può prevedere esclusivamente i criteri volti a valutare la stabilità finanziaria, i requisiti di professionalità e onorabilità dei soggetti preposti alla gestione dei fondi, i criteri per la gestione della contabilità e le modalità individuate per rafforzare il controllo sulla loro gestione.
Come nel modello ordinario, vige l’obbligo di pareggio in bilancio (con contestuale divieto di erogare prestazioni in carenza di disponibilità) e l’obbligo di costituire specifiche riserve finanziarie.
Altra analogia rispetto al modello ordinario deve essere rinvenuta nella previsione che stabilisce l’obbligatorietà della costituzione di questi fondi per i datori di lavoro che impiegano più di 5 dipendenti pena lo slittamento dei datori di lavoro inadempienti nel fondo di integrazione salariale (si veda il paragrafo dedicato).
Anche in questo caso, infatti, il legislatore ha abbassato la soglia dimensionale stabilita precedentemente dalla legge Fornero, ove la soglia limite era invece fissata a quindici dipendenti.
Molto rilevante è la mancata riproposizione della previsione contenuta nella legge Fornero in forza della quale, in caso di sospensione dell’attività lavorativa e previo intervento integrativo dei fondi, i lavoratori cui si applicava la disciplina del fondo avrebbero avuto diritto all’Assicurazione sociale per l’impiego. Coerentemente con l’intento razionalizzatore del legislatore del 2015, invece, ad oggi, i fondi sono interamente privatistici ed erogano prestazioni sostitutive di quelle statali.

 

 

Fondo di integrazione salariale

Il fondo di integrazione salariale (ex fondo di solidarietà bilaterale residuale) opera invece come “rete di sicurezza” del sistema delineato dal legislatore del 2015.
Questa tipologia di fondo infatti opera nei confronti di tutti quei dipendenti dei datori di lavoro che occupano più di cinque dipendenti, che non rientrano nell’ambito di applicazione della CIG e che non hanno costituito fondi né ordinari né alternativi.
Poiché la costituzione dei fondi di solidarietà ordinari o alternativi è obbligatoria per coloro che impiegano più di cinque dipendenti, ben si comprende come questo fondo d’integrazione salariale sia esplicitamente finalizzato a garantire una tutela anche ai lavoratori che ne sono rimasti privi proprio a causa dell’inadempienza dei propri datori
Alcuni commentatori hanno individuato in questo fondo il fulcro del nuovo sistema di welfare apprestato dal D.Lgs. n. 148/2015. Infatti, se lo scopo della riforma era quello di garantire l’universalizzazione delle tutele in costanza di rapporto, superando quindi il sistema previgente incentrato sulla CIG e demandando ai privati la costruzione di un sistema di welfare complementare a quello pubblico, la previsione di un fondo che garantisca una tutela minima a quei lavoratori che non possono fruire dei sussidi statali ma i cui datori non si sono opportunamente attivati è fondamentale al fine di non pregiudicare la funzionalità dell’intero sistema.
Il fondo di integrazione salariale garantisce due tipologie di prestazioni (entrambe interamente sostitutive di quelle pubbliche): l’assegno ordinario e l’assegno di solidarietà.
La disciplina dell’assegno ordinario è parzialmente difforme rispetto a quella prevista in relazione alla medesima prestazione erogata dai fondi di solidarietà bilaterale ordinari. In questo caso, infatti, l’assegno viene erogato solo ai dipendenti dei datori di lavoro che impiegano più di quindici dipendenti e tra le causali giustificative vengono richiamate le cause integrabili della CIGO, ma con l’esclusione delle intemperie stagionali, e le cause integrabili della CIGS, ma limitatamente alle causali relative alla riorganizzazione e crisi aziendale.
L’assegno di solidarietà invece viene erogato a favore dei dipendenti dei datori di lavoro che occupano più di cinque dipendenti e che hanno stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro finalizzata ad evitare le eccedenze di personale nel corso della procedura di mobilità e licenziamenti per giustificato motivo oggettivo plurimi. La prestazione può essere concessa solo in riferimento a riduzioni dell’attività lavorativa che non superino il 60% dell’orario giornaliero, mensile o individuale dei lavoratori interessati. Inoltre, per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70% nell’arco dell’intero periodo per il quale l’accordo di solidarietà è stipulato.
L’assegno di solidarietà può essere corrisposto per un periodo massimo di 12 mesi in un biennio mobile.
I trattamenti di integrazione salariale erogati dal fondo sono autorizzati dalla struttura territoriale INPS competente in relazione all’unità produttiva. In caso di aziende plurilocalizzate l’autorizzazione è comunque unica ed è rilasciata dalla sede INPS dove si trova la sede legale del datore di lavoro, o presso la quale il datore di lavoro ha richiesto l’accentramento della posizione contributiva.
A differenza di quanto detto in riferimento ai fondi bilaterali di solidarietà alternativi, non vi sono dubbi sull’obbligatorietà della contribuzione; la legge stabilisce che esse debba essere ripartita tra datore di lavoro e lavoratori nella misura di un terzo e due terzi; oltre a ciò è prevista una contribuzione addizionale a carico dei datori di lavoro che fruiscono del beneficio.
Come per le altre tipologie di fondi analizzate, è stato previsto il vincolo di bilancio e la subordinazione dell’erogazione delle prestazioni alla precostituzione di risorse adeguate. Tuttavia, il legislatore ha posto un’ulteriore limitazione all’operatività di predetto fondo, ossia la previsione che le prestazioni devono anche essere determinate in misura non superiore a dieci volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal medesimo datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dello stesso.

 

Fondo intersettoriale delle provincie autonome di Trento e Bolzano

Infine, l’ultimo modello è costituito dal fondo intersettoriale delle Province autonome di Trento e Bolzano, la cui disciplina ricalca quella dei fondi ordinari.
A decorrere dalla data di istituzione di questo fondo, sono soggetti alla sua disciplina i datori di lavoro, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nell’ambito di applicazione della CIG e non aderenti ad altri fondi di solidarietà bilaterali (né ordinari né alternativi), che occupino almeno il 75 per cento dei propri dipendenti in unità produttive ubicate nel territorio delle province di Trento e di Bolzano.
Inoltre, i datori di lavoro che rispettino tali requisiti possono aderire al fondo anche se originariamente avevano costituiti altre tipologie di fondi di solidarietà.