Procedimento disciplinare

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Questa voce è stata curata da Marco Moleri

Scheda sintetica

Tra le conseguenze derivanti dall’esistenza del contratto di lavoro subordinato è previsto il diritto del datore di lavoro di esercitare un potere disciplinare, di natura sanzionatoria, a fronte di comportamenti del lavoratore che costituiscano inosservanza degli obblighi contrattuali.
Il potere disciplinare del datore di lavoro ha lo scopo di tutelare l’organizzazione aziendale ed il rispetto degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, si fonda sul principio di subordinazione del prestatore di lavoro e si traduce nella comminazione di sanzioni disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente.
La sanzione disciplinare non è che l’ultimo atto di una procedura (procedimento disciplinare) i cui termini e fasi sono precisamente sanciti dalla legge e dai contratti di lavoro.
E’ importante considerare che, in gran parte dei casi, il mancato rispetto della procedura rende nulla la sanzione.

In sintesi l’intera procedura disciplinare si articola nelle seguenti fasi:

  1. contestazione di addebito
  2. formulazione delle giustificazioni
  3. comminazione della sanzione disciplinare
  4. impugnazione della sanzione da parte del lavoratore
  5. mediante ricorso al magistrato, preceduto dall’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione
  6. mediante ricorso al Collegio di conciliazione ed arbitrato da azionare entro 20 giorni dalla comminazione della sanzione:
    • se il datore di lavoro non si costituisce nei termini la sanzione decade
    • se il datore di lavoro non aderisce alla richiesta di costituzione del Collegio ne da comunicazione e attiva la normale procedura vertenziale.

Per quanto attiene il piano legislativo il codice civile interviene per regolare il potere disciplinare del datore di lavoro con alcuni articoli:

  • Art. 2104 che prevede l’obbligo del lavoratore di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e l’obbligo di osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore e dai suoi collaboratori sia riguardo all’esecuzione della prestazione sia riguardo alla disciplina aziendale.
  • Art. 2105 vieta al prestatore di lavoro di trattare affari in conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore e di divulgare notizie riguardo all’organizzazione e i metodi di produzione dell’impresa che possano arrecarle pregiudizio
  • Art. 2106 che introduce il principio della proporzionalità tra infrazione e sanzione riconoscendo il massimo di discrezionalità per l’imprenditore per quanto riguarda sia gli aspetti procedurali che sostanziali nell’esercizio del potere disciplinare.

Successivamente la Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) ha profondamente innovato la normativa del codice civile.
In particolare l’art. 7 introduce una serie di limitazioni sostanziali e formali riguardanti l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, al quale viene comunque riconosciuto il diritto di esercitare un potere disciplinare.
Potere che deve tuttavia essere attuato nel rispetto di precise norme anche di tipo procedurale.

Le innovazioni introdotte dall’art. 7 Legge 300/1970 e dalle successive elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, nonché dalla contrattazione collettiva, riguardano:

  • obbligo di pubblicità della normativa disciplinare
  • necessità di una preventiva contestazione e suoi requisiti
  • tempestività della contestazione
  • specificità della contestazione
  • immodificabilità del contenuto della contestazione
  • necessità della forma scritta della contestazione
  • divieto di procedere ad indagini preliminari
  • rispetto di un criterio di proporzionalità della sanzione adottata
  • indicazione di termini e modalità di difesa
  • divieto di mutamenti definitivi del rapporto di lavoro
  • termini per la comminazione del provvedimento
  • recidiva
  • sospensione cautelare
  • sedi e modalità di impugnazione della sanzione disciplinare

Si rinvia ai paragrafi seguenti per il dettaglio dei punti sopra evidenziati.

Particolare rilievo riveste la sanzione maggiormente rilevante comminabile al lavoratore: il licenziamento disciplinare.

Esiste un regime normativo e contrattuale che regola in maniera specifica gli aspetti procedurali per quanto attiene i pubblici dipendenti.
In proposito si veda la voce Procedimento disciplinare nel pubblico impiego

 

Fonti normative

  • art. 2014, 2105, 2106 codice civile
  • Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori)
  • Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro

 

 

Cosa fare – Tempi

In caso di ricevimento da parte del datore di lavoro di contestazione disciplinare è necessario agire con la massima tempestività.
In particolare è opportuno inoltrare richiesta per fornire le giustificazioni (contro deduzioni), meglio se accompagnati da un rappresentante sindacale (o legale).
Tale richiesta deve essere inoltrata tempestivamente e comunque entro 5 giorni dal ricevimento della contestazione.

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

 

Documenti necessari

  • lettera di assunzione
  • lettera di contestazione disciplinare
  • eventuale precedente documentazione relativa ad altre contestazioni

 

 

Obbligo di pubblicità della normativa disciplinare

Il comma primo dell’articolo n. 7 Legge 300/1970 prevede l’obbligo di affiggere in luogo accessibile a tutti i lavoratori il codice contenente le norme disciplinari, le infrazioni in relazione alle quali le norme disciplinari possono essere applicate e le procedure di contestazione.
La normativa del codice disciplinare deve ricondursi a quella dei CCNL eventualmente applicati nell’a singola unità produttiva.
L’assenza del codice disciplinare comporta, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza – compresa quella di legittimità -, la nullità del provvedimento adottato. Va osservato che quanto sopra esposto vale in assoluto in relazione alle sanzioni cosiddette conservative, assai differente essendo l’orientamento della giurisprudenza in ipotesi di licenziamento disciplinare.
Anticipando quanto verrà meglio esposto in seguito, fin d’ora si precisa infatti come la conforme giurisprudenza non consideri di ostacolo alla adozione della sanzione disciplinare del licenziamento, l’eventuale assenza di affissone del codice disciplinare e ciò in quanto la facoltà del datore di lavoro di risolvere il rapporto per fatti gravissimi, tali da non consentire la prosecuzione della attività lavorativa, deriverebbe direttamente dalle disposizioni del codice civile in materia di giusta causa (art. 2119 c.c.) e di giustificato motivo (articolo 3 della Legge 604/1966).
In ipotesi di licenziamento disciplinare pertanto, la mancata e preventiva affissione del codice disciplinare non comporta, di per sé, l’automatica illegittimità della sanzione espulsiva comminata.
Il codice disciplinare deve essere affisso in un luogo accessibile a tutti i lavoratori e, nel caso di aziende con più sedi il codice deve essere affisso in ogni singola unità aziendale.
Inoltre il codice deve essere affisso in maniera permanente e deve sussistere al momento dell’infrazione commessa dal lavoratore.
In materia vi sono numerosi pronunciamenti giurisprudenziali che escludono anche la validità di forme equivalenti di pubblicità, quali ad esempio la consegna ai singoli lavoratori di copia del CCNL, o la disponibilità del codice presso i locali della RSU o presso gli uffici aziendali, o la stessa integrale affissione del CCNL Particolare rilevanza ha in tal senso Cass. Sez. Unite 5.2.88 n. 1208 che ha ribadito la necessità di affissione del codice disciplinare escludendo forme alternative di pubblicità dello stesso.
Circa i contenuti del codice disciplinare esso deve contenere la specifica predeterminazione delle sanzioni irrogabili a fronte di ogni singola infrazione e, in ogni caso viene esclusa la legittimità di codici disciplinari che si limitino ad una generica indicazione delle infrazioni e delle relative sanzioni.
Il codice disciplinare deve inoltre contenere anche le clausole procedurali, in caso contrario è prevista la nullità dei provvedimenti disciplinari adottati.
Si segnala tuttavia la ormai diffusa interpretazione secondo la quale, l’obbligo di affissione del codice disciplinare, si considera assolto qualora il datore di lavoro abbia affisso la parte del CCNL riguardante le norme disciplinari.
Ovviamente, anche in tale ipotesi, permangono tutti i necessari i requisiti sopra esposti circa l’accessibilità, la permanenza e la preesistenza dell’affissione, così come sopra illustrati.

 

Necessità di una preventiva contestazione e suoi requisiti

Il datore di lavoro non può procedere nella comminazione di sanzioni in assenza di preventiva contestazione al lavoratore dell’addebito e senza averne sentito le difese (comma. 2).
Ne consegue la nullità di sanzioni disciplinari comminate, come a volte capita, contestualmente alla contestazione degli addebiti.

 

Tempestività della contestazione

La giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha ribadito che è necessario, ai fini della validità del successivo provvedimento disciplinare, che la contestazione dei fatti avvenga tempestivamente, sia per consentire al lavoratore di esercitare in modo efficace il proprio diritto alla difesa, sia perché da parte del datore di lavoro deve essere applicato un criterio di correttezza e buona fede nell’esercizio del potere disciplinare, nulla rilevando riguardo alla gravità di un singolo episodio contestato il suo ripetersi a distanza di tempo.
Pur non essendo previsto un rigido termine entro il quale la contestazione debba essere emessa, la conforme giurisprudenza ha sottolineato la necessità della attivazione della procedura con “sollecitudine”, condizione ineliminabile per garantire al dipendente una effettiva possibilità di esercitare in modo adeguato ed efficace il proprio diritto di difesa.
Al riguardo i C.C.N.L. dei settori della pubblica amministrazione stabiliscono il termine perentorio entro il quale la contestazione deve essere comunicata, che non può superare i 10 o 20 giorni dalla data in cui la pubblica amministrazione è venuta a conoscenza dei fatti contestati a seconda della gravità dell’addebito e dell’organo competente a gestire la specifica procedura disciplinare.

 

Specificità della contestazione

Il terzo principio introdotto dall’articolo n. 7 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), riguarda la specificità della contestazione.
Una contestazione generica non riconducibile a fatti concreti, circostanziati e circoscritti nel tempo vìola, infatti, il diritto alla difesa del lavoratore in quanto gli impedisce una conoscenza adeguata dell’addebito mosso e comporta la nullità della sanzione disciplinare adottata successivamente.

 

Immodificabilità del contenuto della contestazione

Altro requisito necessario per la validità del provvedimento disciplinare è ravvisato dalla giurisprudenza nell’immodificabilità del contenuto della contestazione rivolta al lavoratore.
E’ pertanto illegittima la sanzione disciplinare adottata con motivazioni differenti da quelle contenute nella lettera di contestazione, o addirittura, come spesso si constata, sulla base di fatti e circostanze ulteriori di cui il lavoratore viene a conoscenza solo in occasione della emanazione della sanzione.

 

Necessità della forma scritta della contestazione

Affinché sia valida la procedura disciplinare occorre che la contestazione sia formulata per iscritto indicando in maniera precisa i fatti contestati, essendo radicalmente esclusa la possibilità di una contestazione in forma orale; in difetto nessuna sanzione adottata è legittima.

 

Divieto di procedere ad indagini preliminari

Il datore di lavoro non può procedere ad indagini preliminari prima che venga formalmente contestato l’addebito al lavoratore.
Sul punto occorre tuttavia una precisazione, sono infatti state ritenute legittime brevi indagini preliminari volte all’esclusivo fine di consentire al datore di lavoro di acquisire gli elementi necessari per assumere la decisione di attivare la procedura, e ciò purché dette indagini preliminari non si trasformino in una anticipata procedura sommaria.

 

Rispetto di un criterio di proporzionalità della sanzione adottata

Il datore di lavoro nel procedere alla comminazione della sanzione disciplinare deve adottare un criterio di proporzionalità tra infrazione e gravità della sanzione.
Questo principio è stato affermato sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità ancor prima del 1970.
Il giudice può sindacare il provvedimento disciplinare comminato dal datore nel caso in cui non venga rispettato il criterio di proporzionalità modificando la sanzione adottata da datore di lavoro ed applicando la sanzione corrispondente all’infrazione in base a quanto previsto dal CCNL o dal regolamento disciplinare aziendale.
La contrattazione collettiva ha, di norma, individuato al proprio interno una gradualità di sanzioni riferite alle infrazioni.
Esse sono:

  • il richiamo verbale
  • il richiamo scritto
  • la multa
  • la sospensione
  • il licenziamento

Il criterio di proporzionalità tra la mancanza e la sanzione comminata non comporta ovviamente il diritto del dipendente a vedersi progressivamente comminare tutte le sanzioni, a partire da quella più lieve; a fronte infatti di fatti gravi potrà legittimamente essere irrogata una sanzione “pesante” anche nella ipotesi in cui il dipendente non abbia avuto precedenti disciplinari.

