Guardie giurate e personale di vigilanza

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Questa voce è stata curata da Caterina Camposano

Scheda sintetica

Il tratto essenziale del lavoro subordinato è la soggezione del lavoratore ai poteri di direzione, di controllo e disciplinare del datore di lavoro. In particolare, il potere di controllo manifesta l’interesse di parte datoriale a verificare l’esatto e diligente adempimento della prestazione lavorativa, anche in una prospettiva disciplinare.

A fronte delle ragioni del controllo riguardanti il datore di lavoro, vi sono quelle del lavoratore a non essere leso nei propri beni fondamentali quali dignità e riservatezza.

Lo Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) è intervenuto a bilanciare gli interessi di datore e lavoratore e ha sancito che il potere di controllo è compatibile con il diritto alla dignità ed alla riservatezza solo quando è trasparente, codificando all’uopo una serie di limiti alle modalità di esercizio del potere di controllo: limiti c.d. soggettivi (relativi ai soggetti adibiti al controllo) e limiti tecnici (relativi agli strumenti dai quali possono derivare anche forme di controllo). Con riguardo ai limiti c.d. soggettivi, l’art. 2 St. Lav. vieta al datore di lavoro di impiegare le guardie giurate per controllare l’attività lavorativa; è legittimo l’impiego di queste ultime solo per scopi di tutela del patrimonio aziendale. L’art. 3 vieta i c.d. controlli occulti, sancendo l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare ai lavoratori i nominativi e le mansioni del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa.

Normativa di riferimento

L. 300/1970 artt. 2, 3.

Scheda di approfondimento

Le guardie giurate: art. 2 St. Lav.

In particolare, l’ art. 2 St. Lav. disciplina il ricorso alle guardie giurate, impiegabili (ex comma 1) “soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale”.

Tale affermazione, sottende una negazione: il datore di lavoro non può adibire le guardie giurate al controllo dell’attività lavorativa. Il contenuto implicito del primo comma viene specificato dai commi successivi, i quali prevedono che le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale (comma 2) e non possono accedere nei locali dove si svolge l’attività lavorativa, durante lo svolgimento della stessa, se non per specifiche e motivate esigenze che attengono alla tutela del patrimonio aziendale (comma 3).

La disposizione, in attuazione del principio di trasparenza che muoveva gli intenti del legislatore statutario, finisce per autorizzare il controllo mediante guardie giurate solo se privo degli aspetti di controllo occulto o “polizieschi” (storicamente realizzati mediante la costituzione di polizie interne impiegate per finalità di controllo disciplinare o antisindacale) e solo se volto a tutelare il patrimonio aziendale.

Riferendosi al patrimonio aziendale, la disposizione intende limitare il ricorso alle guardie giurate solo per tutelare i beni aziendali intesi quali beni mobili, immobili e immateriali nella disponibilità del datore di lavoro. Quest’ultima specificazione segna una distinzione tra la normativa statutaria ed il testo unico sulla pubblica sicurezza (r.d. 1931 n. 773); l’art. 133 del Regio Decreto, infatti, circoscrive l’oggetto dell’attività di custodia alle sole proprietà mobiliari ed immobiliari.

Inoltre, la disposizione preclude l’accesso alle guardie giurate ai soli locali aziendali dove si svolge l’attività lavorativa: non si applica, pertanto, né alle mense, né agli spogliatoi, né ai locali aziendali dove si svolge la produzione durante una pausa. L’eccezione alla regola è giustificata solo in presenza di interessi qualificati la cui sussistenza dovrà essere provata dal datore di lavoro.

La violazione della norma può comportare sia la sospensione dal servizio della guardia giurata, sia l’irrogazione di una sanzione penale in capo al datore di lavoro inadempiente: la violazione dell’art. 2 costituisce, infatti, reato ex art. 38, St. Lav.. Inoltre, le informazioni acquisite in violazione dell’art. 2 sono inutilizzabili, specie a fini disciplinari.

ll personale di vigilanza: art. 3 St. Lav.

L’art. 3 dispone che “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza devono essere comunicati ai lavoratori interessati”.

