Congedi parentali

Scheda sintetica

Per congedo parentale si intende il diritto in capo a entrambi i genitori di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino.
La disciplina dei congedi parentali è stata oggetto di recenti modifiche da parte di due decreti legislativi (il n. 80 e il n. 81 del 2015), entrambi attuativi della legge delega n. 183/2014 (c.d. Jobs Act).
In particolare, la disciplina pre-riforma prevedeva che i genitori lavoratori, nei primi otto anni di vita del figlio, potessero astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 10 mesi, frazionati o continuativi (i mesi sono 11, se il padre si astiene almeno per 3 mesi).
Ciascun genitore poteva usufruire del congedo parentale per un massimo di 6 mesi (elevabili a 7, per il padre lavoratore che avesse esercitato il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi).
Per i primi 3 anni di vita del bambino, e per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi, nei periodi in cui godevano di questo congedo, le lavoratrici e i lavoratori avevano inoltre diritto a una indennità pari al 30% della retribuzione.
Con il decreto legislativo n. 80/2015, il legislatore ha ridisegnato la suddetta normativa, introducendo una serie di modifiche dichiaratamente volte a estendere il diritto di astensione dal lavoro dei lavoratori genitori. In particolare, la riforma del 2015 ha stabilito:

  • l’estensione ai primi 12 anni di vita del bambino (anziché ai primi 8 anni) del periodo nel quale i genitori possono astenersi dal lavoro (rimane invece invariata la durata complessiva del periodo di congedo);
  • l’estensione ai primi 6 anni di vita del bambino (anziché ai primi 3 anni) del periodo nel quale i genitori, allorché si astengono dal lavoro fruendo del congedo parentale, hanno diritto all’indennità pari al 30% della retribuzione;
  • la possibilità per i genitori di scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria del congedo parentale (il congedo a ore era stato introdotto già con la legge di stabilità 2013, che ne aveva tuttavia subordinato l’applicabilità a previ accordi in sede di contrattazione collettiva);
  • la riduzione a 5 giorni (rispetto agli originari 15 giorni) del termine entro il quale il lavoratore deve preavvisare il datore di lavoro della volontà di fruire del congedo (in caso di congedo parentale su base oraria, il termine è ulteriormente ridotto a 2 giorni).

Tutte queste modifiche, inizialmente previste in via sperimentale per il solo anno 2015, sono state rese definitive e strutturali dal d.lgs. 148/2015, entrato in vigore il 24 settembre 2015.
Un’ulteriore novità in materia di congedi parentali è stata introdotta dal decreto legislativo n. 81/2015 (in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro), anch’esso attuativo del Jobs Act. Nello specifico, il decreto attribuisce ai lavoratori e alle lavoratrici la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50%.

Per approfondimenti si veda anche la voce Lavoratrice madre

Per la casistica di decisioni della Magistratura in tema di Congedi parentali, si veda la specifica sezione contenuta nella voce Maternità – Tutele e diritti

 

 

 

Fonti normative

  • Decreto legislativo n. 151/2001, Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto legislativo n. 80/2015, recante “misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’art. 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”
  • Decreto legislativo n. 81/2015, recante “disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”
  • Contratto Collettivo di Lavoro applicato

 

 

Scheda di approfondimento

Per congedo parentale si intende il diritto in capo a entrambi i genitori naturali di astenersi dal lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi anni di vita del bambino.
Il diritto all’astensione facoltativa dal lavoro è riconosciuto, ai sensi dell’art. 32 d.lgs. 151/2001, ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti (esclusi quelli a domicilio o gli addetti ai servizi domestici) titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto, nonché alle lavoratrici madri autonome per un periodo massimo di tre mesi.
Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto in quanto non occupato o perché appartenente a una categoria diversa da quella dei lavoratori subordinati.
Le modalità e i tempi di fruizione dei congedi parentali sono stati ampiamente modificati da due recenti decreti legislativi (il n. 80 e il n. 81 del 2015), entrambi emanati per dare attuazione al c.d. Jobs Act.
Le nuove disposizioni, originariamente previste in via sperimentale per il solo anno 2015, sono state rese definitive e strutturali dal decreto legislativo n. 148/2015, entrato in vigore a settembre 2015.