 

Indicazione dei termini e delle modalità di difesa

Il comma quinto dell’ art. 7 stabilisce che i provvedimenti disciplinari non possono essere adottati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione scritta dell’addebito, ovvero decorso il più lungo termine eventualmente indicato dal contratto collettivo di lavoro.
Entro tale termine il lavoratore ha facoltà di presentare le proprie giustificazioni avvalendosi, se lo ritiene opportuno, dell’assistenza di un rappresentante sindacale.
Non vi è obbligo per il lavoratore di presentare giustificazioni scritte; il lavoratore ha il pieno diritto di scegliere se esporre le proprie controdeduzioni in forma orale ovvero in forma scritta.
Illegittima e come tale causa di radicale illegittimità della sanzione poi comminata sarebbe la pretesa del datore di lavoro di avere controdeduzioni scritte, rifiutandosi di convocare apposito incontro per le richieste difese in forma orale.
Appare a tale proposito opportuno sottolineare la delicatezza di quanto si indica nelle controdeduzioni scritte e, quindi, la assoluta opportunità che il dipendente non produca difese “di getto”, ma si faccia sempre assistere dal delegato sindacale ovvero da funzionario della Organizzazione sindacale stessa.
Nel termine dei cinque giorni sono possibili eventuali integrazioni alle giustificazione.
Il datore di lavoro non può procedere alla comminazione del provvedimento prima che siano trascorsi i termini a difesa del lavoratore. Su questa materia vi è divergenza negli orientamenti della giurisprudenza.
Recentemente la Cass. Sez. Unite ha ritenuto legittima l’adozione del provvedimento prima che siano trascorsi i cinque giorni nel caso di giustificazioni immediate ed esaustive da parte del lavoratore.
Allo stesso tempo ha ritenuto legittimo il diritto del lavoratore di esplicitare la riserva a fornire ulteriori giustificazioni entro il termine dei cinque giorni.
Sarà dunque opportuno che il lavoratore che intenda meglio precisare le proprie difese, magari dopo essersi consultato con i rappresentanti sindacali, esplicitamente scriva di riservarsi ulteriori controdeduzioni; in presenza di tale richiesta esplicita, il datore di lavoro dovrà necessariamente attendere i cinque giorni, all’opposto la eventuale sanzione sarà ritenuta radicalmente illegittima.
Il lavoratore che non si avvale del diritto alla difesa non vede in ogni caso pregiudicato il diritto ad impugnare il provvedimento disciplinare.

 

Divieto di mutamenti definitivi del rapporto di lavoro

Fatto salvo quanto previsto dall’art. 3 Legge 604/66 in materia di giustificato motivo di licenziamento e dall’art. 2119 del codice civile in materia di giusta causa, i provvedimenti disciplinari non possono comportare mutamenti definitivi del rapporto di lavoro, vale a dire mutamenti di mansioni e/o trasferimenti.
Inoltre sia per quanto riguarda il provvedimento della multa che la sospensione l’art. 7 della Legge 300/1970 stabilisce i limiti massimi di onerosità del provvedimento; limiti ripresi dalla contrattazione collettiva.

 

Termini per la comminazione del provvedimento

L’art. 7 Legge 300/1970 non indica un termine per l’irrogazione della sanzione disciplinare. Si intende in ogni caso che la comunicazione del provvedimento debba avvenire rispettando un criterio di tempestività.
La contrattazione collettiva è intervenuta in numerosi casi in materia stabilendo un termine massimo entro il quale il datore di lavoro deve comunicare l’irrogazione della sanzione.
In particolare termini per l’irrogazione della sanzione sono previsti nei CCNL dell’industria meccanica e chimica, del terziario e dei pubblici esercizi.
Il mancato rispetto dei termini stabiliti dalla contrattazione comporta la nullità della sanzione disciplinare.
Ricorrenti problemi e discordanti interpretazioni hanno accompagnato il problema del conteggio dei giorni della procedura, in particolare con riferimento ai tempi di trasmissione degli atti per il tramite del servizio postale.
Sul punto e malgrado sentenza anche contraddittorie, appare importante sottolineare come tutti gli atti della procedura disciplinare costituiscano “atti unilaterali di carattere ricettizio”.
Per l’effetto, tutti gli atti, in quanto atti unilaterali, acquisiscono valore quando giungono a conoscenza della controparte e non quando vengono consegnati al servizio postale o semplicemente elaborati dall’emittente.
E ancora, secondo il codice civile, l’atto consegnato per il tramite del servizio postale si presume conosciuto dal destinatario quando giunga al suo recapito, indipendentemente dalla data in cui ne abbia poi preso effettiva conoscenza.
Per l’effetto, la eventuale raccomandata si considera validamente consegnata anche quando il postino lasci avviso al destinatario eventualmente assente e non quando l’assente abbia materialmente ritirato la raccomandata presso il servizio postale.
Analogamente e per le stesse ragioni, nessun effetto assume l’eventuale rifiuto a ritirare la raccomandata che, essendo comunque giunta al destinatario, si considera consegnata, ancorché rifiutata.

 

Recidiva

L’art. 7 ultimo comma della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), stabilisce che “non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari, decorsi due anni dalla loro applicazione”.
La lettera di contestazione, deve contenere esplicito riferimento alla recidiva, affinché sia possibile la graduazione delle sanzioni.
Inoltre, anche se vi sono in materia orientamenti giurisprudenziali contrastanti, la recidiva a nostro giudizio deve essere relativa a fatti analoghi.
Ricordiamo, tuttavia, che la recidiva disciplinare, anche specifica, cioè relativa ai medesimi fatti non può dar luogo automaticamente al licenziamento disciplinare per giusta causa.
Infatti, anche in presenza di fatti disciplinari regolarmente contestati e per i quali siano stati in passato già emessi provvedimenti definitivi, non si può dar luogo automaticamente al licenziamento, dovendo il giudice comunque controllare la concreta gravità dei fatti.

 

Sospensione cautelare

Il datore di lavoro può, per gravi motivi, sospendere il lavoratore dal servizio, corrispondendogli però, l’intera retribuzione per il periodo strettamente necessario all’accertamento di sue eventuali responsabilità disciplinari, che possono portare al licenziamento, nel caso in cui la permanenza in azienda del lavoratore, costituisca pericolo di inquinamento delle prove, oppure per impedire il compimento di azioni e fatti che possono comportare danni all’incolumità fisica dei lavoratori o alla sicurezza degli impianti.
Rispetto alla sanzione disciplinare della sospensione, la sospensione cautelare, che non costituisce sanzione disciplinare, si caratterizza per il fatto che essa è retribuita e può essere disposta per un periodo più ampio di quello consentito dall’art. 7 della Legge 300/1970 per la sospensione disciplinare.

 

Sedi di impugnazione delle sanzioni disciplinari e relative procedure

Il lavoratore, che subisca un provvedimento disciplinare, può impugnarlo sia per ragioni formali che per ragioni sostanziali.
Sotto il profilo sostanziale, il provvedimento può essere impugnato essenzialmente quando il dipendente contesti la veridicità dei fatti o, comunque assuma la sua estraneità dai medesimi. Il provvedimento, può essere poi impugnato sotto un profilo formale, quando il datore di lavoro non abbia seguito le procedure indicate dall’art. 7 della Legge 300/1970 e dal contratto collettivo (per esempio erogando la sanzione dopo il termine massimo previsto dal contratto).
Anche la mancata affissione del regolamento disciplinare, determina l’illegittimità formale del provvedimento, che non può essere nemmeno ripetuto o rinnovato, proprio perché mancava l’affissione.
Nell’ipotesi di provvedimento disciplinare intimato senza la contestazione scritta del fatto al lavoratore, oppure senza consentire la difesa a mezzo del rappresentante dell’associazione sindacale: commi due e tre dell’art. 7 della Legge 300/1970, in entrambi i casi, il provvedimento è illegittimo sotto il profilo formale, ma il datore di lavoro potrà rinnovare la contestazione.
Il lavoratore, può impugnare il provvedimento davanti al giudice del lavoro, oppure davanti al collegio di conciliazione ed arbitrato, oppure davanti a collegi di conciliazione previsti dai contratti.
Il lavoratore, al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare, può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto, ovvero conferisca mandato, la costituzione tramite Direzione provinciale del lavoro (DPL), di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo, o in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’Ufficio del lavoro.
Il lodo emesso dal Collegio non è impugnabile tranne nei casi di violazione della legge e di vizio della volontà.
Va sottolineato che l’iniziativa di adire il Collegio di conciliazione ed arbitrato è riservata al lavoratore ma deve essere ricevuta dal datore di lavoro.
Quest’ultimo, infatti, potrebbe non aderire alla richiesta di costituzione del Collegio; in tal caso è suo onere attivare la richiesta di convocazione presso la Commissione di conciliazione istituita presso la DPL ai sensi dell’art. 410 c.p.c.
Se il datore di lavoro si limita invece a non indicare il proprio membro in seno al Collegio entro il termine di dieci giorni da quando viene notificata la richiesta da parte della DPL, il provvedimento disciplinare automaticamente decade.
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora, il datore non provveda entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dalla Direzione provinciale del Lavoro a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio, il provvedimento disciplinare viene automaticamente annullato.
Qualora, invece, il datore di lavoro si rivolga al magistrato, la sanzione disciplinare rimane sospesa fino alla definizione del giudizio.
Nel caso in cui sia il lavoratore a promuovere l’azione giudiziaria l’applicazione della sanzione non è sospesa.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di procedimento disciplinare

