Negoziazione assistita nelle controversie di lavoro

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Questa voce è stata curata da Caterina Cavarretta

Scheda sintetica

Al fine di ridurre il contenzioso giuslavoristico, il d.lgs. 149/22 ha inserito nel d.l. n. 132/14 un nuovo art. 2-ter, che riconosce la facoltà per le parti di una controversia in materia di lavoro di ricorrere all’istituto della negoziazione assistita, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La disposizione prevede che, nell’ambito della negoziazione, ciascuna parte sia assistita da almeno un avvocato o da un consulente del lavoro, e che l’accordo così raggiunto sia sottratto al regime di impugnazione disciplinato dai primi tre commi dell’art. 2113 c.c., al pari di quanto previsto per le conciliazioni svolte nelle sedi c.d. protette. È altresì previsto che l’accordo debba essere trasmesso a uno degli organismi deputati alla certificazione dei contratti di lavoro previsti dall’art. 76, d.lgs. 276/03.

Normativa di riferimento

D.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014, n. 162.

L. 26 novembre 2021, n. 206

D.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149

Scheda di approfondimento

La negoziazione assistita è uno degli strumenti definiti di “Alternative dispute resolutions” (c.d. A.D.R.).

Si tratta di strumenti di risoluzione alternativa e stragiudiziale delle controversie, deflattivi del contenzioso giudiziario.

Il panorama degli strumenti di A.D.R., fino al 2022, seguiva un doppio binario: da un lato, il libero ricorso, in alcuni casi obbligatorio, alla negoziazione assistita o alla mediazione per tutte le controversie civilistiche su diritti disponibili; dall’altro lato, la materia giuslavoristica, con dinamiche a sé stanti, in virtù della peculiarità e della specificità del diritto del lavoro.

In particolare, ai sensi dell’art. 2113, quarto comma, c.c., i diritti non disponibili del lavoratore potevano essere transatti solo per il mezzo della conciliazione avvenuta:

  1. avanti al Giudice del Lavoro nell’ambito dell’esperimento del tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c.;
  2. presso la sede sindacale ex art. 412 ter c.p.c., ovvero avanti al collegio arbitrale di conciliazione ex art. 412 quater c.p.c.;
  3. avanti alle apposite commissioni istituite presso l’Ispettorato Territoriale del lavoro (già Direzioni Provinciali del Lavoro), ex D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e L. 4 novembre 2010, n. 183;
  4. presso gli organismi di conciliazione e certificazione ex D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

Nel 2022, tuttavia, il Governo – nell’ambito di un generale intervento di riforma del processo civile, strutturato in funzione del perseguimento degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione della tutela giurisdizionale – ha introdotto un’ulteriore modalità per concludere accordi transattivi in materia giuslavoristica.

Con il d.lgs. 149/22 (c.d. Riforma Cartabia), attuativo della legge delega n. 206/21, il Governo ha infatti esteso alle controversie di lavoro l’operatività di un particolare strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie, già noto al nostro ordinamento dal 2014, ossia la negoziazione assistita da avvocati, prevedendo espressamente che l’accordo raggiunto all’esito di tale procedura– al pari di quelli conclusi nelle sedi c.d. protette – è sottratto al regime di impugnazione previsto dai primi tre commi dello stesso art. 2113.

La convenzione di negoziazione assistita da avvocati

(art. 2 D.l. 132/14; art. 8 D.l. 132/14)

La l. n. 162/14 definisce la convenzione di negoziazione come un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà, per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei rispettivi avvocati iscritti all’albo, anche ai sensi dell’art. 6, D.lgs. 96/01.

Gli elementi necessari di tale negozio bi/plurilaterale – a contenuto non necessariamente patrimoniale – sono dettati all’art. 2 del D.l. 132/14.

In particolare, ai sensi del predetto articolo, tale negozio deve necessariamente:

(a) contenere il termine per l’espletamento della procedura, in ogni caso compreso fra 1 e 3 mesi, prorogabile per ulteriori 30 giorni su accordo delle parti;

(b) riportare l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili;

(c) contenere la sottoscrizione delle parti e dei rispettivi difensori per autentica;

(d) essere redatta in forma scritta a pena di nullità;

(e) salvo diverso accordo, utilizzare il modello elaborato dal Consiglio Nazionale Forense.

Inoltre, la convenzione di negoziazione assistita, in seguito alle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/22, potrà facoltativamente prevedere la possibilità di:

(f) acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia;

(g) acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste;

(h) svolgere la negoziazione con modalità telematiche;

(i)  svolgere gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza.

