Contributi sindacali

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Questa voce è stata curata da Alberto Berri

 

Scheda sintetica

I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale: così l’articolo 26 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300).
A seguito di una modifica (parziale) della norma appena citata, è stato soppresso l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare quel “servizio gratuito” consistente nella raccolta e nel versamento dei contributi alle associazioni sindacali.
Tuttavia, nonostante la modifica ricordata, l’obbligo di trattenere e versare alle associazioni sindacali il relativo contributo continua a sussistere in tutti i casi in cui ciò sia previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile tra le parti.
Il diritto di un’associazione sindacale di percepire dal datore di lavoro, tramite ritenuta sullo stipendio dei lavoratori, i contributi sindacali che questi ultimi intendono versarle, presuppone un contratto collettivo che sia operante fra l’associazione stessa e il datore di lavoro (e che preveda modalità di versamento dei contributi idonea a tutelare la segretezza dei versamenti). Tale sistema di finanziamento viene accordato a tutti i sindacati che stipulino contratti collettivi indipendentemente dal fatto oggettivo che siano maggiormente rappresentativi sul piano nazionale.
Si pone, tuttavia, un problema nel momento in cui si tratti di organizzazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi.
La posizione della magistratura e della dottrina sul punto segna(va) due diversi orientamenti.

  1. Un primo orientamento parte dalla considerazione che non esiste più, a seguito del referendum, un diritto di origine legale di riscossione dei contributi sindacali. Ne consegue che le organizzazioni sindacali non possono più agire contro il datore di lavoro se questi non procede al versamento dei contributi. E’ necessario che il singolo lavoratore deleghi il datore di lavoro a trattenere e versare per suo conto il contributo sindacale in base allo schema di cui all’articolo 1269 del codice civile (delegazione di pagamento). In base a tale norma, tuttavia, è necessario che il datore di lavoro acconsenta al versamento; diversamente non sarà possibile imporgli alcun obbligo. Secondo questo orientamento, in caso di rifiuto non sarà possibile identificare la condotta del datore di lavoro come antisindacale.
  2. Sul versante opposto si registrano sentenze che hanno invece affermato la natura antisindacale di una siffatta condotta datoriale. Queste pronunce hanno, cioè, ritenuto che la fattispecie di cui si tratta sia riconducibile nell’ambito della cessione del credito a norma degli articoli 1260 e seguenti del codice civile (e non già della delegazione di pagamento), cessione che è efficace dal momento in cui viene notificata, senza necessità di accettazione del debitore.

Il contrasto di giurisprudenza è stato da ultimo composto dalla Corte di Cassazione (a Sezioni Unite), che ha ritenuto più corretta la tesi della cessione del credito:

  1. Quanto alla giurisprudenza di legittimità favorevole alla tesi della delegazione di pagamento: Cass. civ., sez. lav., 3 febbraio 2004, n. 1968; Cass. civ., sez. lav., 3 giugno 2004, n. 10616.
  2. Quanto alla giurisprudenza di legittimità favorevole alla tesi della cessione del credito: Cass. civ., sez. lav., 26 febbraio 2004, n. 3917; Cass. civ., sez. lav., 26 luglio 2004, n. 14032; Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2005, n. 28269.

 

 

Fonti normative

  • Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 26
  • Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 18, comma 3

 

 

Scheda di approfondimento

E’ opportuno ricordare la struttura originaria dell’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) prima della sua parziale abrogazione, che ne ha cancellato il secondo e terzo comma.
Abbiamo già visto che il primo comma prevede il diritto dei lavoratori “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”.
Il secondo comma prevedeva, invece, il diritto delle associazioni sindacali di percepire i contributi sindacali dei lavoratori tramite ritenuta sul salario (e sulle prestazioni erogate dal datore di lavoro per contro degli enti previdenziali), rinviando alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le modalità del versamento, dirette anche a garantire la segretezza della scelta del lavoratore.
Il terzo comma, infine, prevedeva, per le aziende nelle quali il rapporto di lavoro non fosse regolato da contratti collettivi, il diritto del lavoratore di chiedere il versamento dei contributi all’associazione da lui indicata.
Come si può intuire, il secondo e terzo comma oggi abrogati, assicuravano un meccanismo di efficiente raccolta dei contributi sindacali.
La loro cancellazione è stata accolta assai criticamente da una parte della dottrina che ha osservato come “in omaggio ad un (prevalso) atteggiamento ostile e livoroso verso l’istituzione sindacale è stato soppresso l’obbligo del datore di lavoro di raccolta e versamento delle contribuzioni necessarie per la vita e la continuità dell’organizzazione sindacale, obbligo sempre mal sopportato dall’opinione borghese e bottegaia, in quanto imposto ad una parte del rapporto di lavoro (l’azienda) a favore della controparte antagonista (il sindacato), mentre si consentivano e si consentono, pacificamente, senza reazioni di sorta, in assenza di una norma di legge speciale …, le ritenute e i versamenti alle varie finanziarie operanti sul mercato, con le quali i lavoratori hanno contratto finanziamenti e mutui e alle quali hanno ceduto (parzialmente) il proprio credito sulla retribuzione (e sul t.f.r.) dovutagli dal datore di lavoro … Due pesi, due misure …” (Mario Meucci)