Anche questa norma mira a paralizzare le forme di controllo occulto o “poliziesco” ai danni dei lavoratori, nel solco del principio di trasparenza già richiamato.

Per quanto riguarda l’ambito applicativo dell’art. 3, si sottolinea che il personale di vigilanza verifica il corretto svolgimento della prestazione lavorativa; pertanto, nelle ipotesi in cui vengano realizzati comportamenti illeciti da parte dei lavoratori, esulanti dalla normale attività lavorativa, l’art. 3 non troverà applicazione.

Sono infatti ritenuti legittimi i controlli svolti, su incarico del datore di lavoro, da agenzie investigative, purché non attengano all’adempimento della prestazione lavorativa e siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo. Va sottolineato che, in tali ipotesi l’intervento è giustificato sia in ragione della commissione di illeciti astrattamente ascrivibili al lavoratore, sia in ragione del solo sospetto che gli illeciti siano in corso di esecuzione

La disposizione si riferisce ai soli addetti a mansioni di vigilanza specifiche: restano esclusi dal raggio applicativo della norma i collaboratori dell’imprenditore e i superiori gerarchici che, ricoprendo una posizione direttiva, esercitano per definizione il potere in esame. Pertanto, nessuna limitazione sarebbe opponibile ai collaboratori del datore di lavoro ed ai superiori gerarchici che, nell’atto di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, si avvalgano del controllo esercitato in modo occulto.

Infine, come per l’art. 2, la sanzione prescritta in caso di violazione dell’art. 3 è l’inutilizzabilità del dato acquisito.