A seguito delle novità introdotte dal Jobs Act, l’odierna disciplina prevede che i genitori lavoratori, nei primi 12 anni di vita del figlio (8 anni nella disciplina pre-riforma), possono astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 10 mesi, frazionati o continuativi (i mesi sono 11, se il padre si astiene almeno per 3 mesi).
Ciascun genitore può usufruire del congedo parentale per un massimo di 6 mesi (elevabili a 7, per il padre lavoratore che esercita il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi).
Nel caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale sussiste per ciascun bambino.

Del pari, anche i genitori adottivi e affidatari possono usufruire dei congedi parentali entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia (art. 36 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dall’art. 10 del d.lgs. 80/2015).
Le lavoratrici autonome hanno invece diritto di fruire del congedo parentale per un massimo di tre mesi entro l’anno di vita del bambino.

La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata (legge n. 104/1992 art. 4, comma 1) hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di congedo parentale ordinario, non superiore a tre anni, o, in alternativa, nei primi tre anni di vita del minore, a un permesso giornaliero di due ore retribuite, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore (art. 33 del d.lgs. 151/2001, così come modificato dal d.lgs. 80/2015).
Per quanto riguarda la fruizione dei congedi parentali, il decreto 80/2015 ha introdotto la possibilità, per i lavoratori e le lavoratrici, di fruire del congedo parentale su base oraria, anziché su base mensile o giornaliera, anche in assenza di specifici accordi in sede di contrattazione collettiva, accordi che erano invece richiesti dalla legge n. 228/2012, che ha introdotto nel nostro ordinamento questa particolare modalità di esercizio del congedo parentale.
La riforma prevede inoltre la non cumulabilità del congedo a ore con altri permessi o riposi disciplinati dal Testo Unico sulla maternità e paternità (d.lgs. n. 151/2001).

A proposito delle modalità di esercizio del congedo a ore, l’art. 7 del decreto (che ha modificato l’art. 32 del d.lgs. 151/2001) prevede che “la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale”.
L’Inps, in una circolare successiva all’entrata in vigore del decreto (circolare n. 152 del 2015), ha precisato che, nella prima fase di attuazione delle novità introdotte dalla riforma, la richiesta all’Istituto dovrà essere presentata mediante un’apposita domanda on line, che è diversa dalla domanda telematica in uso per la richiesta del congedo parentale giornaliero o mensile. Per tale motivo, se in un determinato arco di tempo, il genitore intende fruire il congedo parentale in modalità giornaliera e/o mensile e in modalità oraria, dovrà utilizzare le due diverse procedure di invio on-line.

Nella domanda di congedo parentale a ore il genitore dichiara:

  • se il congedo è richiesto in base alla contrattazione di riferimento oppure in base al criterio generale previsto dall’art. 32 del d.lgs. 151/2001 (in questo caso la fruizione nella singola giornata di lavoro è necessariamente pari alla metà dell’orario medio giornaliero);
  • il numero di giornate di congedo parentale da fruire in modalità oraria (la procedura infatti prevede che il totale delle ore di congedo richieste sia calcolato in giornate lavorative intere);
  • il periodo all’interno del quale queste giornate intere di congedo parentale saranno fruite.

Sempre nella prima fase di attuazione delle nuove disposizioni, le domande di congedo parentale a ore dovranno essere presentate in relazione a singolo mese solare. Quindi, per esempio, se il genitore intende fruire di congedo parentale a ore sia nel mese di novembre sia nel mese di dicembre, dovranno essere presentate due distinte domande, una per ciascun mese.
Ai fini dell’esercizio del diritto al congedo parentale, i lavoratori devono:

  • preavvisare, salvo casi di oggettiva impossibilità, il datore di lavoro secondo le modalità previste dai rispettivi contratti collettivi e, comunque, con un periodo di preavviso non inferiore ai 5 giorni (2, nel caso di congedo a ore);
  • presentare per via telematica la relativa domanda all’Inps precisando il periodo di assenza, e consegnarne copia al datore di lavoro.

Il genitore richiedente deve allegare alla domanda presentata all’Inps:

  1. certificato di nascita (o dichiarazione sostitutiva) da cui risulti la paternità o la maternità (i genitori adottivi o affidatari sono tenuti a presentare il certificato di stato di famiglia che includa il nome del bambino ed il provvedimento di affidamento o adozione);
  2. dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore da cui risulti il periodo di congedo eventualmente fruito per lo stesso figlio; nella dichiarazione occorre indicare il proprio datore di lavoro o la condizione di non avente diritto al congedo;
  3. analoga dichiarazione non autenticata di responsabilità del genitore richiedente relativa ai periodi di astensione eventualmente già fruiti per lo stesso figlio;
  4. impegno di entrambi i genitori a comunicare le variazioni successive.