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contributi sindacali

  1. Il divieto di cessioni parziali di credito di natura retributiva da parte dei lavoratori subordinati pubblici e privati, di cui all’art. 5, DPR 5/1/50 n. 182 come novellato dalle leggi 30/12/04 n. 311 e 14/5/05 n. 80, non ha carattere generale, essendo limitato alla sola estinzione di prestiti contratti con soggetti diversi dagli istituti di credito indicati agli artt. 15 e 53 del TU, sicché sono consentite le cessioni parziali di crediti retributivi al datore di lavoro ai fini di contribuzione sindacale. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
  2. Il rifiuto datoriale di eseguire i pagamenti al sindacato delle quote di retribuzione cedute dai lavoratori costituisce inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, si configura anche quale condotta antisindacale ex art. 28 SL, ledendo il diritto del sindacato di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. Tale inadempimento può, tuttavia, essere giustificato – con onere della prova a carico del datore di lavoro – nel caso in cui la cessione comporti, in concreto, un onere aggiuntivo insostenibile per l’azienda, nella specie non configurabile in relazione al solo numero elevato delle cessioni che è proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione sindacale e in mancanza di prova del rifiuto del creditore lavoratore cedente a collaborare per un equo contemperamento di interessi. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
  3. Qualora il CCNL di categoria stabilisca che il contributo sindacale mensile si calcoli con una determinata percentuale della sola paga base tabellare e il datore di lavoro operi la ritenuta non su tale paga, ma anche su altre voci retributive quali “aumenti di anzianità”, “assegno ad personam”, “contingenza”, “indennità traghetto”, si configura un’ipotesi di inesatto inadempimento dell’obbligazione di corresponsione della retribuzione e, pertanto, il datore di lavoro è tenuto a restituire al lavoratore la somma risultante dalla differenza tra quanto trattenuto e quanto avrebbe dovuto trattenere secondo il suddetto criterio. (Trib. Napoli 11/3/2009, Giud. Santulli, in Lav. nella giur. 2009, 633)
  4. Le modifiche del DPR n. 180 del 1950 non escludono la possibilità di fare ricorso all’istituto della cessione del credito in relazione ai contributi sindacali. L’irrilevanza del comparto in cui il sindacato opera trova conferma nell’art. 39 della Costituzione, il quale lega alla categoria, non l’azione sindacale, ma solo l’efficacia del CCNL. Pertanto, è da considerarsi antisindacale la condotta datoriale tesa a impedire la raccolta dei contributi per l’associazione sindacale scelta dai lavoratori, sulla base di un’illegittima valutazione di quale debba essere il sindacato rappresentativo degli stessi; tale comportamento, infatti, lede la libertà sindacale dei lavoratori, mettendo in discussione l’idoneità rappresentativa dell’associazione sindacale interessata. (Trib. Rossano 12/3/2007, decr., Est. Coppola, in ADL 2008, con commento di Lorenzo Scarano, 290)
  5. Dopo che il panorama normativo è mutato all’esito del referendum abrogativo dei commi 2 e 3 dell’art. 26 St. Lav., – che attribuivano alle organizzazioni sindacali il diritto di ricevere dal datore di lavoro, attraverso trattenute sullo stipendio, i contributi sindacali dai loro iscritti – resta applicabile l’istituto giuridico della cessione del credito che interviene tra i lavoratori e le organizzazioni sindacali cui gli stesso sono iscritti non essendo richiesto il concorso della volontà del debitore ceduto (datore di lavoro). Il referendum, peraltro, ha lasciato in vigore il primo comma dell’art. 26 Statuto dei Lavoratori, che protegge i diritti individuali dei lavoratori concernenti l’attività sindacale per quanto attiene, in particolare, alla raccolta dei contributi: stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della retribuzione costituisce una modalità di esercizio di detti diritti, con la conseguenza che il rifiuto del datore di lavoro di darvi corso, lungi dal concretare un mero illecito civilistico, opera una compressione dei diritti individuali e di quelli del sindacato, configurando, quindi, comportamento sindacale. (Corte app. Milano 22/2/2007, Pres. castellini Rel. Accardo, in Lav. nella giur. 2007, 1149)