In genere

  1. Nessuna sanatoria del tuo illecito disciplinare se denunci illeciti di tuoi colleghi. Lo ha stabilito la Cassazione nel caso di un’infermiera, dipendente di un’azienda ospedaliera, che era stata sospesa dal lavoro per quattro mesi, per avere svolto per circa otto anni attività professionale non autorizzata presso un ente privato, e che sosteneva che il fatto di avere denunciato al medesimo datore di lavoro il comportamento analogo di altri colleghi le desse diritto a beneficiare della protezione che l’art. 54-bis, d.lgs. 165/01 riconosce al dipendente pubblico che segnali illeciti di cui sia venuto a conoscenza in occasione della prestazione lavorativa (c.d. whistleblower). In proposito, la Cassazione osserva che (i) la funzione dell’art. 54 bis è quella di impedire che il dipendente che ha effettuato una segnalazione ai propri superiori di illeciti altrui possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad altre misure discriminatorie per motivi collegati in modo diretto o indiretto alla segnalazione; (ii) l’applicazione di una sanzione disciplinare per propri comportamenti illeciti resta dunque al di fuori della protezione offerta da tale norma; (iii) l’interpretazione della Corte è confermata dalle fonti internazionali che sono alla base dell’istituto del c.d. whistleblowing, tra cui la Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 2003 e la Direttiva UE 2019/1937, che impongono agli Stati di tutelare i segnalanti unicamente da eventuali trattamenti ingiustificati e/o forme di ritorsione. (Cass. 31/3/2023 n. 9148, Pres. Tria Rel. Bellè, in Wikilabour, Newsletter n. 7/23)
  2. Il diritto di critica può ritenersi legittimo ove esercitato nel rispetto dei canoni di pertinenza e continenza, formale e sostanziale. In particolare, la critica deve rispondere a un interesse meritevole di tutela del lavoratore e, quindi, concernere direttamente o indirettamente le condizioni di lavoro o sindacali (pertinenza), deve conformarsi nell’esposizione a canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità del datore di lavoro senza eccedere nell’attribuzione di qualità apertamente disonorevoli, in affermazioni ingiuriose ovvero in offese meramente personali (continenza formale) e, ove consista nell’attribuzione al datore di lavoro di determinati fatti, deve rispondere a verità, quanto meno secondo il prudente apprezzamento soggettivo del lavoratore (continenza sostanziale). Il superamento di tali limiti, anche uno solo di essi, rende la condotta lesiva dell’onore datoriale non scriminata dal diritto di critica e suscettibile di rilievo disciplinare, in quanto contraria al dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. (Cass. 18/1/2019 n. 1379, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “Il diritto di critica nella rinnovata rilevanza del limite di pertinenza”, 221)
  3. Il diritto di critica può ritenersi legittimo ove esercitato nel rispetto dei canoni di pertinenza e continenza, formale e sostanziale. In particolare, la critica deve rispondere a un interesse meritevole di tutela del lavoratore e, quindi, concernere direttamente o indirettamente le condizioni di lavoro o sindacali (pertinenza), deve conformarsi nell’esposizione a canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità del datore di lavoro senza eccedere nell’attribuzione di qualità apertamente disonorevoli, in affermazioni ingiuriose ovvero in offese meramente personali (continenza formale) e, ove consista nell’attribuzione al datore di lavoro di determinati fatti, deve rispondere a verità, quanto meno secondo il prudente apprezzamento soggettivo del lavoratore (continenza sostanziale). Il superamento di tali limiti, anche uno solo di essi, rende la condotta lesiva dell’onore datoriale non scriminata dal diritto di critica e suscettibile di rilievo disciplinare, in quanto contraria al dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. (Cass. 18/1/2019 n. 1379, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “Il diritto di critica nella rinnovata rilevanza del limite di pertinenza”, 221)
  4. In ossequio al principio stabilito dall’art. 2106 c.c. e dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, l’esercizio del potere disciplinare da parte dell’imprenditore è regolato da precisi limiti circa le sanzioni da irrogare: la sussistenza e imputabilità del fatto e l’adeguatezza della sanzione. (Trib. Milano 20/8/2014, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2014, 1133)
  5. L’accertamento di un danno subito dal datore di lavoro non implica necessariamente l’accertamento sul contenuto della responsabilità in tutti i suoi elementi e sul grado della responsabilità, e può richiedere accertamenti ulteriori: pertanto, solo dopo l’accertamento di tutti i suddetti profili sorge l’obbligo della contestazione disciplinare. (Cass. 20/6/2014 n. 14103, Pres. Miani Canevari Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Fabio Massimo Galli, 69)
  6. La comunicazione della contestazione di addebito disciplinare deve ritenersi regolarmente effettuata allorché sia avvenuta presso l’indirizzo indicato dal lavoratore e sia stata ricevuta dalla figlia di questi, la quale si sia esplicitamente impegnata a consegnarla al padre. (Cass. 30/5/2014 n. 12195, Pres. Vidiri Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, 924)
  7. È legittima l’irrogazione di una sanzione disciplinare come la multa al dipendente che comunichi l’assenza, immotivata, a sé medesimo, quale ex responsabile del personale, costituendo la condotta evidente insubordinazione. (Trib. Roma 28/11/2012, ord., in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di A. Bussolaro, “Licenziamento, mobbing e insubordinazione in un gruppo parlamentare”, 305)
  8. La produzione da parte del lavoratore di copia di atti e/o documenti riservati al di fuori dell’ambito aziendale, seppur astrattamente idonea a violare i doveri di fedeltà e di riservatezza del dipendente, non assume alcuna rilevanza se attuata per l’esercizio del proprio diritto di difesa. In particolare, deve escludersi che l’utilizzo di documenti aziendali, nell’ambito del procedimento disciplinare di cui all’art. 7 St. lav., possa ledere la riservatezza del datore di lavoro in quanto tali documenti non sono divulgati a terzi, ma sono destinati alla stessa parte datoriale, rimanendo quindi in un ambito di conoscenza circoscritto a quello strettamente aziendale. (Cass. 21/5/2012 n. 7993, Pres. ed Est. Stile, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Antonio Ambrosino, “Produzione di documenti aziendali riservati nel procedimento disciplinare: il contemperamento tra l’obbligo di fedeltà e il diritto di difesa del lavoratore”, 3)
  9. In tema di sanzioni disciplinari, la convocazione in orario lavorativo e nel luogo di lavoro non rientra tra i diritti del lavoratore, purché la convocazione in orari o luoghi diversi non si traduca, per le difficoltà della sua attuazione, in una violazione del diritto di difesa. Infatti, in caso di irrogazione di sanzione disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, a essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore, questi non ha diritto a un diverso incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda a un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (nella specie, la Corte ha escluso che la convocazione presso gli uffici preposti alla gestione del procedimento disciplinare e fissata mezz’ora dopo la conclusione del turno lavorativo fosse tale da rendere difficile o gravoso l’esercizio del diritto di difesa). (Cass. 1/6/2012 n. 8845, Pres. Miani Canevari Est. Balestrieri, in Orient. Giur. Lav. 2012, 349)
  10. Il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa e inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione – nel termine di cui all’art. 7, 5° comma, l. 20 maggio 1970 n. 300 – di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive. (Cass. 22/3/2010 n. 6845, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Orient. giur. lav. 2010, 507)
  11. Ai sensi dell’art. 7, 2° comma, SL – applicabile anche in caso di procedimento disciplinare promosso nei confronti di un dirigente – il lavoratore ha diritto di scegliere le forme della propria difesa, sicché è illegittima la sanzione disciplinare che sia stata applicata negando al dirigente, che ne abbia fatto espressa richiesta, l’audizione orale. (Cass. 1/3/2010 n. 5864, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, in D&L 2010, con nota di Andrea Bordone, “Procedimento disciplinare: anche il dirigente ha diritto all’audizione”, 565)
  12. La disposizione dell’art. 7 St. Lav. impone al datore di lavoro l’audizione orale del dipendente non come dovere autonomo di convocazione del dipendente, ma come obbligo correlato alla manifestazione tempestiva della volontà del lavoratore di essere sentito di persona. La circostanza che tale volontà sia dal lavoratore accompagnata dalla richiesta di una garanzia difensiva non consentita (nella specie: assistenza di un legale), non esclude l’obbligo di sentirlo nei limiti e con le garanzie difensive offerte dalla norma di legge, atteso che detto art. 7 subordina in maniera rigorosa l’irrogazione della sanzione all’audizione, ove richiesta. (Cass. 11/12/2009 n. 26023, Pres. Ravagnani Est. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Enrico Barraco, “procedimento disciplinare: l’audizione del dipendente (privato) avviene senza avvocato”, 765)
  13. Il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere, ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tenere conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati – ove siano stati unificati con quelli ritualmente contestati – ai fini della globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva annullato il licenziamento disciplinare e dichiarato l’inidoneità a sorreggere la sanzione espulsiva, per contrasto con il principio del ne bis in idem, delle ulteriori contestazioni di addebito per fatti pregressi, recapitate al lavoratore ma non seguite da sanzione, neppure dedotte come circostanze aggravanti). (Cass. 27/3/2009 n. 7523, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2009, 832)
  14. La durata della sospensione cautelare coincide con il tempo necessario ad acquisire la certezza della sussistenza dei fatti addebitati – sia nel corso di un concorrente giudizio penale, sia nell’ambito degli eventuali accertamenti esperiti in sede aziendale – nonché a effettuare la valutazione del materiale raccolto in sede di istruttoria disciplinare, ai fini dell’adozione, da parte del datore di lavoro, di una decisione che ponga fine al procedimento. (Trib. Roma, sez. lavoro, ord. 28/7/2008, Pres. Petrucci est. Delle Donne, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di L. Di Paola, “Esercizio del potere disciplinare e sospensione cautelare dal servizio del dipendente: brevi considerazioni sualcune questioni problematiche”, 872)
  15. Spetta al datore di lavoro dimostrare i fatti posti a fondamento della contestazione di scarso rendimento e a tal fine questi non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggetiva sua esigibilità, ma deve anche dimostrare che la causa di esso derivi da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione. A tal fine dovrà tenersi conto del grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa e di quello effettivamente usato dal lavoratore, nonché dell’incidenza della organizzazione complessiva del lavoro nell’impresa e dei fattori socio-ambientali. (Trib. Milano 1/7/2008, d.ssa Beccarini, in Lav. nella giur. 2009, 97, e in Orient. della giur. del lav. 2008, con nota di Valentina Aniballi, “Scarso rendimento e sanzioni disciplinari conservative”, 698)
  16. La sospensione cautelare dal servizi, essendo una misura provvisoria e strumentale all’accertamento dei fatti addebitati al lavoratore, è strettamente connessa al procedimento disciplinare, tanto da trovarsi rispetto a esso in una sorta di dipendenza funzionale. Ne consegue che la sospensione cautelare ha carattere temporaneo e cessa di avere efficacia qualora la fase dell’accertamento dei fatti sia conclusa (nella specie il Tribunale ha sospeso gli effetti del provvedimento di sospensione cautelare applicato al dipendente e ha ordinato al datore di lavoro la riammissione in servizio del dipendente medesimo nel ruolo precedentemente svolto). (Trib. Roma 30/6/2008, ord., Giud. Vetritto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di L. Di Paola, “Esercizio del potere disciplinare e sospensione cautelare dal servizio del dipendente: brevi considerazioni sualcune questioni problematiche”, 872)
  17. La durata della sospensione cautelare coincide con il tempo necessario ad acquisire la certezza della sussistenza dei fatti addebitati – sia nel corso di un concorrente giudizio penale, sia nell’ambito degli eventuali accertamenti esperiti in sede aziendale – nonché a effettuare la valutazione del materiale raccolto in sede di istruttoria disciplinare, ai fini dell’adozione, da parte del datore di lavoro, di una decisione che ponga fine al procedimento. (Trib. Roma, sez. lavoro, ord. 28/7/2008, Pres. Petrucci est. Delle Donne, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di L. Di Paola, “Esercizio del potere disciplinare e sospensione cautelare dal servizio del dipendente: brevi considerazioni sualcune questioni problematiche”, 872)