La malattia della lavoratrice madre o del lavoratore padre durante il periodo di congedo parentale interrompe il periodo stesso con conseguente slittamento della scadenza e fa maturare il trattamento economico relativo alle assenze per malattia. In tal caso occorrerà inviare all’azienda il relativo certificato medico e comunicare esplicitamente la volontà di sospendere il congedo per la durata del periodo di malattia ed eventualmente spostarne l’utilizzo.
Il periodo di astensione facoltativa è computato nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia.
Il diritto all’astensione facoltativa spetta anche per le adozioni e gli affidamenti e può essere fruito entro otto anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Con la riforma del 2012, è stato poi introdotto un regime alternativo al congedo parentale a favore della madre lavoratrice.
La riforma prevede, in particolare, la possibilità di concedere a quest’ultima, nei limiti di spesa stanziati, la corresponsione di un voucher per l’acquisto di baby sitting ovvero per far fronte ai costi dei servizi pubblici o dei servizi privati accreditati per l’infanzia.
Ai lavoratori genitori è infine riconosciuta la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time) , con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50% (novità introdotta dal d.lgs. 81/2015).

 

Il trattamento economico dei congedi parentali

I periodi di assenza facoltativa sono in parte coperti da un trattamento economico di carattere sociale, gestito dall’INPS.
A tal proposito, la disciplina antecedente la riforma del 2015 prevedeva che, durante il periodo di astensione facoltativa, al genitore spettasse un’indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione, fino al terzo anno di vita del bambino, per un periodo massimo di sei mesi per i due genitori complessivamente.
Oltre i sei mesi e dal terzo all’ottavo anno di vita del bambino, l’indennità spettava solo nel caso in cui il reddito individuale dell’interessato fosse risultato inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
Il decreto legislativo n. 80/2015 ha esteso ai primi 6 anni di vita del bambino (anziché ai primi 3 anni) del periodo nel quale i genitori, allorché si astengono dal lavoro fruendo del congedo parentale, hanno diritto all’indennità pari al 30% della retribuzione, a prescindere dalle condizioni di reddito.
Per quanto riguarda, invece, i genitori che rientrano nei limiti di reddito fissati dal terzo comma dell’art. 34 del d.lgs. 151/2001 (reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria), essi continueranno a poter beneficiare dell’indennizzo per i primi 8 anni di vita del bambino.
In base alla nuova disciplina, dunque, il trattamento economico dei congedi parentali è il seguente:

  • per i primi 6 anni di vita del bambino, e per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi, i lavoratori che fruiscono dei congedi parentali hanno diritto all’indennità, indipendentemente dai limiti di reddito;
  • ai genitori che percepiscono un reddito inferiore alla soglia fissata dal legislatore, l’indennità spetta anche durante il settimo e l’ottavo anno di vita del bambino e senza che operi il limite dei 6 mesi complessivi tra i genitori di cui al punto precedente;
  • per il restante periodo in cui è possibile fruire del congedo parentale (vale a dire dai 9 ai 12 anni di vita del bambino), non è prevista alcuna indennità, indipendentemente dal reddito percepito dal lavoratore.

L’accredito della contribuzione figurativa viene effettuato dall’Inps su richiesta della lavoratrice.
Anche se la madre partorisce in un periodo in cui non presta alcuna attività lavorativa, può, con una apposita domanda all’Inps, chiedere l’accredito della contribuzione figurativa del periodo corrispondente al congedo di maternità (due mesi prima e tre mesi dopo il parto). In questo caso l’accredito viene riconosciuto a condizione che, al momento della domanda, l’interessata possa far valere almeno cinque anni di contribuzione.
È inoltre possibile il riscatto, cioè il pagamento in proprio dei contributi, anche del periodo corrispondente al congedo parentale.
Il congedo parentale viene pagato dal datore di lavoro, il quale lo anticipa per conto dell’Inps e lo conguaglia con il versamento dei contributi.
Per le seguenti categorie di lavoratori, invece, il pagamento viene effettuato direttamente dall’Inps:

  • operai agricoli a tempo determinato;
  • operai agricoli a tempo indeterminato;
  • lavoratori dello spettacolo a tempo determinato o a prestazione;
  • lavoratori a tempo determinato per lavori stagionali, nel caso in cui il contratto non preveda la liquidazione a cura del datore di lavoro;
  • lavoratrici autonome (i lavoratori autonomi non ne hanno diritto).