Corte di cassazione, sentenza 4 aprile 2017 n. 8722 –
La violazione da parte del dipendente pubblico dell’obbligo di esclusiva può comportare una sanzione disciplinare anche se l’incompatibilità relativa venga rimossa a seguito di diffida della P.A..
Nella valutazione, sul piano disciplinare, della gravità della condotta di violazione dell’obbligo di esclusiva, va tenuto in particolare conto del comportamento del dipendente dopo la diffida e della mancata rimozione della situazione di incompatibilità.
Nell’impiego pubblico contrattualizzato, il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare esclude che l’inerzia del datore di lavoro possa far sorgere nel dipendente il legittimo affidamento sulla liceità della sua condotta, ove questa contrasti con precetti imposti dalla legge, dal codice di comportamento o dal contratto collettivo.
Il caso che ha costituito l’occasione per le severissime affermazioni della Corte è quello del direttore amministrativo di una AUSL, il quale, diffidato dall’Amministrazione in data 20 aprile 2011 di rimuovere la situazione di incompatibilità rappresentata dall’incarico di amministratore di una società in nome collettivo e essendosi tardivamente dichiarato disposto a provvedervi in data 29 gennaio 2012, aveva ricevuto la relativa contestazione di addebito solo nel dicembre 2013 ed era stato licenziato per giusta causa il 21 febbraio 2014. Nel giudizio conseguente, la Corte ha cassato la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare per l’affidamento del dipendente circa l’accoglimento delle sue giustificazioni, originato dall’inerzia dell’Amministrazione tra il gennaio 2012 e il dicembre 2013. La Corte ha altresì indicato ai giudici di merito i criteri di legge da seguire nella valutazione del caso.
Sezione: rapporto d’impiego pubblico