  18. Nell’ambito del procedimento disciplinare, il lavoratore che presenti giustificazioni ma intenda anche essere ascoltato a difesa ai sensi dell’art. 7, comma 2°, SL ha l’onere di comunicare detta volontà in termini univoci a tutela dell’affidamento del datore di lavoro e quest’ultimo ha l’onere di formalizzare le modalità di audizione in termini chiari e inequivocabili; conseguentemente è nulla la sanzione disciplinare comminata allorché il datore di lavoro si limiti a dichiarare genericamente la propria disponibilità all’audizione senza indicare un giorno e un’ora, nei quali tale audizione possa avvenire. (Trib. Bergamo 29/10/2007, Est. Trosi, in D&L 2008, 982)
  19. I doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175, 1366, 1375, 1377 c.c., costituendo canone giuridico di interpretazione del contratto e di valutazione del comportamento reciproco delle parti, impediscono che possa essere irrogata un’unica sanzione espulsiva per più comportamenti che avrebbero potuto essere singolarmente sanzionati con provvedimenti graduali e conservativi. (Trib. Milano 23/7/2007, decr., Est. Martello, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale”, 1031)
  20. Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionarne la gravità all’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.; esso è pertanto riservato esclusivamente al titolare e, neppure quanto alla riduzione della gravità della sanzione, può essere esercitato dal Giudice, salvo il caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista perciò soltanto in una riconduzione al limite. Nel caso in cui, però, lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, chieda nell’atto di costituzione la riduzione della sanzione per l’ipotesi in cui il Giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta, l’applicazione di una pena minore è legittima, non sottraendo autonomia all’imprenditore e realizzando l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio, avente a oggetto la stessa. (Cass. 13/4/2007 n. 8910, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Nicola Ghirardi, “Il Giudice può applicare una sanzione disciplinare meno grave di quella irrogata, se vi presta consenso il datore di lavoro convenuto”, 885 e in Dir. e prat. lav. 2008, 427)
  21. Il lavoratore che sia fatto oggetto di un procedimento disciplinare ha diritto di conoscere, ai sensi dell’art. 7, 1° comma, lett. a) e lett. b), D.Lgs. 30/6/03 n. 196, l’origine e le modalità di trattamento dei dati che lo riguardano e sui quali si fonda il procedimento disciplinare stesso (nella specie il lavoratore, addetto a un call center, al quale era stato contestato un comportamento negligente nei confronti di un cliente, aveva chiesto di conoscere sulla base di quali dati il datore di lavoro aveva ritenuto di associare il suo nome a una determinata utenza telefonica interna. (Garante per il trattamento dei dati personali 12/4/2007, Pres. Pizzetti Rel. Fortunato, in D&L 2007, con nota di Luce Bonzano, “Procedimento disciplinare e accesso ai dati”, 790)
  22. In caso di richiesta del dipendente di conoscere i dati personale sulla base dei quali il datore di lavoro ha formulato una contestazione disciplinare, quest’ultimo ha diritto di differire dette informazioni per il tempo necessario a far valere i propri diritti in un procedimento giudiziario, ai sensi dell’art. 8, 2° comma, lett. e) D.Lgs. 30/6/03 n. 196, solo qualora il pregiudizio derivante dalla rivelazione dei dati sia effettivo e concreto, non essendo a tal fine sufficiente l’allegazione dei vantaggi che il dipendente potrebbe ottenere dalla anticipata conoscenza degli elementi di prova. (Garante per il trattamento dei dati personali 12/4/2007, Pres. Pizzetti Rel. Fortunato, in D&L 2007, con nota di Luce Bonzano, “Procedimento disciplinare e accesso ai dati”, 790)
  23. In caso di richiesta del dipendente di conoscere i dati personali sulla base dei quali il datore di lavoro ha formulato una contestazione disciplinare, il datore di lavoro può legittimamente soddisfare la richiesta indicando i ruoli le categorie e gli uffici aziendali dai quali sono pervenute le segnalazioni, senza indicare anche l’identità delle persone fisiche che materialmente le hanno effettuate, non sussistendo il diritto del richiedente di accedere ai dati personali riferiti a terzi. Garante per il trattamento dei dati personali 12/4/2007, Pres. Pizzetti Rel. Fortunato, in D&L 2007, con nota di Luce Bonzano, “Procedimento disciplinare e accesso ai dati”, 790)
  24. In materia di sanzioni disciplinari, la valutazione della condotta del lavoratore in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà deve essere compiuta tenendosi conto anche del disvalore ambientale che la condotta stessa assume e, viceversa, della funzione di dissuasione contro il ripetersi di mancanze dello stesso tipo, peculiarmente svolta dal procedimento disciplinare. (Cass. 23/10/2006 n. 22708, Pres. Sciarelli Est. Nobile, in Riv. it. dir. lav. 2007, con note di Muggia e Cannati, 464)
  25. In tema di sanzioni disciplinari di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970, deve distinguersi tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni attinenti all’organizzazione aziendale e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell’impresa per i quali non è invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, che è pertanto sufficiente che sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze. (Nell’affermare il suindicato principio, la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza dei ricorrenti – in ordine al mancato accoglimento, da parte del giudice di merito, dell’impugnazione del provvedimento disciplinare di sospensione, per un giorno, dal lavoro adottato nei loro confronti per avere essi, nel corso di un’agitazione sindacale, attuato un “picchettaggio” all’esterno dell’ufficio impedendo ai colleghi non scioperanti di prendere servizio – basata sul rilievo che il datore di lavoro non aveva nel caso portato a conoscenza dei lavoratori, in luogo accessibile a tutti, le disposizioni concernenti le sanzioni disciplinari e le relative procedure – cosiddetto “codice disciplinare”). (Cass. 27/5/2004 n. 10201, Pres. Ciciretti Rel. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2004, 2741)
  26. La materia disciplinare rientra tra le materie disponibili dal lavoratore, per cui risulta inoppugnabile la conciliazione sul punto raggiunta in sede sindacale, e la mancata osservanza sui relativi impegni può assumere valore disciplinare, sanzionabile nella specie (vendita simulata delle quote sociali di società concorrente della datrice di lavoro) anche con il licenziamento per giusta causa. (Trib. Firenze 9/12/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 400, con nota di Massimo Aragiusto, “In tema di affissione del codice disciplinare, violazione del dovere di fedeltà e conciliazione sindacale”)
  27. Il requisito dell’immediatezza della contestazione degli addebiti, quale principio che condiziona il procedimento disciplinare, si fonda sulla necessità di garantire il diritto di difesa del lavoratore e di consentire allo stesso di discriminare tra condotte irregolari e non permesse e condotte corrette e doverose. Non è consentito al datore di lavoro di cumulare gli addebiti e contestarli dopo un lungo periodo di tempo, sia per l’obbligo di garantire al lavoratore un’adeguata replica, obiettivamente pregiudicata a distanza di molti mesi dai fatti, sia al fine di evitare una sommatoria di addebiti che rendano complessivamente più grave la contestazione. (Trib. Milano 27/5/2003, Est. Marasco, in Lav. nella giur. 2004, 91)
  28. Qualora, in sede di indagini preliminari dirette ad accertare la commissione di un illecito disciplinare, il datore di lavoro riceva la spontanea confessione da parte del lavoratore, non si verifica alcuna violazione dell’art. 7, Stat. lav. in ordine alla preventiva contestazione dell’addebito, atteso che detto atto presuppone la conoscenza dei fatti e l’individuazione del soggetto cui attribuirli e non può, quindi, precedere, ma solo, eventualmente, seguire il compimento e la valutazione degli accertamenti preliminari. Ne consegue che deve escludersi che l’avvio delle indagini preliminari, nel corso delle quali venga convocato il lavoratore, valga ad integrare anche l’inizio del procedimento disciplinare a carico dello stesso. (Cass. 20/1/2003, n. 772, Pres. Ianniruberto, Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2003, 579)
  29. L’onere della prova circa i presupposti di fatto, oggettivi e soggettivi, che hanno portato all’irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa grava sul datore di lavoro, in forza di un’applicazione estensiva dell’art. 5 L. 15/7/66 n. 604 e attiene anche al rispetto del principio di proporzionalità, che deve trovare applicazione anche per le sanzioni di non rilevante entità. (Cass. 17/8/2002 n. 11153, Pres. Sciarelli Est. Toffoli, in D&L 2002, 189, con nota di Stefano Muggia, “Ancora sull’assenza a visita domiciliare di controllo”)
  30. In virtù dei principi di proporzionalità -intesa come progressività-, di tempestività, di correttezza e buona fede, la tolleranza del datore verso condotte sanzionabili (contestate ma non punite) comporta acquiescenza e preclude l’immediata irrogazione del provvedimento espulsivo per il medesimo addebito. (Tri. Milano 19/7/2002, Est. Marasco, in D&L 2002, 988, con nota di Matteo Paulli, “La tolleranza di condotte sanzionabili determina acquiescenza”)
  31. Il vincolo fiduciario si amplia in relazione alle specifiche mansioni svolte dal lavoratore e, conseguentemente, più elevato è l’affidamento e maggiormente severa è la valutazione di un illecito comportamento del dipendente. (Corte d’Appello Salerno 17/6/2002, Pres. Casale, Est. Vignes, in Lav. nella giur. 2003, 147, con commento diEdoardo Rossi)
  32. Nel giudizio di legittimità sulla sanzione il giudice del merito ha il potere di convertire la sanzione “espulsiva” in una sanzione “conservativa” qualora ritenga la sanzione comminata dal datore di lavoro non proporzionata rispetto all’infrazione contestata (Trib. Benevento 4/7/01 ordinanza, pres e est. Piccone, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 1061, con nota di Salomone, Tre questioni sul procedimento disciplinare nella P.A.)
  33. Nel comportamento del dipendente può essere configurabile al tempo stesso sia un fatto rilevante sotto il profilo disciplinare, sia una delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che consentono, a norma dell’art. 2103 c.c., il trasferimento del dipendente o un mutamento di mansioni; se pertanto il datore di lavoro abbia optato per tale secondo tipo di provvedimento, qualora risulti supportato può legittimamente far ricorso all’uno o all’altro di detti provvedimenti senza che, se abbia optato per il secondo, questo possa essere ritenuto illegittimo in quanto sanzione atipica rispetto ai provvedimenti in materia disciplinare (Trib. Milano 9/11/00, est. Cincotti, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 943)
  34. La documentazione alla quale il lavoratore soggetto a procedimento disciplinare ha diritto di accedere per poter approntare un’adeguata difesa, in relazione alla contestazione disciplinare mossagli, è esclusivamente quella avente diretta e precisa connessione con gli addebiti oggetto della contestazione, e non altra e diversa documentazione che pure, a giudizio dello stesso lavoratore, potrebbe risultargli utile consultare (Cass. 27/10/00, n. 14225, pres. e est. Mercurio, in Lavoro giur. 2001, pag. 139, con nota di Mainardi, Contestazione e diritto di accesso ai documenti connessi agli addebiti disciplinari; in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 538, con nota di Borelli, Specificità della contestazione e obbligo di documentazione)
  35. Il datore di lavoro, nel contestare l’addebito al lavoratore subordinato prima dell’intimazione del licenziamento disciplinare, può contestualmente anticipare il tipo di sanzione che intende applicare (Cass. 17/6/00, n. 8263, pres. Prestipino, est. Mammone, in Dir. lav. 2001, pag. 338, con nota di Cerreta, Riforma in appello della sentenza di reintegrazione e qualificazione risarcitoria di tutte le indennità dovute medio tempore)
  36. Il datore di lavoro, una volta esercitato il potere disciplinare nei confronti del dipendente in relazione a determinati fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti, non può esercitare una seconda volta, per i medesimi fatti, il detto potere, ormai esaurito (nel caso di specie, il datore di lavoro aveva contestato al lavoratore, comminandogli una sanzione conservativa, fatti già oggetto di una precedente contestazione che aveva portato al licenziamento del dipendente, poi dichiarato illegittimo in sede giudiziale (Pret. Milano 2/5/95, est. Negri della Torre, in D&L 1995, 959)

