Licenziamento per giustificato motivo soggettivo (GMS)

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Scheda sintetica

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro.

Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento:

Recentemente, a seguito delle modifiche introdotte con la riforma pensionistica del 2012, si è posto il problema relativo al diritto del lavoratore alla conservazione del posto sino al 70° anno di età.

Ai sensi dell’art. 24 del D.L. 201/2011(cd. “Riforma delle pensioni Monti”, convertito con modifiche nella Legge 22 dicembre 2011 , n. 214), le tutele previste a favore del lavoratore illegittimamente licenziato si applicano sino a che quest’ultimo non abbia compiuto 70 anni, anche quando abbia raggiunto l’età prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Più precisamente, prima dell’introduzione della norma citata, il lavoratore che avesse raggiunto l’età pensionabile poteva essere licenziato ad nutum. Ciò significa che, una volta raggiunta dal lavoratore l’età anagrafica fissata dalla legge per l’ottenimento della pensione di vecchiaia, il datore di lavoro poteva licenziare il dipendente anche in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.

A seguito della citata riforma delle pensioni, la situazione è, invece, mutata.
La legge 201/2011, infatti, in riferimento alla pensione di vecchiaia (ossia quella cui si accede per raggiunti limiti di età), è intervenuta su due punti importanti:

  1. in primo luogo, ha innalzato l’età pensionabile e ha previsto un meccanismo di adeguamento alla speranza di vita finalizzato ad elevare annualmente l’età anagrafica necessaria ad accedere automaticamente alla pensione (per il 2012, l’età minima è fissata rispettivamente a 66 anni per gli uomini e a 62 anni per le donne, salva sempre una contribuzione di almeno 20 anni);
  2. in secondo luogo, ha introdotto degli incentivi a favore dei lavoratori che, pur possedendo tutti i requisiti necessari per accedere alla pensione, decidano di rimanere comunque a lavorare fino a 70 anni.

Fra gli incentivi, il più rilevante è quello che riguarda il diritto potestativo del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro fino al compimento dell’età predetta. Il dipendente che non abbia ancora compiuto 70 anni può, quindi, continuare a lavorare. Inoltre, egli conserva le tutele previste a suo favore dalla legge nel caso in cui subisca un licenziamento e questo non sia sorretto da giusta causa o giustificato motivo (rispettivamente tutela obbligatoria per le cd. piccole imprese e tutela ex art. 18 S.L. per le aziende con più di 15 dipendenti).

Va infine segnalato che, con norma di interpretazione autentica, il D.L. 101/2013 (c.d. Decreto salva pubblica amministrazione), all’art. 2, comma 5, ha precisato che “l’articolo 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, si interpreta nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione”.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di licenziamento per raggiunti limiti di età

  1. Nel lavoro subordinato privato, la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse. (Cass. 29/12/2014 n. 27425, Pres. Roselli Est. Tria, in Lav. nella giur. 2015, 306)
  2. L’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 (riforma “Fornero” del sistema previdenziale) non innova al quadro normativo preesistente, in forza del quale, raggiunta l’età massima lavorativa, non è applicabile, ex art. 4 co. 2 legge 108/90, la tutela ex art. 18 legge 300/70. (Trib. Genova 11/11/2013, ord., Est. Barenghi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Vincenzo Ferrante, “Licenziamento dell’ultrasessantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4 D.L. 201/2011): lex minus dixit quam voluit?”, 373)
  3. Il licenziamento, intimato per la sola ragione del raggiungimento dell’età di pensionamento di vecchiaia, non è discriminatorio, poiché al legislatore nazionale non è inibito, a mente dell’art. 6 della direttiva 2000/78, dettare una normativa che assuma l’età quale elemento idoneo a fondare una disparità di trattamento fra i lavoratori. (Trib. Genova 11/11/2013, ord., Est. Barenghi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Vincenzo Ferrante, “Licenziamento dell’ultrasessantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4 D.L. 201/2011): lex minus dixit quam voluit?”, 373)
  4. Una normativa nazionale che autorizza il datore di lavoro a licenziare un lavoratore per il fatto che questi ha raggiunto l’età pensionabile incide sulla durata del rapporto di lavoro che lega le parti nonché sullo svolgimento da parte del lavoratore della sua attività professionale e rientra dunque nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/Ce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c). (Corte Giustizia Ce 5/3/2009 causa C-388/07, Pres. Rosas Rel. Lindh, in D&L 2009, 929)
  5. La donna ultrasessantenne può essere licenziata ad nutum, perdendo la tutela di stabilità legale come previsto dalla legge 108/1990, se al compimento dell’età pensionabile non abbia preventivamente esercitato il diritto di opzione nei termini perentori di legge. Il difetto di esercizio del diritto di opzione e la prosecuzione del rapporto lavorativo oltre l’età pensionabile non costituiscono rinuncia del datore di lavoro all’esercizio del diritto di recesso. (Cass. 6/2/2006 n. 2472, Pres. Ianniruberto Rel. Vidimi, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Davide Gallotti e Emanuela Cusmai, 798)
  6. Con riferimento alla non applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti in ragione dell’età o della condizione pensionistica, disciplinata dall’art. 4 della legge n. 108 del 1990, dal sistema dei rinvii previsti dalla suddetta norma risulta che l’intenzione del legislatore era quella di escludere nei confronti dei suddetti lavoratori (in linea di massima) l’applicabilità dell’intera legge n. 604 del 1966, a prescindere dalla dimensione occupazionale del datore di lavoro, ed in particolare l’applicabilità della norma (rilevante nel caso di specie) che prevede l’inefficacia del licenziamento per violazioni delle prescrizioni formali (articolo 2 della legge n. 604 del 1966). (Cass. 11/4/2005 n. 7359, Pres. Mercurio Rel. Toffoli, in lav. e prev. oggi, 2005, 1275)
  7. Al datore di lavoro è imposto il divieto – la cui violazione implica l’applicazione, a seconda delle diverse condizioni, della tutela obbligatoria o reale del posto di lavoro – di esercitare il recesso ad nutum nei confronti della lavoratrice che, pur in possesso dell’età pensionabile, non abbia raggiunto l’età lavorativa massima, ella avendo diritto di proseguire il rapporto di lavoro, senza avere alcun onere di comunicazione al riguardo, fino al raggiungimento di quest’ultima età. (Cass. 24/4/2003 n. 6535, Pres. Ianniruberto Est. Prestipino, in Foro it. 2003, parte prima, 1577)
  8. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 4, secondo comma, L. 11 maggio 1990 n. 108, dell’art. 6 d.l. 22 dicembre 1981 n. 791, convertito, con modificazioni, in l. 26 febbraio 1982 n. 54, dell’art. 6, primo comma, l. 29 dicembre 1990 n. 407, modificato dall’art. 1, secondo comma, d. leg. 30 dicembre 1992 n. 503, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, primo comma, stesso d. leg. N. 503 del 1992, come modificato dall’art. 11, primo comma, l. 23 dicembre 1994 n. 724, nella parte in cui prevedeva, in via transitoria, che, mentre gli uomini conservano la stabilità del posto di lavoro fino al compimento del sessantatreesimo anno di età, le donne potevano continuare fino al sessantesimo anno e per poter usufruire del prolungamento al sessantatreesimo anno erano soggette all’onere di opzione, in riferimento agli artt. 3 e 37 Cost. (Corte Cost. 20/6/2002 n. 256, Pres. Ruperto Est. Amirante, in Foro it. 2003, parte prima, 2577)