La convenzione è conclusa in forma scritta, a pena di nullità, con l’assistenza di uno o più avvocati, i quali certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.

È dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

I difensori non  possono  essere nominati  arbitri  ai  sensi dell’articolo 810 del c.p.c.  nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse.

È fatto obbligo agli avvocati e alle parti di comportarsi con lealtà e di osservare la totale riservatezza in ordine alle informazioni ricevute.

La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro

(art. 2, co. 2, lett. b), D.l. 132/14; art. 2 ter D.l. 132/14)

In ambito giuslavoristico, il nuovo art. 2 ter del D.l. 132/14, novellato dal D.lgs. 149/22, stabilisce che, per le controversie di cui all’articolo 409 c.p.c., le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale e fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter c.p.c.

Ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato o eventualmente da un consulente del lavoro. Nessuna menzione, invece, in favore di rappresentanti e/o delegati sindacali, i quali hanno da sempre svolto un ruolo centrale in tale materia.

Il legislatore, in tal senso, ha semplicemente ed espressamente fatta salva la possibilità delle parti di conciliare le controversie anche presso le sedi sindacali e con le modalità previste dai contratti collettivi, sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, così come previsto dall’art. 412 ter c.p.c.

Il riferimento all’art. 412 ter c.p.c. è in realtà superfluo giacché la negoziazione assistita non sostituisce la conciliazione sindacale né gli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, ma si aggiunge ad esse, offrendo alle parti un’ulteriore modalità per concludere accordi transattivi.

Un aspetto che merita particolare attenzione è che l’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita è inoppugnabile poiché sottratto alla nullità di protezione e al conseguente regime di impugnabilità previsto dall’art. 2113, quarto comma, c.c., per le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti indisponibili del prestatore di lavoro, derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di CCNL.

La sede negoziale tramite l’assistenza degli avvocati viene, dunque, equiparata a una delle tradizionali sedi protette, tra le quali si annoverano tassativamente la sede sindacale, la sede giudiziale, le commissioni presso l’Ispettorato Territoriale del lavoro e le commissioni di certificazione.

In tale prospettiva, l’art. 2 ter si pone in deroga rispetto alla disciplina prevista in materia civilistica, la quale ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. b) del D.l. 132/2014 esclude espressamente i diritti indisponibili dall’ambito di applicazione della procedura negoziale.

Dal complesso delle disposizioni in esame deriva, quindi, da un lato, l’impossibilità di negoziare su diritti indisponibili in materia civilistica e, dall’altro, la facoltà di transigere, invece, su diritti indisponibili in materia giuslavorista, ossia la materia in cui una delle parti del rapporto di lavoro si trova, sin dal principio, quale fattore endogeno, in una situazione di squilibrio rispetto all’altra.

La riforma determina, in questo modo, un capovolgimento dell’impianto normativo originario.

Invero, in tema di diritti inderogabili di legge e derivanti dai CCNL, il legislatore ha sempre garantito la massima tutela in forza di un generale sistema di protezione in grado di minimizzare lo squilibrio contrattuale tra datore di lavoro e prestatore, conseguenza del fatto che il secondo è sottoposto al potere di soggezione economica e gerarchica del primo.

La procedura di negoziazione assistita, così formulata, oltre a erodere spazi di tutela sindacale, estromettendo il principale soggetto di autotutela collettiva, rischia, altresì, di svilire la protezione che l’ordinamento giuridico ha sempre garantito ai diritti indisponibili.

L’invito a stipulare

(art. 4 D.l. 132/14)

Il primo atto contemplato dal procedimento è rappresentato dall’invito a stipulare la convenzione.

Si tratta di un atto recettizio rivolto alla controparte, contenente – oltre alla manifestazione dell’invito alla stipula della convenzione – l’oggetto della controversia e l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro 30 giorni dalla ricezione o il suo rifiuto potrà essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96, primo, secondo e terzo comma e 642, primo comma, c.p.c.

L’invito in parola non richiede particolari formule sacramentali, dovendo tuttavia riportare la sottoscrizione personale dalla parte, autenticata dall’avvocato che la assiste.

La controparte – se lo ritiene – può aderire con una comunicazione che presenti gli stessi requisiti di forma-contenuto dell’invito.

Al contrario il dissenso è liberamente manifestabile anche senza assistenza del legale o in forma orale.