 

 

Sospensione cautelare

  1. In caso di sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la definitiva contestazione disciplinare e il licenziamento per i relativi fatti ben possono essere differiti in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso, anche in ragione del rispetto del segreto istruttorio. (Cass. 20/6/2014 n. 14103, Pres. Miani Canevari Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Fabio Massimo Galli, 69)
  2. In tema di sospensione cautelare obbligatoria dal servizio prevista dall’art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nei confronti di pubblici dipendenti che abbiano riportato condanna, anche non definitiva, per delitti di criminalità organizzata o per determinati delitti contro la pubblica amministrazione, la Corte ha rilevato che tale misura non ha natura sanzionatoria, bensì meramente cautelare, essendo “collegata alla pendenza di un’accusa penale nei confronti di un funzionario pubblico”, che di per sé espone l’amministrazione “ad un pregiudizio direttamente derivante dalla permanenza dell’impiegato nell’ufficio” e “risponde a esigenze proprie della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta servizio” (sentenza n. 206 del 1999). Deve pertanto escludersi che la meno incisiva misura del provvisorio trasferimento di sede o dell’assegnazione ad altro incarico, prevista dalla disposizione censurata, costituisca effetto penale della sentenza di condanna per determinati fatti di reato, e sia perciò inscrivibile nella materia dell’ordinamento penale. Le finalità che la norma intende perseguire, significativamente inserita in una legge intitolata “Norme per la trasparenza dell’attività amministrativa regionale”, sono ravvisabili nell’esigenza di tutelare l’immagine, la credibilità e, appunto, la trasparenza dell’amministrazione regionale; interessi che, anche prima dell’eventuale pronuncia di una sentenza definitiva di condanna, possono risultare pregiudicati dalla permanenza nell’ufficio del dipendente che abbia commesso nell’esercizio delle sue funzioni un reato contro la pubblica amministrazione. (Cost. 2-4/5/2005 n. 172, Pres. Contri Est. Neppi Modona, in Lav. e prev. oggi 2005, 1559)
  3. Il rinvio a giudizio di un pubblico dipendente per uno dei reati di cui all’art. 3, L. n. 97/2001 non può comportare in via automatica e, quindi, a prescindere da qualsivoglia valutazione sull’opportunità del provvedimento datoriale, l’adozione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio o della sospensione dal servizio del dipendente. (Trib. Vigevano 10/8/2004, ord., Est. Scarsella, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Marco Dibitonto, 466)
  4. E’ incostituzionale l’art. 4, secondo comma, l. 27 marzo 2001, n.97, nella parte in cui prevede che la sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente che abbia subito una condanna non definitiva per i delitti di cui all’art. 3, primo comma, stessa legge perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato. (Corte Cost. 3/5/2002, n. 145, Pres. Vari, Est. Marini, in Foro it. 2003, parte prima, 1666)
  5. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, l. 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui prevede la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio del pubblico dipendente che abbia subito una condanna non definitiva per i delitti di cui all’art. 3, primo comma, stessa legge, in riferimento agli artt. 3, 4, 27, 35, 36 e 97 Cost. (Corte Cost. 3/5/2002, n. 145, Pres. Vari, Est. Marini, in Foro it. 2003, parte prima, 1666)
  6. Il pubblico dipendente, nei cui confronti sia sta disposta prima la sospensione cautelare dal servizio per l’instaurazione di un processo penale, definito con sentenza di condanna, e poi la sanzione disciplinare della sospensione della qualifica, ha diritto alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione cautelare sofferto in eccedenza rispetto alla durata della sanzione disciplinare. (Consiglio di Stato 2/5/2002, n. 4, Pres. De Roberto, Est. Zaccardi, in Foro it. 2003, parte terza, 371)
  7. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 l. 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui prevede la sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente che abbia subito una condanna non definitiva per i delitti previsti dall’art. 3, primo comma, della legge, in quanto, da un lato, la natura cautelare della sospensione esclude il contrasto con il principio di presunzione di non colpevolezza previsto dall’art. 27 Cost. e, dall’altro, la norma realizza un ragionevole bilanciamento tra esigenza cautelare, esigenze del dipendente ed interessi dell’amministrazione, in riferimento agli artt. 27, 54, 97 e 98 Cost. La natura cautelare ed automatica della sospensione obbligatoria dal servizio prevista dall’art. 4 della legge 97/01 esclude l’applicabilità degli artt. 7 e 8 l. 241/90. (Consiglio di Stato 28/8/2001, n. 4745, Pres. Giovannini, Est. Garofoli, in Foro it. 2003, parte terza, 372)
  8. L’art. 40 del D.P.R. n. 221/50 per l’esercizio della professione sanitaria, prevedendo fra le sanzioni disciplinari la sospensione, fa “salvo quanto è stabilito dal successivo art. 43” che contempla i casi di sospensione meramente cautelativa dall’esercizio della professione. Dal combinato disposto di queste due norme si desume, bensì, il principio secondo cui l’applicazione della misura cautelativa della sospensione del medico dall’esercizio della professione non osta alla successiva erogazione allo stesso medico della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione, ma non è dato desumere anche l’ulteriore principio (che il ricorrente parrebbe prospettare) secondo cui la misura cautelativa precedentemente applicata non potrebbe essere detratta dalla sanzione disciplinare successivamente inflitta, onde all’una dovrebbe sempre aggiungersi l’altra. In realtà, trattandosi di misure omogenee (vedasi sul punto Cass. 3/6/85, n. 3282), la detrazione della misura cautelativa dalla sanzione disciplinare non soltanto non risulta vietata dal contesto normativo fin qui esaminato, ma risponde ad un più generale principio di ragionevolezza che trova la sua più evidente espressione nell’art. 137, comma 1, c.p. (Cass. 17/1/01, n. 592, pres. Triduccia, est. Limongelli, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 374)
  9. Ai sensi dell’art. 7, l. 241/90, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di comunicare al dipendente l’avvio del procedimento per l’adozione della sospensione cautelare dal servizio in seguito alla pendenza di processo penale e di motivare il provvedimento, anche in relazione ai motivi d’urgenza (Consiglio di Stato 29/11/00, n. 6349, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag. 65 parte terza)
  10. Il pubblico dipendente, nel caso di procedimento penale conclusosi con formula non assolutoria, ove non venga adottata alcuna sanzione disciplinare o questa non assorba il periodo di sospensione cautelare patita, ha diritto alla restitutio in integrum per il periodo di sospensione cautelare sofferta in eccedenza ma con deduzione dei periodi di tempo corrispondenti alla pena detentiva inflitta, all’interdizione temporanea dai pubblici uffici (previa formale sospensione dalla qualifica ex art. 98 d.p.r. 3/57) ed alle altre pene accessorie che comunque incidano sul rapporto di servizio, ancorché tali pene non siano state in concreto scontate o siano state dichiarate estinte per indulto (Consiglio di Stato 20/11/00, n. 6181, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag.2, parte terza)
  11. Una volta cessati automaticamente gli effetti della sospensione cautelare dal servizio del pubblico impiegato, disposta per pendenza del procedimento penale, alla conclusione di questo o per maturazione del periodo massimo di cinque anni, sorge per il dipendente il diritto soggettivo alla reintegra nel posto di lavoro, mentre l’amministrazione ha il potere-dovere di sottoporre il dipendente al procedimento disciplinare nel rispetto del termine perentorio di centottanta giorni di cui all’art. 9, 2° comma, l. 19/90, nel caso intenda irrogare la misura espulsiva (Consiglio di Stato 20/11/00, n. 6181, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag.2, parte terza)
  12. La sospensione cautelare di cui all’art. 95 del regolamento del personale del Banco di Sicilia non ha natura di sanzione disciplinare, essendo diretta a offrire al datore di lavoro uno strumento di “autotutela”, consistente nell’estromissione temporanea del dipendente nei cui confronti sia stato promosso un procedimento penale; non è pertanto necessario in tale ipotesi il rispetto del procedimento previsto dall’art. 7 SL (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
  13. Qualora la sospensione cautelare sia prevista e consentita dalla disciplina legale o negoziale del rapporto – e non sia quindi una disposizione unilaterale del datore di lavoro – l’effetto sospensivo investe anche l’obbligazione retributiva (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
  14. La sospensione cautelare si configura come istituto i cui effetti permangono fin quando non intervenga l’accertamento demandato al procedimento penale e pertanto la riconoscibilità del diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo è condizionata – anche ai fini della decorrenza della prescrizione – alla conclusione di tale procedimento in senso favorevole al lavoratore, venendo definitivamente meno, con essa, la possibilità di realizzazione dell’evento risolutivo del rapporto di lavoro, in vista del quale la sospensione era stata disposta (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
  15. La sospensione cautelare di cui all’art. 33, 2° comma, del Ccnl per i dipendenti dell’Ente Poste italiane, prevista in ipotesi di gravi reati per i quali vi sia stato un intervento dell’autorità penale, non ha la funzione di punire il dipendente, ma quella – che ne legittima l’istituzione – di attendere l’esito dell’accertamento relativo a un fatto disciplinarmente rilevante, regolando in modo ragionevole gli opposti interessi nel tempo dell’attesa (Trib. Milano 9/5/98, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1998, 696, n. BERNINI)
  16. L’obbligo di motivazione, in relazione alla sospensione cautelare prevista dall’art. 33, 2° comma, Ccnl per i dipendenti dell’Ente Poste italiane, è limitato alla comunicazione degli estremi del fatto che legittima l’adozione del provvedimento, con l’indicazione della relativa norma contrattuale (Trib. Milano 9/5/98, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1998, 696, n. BERNINI)
  17. Ai fini dell’adozione della sospensione cautelare prevista dall’art.33, 2° comma, Ccnl per i dipendenti dell’Ente Poste italiane, l’espressione “dipendente sottoposto a procedimento penale” deve interpretarsi utilizzando le regole dell’ermeneutica contrattuale; pertanto, in applicazione degli artt. 1362 e 1369 c.c., l’espressione sta a significare l’apertura di un procedimento penale nei confronti del dipendente, quale ne sia lo stadio formale (Trib. Milano 9/5/98, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1998, 696, n. BERNINI)

 

 

Affissione del codice disciplinare

  1. Con riguardo alla necessità della affissione del codice disciplinare, anche nel pubblico impiego contrattualizzato non è necessario provvedervi in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio è immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale. (Cass. 8/6/2020 n. 10855, Pres. Napoletano Est. Spena, in Lav. nella giur. 2020, 1101)
  2. Anche in relazione alle sanzioni disciplinari conservative, e non per le sole sanzioni espulsive, in tutti i casi in cui il comportamento sanzionato è immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non è necessario provvedere all’affissione del codice disciplinare, atteso che il lavoratore ben può rendersi conto dell’illiceità della propria condotta, al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati. (Cass. 26/3/2014 n. 7105, Pres. Stile Rel. Curzio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di C. Pederzoli, “Pubblicità del codice disciplinare e sanzioni conservative in caso di violazione del cd. ‘minimo etico’”, 100)
  3. E’ necessario che i locali in cui sono affisse le disposizioni disciplinari siano accessibili a tutti i lavoratori. Questo obbligo a carico del datore di lavoro non può essere ristretto alla necessità che i locali in cui viene effettuata l’affissione non siano chiusi e che tutti i dipendenti abbiano piena libertà di accedervi senza impedimenti di sorta e senza dover chiedere permessi particolari; la possibilità di recarsi nei locali in cui sono esposte le norme disciplinari deve essere effettiva, non meramente teorica, e perciò rientra nel concetto di libero accesso anche la comodità dell’accesso, la necessità che non sussistano difficoltà particolari. Non sussiste, perciò, un obbligo di effettuare l’affissione in locali in cui i dipendenti devono passare necessariamente: la norma richiede il libero accesso, quindi accesso non impedito, non difficoltoso, non l’accesso necessitato, non evitabile. Ugualmente la legge non richiede che l’affissione venga effettuata nelle bacheche aziendali, che possono mancare o essere destinate ad altre comunicazioni, e che comunque non rendono più agevole la lettura delle norme. (Cass. 3/10/2007 n. 20733, Pres. Ianniruberto Rel. Monaci, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marcello Lupoli, 381)
  4. L’obbligo dell’affissione del codice disciplinare è inderogabile per tutti quegli illeciti disciplinari specifici che traggono origine dal contratto collettivo o comunque dall’individuazione operata dal datore di lavoro e tali da non poter essere altrimenti conosciuti dal lavoratore attesa la generalità e astrattezza della fonte regolatrice. Ciò non vale per quegli addebiti che rientrano appunto in comportamenti negligenti collegati ai doveri del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa, come nel caso dell’assenza dal lavoro senza giustificazione. (Corte app. Milano 17/9/2007, Pres. castellini Rel. Curcio, in Lav. nella giur. 2008, 203)
  5. Nel rapporto di lavoro degli insegnanti della scuola pubblica, ai fini dell’osservanza dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori – che prescrive l’affissione delle norme disciplinari vigenti all’interno dell’impresa per rendere conoscibili a tutti i lavoratori le fattispecie di illecito e le relative sanzioni, applicabile anche al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti per il combinato disposto degli artt. 55 e 59 del D.Lgs. 29 del 1993 – deve ritenersi che, tanto per i comportamenti per i quali è prevista la sanzione espulsiva, quanto per quelli per i quali è prevista la sanzione conservativa, l’affissione non sia necessaria ove il comportamento vietato e la sanzione applicabile siano previsti da disposizioni contenute in fonte normativa avente forza di legge, come tale ufficialmente pubblicata e conosciuta dalla generalità. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse negato l’obbligo di affissione, in quanto il capo IV, sez. V, T.U. sulla scuola approvato con D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 enumera le sanzioni disciplinari, distingue le diverse fattispecie di illecito e disciplina il relativo procedimento di irrogazione della sanzione). (Cass. 8/1/2007 n. 56, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2007, 1038)
  6. Se è esatto che non tutti i comportamenti potenzialmente lesivi dell’ordine aziendale debbono formare oggetto di codice disciplinare e, perciò, della messa a conoscenza mediante l’affissione prevista dal comma 1, dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ciò riguardando le previsioni dei contratti collettivi (o della normativa aziendale) in relazione a specifiche mancanze, laddove l’onere di affissione – per il quale non siano ravvisabili equipollenti – non può in ogni caso estendersi a quei fatti il cui divieto risiede, non già nelle fonti collettive o nelle determinazioni dell’imprenditore, bensì nella coscienza sociale quale “minimum” etico, non è men vero che questo principio è stato enunciato con precipuo riferimento alle sanzione espulsive e non a quelle conservative, poiché, mentre per le prime il potere di recesso dell’imprenditore, in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, è tipizzato e previsto direttamente dalla legge, per le seconde il potere disciplinare del datore di lavoro, solo genericamente previsto dall’art. 2106 c.c. esige necessariamente, per il suo concreto esercizio, la predisposizione di una normativa secondaria, cui corrisponda l’onere della pubblicità, solo in tal guisa potendo trovare piena attuazione l’altro principio, “nullum crimen, nulla poena sine lege”, al quale, conformemente al precetto sovraordinato di cui all’art. 25 della Costituzione, l’art. 7 della legge n. 300 del 1970 ha inteso conferire l’effettività anche con riguardo alla comunità di impresa, al fine di precludere al datore di lavoro di stabilire di volta in volta, caso per caso, la sussistenza dell’infrazione, nonché di scegliere arbitrariamente la sanzione ritenuta applicabile. (Cass. 13/9/2005, n. 18310, Pres. Senese Est. Mozzarella, in Orient. Giur. Lav., con nota di Marco Sartori, “Recesso e potere disciplinare: la diversità intensità dell’onere datoriale della compilazione del codice ai sensi dell’art. 7 SL”, 597)
  7. L’affissione del codice disciplinare – la cui mancanza determina, ai sensi dell’art. 7 comma 1 della legge 20 maggio 1970 n. 300, l’illegittimità del licenziamento – non può essere sostituita dalla mera consegna del codice o del Ccnl al lavoratore. (Trib. Milano 2/9/2005, Est. Atanasio, in Orient. Giur. Lav. 2005, 639)
  8. L’addebito concernente il conflitto di interessi con la stessa datrice di lavoro, configurando la violazione dei doveri di fedeltà e correttezza, non richiede alcuna pubblicità tramite l’affissione del codice disciplinare. (Trib. Firenze 9/12/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 400, con nota di Massimo Aragiusto, “In tema di affissione del codice disciplinare, violazione del dovere di fedeltà e conciliazione sindacale”)
  9. L’affissione del codice disciplinare costituisce requisito indispensabile di validità del codice stesso e, pertanto, la sanzione disciplinare irrogata in mancanza dell’affissione del codice è nulla poiché carente di un presupposto essenziale di validità dell’atto. (Trib. Grosseto 31/3/2003, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2004, 1010)
  10. La mancata affissione del codice disciplinare determina una violazione dell’art. 7, L. n. 300/1970, con conseguente nullità della sanzione comune inflitta, qualora non si sia in presenza di violazione di norme di legge o comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione. (Trib. Milano 10/12/2002, Est. Martello, in Lav. nella giur. 2003, 591)
  11. Per esercitare legittimamente il potere disciplinare il datore di lavoro deve dimostrare di aver portato a conoscenza dei lavoratori il codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti, non potendosi considerare equipollenti mezzi di comunicazione diversi (Pret. Firenze 10/12/98, est. Varriale, in D&L 1999, 603, n. Pavone, Sanzione disciplinare: vizi di forma e domanda di restituzione delle somme trattenute)
  12. La mancata affissione del codice disciplinare viola la regola procedurale di cui all’art. 7 c. 1 SL (pubblicità del codice disciplinare), anche quando l’addebito disciplinare riguarda norme etiche o rilevanti penalmente. Da un lato, infatti, tale regola è espressione del principio fondamentale dell’ordinamento secondo il quale chi è perseguito per un’infrazione deve essere posto in grado di conoscere l’infrazione stessa e la relativa sanzione e, dall’altro, la norma etica o penale acquisisce anche rilievo disciplinare solo in forza di un’esplicita operazione di “costruzione” normativa, che richiede quantomeno l’introduzione, nel codice disciplinare pubblicizzato, di una norma di collegamento (nella fattispecie, non risultava affisso il codice disciplinare contenente la norma del contratto collettivo che, prevedendo l’obbligo di tenere nello svolgimento del rapporto di lavoro una condotta conforme ai doveri civici, attribuiva così rilevanza disciplinare a comportamenti costituenti molestie sessuali, quali erano quelli contestati al ricorrente) (Pret. Milano 14/7/94, est. Ianniello, in D&L 1995, 199)