  6. La disposizione contrattuale che prevede l’impegno del datore di lavoro di effettuare la trattenuta dei contributi sindacali ai dipendenti che ne facciano richiesta ha natura obbligatoria e non normativa e costituisce comportamento antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di effettuare, su richiesta del lavoratore, le trattenute sindacali previste dal contratto collettivo applicato in azienda, in favore di un sindacato non firmatario dello stesso. (Fattispecie relativa all’interpretazione dell’art. 6 del c.c.n.l. Industria Metalmeccanica Privata). (Cass. 9/5/2002, n. 6656, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 14, con nota di Cristina Saisi, Clausole collettive in materia di contribuzione sindacale e criteri della relativa interpretazione).
  7. Il referendum popolare indetto con il D.P.R. 5/4/95 che ha abrogato i commi 2° e 3° dell’art. 26 Stat. Lav. non ha eliminato il diritto dei lavoratori e dei sindacati di ricorrere per il pagamento del contributo sindacale all’utilizzazione dello schema contrattuale che l’ordinamento ha previsto in via generale come strumento per consentire all’autonomia negoziale il soddisfacimento di qualsiasi interesse meritevole di apprezzamento (art. 1260 e seguenti c.c.). Pertanto, il rifiuto del datore di lavoro di riconoscere l’efficacia alla cessione di credito integra un comportamento oggettivamente antisindacale essendo indubbio che il percepimento dei contributi sindacali per mezzo dell’istituto della cessione di credito costituisce per il sindacato espressione dell’esercizio della libertà e attività sindacale. Un rifiuto da parte del datore di lavoro potrebbe essere legittimamente opposto solo dimostrando che attraverso la cessione dei crediti è divenuto eccessivamente gravoso l’adempimento dell’obbligo di pagare le retribuzioni (Trib. Verona 2/4/01, est. Matano, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 24)
  8. Il comportamento del datore di lavoro è antisindacale tutte le volte che sia in contrasto con le norme imperative destinate a tutelare in via diretta ed immediata l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale e leda i diritti sindacali di cui ai titoli II e III dello Statuto dei lavoratori. E con specifico riferimento ai contributi sindacali, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato in diverse pronunce (vedasi Cass. 5/2/00, n. 1312; Cass. 9/9/91, n. 9470; Cass. 9/2/89, n. 822) che, laddove i lavoratori abbiano richiesto al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali e abbiano rilasciato delega allo stesso per versarli ad associazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda, il comportamento omissivo del datore di lavoro che rifiuti di effettuare detti versamenti si configura come antisindacale, in quanto pregiudica l’acquisizione da parte del sindacato dei mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento dell’attività, e perciò ricade nella tutela inibitoria prevista dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori che sia invocata dalla medesima associazione sindacale (Cass. 16/3/01, n. 3813, pres. Amirante, est. Lamorgese, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1215; Cass. 16/3/01, n. 3813, pres. Amirante, est. Lamorgese, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 227, con nota di Marando, La contribuzione sindacale tramite ritenuta sul salario dopo l’abrogazione dell’art. 26 S.L.: una nuova pronuncia della Corte di Cassazione)
  9. Costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro che rifiuti la riscossione dei contributi sindacali a favore di un sindacato al quale i lavoratori, ai sensi dell’art. 1260 c.c., avevano ceduto parzialmente il proprio credito retributivo, ai fini del pagamento delle contribuzioni associative, dato che, ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione diviene efficace per il datore di lavoro sulla base della sola notificazione. Ben può una condotta antisindacale essere integrata da asserite violazioni di obblighi di natura contrattuale sorti mediante l’utilizzo di istituti di diritto comune. (Trib. Larino 27/12/00, pres. e est. D’Arcangelo, in Dir. lav. 2001, pag. 205, con nota di De Capoa, La disciplina dei contributi sindacali)
  10. La cessione parziale del credito retributivo con cui il lavoratore adempie ai propri obblighi associativi nei confronti del sindacato cui aderisce è negozio idoneo allo scopo perseguito. Il contemperamento tra le opposte esigenze della tutela della libertà sindacale e della irrevocabilità della dichiarazione unilaterale del lavoratore di destinare una quota della retribuzione a favore di un certo sindacato è rappresentato dall’atto di adesione del singolo all’associazione sindacale stessa. Costituisce condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di effettuare le trattenute dei contributi sindacali a titolo di cessione del credito ex art. 1260 c.c. (Trib. Milano 31/7/00, pres. e est. Vitali, in Dir. lav. 2001, pag. 205, con nota di De Capoa, La disciplina dei contributi sindacali)