Diverso è il caso dell’accettazione giunta tardivamente oltre il termine di 30 giorni. Trattandosi di invito stragiudiziale non potrà certamente ritenersi perentorio ai sensi dell’art. 152 c.p.c. Al contrario, la disciplina delle comunicazioni in parola dovrebbe essere ricondotta alle disposizioni di diritto comune in materia di formazione del contratto ex artt. 1326 e ss. c.c.

In particolare, nell’eventualità di accettazione tardiva, la stessa risulterebbe improduttiva di effetti in quanto inefficace, salvo il caso in cui il proponente voglia ritenere valida l’accettazione, dandone immediatamente avviso all’altra parte ex art. 1326, secondo e terzo comma, c.c.

Anche in caso di silenzio o rifiuto il contegno della parte potrà essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio ex artt. 96 e 642, co. 1, c.p.c.

Si segnala che la valutazione del comportamento ai fini delle spese del giudizio pone, inevitabilmente, un problema di condizionamento della volontà delle parti, la quale dovrebbe sempre risultare genuina e libera da qualsivoglia pressione esterna.

L’interruzione della prescrizione e della decadenza

(art. 8 D.l. 132/14)

Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione, si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale.

Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’articolo 4, co. 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Per completezza va precisato che, in ogni caso, l’accordo concluso in sede di negoziazione assistita sarà impugnabile come ogni altra conciliazione in sede protetta alla stregua dei principi generali di diritto civile nei casi di:

  • nullità in quanto carente dei requisiti essenziali del negozio, ovvero contrario a norme imperative di legge;
  • annullabilità per vizi della volontà quali errore, violenza o dolo o in caso di conflitto di interessi o nella rappresentanza;
  • dolo incidente qualora la parte avrebbe comunque concluso la transazione, ma a condizioni diverse;
  • rescissione se il consenso è dipeso dallo stato di bisogno o pericolo della parte.

La negoziazione assistita in modalità telematica

(art. 2 bis D.l. 132/14)

Il legislatore ha previsto la possibilità per le parti di dare impulso al procedimento determinandone i tempi e le modalità di esecuzione anche con modalità telematiche.

Naturalmente, in tale caso, gli incontri fra le parti si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto.

I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di negoziazione devono assicurare la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate.

Ciascuna parte può chiedere di partecipare da remoto o in presenza.

Quanto alla forma degli atti digitali, viene disposto che, quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, ciascun atto del procedimento, ivi compreso l’accordo conclusivo, deve essere formato e sottoscritto in via telematica attraverso apposizione di firma digitale e trasmesso a mezzo PEC.

Viene – in sostanza – escluso l’impegno di modalità “ibride” in parte analogiche e in parte telematiche facendo applicazione rigorosa delle disposizioni contenute nel codice dell’amministrazione digitale, di cui al D.lgs. 82/05, il quale appunto esclude la certificazione digitale per atti che non siano “nativi digitali”.

Viene – per ovvie ragioni – sottratta a tale impostazione di rigore l’ipotesi in cui l’accordo di negoziazione sia sottoscritto dalle parti con modalità analogiche.

In tale caso, la sottoscrizione può essere certificata dagli avvocati con firma digitale e successivamente trasmessa sempre via PEC.

L’acquisizione di dichiarazioni

(art. 2, D.l. 132/14; art. 2 bis, comma 3, D.l. 132/14; art. 4 bis, D.l. 132/2014)

La nuova normativa introduce per la prima volta nell’ordinamento processuale italiano una vera e propria pre-trial discovery di stampo anglosassone, che trova disciplina agli artt. 4-bis e 4-ter del D.l. 132/14, in forza dei quali è consentito acquisire, nell’ambito della procedura di negoziazione assistita, dichiarazioni e confessioni di parte.

È bene notare, fin da subito, che tali possibilità devono essere previamente contemplate per espresso dalla convenzione di negoziazione assistita, sempre per iscritto e sempre con le modalità di cui al precitato art. 2 del D.l. 132/14.

Ad ogni modo, quanto alla possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi ex art. 4 bis questa deve avvenire su invito dell’avvocato di parte diretto ad un terzo per rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia.

Tale escussione deve necessariamente avvenire presso lo studio professionale o presso il COA, in presenza degli avvocati che assistono le altre parti, ma non necessariamente delle parti negozianti.

Ai sensi dell’art. 2 bis, comma 3 D.l. 132/14, l’audizione non può avvenire con modalità telematiche né con collegamenti audiovisivi da remoto.