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di controllo dei lavoratori

  1. “Le disposizioni dell’art. 5 St. Lav., in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza (nel caso di specie, relativa ad un infortunio lamentato dal lavoratore, gli accertamenti espletati non avevano una finalità di tipo sanitario, sicuramente preclusa, mirando, piuttosto, esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilità della malattia o la idoneità di essa a giustificare uno stato di incapacità lavorativa rilevante; ne discende la legittimità dell’accertamento effettuato anche mediante controlli di tipo investigativo non attenendo gli stessi allo svolgimento dell’attività lavorativa stricto sensu, bensì, all’insussistenza di una situazione atta a ridurre la capacità lavorativa del dipendente)” Cass. 11697/2020 in Diritto & Giustizia 2020, 17 giugno;
  2. i controlli tramite agenzie investigative, se miranti ad accertare illeciti quale la falsa attestazione di presenza sul lavoro e la truffa a danno del datore di lavoro, fuoriescono dal campo di applicazione degli artt. 2, 3 e 4 Stat. Lav., Trib. Padova, 4 Ottobre 2019, in “Segnalazioni” in Wikilabour;
  3. “I controlli, demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, non sono preclusi ai sensi degli artt. 2 e 3 statuto lavoratori laddove non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo” Cass. 18/2/2019, n. 4670, secondo cui in D&G 2019;
  4. Il controllo di una agenzia investigativa non può riguardare in nessun caso né l’adempimento né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile all’attività lavorativa, che è sottratta a suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili all’inadempimento dell’obbligazione, e ciò anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali. (Cass. 11/6/2018 n. 15094, ord., Rel. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di V. Nuzzo, “Sull’utilizzo delle agenzie investigative per il controllo della prestazione resa fuori dai locali aziendali”, 800);
  5. È legittimo il controllo del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa nei confronti del lavoratore che utilizzi impropriamente i permessi previsti dall’art. 33 della legge n. 104/1992, in quanto siffatto controllo non ha a oggetto l’adempimento o l’inadempimento della prestazione lavorativa, ma lo svolgimento di una condotta fraudolenta suscettibile anche di rilevanza penale. (Cass. 4/3/2014 n. 4984, Pres. Vidiri Est. Arienzo, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di M. Russo, “Abuso dei permessi per assistenza disabili e controlli occulti”, 444);
  6. Sono legittimi i controlli investigativi effettuati dal datore di lavoro attraverso agenzia specializzata, ove finalizzati alla rilevazione di eventuali illeciti da parte del personale dipendente a danno del patrimonio aziendale. (Trib. Milano 2/12/2013, Giud. Cuomo, in Lav. nella giur. 2014, 291);
  7. È illegittimo il controllo effettuato tramite agenzia investigativa sull’attività lavorativa in sé considerata, potendo i controlli difensivi effettuarsi solo sugli atti illeciti del dipendente esulanti dall’attività lavorativa, ancorché occasionati da quest’ultima, e solo allorché tale strumento sia indispensabile. (Trib. Milano 26/7/2012, Est. Scarzella, in D&L 2012, con nota di Davide Bonsignorio, “Sul potere di controllo del datore di lavoro”, 738);
  8. Sono pienamente legittimi i controlli posti in essere, all’interno di un’azienda, dai dipendenti di agenzie investigative che operano come normali clienti e non esercitano alcun potere di vigilanza e controllo (Cass. n. 829/1992). Ciò in quanto rientra nel potere dell’imprenditore la facoltà di avvalersi di appositi organismi per controllare, anche occultamente, il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione. (Cass. 18/11/2010 n. 23303, Pres. Vidiri Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Francesco Barracca, 684);
  9. L’obbligo di pubblicità dei nominativi e delle specifiche mansioni del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa previsto dall’art. 3 SL, è estraneo allo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici, normalmente rientranti nei poteri dell’imprenditore ex art. 2104 c.c. e da costoro legittimamente esercitabili anche in forma occulta. La normativa statutaria non esclude, tuttavia, la possibilità di controlli occulti da parte del datore di lavoro mediante soggetti estranei all’organizzazione aziendale con riferimento a condotte penalmente rilevanti o comunque illecite che, come tali, esulano dall’attività lavorativa in senso stretto; al di fuori di suddetti limiti, la vigilanza sull’attività esterna dei dipendenti disposta dal datore di lavoro per il tramite di private agenzie investigative viola gli artt. 2 e 3 SL: i risultati dei suddetti controlli sono inutilizzabili ai fini del procedimento disciplinare ed è, pertanto, illegittimo il licenziamento disposto sulla base dei relativi addebiti. (Trib. Firenze 29/11/2003, Est. Lococo, in D&L 2004, 357, con nota di Lisa Giometti, “L’esercizio del potere di controllo mediante azioni investigative”);
  10. L’accertamento, a mezzo di investigatori privati, di altra attività in costanza dello stato patologico dichiarato è illegittimo solo in ordine alle modalità di espletamento di detta attività. (Trib. Nocera Inferiore 26/5/00, pres Russo, est. Fortunato, in Lavoro giur. 2000, pag. 1159, con nota di Buonaiuto, Il licenziamento disciplinare per attività lavorativa durante la malattia);
  11. Dall’esame dell’art. 2, comma 2, l. n. 300/70, secondo cui al datore di lavoro è vietato adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell’attività lavorativa e a queste ultime di accedere ai locali ove la stessa si svolge, si desume che il divieto di controllo (da parte di personale avente compiti di mera vigilanza) sul modo della prestazione d’opera attiene a quella resa all’interno dell’azienda. Non essendo disposto alcunché per la verifica dell’attività svolta, al di fuori dei locali aziendali, da parte di lavoratori non inseriti nel normale ciclo produttivo – la cui prestazione non può essere verificata con l’esercizio di poteri di direzione, controllo tecnico e sorveglianza – ne discende che il controllo, ad opera di investigatori privati, sul comportamento tenuto dai lavoratori fuori dei locali aziendali non contrasta con l’articolo 2 Statuto dei Lavoratori ed è legittimo tanto più quando non è finalizzato a verificare la diligenza dell’adempimento della prestazione ma comportamenti che possono integrare gli estremi di reato (nel caso, di truffa, lucrando la retribuzione oziando, in luogo di lavorare). E’ legittimo il controllo in questione, anche se commissionato a privata agenzia investigativa da società distaccataria nei confronti di lavoratori distaccati da società incorporante, in ragione di principi sanciti dall’articolo 2504-bis, c.c., secondo cui la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte (Cass. 5/5/00, n. 5629, pres. Trezza, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag.1684, con nota di Meucci, Sorveglianza di lavoratori, con mansioni esterne, a mezzo di investigatori privati).