Referendum sindacale

Tu sei qui:

Questa voce è stata curata da Giampaolo Furlan e Alexander Bell

Definizione

Il Referendum sindacale previsto dallo Statuto dei Lavoratori è uno strumento di democrazia diretta, finalizzato a far emergere su determinate tematiche e all’interno di un’azienda, l’opinione dei lavoratori dipendenti, iscritti o meno al sindacato.

 

Fonti normative

  • Legge n. 300/1970, Statuto dei lavoratori, art. 21
  • Contratti collettivi
  • Legge n. 146/1990, art. 14

 

Convocazione

La convocazione del referendum può essere disposta dalle RSA, che sono a ciò legittimate solo mediante un’iniziativa congiunta, ovvero dalle RSU unitariamente intese, ogniqualvolta queste, elette nei luoghi di lavoro, siano automaticamente subentrate alle RSA.
La legittimazione all’indizione del referendum è limitata a questi soggetti, essenzialmente per favorire la stabilità delle strategie del sindacato, che tende a scongiurare il rischio di contestazioni da parte di lavoratori dissenzienti e contemporaneamente per impedire, nell’interesse datoriale, l’eccessiva proliferazione di consultazione nei luoghi di lavoro.

 

Modalità di svolgimento

Il referendum deve riguardare materie concernenti l’ambito sindacale e deve tenersi nel luogo di lavoro, ma fuori dall’orario lavorativo, salvo diversa previsione contrattuale.

Per quanto riguarda l’efficacia dello strumento in parola, la giurisprudenza e dottrina prevalenti, concordano nel considerarlo uno strumento politico, in quanto non vi è dubbio sulla sua non vincolatività: in caso di esito negativo, infatti, il referendum non incide sull’efficacia dell’accordo collettivo sottoposto al suo vaglio.

La consultazione referendaria è, inoltre, aperta a tutti i lavoratori appartenenti all’unità produttiva e alla categoria interessata, indipendentemente dalla loro iscrizione al sindacato.

Tale diritto deve essere riconosciuto anche a quei lavoratori sospesi a seguito di intervento di CIG o di provvedimento disciplinare.

A carico della parte datoriale vi è l’obbligo di cooperazione al fine di favorire il regolare svolgimento della procedura di consultazione referendaria.

Tale obbligo di cooperazione si sostanzia, ad esempio, nel mettere a disposizione dei lavoratori i locali aziendali dove si terrà il referendum, in modo tale che gli stessi siano correttamente utilizzabili (riscaldamento, illuminazione, sorveglianza ecc.).

In caso di mancata collaborazione ovvero di ostruzione dell’attività di consultazione da parte del datore di lavoro, vi sarà la repressione della relativa condotta, in quanto antisindacale, e vi sarà, pertanto, la possibilità per il sindacato di proporre un’azione ai sensi dell’art. 28 Legge 300/1970.

Il voto espresso nel referendum, in assenza di previsione legale, si ritiene debba essere segreto.

Si precisa, altresì, che la contrattazione collettiva, anche aziendale, può prevedere ulteriori e diverse modalità di svolgimento.

Un’ipotesi particolare

L’art. 14, 1° comma, della Legge 146/1990, come modificato dalla legge n. 83/2000, attribuisce il potere di indizione del referendum alla Commissione di Garanzia, unicamente per comporre i dissensi, tra i sindacati o tra un numero rilevante di lavoratori, sulle clausole contrattuali inerenti alla definizione delle prestazioni minime indispensabili da assicurare in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Tale strumento referendario è, tuttavia, differente e autonomo rispetto a quello previsto dall’art. 21 Legge n. 300/1970.

 

La “validazione” dei contratti

Di recente, le parti sociali – e non, dunque, il legislatore – hanno concordato l’introduzione di due nuove ipotesi di consultazione dei lavoratori.

In particolare, l’Accordo Interconfederale stipulato il 28 giugno 2011 da Confindustria e dalle confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, prevede che i contratti collettivi aziendali approvati dalle RSA, per poter esplicare efficacia nei confronti di tutto il personale, devono essere sottoposti al voto dei lavoratori; voto che deve essere promosso dalle RSA a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione firmataria dell’Accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto.

L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti (punto 5 dell’Accordo Interconfederale).

La seconda ipotesi di consultazione dei lavoratori introdotta dalle parti sociali è quella prevista dal Protocollo di Intesa stipulato il 31 maggio 2013, il quale stabilisce che i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore superiore al 50%, per essere efficaci e pienamente esigibili anche nei confronti delle organizzazioni sindacali che non li abbiano sottoscritti ma che aderiscano a una delle tre confederazioni firmatarie del Protocollo, devono essere previamente sottoposti a consultazione certificata dei lavoratori – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto –, con approvazione a maggioranza semplice (Punto 3 del Protocollo, in tema di Titolarità ed efficacia della contrattazione).

 

Voci correlate

  • Per dettagli ed approfondimenti si veda la voce Sindacati
  • Per la casistica di decisioni della Magistratura in materia di diritto sindacale si veda l’apposita sezione alla voce Sindacati