Legittimazione processuale

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Questa voce è stata curata da Chiara Bovenga

 

 

Scheda sintetica

Nel Codice di Procedura Civile non esiste una definizione di legittimazione processuale, pertanto sono state la dottrina e la giurisprudenza ad incaricarsi di elaborarne una in modo tale da distinguere definitivamente tale concetto da altri ad esso similari.
Infatti, la legittimazione processuale (anche detta legittimazione formale o legitimatio ad processum) non deve essere confusa né con la capacità d’agire, né con la capacità processuale, né tanto meno con la legittimazione ad agire (anche detta legitimatio ad causam).
Nel paragrafo successivo verranno meglio esaminate le differenze tra queste nozioni; in questa sede invece pare opportuno offrirne solo un quadro sintetico e generale. La capacità d’agire identifica la capacità di essere soggetti di diritto, la capacità processuale è invece la capacità di stare in giudizio, mentre la legittimazione ad agire si esaurisce nella titolarità dell’azione esercitata giudizialmente.
Al contrario, la legittimazione formale attiene a un presupposto processuale, ossia alla titolarità dei pieni poteri processuali.

 

Normativa di riferimento

  • art. 75 c.p.c.
  • art. 77 c.p.c.
  • art. 299 c.p.c.
  • art. 300 c.p.c.
  • art. 320 c.p.c.
  • art. 343 c.p.c.
  • art. 390 c.p.c.

 

 

Scheda di approfondimento

Nozione di legittimazione processuale

I termini “legittimazione processuale” e “capacità processuale” sono spesso utilizzati come sinonimi. Tuttavia gli sviluppi dottrinali e giurisprudenziali più recenti hanno chiarito come i due termini in realtà indichino due situazioni differenti.
Più precisamente, la capacità processuale è la capacità di stare in giudizio intesa come “riflesso processuale” della capacità di agire di cui all’art. 2 c.c., ossia della capacità di compiere atti giuridici riconosciuta a tutti coloro che possono esercitare liberamente i propri diritti. Al contrario, la legittimazione processuale identifica il potere di stare in giudizio.

In altri termini, la capacità processuale è l’idoneità di un soggetto a compiere e ricevere gli atti processuali valutata in astratto (per esempio, avranno capacità processuale i maggiorenni); la legittimazione processuale invece consiste nella concreta titolarità del potere di esercitare diritti processuali e di compiere i relativi atti.

Nel primo caso, dunque, si è in presenza di una qualità intrinseca della persona, mentre nel secondo ci si riferisce a una posizione giuridica.
Nella maggior parte dei casi chi ha capacità processuale ha anche legittimazione processuale, mentre chi difetta di capacità processuale non è neppure titolare della legittimazione processuale e, in tal caso, i suoi diritti processuali vengono esercitati da terzi che compiono i relativi atti in suo nome e per suo conto.

La differenza tra questi due concetti emerge chiaramente in tutte quelle ipotesi in cui un soggetto è astrattamente capace, ma non può comunque agire in giudizio
Il caso tipico in cui non vi è coincidenza è l’ipotesi ex art. 43 L. Fall.: il fallito, una volta che ha subito il c.d. spossessamento, pur potendo astrattamente stare in giudizio poiché pienamente titolare della capacità processuale, perde la legittimazione processuale e al suo posto, per le controversie relative i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, sta in giudizio il Curatore.
Questa ricostruzione ha fatto sì che molti commentatori abbiano altresì interpretato l’art. 75 c.p.c., rubricato “capacità processuale”, come riferito indirettamente anche alla legittimazione processuale: infatti, è stato sostenuto che il riferimento all’ “incapacità a stare in giudizio” contenuto nei commi 2 e 3 avrebbe dovuto essere riferito anche a tutte quelle situazioni in cui un soggetto, dotato di capacità processuale, non potesse in realtà esercitare i diritti processuali.