  11. L’istituto della cessione del credito appare adeguato ed attinente alla volontà delle parti che hanno inteso trasferire alla propria organizzazione sindacale una quota della retribuzione al fine di effettuare il versamento delle contribuzioni associative. L’onerosità aggiuntiva dell’adempimento del debitore ceduto indotta dalle cessioni non appare eccessiva rispetto al normale obbligo di buona fede e correttezza, stante il disposto dell’art. 1196 c.c., secondo il quale gli oneri del pagamento sono a carico del debitore. Deve ritenersi antisindacale il comportamento del datore di lavoro che rifiuti di effettuare le trattenute dei contributi sindacali richieste a titolo di cessioni di credito ex art. 1260 c.c. (Trib. Milano 28/7/00, pres. e est. Cincotti, in Dir. lav. 2001, pag. 205, con nota di De Capoa, La disciplina dei contributi sindacali)
  12. Costituisce condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di effettuare – su richiesta di un lavoratore – la trattenuta sindacale, ai sensi dell’art. 6, del c.c.n.l. metalmeccanici privati, in favore di un sindacato non firmatario del contratto collettivo (Trib. Milano 17/3/00, est. Curcio, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 344 )
  13. Nel caso di cessione, da parte del lavoratore, di una quota della retribuzione a favore della propria organizzazione sindacale, al fine di effettuare il versamento dei contributi sindacali, costituisce condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di effettuare la relativa trattenuta (Pret. Milano 31/10/98, est. Curcio, in D&L 1999, 59. In senso conforme, v. Trib. Milano 31/7/00, est. Vitali, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 626, con nota di De Carlo, Appunti in materia di riscossione dei contributi sindacali; Trib. Milano 28/7/00, est. Cincotti, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 621, con nota di De Carlo, Appunti in materia di riscossione dei contributi sindacali
  14. E’ ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della L. 4/6/73 n. 311 recante “Estensione del servizio di riscossione dei contributi associativi tramite gli enti previdenziali” (Corte Cost. 7 febbraio 2000 n. 47, pres. Vassalli, rel. Bile, in D&L 2000, 315, n. Guariso, Ammissibile (ma sbagliato e inutile) il referendum abrogativo della L. 311/71)
  15. L’istituto della cessione del credito appare adeguato e attinente alla volontà delle parti che hanno inteso trasferire all’associazione di categoria una quota del credito retributivo del dipendente al fine del pagamento delle contribuzioni associative. L’onerosità aggiuntiva dell’adempimento del debitore ceduto così indotta non appare eccessiva e debordante rispetto al normale obbligo di collaborazione e salvaguardia nell’esecuzione del contratto fissato dalla legge (per lo più nella permanenza di detto obbligo, di fonte contrattuale, nei confronti delle OO.SS. stipulanti il Ccnl di settore), stante, inoltre, il disposto dell’art. 1196 c.c., secondo il quale le spese del pagamento sono a carico del debitore (nella fattispecie, è stata dichiarata la antisindacalità del rifiuto, da parte del datore di lavoro, di procedere alle trattenute e al relativo versamento all’organizzazione sindacale prescelta dal lavoratore) (Pret. Cosenza 22/5/96, est. Baraschi, in D&L 1997, 263, n. Portera, Tra delegazione e cessione del credito: gli esiti dell’abrogazione del 2° e 3° comma dell’art. 26 SL; in senso conf.: Pret. Cassino 5/2/96, est. Lisi, in D&L 1997, 263, n. Portera, Tra delegazione e cessione del credito: gli esiti dell’abrogazione del 2° e 3° comma dell’art. 26 SL)
  16. Non è antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, a seguito della parziale abrogazione dell’art. 26 SL disposta dal DPR 28/7/95 n. 313 in esito alla consultazione referendaria dell’11/6/95 e in assenza di una regolamentazione pattizia della materia, abbia cessato di effettuare le trattenute sindacali (nella fattispecie, il Pretore ha ritenuto che l’art. 6 D.G. sez. II CCNL metalmeccanici privati sia applicabile anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti, senza peraltro configurare diritti, azionabili ex art. 28 SL, in capo ai sindacati non stipulanti) (Pret. Monza 5/1/96, est. Dani, in D&L 1996, 368)
  17. Ha natura sindacale e ha quindi diritto a percepire i contributi sindacali tramite ritenute sul salario l’organizzazione che, pur raggruppando sia lavoratori che piccoli imprenditori, si ponga statutariamente finalità di natura sindacale (il provvedimento è anteriore alla parziale abrogazione dell’art. 26 SL disposta dal DPR 28/7/95 n. 313 in esito alla consultazione referendaria dell’11/6/95) (Pret. Milano 2/2/95, est. Canosa, in D&L 1995, 566, nota FRANCESCHINIS, Sindacati misti e fattispecie sindacale)