Maternità – Astensione facoltativa

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Questa voce è stata curata da Barbara Fezzi

 

 

Scheda sintetica

A entrambi i lavoratori genitori è riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino (c.d. congedi parentali).

Il diritto all’astensione facoltativa dal lavoro è riconosciuto, ai sensi dell’art. 32 del d.Lgs. 151/2001, ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti (esclusi quelli a domicilio o gli addetti ai servizi domestici) titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto, nonché alle lavoratrici madri autonome, seppur per periodi inferiori.

Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Le modalità e i tempi di fruizione dei congedi parentali sono stati recentemente modificati da due decreti legislativi (il n. 80 e il n. 81 del 2015), entrambi emanati per dare attuazione al c.d. Jobs Act.

Le nuove disposizioni, originariamente previste in via sperimentale per il solo anno 2015, sono state successivamente rese definitive e strutturali dal decreto legislativo n. 148/2015, entrato in vigore a settembre 2015.

A seguito delle novità introdotte dai decreti attuativi del Jobs Act, la legge ora prevede che i genitori lavoratori, nei primi 12 anni di vita del figlio (8 anni, nella disciplina pre-riforma), possono astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 10 mesi , frazionati o continuativi; i mesi sono 11, se il padre si astiene almeno per 3 mesi.
Ciascun genitore può usufruire del congedo parentale per un massimo di 6 mesi , elevabili a 7, per il padre lavoratore che esercita il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi.
Nel caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale sussiste per ciascun bambino.

Il diritto all’astensione facoltativa è riconosciuto anche ai genitori adottivi e affidatari , che possono usufruire dei congedi parentali entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia (art. 36 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015).
Le lavoratrici autonome hanno invece diritto di fruire del congedo parentale per un massimo di tre mesi entro l’anno di vita del bambino.

La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata (legge n. 104/1992 art. 4, comma 1) hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di congedo parentale ordinario, non superiore a tre anni, o, in alternativa , nei primi tre anni di vita del minore, a un permesso giornaliero di due ore retribuite, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore (art. 33 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015).
Per quanto riguarda la fruizione dei congedi parentali, il decreto 80/2015 ha introdotto la possibilità per i genitori di scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria (il congedo a ore era stato introdotto già con la legge di stabilità 2013, che ne aveva tuttavia subordinato l’applicabilità a previ accordi in sede di contrattazione collettiva).
La legge precisa che la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale.

Ai fini dell’esercizio del diritto al congedo parentale, i lavoratori devono:

  • preavvisare, salvo casi di oggettiva impossibilità, il datore di lavoro secondo le modalità previste dai rispettivi contratti collettivi e, comunque, con un periodo di preavviso non inferiore a 5 giorni (2, nel caso di congedo a ore);
  • presentare per via telematica la relativa domanda all’Inps precisando il periodo di assenza, e consegnarne copia al datore di lavoro.

Il genitore richiedente deve allegare alla domanda presentata all’INPS:

  • certificato di nascita (o dichiarazione sostitutiva) da cui risulti la paternità o la maternità (i genitori adottivi o affidatari sono tenuti a presentare il certificato di stato di famiglia che includa il nome del bambino e il provvedimento di affidamento o adozione);
  • dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore da cui risulti il periodo di congedo eventualmente fruito per lo stesso figlio (nella dichiarazione occorre indicare il proprio datore di lavoro o la condizione di non avente diritto al congedo);
  • analoga dichiarazione non autenticata di responsabilità del genitore richiedente relativa ai periodi di astensione eventualmente già fruiti per lo stesso figlio;
  • impegno di entrambi i genitori a comunicare le variazioni successive.

La malattia della lavoratrice madre o del lavoratore padre durante il periodo di congedo parentale interrompe il periodo stesso con conseguente slittamento della scadenza e fa maturare il trattamento economico relativo alle assenze per malattia. In tal caso, occorrerà inviare all’azienda il relativo certificato medico e comunicare esplicitamente la volontà di sospendere il congedo per la durata del periodo di malattia ed eventualmente spostarne l’utilizzo.

Il periodo di astensione facoltativa è computato nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia.

Con la riforma del 2012, è stata inoltre introdotta, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo per il pagamento dei servizi di baby sitting che può essere erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro.
La legge 208/2015 ha confermato tale misura anche per il 2016.

Ai lavoratori genitori è infine riconosciuta la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50% (novità introdotta dal d.lgs. 81/2015).

 

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