 

 

Giustificazioni del lavoratore

  1. Il datore che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può ometterne l’audizione ove questi – nel termine di 5 giorni ex art. 7, comma 5, L. 20 maggio 1970, n. 300 – ne abbia fatto espressa e inequivocabile richiesta contestualmente alla comunica- zione delle giustificazioni scritte, anche ove queste ultime appaiano già di per sé ampie ed esaustive. (Cass. 22/9/2020 n. 19846, Pres. Nobile Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2020, 1207)
  2. In merito al procedimento disciplinare ex art. 7 SL, qualora il lavoratore abbia richiesto di essere ascoltato e abbia poi chiesto, tempestivamente, il differimento della fissata audizione, attestando un impedimento per motivi di salute, suffragato dalla produzione di idonea certificazione medica, il datore di lavoro non può ritenersi autorizzato a omettere la convocazione in questione. Quest’ultimo, infatti, deve comunque consentire tale convocazione alla cessazione dello stato di malattia del lavoratore, salvo che risulti prima facie il carattere pretestuoso e meramente dilatorio della richiesta di differimento proposta dal dipendente. (Cass. 26/9/2012 n. 16374, Pres. De Renzis Est. Mancino, in D&L 2012, 825)
  3. L’avvenuta presentazione delle proprie giustificazioni da parte della lavoratrice incolpata, senza che questa abbia manifestato l’esplicita richiesta di fornire ulteriori precisazioni, legittima il datore di lavoro a procedere anche prima dell’integrale decorso del termine di cinque giorni previsto dall’art. 7 della l. n. 300/1970. (Cass. 19/10/2011 n. 21622, Pres. Nobile Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 90)
  4. In tema di audizione a difesa del lavoratore nessun obbligo legale e/o contrattuale è imposto al datore di aderire alle condizioni richieste dal lavoratore circa le modalità di audizione dello stesso. (Trib. Milano 23/2/2011, Giud. Pattumelli, in Lav. nella giur. 2011, 637)
  5. Il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare può avvertire l’esigenza di essere sentito personalmente dal datore di lavoro (anche quando abbia inviato una compiuta difesa scritta), ma, in questa ipotesi, egli ha l’onere di comunicare la propria volontà in termini univoci, a tutela dell’affidamento del datore di lavoro, il quale non può essere esposto ingiustamente al rischio di sentirsi dichiarare illegittimo il licenziamento per un vizio di procedura determinato, fra l’altro, proprio dal contenuto incerto e poco chiaro della comunicazione del lavoratore. (Cass. 26/10/2010 n. 21899, Pres. Vidiri Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 174)
  6. Quando il lavoratore ha chiesto nei tempi prescritti di giustificarsi o ha chiesto di farlo con l’assistenza di un rappresentante sindacale, il datore non potrà adottare – anche se siano decorsi cinque giorni dalla comunicazione della contestazione – alcun provvedimento disciplinare, se prima non ha sentito il lavoratore medesimo a sua discolpa. (Cass. 26/4/2010 n. 9888, Pres. Vidiri Rel. Stile, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Luigi Di Paola, “Puntualizzazioni in ordine all’audizione del lavoratore nell’ambito del procedimento disciplinare e interrogativi su altre antiche e recenti questioni”, 19)
  7. Il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa e inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione, nel termine di cui all’art. 7, co. 5, della legge 20 maggio 1970 n. 300, di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive. (Cass. 22/3/2010 n. 6845, Pres. Roselli Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Luigi Di Paola, “Puntualizzazioni in ordine all’audizione del lavoratore nell’ambito del procedimento disciplinare e interrogativi su altre antiche e recenti questioni”, 19)
  8. Nell’obbligo per il datore di lavoro di sentire il lavoratore a sua difesa, di cui all’art. 7 comma 2, SL, se deve sicuramente ritenersi illegittima ogni modalità che renda eccessivamente difficoltoso l’esercizio di tale facoltà da parte del lavoratore, non può ritenersi compreso anche quello che ciò avvenga nelle ore di lavoro ovviamente con il rispetto delle festività e del periodo feriale, in assenza di alcuna previsione contrattuale al riguardo. (Corte app. Milano 12/3/2007, Pres. e Rel. Castellini, in Lav. nella giur. 2007, 1262)
  9. Posto il principio che l’esistenza di uno stato di incapacità naturale del lavoratore, tale da impedirgli di rendere le giustificazioni nel termine previsto dalla legge per rispondere agli addebiti contestati, comporta la necessaria posticipazione del termine di scadenza, risultando altresì vietata, nel caso di irrogazione del provvedimento disciplinare prima di tale momento, la garanzia procedimentale prevista dall’art. 7 della L. n. 300/1970, è onere del dipendente che contesti la legittimità della sanzione, per non aver potuto esercitare il proprio diritto di difesa a causa di una minorata capacità di intendere e di volere in detto intervallo, dimostrare di essersi trovato, nella pendenza del termine, in stato di incapacità naturale. Tuttavia il comportamento del datore di lavoro che, in assenza di prova di effettivo impedimento del lavoratore, non abbia consentito alla richiesta di una proroga del termine per l’audizione, non concreta una violazione dei principi di correttezza e buona fede, alla stregua dei quali deve essere valutato l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. (Cass. 22/9/2006 n. 20601, Pres. senese Rel. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Marcello Lupoli, 489)
  10. L’onere di preventiva comunicazione dell’allontanamento dal proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità, posto dall’art. 32, 4° comma, Ccnl per il personale dipendente da società e consorzi concessionari di autostrade e trafori, è escluso dalla indifferibilità dei motivi dell’assenza che, se provati, rendono illegittima la sanzione disciplinare irrogata per l’assenza del lavoratore. (Nella fattispecie è stata ritenuta legittima l’assenza del lavoratore che al momento della visita fiscale si era recato in preda a forti dolori epigastrici dal proprio medico curante il quale lo aveva immediatamente inviato al pronto soccorso). (Trib. Milano 10/2/2006, Est. Di Leo, in D&L 2006, 497)
  11. L’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che subordina la legittimità del procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari alla previa contestazione degli addebiti al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli, così da soddisfare una elementare e fondamentale esigenza di difesa, non comporta in ogni caso l’obbligo per il datore di lavoro di convocare il lavoratore stesso per eventuali giustificazioni, essendo onere del lavoratore incolpato presentare una formale richiesta in tal senso. (Trib. Milano, ord., 13/5/2005, in Orient. Giur. Lav. 609)
  12. In relazione al disposto dell’art. 7, comma 2, della legge n. 300 del 1970, secondo cui il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza averlo sentito a sua difesa – il discolparsi per iscritto “consuma” l’esercizio del diritto di difesa solo quando il lavoratore nulla dica circa l’audizione, quando cioè lo scritto costituisca il preciso segnale di una scelta, la rinuncia cioè a essere “sentito”. Ma quando, come nella specie, nella risposta scritta l’interessato chiede di essere ascoltato personalmente, e, peraltro, con l’assistenza di un sindacalista ben individuato, non è dato desumere l’esistenza di una tale rinuncia e operano allora necessariamente le conseguenze derivanti dalla espressa richiesta di essere sentito a difesa. (Cass. 2/5/2005 n. 9066, Pres. Sciarelli Est. Stile, in Orient. Giur. Lav. 2005, 288)
  13. Nell’ambito del procedimento di contestazione disciplinare, regolamentato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ove il lavoratore, pur dopo la scadenza del termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, richieda un supplemento di difesa, anche se la stessa si sia già svolta con l’audizione di personale o con la presentazione di giustificazioni scritte, l’obbligo del datore di lavoro di dar seguito alla richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda a esigenze di difesa non altrimenti tutelabili, in quanto non sia stata possibile la piena realizzazione della garanzia apprestata dalla legge; conseguentemente, la presentazione di ulteriori difese dopo la scadenza del tempo massimo deve essere consentita solo nell’ipotesi in cui entro questo termine il lavoratore non sia stato in grado di presentare compiutamente la propria confutazione dell’addebito e la valutazione di questo presupposto va operata alla stregua dei principi di correttezza e buona fede che devono regolare l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. (Cass. 13/1/2005 n. 488, Pres. Mercurio Est. Miani Canevari, in Orient. Giur. Lav. 2005, 81, e in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Domenico Carlomagno, “Sulle modalità di esercizio del diritto di difesa del lavoratore nel procedimento disciplinare”, 134)
  14. Il termine di cinque giorni di cui all’art. 7, 5° comma, SL è previsto al fine di consentire al dipendente di presentare le proprie difese, ma non assolve l’ulteriore funzione di obbligare di datore di lavoro ad una pausa di riflessione per evitare l’irrogazione affrettata od impulsiva di provvedimenti disciplinari; conseguentemente, una volta che il lavoratore abbia presentato le proprie difese, il datore di lavoro può irrogare la sanzione senza attendere il decorso integrale del predetto termine. (Cass. 7/5/2003 n. 6900, Pres. Olla, Est. Miani Canevari, in D&L 2003, 726, con nota di Roberto Muggia, “Termine finale e possibilità di difesa”)
  15. Nel caso in cui il lavoratore, in sede di procedura disciplinare, abbia espressamente richiesto di essere sentito per le giustificazioni con l’assistenza del rappresentante sindacale, il diritto di difesa trova compiuta esplicazione solo con l’audizione personale del lavoratore, a nulla rilevando, in contrario avviso, le osservazioni scritte rese direttamente dal rappresentante sindacale, con conseguente nullità del licenziamento in difetto di contraddittorio. (Corte d’Appello Milano 4/6/2002, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 721, con nota di Giuseppe Bulgarini d’Elci, “Sul diritto di difesa del lavoratore sottoposto ad azione disciplinare”)
  16. L’esistenza di uno stato di incapacità naturale (ad esempio per malattia con stato confusionale) nei 5 giorni previsti dall’art. 7, l. n. 300/70 per fornire le giustificazioni – in quanto tale da impedire al lavoratore di rendere le giustificazioni per rispondere agli addebiti contestati – viene indubitabilmente ad integrare un vizio alla procedura di legge, impedendo la realizzazione degli scopi cui la medesima è preordinata, con la conseguenza della posticipazione del termine di scadenza e, nel caso di irrogazione anticipata del provvedimento disciplinare, di annullamento del medesimo (nel caso di specie la Cassazione confermava tuttavia la valutazione della magistratura di merito secondo cui il lavoratore aveva provato solo l’esistenza della sindrome in un periodo posteriore ai 5 giorni del termine a difesa ed aveva negato idoneità a documentare lo stato di incapacità naturale ad uno “scarno certificato di parte”, non confermato da indagini da esperirsi in sede giudiziale, mai richieste, e conseguentemente legittimava la sanzione disciplinare del licenziamento) (Cass. 30/5/01, n. 7374, pres. Spanò, est. La Terza , in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1423)
  17. Non costituisce violazione del diritto di difesa del lavoratore ex art. 7 S.L. la mancata ammissione di un legale nella fase di contraddittorio disciplinare, atteso che tale facoltà viene riservata dallo Statuto dei lavoratori solo al rappresentante sindacale di fiducia del dipendente (Cass. 30/8/00, n. 11430, pres. Mileo, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2093 e in Orient. giur. lav.2000, pag. 757)
  18. L’art. 7, l. n. 300/70 – il quale subordina la legittimità del procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari (non solo di quella espulsiva) alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli e di soddisfare così una elementare e fondamentale esigenza di difesa – non comporta in ogni caso l’obbligo per il datore di lavoro di convocare il lavoratore stesso per eventuali discolpe. Un obbligo del genere, infatti, non solo non esiste certamente nell’ipotesi in cui lo stesso lavoratore incolpato non abbia rivolto al datore di lavoro una formale richiesta in tal senso (essendo al lavoratore riservata ogni valutazione in ordine alle modalità di esercizio del proprio diritto di difesa, tra le quali rientra anche il silenzio), ma non esiste neppure – per una ragione generale di correttezza e buona fede – quando, dopo la contestazione scritta dell’addebito, il lavoratore abbia comunque avuto modo di formulare le proprie difese e di manifestare le proprie ragioni senza remore e in piena libertà in un contraddittorio la cui effettività, nel caso concreto, va accertata dal giudice di merito (Cass. 28/8/00, n. 11279, pres. Mercurio, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 708)
  19. L’omesso invito a rendere giustificazioni sui fatti contestati – rispettando l’obbligo di irrogare la sanzione dopo cinque giorni dalla contestazione – non è violazione procedimentale (Trib. Nocera Inferiore 26/5/00, pres Russo, est. Fortunato, in Lavoro giur. 2000, pag. 1159, con nota di Buonaiuto, Il licenziamento disciplinare per attività lavorativa durante la malattia)
  20. E’ illegittima, per mancato rispetto della garanzia procedimentale di cui all’art. 7, 2° comma, SL, la sanzione disciplinare comminata in mancanza dell’audizione orale richiesta dal lavoratore (Pret. Firenze 10/12/98, est. Varriale, in D&L 1999, 603, n. Pavone, Sanzione disciplinare: vizi di forma e domanda di restituzione delle somme trattenute)
  21. E’ legittima la sanzione disciplinare irrogata prima della scadenza del termine di 5 giorni, previsto dall’art. 7 c. 5 S.L., qualora il lavoratore abbia già fornito le proprie giustificazioni, senza riserva di ulteriori integrazioni (Cass. 28/3/96 n. 2791, pres. Lanni, est. Trezza, in D&L 1996, 981. In senso conforme, v. Pret. Milano, sez. Rho, 25/3/98, est. Ferrari da Passano, in D&L 1998, 1094)
  22. In sede di giustificazioni ex art. 7 c. 3 SL, il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante di una qualunque associazione sindacale, indipendentemente dall’avere tale organizzazione costituito una propria rappresentanza aziendale ex art. 19 SL nell’unità produttiva in cui opera il lavoratore (Trib. Milano 18/1/95, pres. Siniscalchi, rel. Accardo, in D&L 1995, 877)
  23. Il datore di lavoro deve, a pena di nullità della successiva sanzione, consentire l’audizione orale richiesta dal lavoratore con assistenza da parte di sindacalista di sua scelta (Pret. Milano 15/10/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 79, nota FRANCESCHINIS, Poteri della commissione di garanzia e sanzioni disciplinari agli scioperanti)

