Corte d’Appello di Milano, 20 maggio 2016
Costituisce discriminazione diretta l’esclusione dalla candidatura a una posizione lavorativa di hostess di una ragazza musulmana che non è disponibile a non indossare il velo hijab.
La Corte d’Appello, in contrasto con il giudizio del primo giudice, accoglie il ricorso di una ragazza alla quale una società di selezione del personale aveva negato la possibilità di candidarsi per un posto di lavoro da hostess, poiché la stessa non era disposta a lavorare senza l’hijab sul capo (velo che copre i capelli delle donne di religione musulmana) e la Società assumeva che la testa scoperta fosse essenziale per svolgere il lavoro. Il collegio, nel motivare la sua decisione, fa riferimento all’art 3, commi 1 e 3, del D.Lgs 261/2003; tale normativa vieta condotte discriminatorie nell’accesso al mercato del lavoro, basate su motivi, fra gli altri, di carattere religioso, a meno che le caratteristiche impeditive non siano legate a un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. In questo caso, non si è ritenuto che tenere i capelli scoperti potesse essere considerato requisito essenziale, anche perché la richiesta di capelli “lunghi, sciolti e vaporosi” compresa nei criteri di selezione rientrava tra le caratteristiche secondarie indicate dalla società-cliente, e non nei requisiti assolutamente indispensabili. Alla ragazza viene riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale alla sfera personale ed esistenziale, valutato in via equitativa.