La procedura di audizione prevede che l’informatore, previa identificazione, venga invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa, venendo inoltre preliminarmente avvisato:

  • della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione;
  • della facoltà di non rendere dichiarazioni;
  • della facoltà di astenersi ai sensi dell’art. 249 cod. proc. Civ.;
  • delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni;
  • del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date;
  • delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

Le domande rivolte all’informatore e le dichiarazioni da lui rese devono essere verbalizzate in un documento, redatto e sottoscritto dall’informatore e dagli avvocati, contenente gli elementi necessari di ogni atto giuridico (i.e. data, luogo e generalità di ogni soggetto presente).

All’informatore e a ciascuna delle parti deve essere consegnato un originale del verbale.

Si tratta, dunque, di una procedura di acquisizione di dichiarazioni stragiudiziale che, tuttavia, richiama espressamente e sostanzialmente il rito processuale di testimonianza, per quanto compatibile.

Il verbale di audizione così formato è dotato per legge della stessa efficacia probatoria privilegiata del verbale redatto da pubblico ufficiale.

Viene, infatti, previsto che questo faccia piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza, ossia delle dichiarazioni e dei fatti riferiti dagli informatori, i quali è assai probabile che vengano chiamati in giudizio a testimoniare per confermare il contenuto delle dichiarazioni rese durante la procedura di negoziazione.

L’acquisizione di dichiarazioni confessorie

(art. 4 ter D.l. 132/2014)

L’acquisizione di confessioni di parte, ex art. 4 ter, avviene con le medesime modalità di escussione degli informatori, eccezione fatta per la circostanza che le stesse vengono rese per iscritto con firma personale della parte e del suo avvocato per autenticazione.

Anche in questo caso, la dichiarazione della parte – qualora riporti fatti a sé sfavorevole e ricorrendo i requisiti di cui all’art. 2735 cod. civ. – gode della medesima efficacia probatoria di cui sopra.

Come anticipato, dette facoltà istruttorie introducono nell’ordinamento un vero e proprio esempio di pre-trial discovery, caratterizzata dalla circostanza che sono le parti stesse a determinare le sorti della controversia, definendo sia il thema decidendum sia il thema probandum, senza alcuna interferenza dell’autorità giudiziaria o di una qualsivoglia figura terza e imparziale.

In tale fase non si ha, dunque, una funzione solamente conciliativa, in cui le parti autonomamente tentano una definizione bonaria della controversia, ma viene svolta una piena istruzione in cui i soggetti coinvolti sono tenuti a vagliare la consistenza delle rispettive tesi difensive.

Qualunque sia la via attraverso cui le parti giungono alla stipula della convenzione di negoziazione assistita, questa rappresenta il vero e proprio momento di apertura del relativo procedimento di ADR.

L’accordo che definisce la controversia – al pari dei restanti atti – deve essere redatto con i medesimi requisiti di forma, venendo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati per autentica e vaglio di legittimità rispetto a norme imperative e di ordine pubblico.

L’accordo deve anche contenere espressa indicazione del valore dello stesso e deve, infine, essere trasmesso a cura di una delle parti entro 10 giorni, ad uno degli organismi di cui all’art. 76, D.lgs. 276/03, ai fini del controllo formale di legittimità dello stesso.

L’accordo costituisce titolo esecutivo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.

Da ultimo è bene annotare che costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione abbia partecipato.

Come già segnalato, il nuovo strumento istruttorio di pre-trial discovery consiste in un vero e proprio esame probatorio in merito alle circostanze sostenute dalle parti nelle rispettive posizioni.

Sul punto, si potrebbe dire che, in termini istruttori, il vero processo viene anteposto al processo stesso, e ciò sebbene gli strumenti di A.D.R. siano per definizione strumenti che dovrebbero consentire di comporre la lite con modalità che vengano percepite dalle parti come meno traumatiche e formali rispetto a un vero e proprio processo.

Non solo. Nel nostro ordinamento giuridico, il principio del contraddittorio sancito dall’art. 111 della Costituzione, nel testo novellato dalla Legge Costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2, stabilisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio della parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale”.

L’acquisizione di dichiarazioni e confessioni, fuori dal processo, senza la garanzia del contraddittorio intesa in senso costituzionale, rischia di non assicurare una condizione di parità tra le parti, determinando un indebolimento dei diritti fondamentali.

Affidarsi alle virtù salvifiche dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie genera il sospetto che esso sia il primo passo nella realizzazione di un programma di “svendita” della giustizia pubblica e di liberalizzazione di tutti i diritti, compresi quelli da sempre qualificati giuridicamente come inderogabili.