 

 

Specificità della contestazione

  1. In tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati. Ne consegue la piena ammissibilità della contestazione per relationem, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari, ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell’interessato, risultando rispettati, anche in tale ipotesi, i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio. (Cass. 15/5/2014 n. 10662, Pres. Roselli Rel. Tria, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di G. Centamore, “La specificità ex art. 7 St. lav. della contestazione disciplinare effettuata per relationem agli atti del processo penale”, 17)
  2. Il requisito della specificità della contestazione dell’addebito, la cui ricorrenza è necessaria (ai fini della validità ovvero efficacia della sanzione in seguito irrogata) nella particolare ipotesi di provvedimenti qualificabili come disciplinari, non è integrato dalla certezza dei fatti addebitati, bensì dalla idoneità della contestazione a realizzare il risultato perseguito dalla normativa dettata in subiecta materia, ossia a consentire al lavoratore di apprestare una puntuale difesa. A tal fine si richiede che la contestazione quanto meno individui i fatti addebitati con sufficiente precisione, anche se in modo sintetico, per modo che non risulti incertezza circa l’ambito delle questioni sulle quali il lavoratore è chiamato a difendersi, essendo, in ossequio all’ulteriore principio che regola la normativa dettata in subiecta materia, ossia a quello dell’immutabilità dell’addebito, comunque consentita, anche, quindi, successivamente all’adozione del provvedimento disciplinare, la mera precisazione degli elementi di fatto non puntualmente indicati nella motivazione del provvedimento medesimo. (Trib. Nocera Inferiore 5/5/2011, Giud. Ruggiero, in Lav. nella giur. 2011, 851)
  3. E’ illegittima la sanzione disciplinare irrogata senza una previa contestazione dell’addebito avente il carattere della specificità, ossia contenente l’esposizione chiara e puntuale dei dati e degli aspetti essenziali del fatto nella sua materialità (Cass. 28/3/96 n. 2791, pres. Lanni, est. Trezza, in D&L 1996, 981. In senso conforme, v. Cass. 27/5/95 n. 5967, pres. Taddeucci, est. Roselli, in D&L 1996, 487, nota Muggia, Licenziamento per giusta causa e funzione della pena)

 

 

Proporzionalità della sanzione

  1. È infondata la domanda della ricorrente di annullamento della sanzione disciplinare della censura: stante la gravità del fatto la sanzione avrebbe potuto essere anche più grave e, quindi, non si può nemmeno ipotizzare la non proporzionalità della sanzione comminata che, peraltro, dopo l’avvertimento scritto, costituisce il provvedimento più lieve, e consiste “in una dichiarazione di biasimo scritta e motivata, che viene inflitta per mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente o i doveri di ufficio” (artt. 492 e 493, D.Lgs. n 297 del 1994). (Trib. Bologna 2/12/2020, Giud. Cosentino, in Lav. nella giur. 2021, 559)
  2. La sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni a seguito di contestazione di uso del telefono aziendali a fini personali appare sproporzionata in considerazione di una precisa disposizione di divieto, di una tolleranza protratta per anni, di un’effettiva contestazione precedente e soprattutto in assenza di precedente provvedimento disciplinare cui far discendere la recidiva. (Trib. Milano 10/10/2003, Est. Peragallo, in D&L 2004, 117)
  3. Ai fini dell’applicazione del principio di proporzionalità, anche se i precedenti disciplinari non costituiscono recidiva specifica, alla luce del contratto collettivo, oltre che della legge, è insita nella graduazione delle sanzioni una valutazione di maggiore gravità dell’illecito quando questo non sia il primo commesso dal lavoratore, soprattutto in relazione all’elemento soggettivo (grado della colpa). (Trib. Milano 14/7/2003, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2004, 192)
  4. Nel caso in cui le norme disciplinari del Ccnl applicabile prevedano per determinate tipologie di infrazioni la sanzione della multa, è illegittima, in ragione della commisione di tali infrazioni, la comminazione della sanzione di sospensione (Tribunale Milano 30 giugno 2000, est. Peragallo, in D&L 2000, 985)
  5. Ai fini della valutazione della gravità di un certo comportamento del lavoratore devono essere considerate le particolari circostanze in cui è stata commessa l’infrazione e l’intensità dell’elemento intenzionale, con la conseguenza che deve ritenersi illegittima la sanzione disciplinare del tutto sproporzionata in relazione all’oggettiva gravità del fatto e all’intensità dell’elemento intenzionale (Pret. Monza 28/11/95, est. Padalino, in D&L 1996, 453)
  6. La gravità della sanzione disciplinare deve essere proporzionata a quella dell’addebito, tenendo conto dell’oggettiva gravità del fatto e dell’intensità dell’elemento intenzionale; ove risulti sproporzionata, la sanzione deve essere annullata (Pret. Monza 25/7/95, est. Padalino, in D&L 1996, 160, nota MAZZONE, Sanzioni disciplinari: termine finale per la loro comminazione e obbligo di motivazione)

 

 