L’aver svincolato la nozione di legittimità formale da quella di capacità processuale ha altresì permesso di fornire un fondamento allo stare in giudizio delle persone giuridiche che, in quanto tali, non possiedono la stessa qualità intrinseca costituita dalla capacità processuale delle persone fisiche e, dunque, necessitavano di un diverso appiglio giuridico per stare legittimamente in giudizio.
Inoltre, pare opportuno precisare come la legittimazione processuale debba anche essere tenuta distinta dalla legittimazione ad agire: infatti, si può affermare che un soggetto possiede la legittimazione ad agire tutte le volte in cui sia titolare del diritto rivendicato nella domanda giudiziale nei confronti di colui contro cui agisce in giudizio. La legittimazione processuale è un requisito che attiene al processo in generale, mentre la legittimazione ad agire è un requisito dell’azione in senso concreto, che va analizzato caso per caso.

 

Difetto di legittimazione processuale

La legittimazione processuale deve preesistere alla preposizione della domanda e la sua mancanza comporta l’inammissibilità della domanda stessa e l’impossibilità per il Giudice di pronunciarsi nel merito. La conseguente invalidità del processo può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento con l’unico limite della pronuncia di una sentenza definitiva e inappellabile; in ogni caso, il difetto di legittimazione processuale può essere sanato dalla persona realmente dotata di tale legittimazione tramite la convalida di tutti gli atti compiuti in precedenza. L’esempio tipico è quello del genitore che agisce in giudizio in rappresentanza del figlio non più minorenne: in un simile caso si è in presenza di un difetto di legittimazione processuale del genitore, ma il figlio ormai maggiorenne può sanare in ogni stato e grado del giudizio, con effetto retroattivo, gli atti compiuti dal genitore.

 

Rappresentanza legale

Come anticipato nel paragrafo precedente, l’art 75 del codice di procedura civile tratta anche delle ipotesi di scissione tra capacità processuale e legittimazione formale nei casi della rappresentanza legale degli incapaci e della rappresentanza organica delle persone giuridiche.
In particolare, il comma 2 dispone che “le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”.

Perciò, per quanto riguarda le persone fisiche:

  • il minore sta in giudizio per mezzo dei genitori congiuntamente o del genitore esercente la potestà genitoriale o per mezzo del tutore nell’ipotesi di cui all’art. 343 c.c. (morte dei genitori o altre cause per le quali questi non possano esercitare la potestà genitoriale). Inoltre, per gli atti di straordinaria amministrazione il genitore dovrà essere autorizzato a stare in giudizio dal Giudice tutelare (l’autorizzazione sana con effetto retroattivo gli atti compiuti), salvo il caso in cui debba solo resistere a una domanda proposta nei confronti del minore. Al contrario, il tutore dovrà sempre essere autorizzato, anche per gli atti di ordinaria amministrazione;
  • l’interdetto (l’infermo di mente) sta in giudizio per mezzo del tutore ai sensi dell’art. 420 c.c.;
  • il minore emancipato, ai sensi dell’art. 394 c.c., e il maggiore inabilitato, ai sensi dell’art. 424 c.c., (entrambi dotati di semi-capacità) stanno in giudizio con l’assistenza del curatore (si badi, non saranno rappresentati dal curatore, ma assistiti, affiancati).

A norma del comma 3 dell’art. 75 c.p.c., le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo degli organi che li rappresentato ai sensi della legge o dello statuto. Più precisamente:

  • lo Stato sta in giudizio per mezzo dei singoli ministeri nella persona del ministro e talvolta di alcuni organi locali (es: prefetto);
  • le regioni stanno in giudizio per mezzo dei presidenti;
  • le province stanno in giudizio per mezzo del presidente della giunta provinciale autorizzato dalla giunta o dal consiglio;
  • i comuni stanno in giudizio nella persona del sindaco, autorizzato dalla giunta o dal consiglio;
  • le società commerciali stanno in giudizio per mezzo dei soci o degli amministratori ai quali è conferita la rappresentanza (legale rappresentante), ma se sono in liquidazione ai liquidatori;
  • le associazioni non riconosciute stanno in giudizio nella persona alla quale è conferita la presidenza o la direzione;
  • i comitati stanno in giudizio tramite il presidente;
  • il fallimento sta in giudizio nella persona del Curatore, autorizzato dal Giudice Delegato;
  • il condominio sta in giudizio nella persona dell’amministratore.

Nel caso in cui manchi la persona alla quale spetta la rappresentanza oppure quando quest’ultima si trovi in una situazione di conflitto di interessi, il Giudice può nominare un curatore speciale in seguito alla domanda proposta dalla parte, dai prossimi congiunti o dal rappresentante stesso, dal P.M. o da chiunque vi abbia interesse. In ogni caso, questa domanda deve essere proposta dinanzi al Giudice che sarebbe competente per la causa che si intende instaurare.

 

Rappresentanza volontaria

Una persona capace e astrattamente dotata anche di legittimazione formale può conferire ad altri il potere di rappresentarla nel processo: in tal caso la legittimazione processuale sarà l’effetto della volontà del rappresentato che deve esprimerla tramite procura conferita per iscritto. L’art. 77 c.p.c. dispone che “il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è stato loro conferito espressamente per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e le misure cautelari”. La rappresenta processuale volontaria non può essere conferita da sola e la rappresentanza può essere conferita solo a chi è già procuratore generale o procuratore speciale del rappresentato entro il limite degli affari trattati.
Qualora si agisca in giudizio in violazione del disposto di tale norma, il rappresentante sarebbe un falsus procurator e il processo da questi promosso sarebbe nullo, salva la ratifica del rappresentato con effetti sanatori retroattivi.

 

La rappresentanza tecnica

Diverso ovviamente è il caso della rappresentanza tecnica del difensore: infatti, tranne che nelle cause dinanzi al Giudice di Pace di valore inferiore a euro 1.100, le parti necessitano dell’assistenza di un difensore per stare in giudizio.
Il potere viene conferito al difensore mediante la procura alle liti, da farsi per iscritto con atto pubblico o scrittura privata autenticata (ipotesi più diffusa) da apporsi a margine o in calce all’atto processuale (la procura depositata telematicamente si considera in calce). La procura può essere speciale (per un processo determinato) o generale e si presume conferita per un solo grado del processo, se non è diversamente disposto nella procura stessa.
Si instaura così un rapporto di mandato con rappresentanza e, ai sensi dell’art. 84 c.p.c., il difensore “può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere”.
L’art. 85 c.p.c. precisa che la procura può essere revocata e il difensore può rinunciare al mandato. Tali atti non hanno effetti nei confronti delle altre parti fino a che non è intervenuta la sostituzione del difensore.

 

Perdita della capacità processuale

Ai sensi dell’art. 299 c.p.c., “se prima della costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale, il processo è interrotto”. La medesima conseguenza si verificherebbe qualora la capacità venisse meno successivamente alla costituzione della parte, a condizione che il procuratore lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti (art. 300 c.p.c.).

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di legittimazione processuale

  1. La dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell’art. 43 L.F., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore. Se, però, l’amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (massima Cass., Ord. 03 aprile 2018, n. 8132 in Banca Dati Giuridica UTET-CEDAM)
  2. La cancellazione della società dal registro delle imprese determina la sua immediata estinzione; pertanto l’appello successivo al verificarsi della cancellazione deve provenire (o essere indirizzato) dai soci (o nei confronti dei soci) succeduti alla società estinta, a pena di inammissibilità, atteso che la cancellazione determina il difetto di capacità processuale della società ed il difetto di legittimazione a rappresentarla in capo all’ex liquidatore (massima Cass., Ord. 16 gennaio 2018, n. 822 in Banca Dati Giuridica UTET-CEDAM)
  3. La rappresentanza processuale del minore (da parte del genitore, del tutore, o, ove ricorra, del curatore speciale) non cessa automaticamente allorché il minore diventa maggiorenne ed acquista, a sua volta, la capacità processuale, rendendosi invece necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione della circostanza con un atto del processo. È infatti solo da tale momento che cessa la legittimazione processuale del rappresentante, e che si produce, nel giudizio di merito, l’interruzione del processo, nonché che i successivi atti processuali vanno indirizzati personalmente alla parte (Trib. Milano, 22 novembre 2017, in Banca Dati Giuridica UTET-CEDAM)