Tempestività della contestazione

  1. Una dipendente era stata licenziata per giusta causa, in quanto la datrice di lavoro aveva rilevato all’inizio del 2017, in sede di approvazione del bilancio dell’anno precedente, un uso privato della carta di credito aziendale (affidatale per ragioni di servizio) nel 2016 e nel 2015. In giudizio, la dipendente aveva, tra l’altro, eccepito la tardività della contestazione, in quanto dai resoconti mensili da lei puntualmente comunicati alla società questa avrebbe potuto e dovuto accertare le pretese irregolarità e quindi contestarle tempestivamente. Sia la Corte d’appello che la Cassazione disattendono questa deduzione, ribadendo che, in materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della contestazione, elemento costitutivo della stessa, si misura sulla conoscenza completa ed effettiva e non sulla mera conoscibilità del fatti da parte del datore di lavoro, al quale non può essere infatti in buona fede richiesto di operare un controllo continuo sull’operato dei dipendenti, che rappresenterebbe la negazione del carattere fiduciario del rapporto di lavoro.
    (Cass. 15/3/2023 n. 7467, Pres. Doronzo Rel. Ponterio, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23)
  2. Il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (nella specie, i Giudici hanno ritenuto tardiva la contestazione delle discrepanze economiche per le quali la dipendente era stata licenziata, essendo avvenuta 10 mesi dopo l’accertamento dei fatti). (Cass. 24/7/2020 n. 15930, Pres. Bronzini Est. Lorito, in Lav. nella giur. 2021, 88)
  3. In tema di contestazione disciplinare, il requisito di immediatezza deve essere interpretato con ragionevole elasticità, il che comporta che il giudice deve applicare il suddetto principio esaminando il comportamento del datore di lavoro alla stregua degli artt. 1375 e 1175 c.c., e può eccezionalmente discostarsi dallo stesso, indicando le ragioni che lo hanno indotto a non ritenere illegittima una contestazione fatta non a ridosso immediato dell’infrazione. (Cass. 21/6/2016 n. 12824, Pres. Venuti Est. Berrino, in Lav. nella giur. 2016, 926)
  4. La tempestività della contestazione va valutata avendo riguardo al momento in cui il datore di lavoro abbia avuto piena conoscenza del fatto, quanto meno nei suoi tratti essenziali, pena il rischio di genericità dell’addebito. (Trib. Firenze 9/1/2015, Giud. Papait, in Lav. nella giur. 2015, 644)
  5. In tema di procedimento disciplinare, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito della tempestività della contestazione, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la contestazione disciplinare per i relativi fatti può essere differita dal datore di lavoro in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso. (Cass. 20/6/2014 n. 14103, Pres. Miani Canevari Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2014, 1128)
  6. Fermo che l’immediatezza della contestazione degli addebiti costituisce un requisito indefettibile e condizionante la legittimità di qualsiasi procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro, nessuna malafede può essere ravvisata nella decisione aziendale di procedere a verifiche indotte da specifici eventi ancorché riguardanti periodi risalenti nel tempo purché, una volta avuto contezza di certe vicende censurabili, questa vengano poi tempestivamente e disciplinarmente addebitate. (Trib. Torino 24/4/2012 n. 1521, Giud. Denaro, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota Alberto Elias Vangi, “Il requisito (variabile) dell’immediatezza della contestazione degli addebiti disciplinari”, 382)
  7. La clausola di un contratto collettivo (nella specie, l’art. 194, ccnl 2 luglio 2004 per i dipendenti di imprese della distribuzione cooperativa) secondo cui l’eventuale adozione di un provvedimento disciplinare (nel caso, un licenziamento) deve essere comunicata al lavoratore entro 21 giorni dalla scadenza del termine assegnato allo stesso per presentare le sue giustificazioni si interpreta nel senso che, ove il lavoratore abbia chiesto di essere sentito oralmente a propria discolpa, e tale audizione si svolga oltre il quinto giorno dalla ricezione della contestazione di addebito, il predetto termine di 21 giorni decorre dall’audizione ovvero dal giorno fissato per la stessa. (Cass. 30/3/2012 n. 5116, Pres. Lamorgese Rel. Amoroso, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Angela Vernia, “Sulla decorrenza del termine massimo previsto da un ccnl per l’adozione del provvedimento disciplinare”, 851)
  8. Deve dichiararsi inefficace per violazione dell’obbligo di buona fede (art. 1175 c.c.) la sanzione disciplinare irrogata dal datore di lavoro dopo il decorso del termine fissato dalla contrattazione collettiva (nel caso di specie art. 23 CCNL Metalmeccanici) per rispondere alle giustificazioni addotte dal lavoratore, intendendosi altrimenti il silenzio come accettazione delle giustificazioni. (Trib. Reggio Emilia 12/4/2011, Giud. Gnani, in Lav. nella giur. 2011, 744)
  9. Il requisito dell’immediatezza della sanzione deve intendersi in senso relativo, laddove l’accertamento dei fatti abbia richiesto uno spazio temporale maggiore o sia reso difficoltoso dall’organizzazione aziendale. (Trib. Milano 9/12/2010, Giud. Gasparini, in Lav. nella giur. 2011, 221)
  10. La contrattazione collettiva – che fissi un termine per irrogare la sanzione disciplinare e consenta una proroga nel caso in cui vi siano esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazione delle controdeduzioni e decisione di merito – non fa che integrare la tutela previdenziale dai commi 2 e 3 dell’art. 7 St. Lav., poichè evita al lavoratore di rimanere a lungo in una situazione di incertezza e, tuttavia, a tutela dei suoi stessi interessi, consente al datore di lavoro di disporre, con la comunicazione al lavoratore della proroga del termine, di un periodo più lungo per adottare la giusta sanzione, soprattutto in caso di recidiva. (Corte app. Milano 16/2/2007, Pres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2007, 1153)
  11. In materia di illecito disciplinare nel rapporto di lavoro privato, il principio della immediatezza si riferisce alla contestazione dell’addebito, sia alla tempestività dell’irrogazione della misura disciplinare; entrambe costituiscono esplicazione del generale precetto di conformarsi alla buona fede e alla correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, e devono essere intese in senso relativo, nel senso che la tempestività può essere compatibile con un intervallo di tempo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, a un’adeguata valutazione della gravità dell’addebito mosso al dipendente e alla validità o meno delle giustificazioni da lui fornite; l’accertamento al riguardo compiuto dal giudice di merito è insindacabile in cassazione, ove adeguatamente motivato. (Cass. 23/2/2006 n. 4034, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in D&L 2006, n. U.M. Cafiero, “La tempestività dell’azione disciplinare”, 492)
  12. Il requisito di immediatezza nella contestazione va valutato in funzione della necessaria cautela adoperata dal datore di lavoro nell’accertamento minuzioso dell’imputabilità degli episodi di furto al lavoratore stesso e della non occasionalità della condotta. (Trib. Milano 17/10/2005, Est. Tanara, in Orient. Giur. Lav. 2005, 915)
  13. L’immediata contestazione del fatto al lavoratore deve anche contenere le specificazioni del caso in modo tale da consentire il corretto esercizio del diritto di difesa di cui all’art. 7, L. n. 300/1970. (Cass. 21/4/2005 n. 8303, Pres. Senese Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2005, 792)
  14. L’intervallo temporale tra l’avvenuta conoscenza dei comportamenti ritenuti disciplinarmente sanzionabili e la loro contestazione nei confronti del lavoratore interessato va valutato alla luce del principio di correttezza e buona fede. (Corte d’appello Torino 24/11/2004, Pres. Peyron Rel. Sanlorenzo, in Lav. nella giur. 2005, 391)
  15. Il principio dell’immediatezza della contestazione – che deve essere inteso secondo una ragionevole elasticità, essendo lo stesso compatibile con un intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal lavoratore, ferma restando la necessità che il datore di lavoro si comporti secondo buona fede – va riferito alla contestazione dell’infrazione disciplinare e non anche alla irrogazione disciplinare. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto violato il principio di immediatezza in relazione ad una sanzione espulsiva applicata a distanza di due anni dalla contestazione dell’illecito disciplinare – per il quale era anche in corso un procedimento penale a carico del lavoratore – che era viceversa avvenuta a ridosso della condotta contestata). (Cass. 17/9/2004 n. 18722, Pres. Ianniruberto Rel. Balletti, in Lav. e prev. oggi 2005, 368)
  16. In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, la tempestività o meno della richiesta del Ministro della giustizia, in rapporto al termine decadenziale di un anno previsto dall’art. 59, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1953, n. 916 e successive modificazioni, deve essere verificata tenendo conto – alla stregua della lettera della legge e dei principi generali in materia di procedimento – della data della richiesta predetta, in quanto tale atto, da esternarsi in forma certa e documentale, è sufficiente a far considerare iniziato il procedimento; a tal fine, pertanto, nessun rilievo assume la circostanza che la comunicazione all’incolpato dell’inizio del procedimento sia avvenuta una volta decorso l’anno dalla notizia del fatto, giacchè, anzi, la comunicazione presuppone che l’azione disciplinare sia già stata promossa. (Cass. 5/7/2004 n. 12268, Pres. Greco Rel. Lo Piano, in Lav. e prev. oggi 2004, 2016)
  17. Il principio della immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l’esigenza di osservanza della regola della buona fede e della correttezza nella attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore di procrastinare la contestazione medesima, in modo da rendere impossibile o eccessivamente difficile la difesa del dipendente, né la pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore impedisce al datore di lavoro la contestazione immediata dell’illecito disciplinare, con eventuale sospensione del relativo procedimento fino all’esito del giudizio penale. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto tardiva una contestazione del novembre 1991 riferita a fatti risultanti da un processo penale già chiuso prima del luglio 1990 e in parte risalenti “addirittura” a prima del 1981). (Cass. 11/5/2004 n. 8914, Pres. Mattone Rel. Roselli, in Lav. e prev. oggi 2004, 1291)
  18. In tema di sanzioni disciplinari, la discrezionalità del giudice nel valutare il carattere di tempestività della contestazione disciplinare deve esplicarsi nell’ambito dei presupposti che sono alla base del principio di immediatezza, ossia del riconoscimento del pieno ed effettivo diritto di difesa garantito “ex lege” al lavoratore e del comportamento datoriale secondo buona fede; il giudice può eccezionalmente discostarsi da tale principio, indicando le ragioni che lo hanno indotto a non ritenere illegittima una contestazione fatta non a ridosso immediato dell’infrazione, fermo restando che, allorquando la condotta disciplinarmente rilevante consista nella redazione di un documento, asseritamente denigratorio nei confronti del datore di lavoro, la valutazione della tempestività della contestazione non può essere ispirata a maggiore elasticità rispetto ad altri comportamenti del lavoratore in considerazione della immodificabilità del contenuto dell’atto. (Nella specie, la Poste Italiane Spa aveva irrogato ad un proprio dipendente, rappresentante sindacale, la sanzione disciplinare della sospensione per dieci giorni in relazione ad una serie di lettere di contenuto ritenuto denigratorio nei confronti di un dirigente, procedendo alla relativa contestazione a distanza di oltre sette mesi dalla prima lettera, nella quale erano già contenute espressioni denigratorie; in applicazione dell’esposto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto giustificato il ritardo per essere la condotta addebitata consacrata in un atto scritto, insuscettibile di modificazioni, e per essere le diverse lettere legate ad un filo unitario, e, decidendo, nel merito ha dichiarato illegittima la sanzione disciplinare). (Cass. 17/12/2003 n. 19350, Pres. Prestipino Rel. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2004, 1129)
  19. La contestazione disciplinare per essere considerata legittima deve presentare il carattere della “immediatezza” e tale carattere essenziale trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto comma, della legge n. 300/1970 che riconosce al lavoratore incolpato il diritto di difesa da garantirsi nella sua effettività al fine di consentirgli l’allestimento del materiale difensivo (pronto riscontro delle accuse con eventuali testimonianze e documentazione) in tempi ad immediato ridosso dei fatti contestati ed in modo che lo stesso lavoratore possa contrastare più efficacemente il contenuto delle accuse rivoltegli dal datore di lavoro, dovendosi anche considerare (nella valutazione del rilievo del cennato carattere) il giusto “affidamento” del prestatore, nel caso di ritardo nella contestazione, che il fatto incriminabile possa non avere rivestito una connotazione “disciplinare”, dato che l’esercizio del potere disciplinare, non è per il datore un obbligo, bensì una facoltà. Nell’esercizio del potere disciplinare il datore di lavoro deve comportarsi “secondo buona fede”, specie per evitare che sanzioni disciplinari irrogate senza consentire all’incolpato un effettivo diritto di difesa si pongano appunto, quale trasgressione in re ipsa della “buona fede”, che è la matrice fondativa dei doveri-oneri sanciti dall’art. 7 cit. e, anche, dall’art. 2106 c.c. Per cui l’affidamento legittimo del lavoratore non può venire vanificato da una tardiva contestazione disciplinare, comportando l’esercizio in tal senso viziato dal potere disciplinare una preclusione per l’espletamento di detto potere e, conseguentemente, rendendo invalida la sanzione irrogata in contrasto con il principio dell’immediatezza. L’applicazione in c.d. “senso relativo” del principio dell’immediatezza non può svuotare di efficacia il principio stesso dovendosi infatti tenere conto di quanto statuito dall’art. 7 cit. e della esigenza di una razionale amministrazione dei rapporti contrattuali secondo “buona fede”. Pertanto, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini senza uno specifico motivo obiettivamente valido (da accertarsi e valutarsi rigorosamente) ed il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, deve prevalere la posizione (ex lege tutelata) del lavoratore. (Cass. 7/11/2003 n. 16754, Pres. Senese Rel. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2004, 721)
  20. La sanzione disciplinare è illegittima se l’addebito è stato contestato in modo non tempestivo. (Trib. Milano 6/2/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 336)
  21. Il termine di 20 giorni stabilito dall’art. 24 Ccnl Ministeri per la contestazione dell’addebito al dipendente, non ha natura perentoria bensì ordinatoria, poiché non si rinviene nel testo del contratto l’intenzione delle parti sociali di prevedere una decadenza che sacrifica in modo significativo l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. (Trib. Milano 18/12/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2003, con nota di Ilaria Zanesi, “Natura ordinatoria o perentoria dei termini per la contestazione nel procedimento disciplinare”)
  22. Il principio dell’immediatezza dell’azione disciplinare discende dalla nozione di giusta causa di licenziamento come configurata dall’art. 2119 c.c. ed assicura la possibilità di un’utile difesa e di un effettivo contraddittorio, oltre che la certezza dei rapporti giuridici: in tal senso, detto principio risponde ad un’esigenza irrinunciabile anche in ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo. Tale immediatezza dell’azione disciplinare va intesa in senso relativo ed il giudizio di conformità del comportamento del datore di lavoro a suddetto principio deve condursi caso per caso con necessario riguardo alla complessità e delicatezza degli accertamenti da effettuare ed anche alla possibilità di sospensione del procedimento disciplinare. (Corte d’Appello Firenze 3/4/2002, Pres. Bartolomei Est. Pieri, in D&L 2003, 163, con nota di Lisa Giometti, “Temperamenti e limiti invalicabili del criterio di tempestività dell’azione disciplinare in relazione ad addebito disciplinare integrante ipotesi di reato”)
  23. In materia di sanzioni disciplinari a carico del lavoratore dipendente, poiché il principio della immediatezza della contestazione rispetto al fatto è compatibile con l’intervallo necessario all’accertamento della condotta del lavoratore ed alle adeguate valutazioni di questa, deve escludersi che incorra nella violazione di tale principio il datore di lavoro che, ai fini di un corretto accertamento del fatto, anziché procedere a proprie indagini, scelga di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale. (Cass. 12/3/01, n. 3560, pres. Prestipino, est. Foglia, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 324)
  24. Il principio dell’immediatezza e della tempestività riguarda, ad un tempo, sia la contestazione degli addebiti sia l’irrogazione della sanzione e trova il suo fondamento nell’art. 7 (comma 3 e 4) Statuto dei lavoratori, che riconosce al lavoratore incolpato il diritto alla difesa: che deve essere garantito nella sua effettività, soprattutto nel senso di una contestazione ad immediato ridosso dei fatti contestati, si da poter consentire al lavoratore l’allestimento del materiale difensivo (documentazione, testimonianze etc.) per contrastare nel modo più efficace il contenuto delle accuse rivoltegli dal datore di lavoro, tutto ciò senza considerare il giusto “affidamento” del prestatore, nel caso di ritardo nella contestazione, che il fatto “incriminabile” possa non aver rivestito una connotazione “disciplinare”, dato che l’esercizio del potere disciplinare non è, per il datore di lavoro, un obbligo, bensì una facoltà. In giurisprudenza l’applicazione del cennato principio è stata “temperata” nel senso che l’immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere intesa in una accezione “relativa” essendo compatibile con un intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore (ex plurimis, Cass. n. 11095/97). Non può tuttavia rientrare in questa “elasticità” la contestazione, nella specie, a distanza di 8, 20 e 43 mesi rispetto ai fatti addebitati (ammanchi di cassa), né costituisce giustificazione del ritardo – incidente a danno della posizione del lavoratore – l’asserita e indimostrata complessità delle verifiche nonché la disorganizzazione amministrativa nella conduzione aziendale (Cass. 8/1/01, n. 150, pres. Trezza, est. Balletti, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 596)
  25. L’esigenza dell’immediatezza che regola il corretto esercizio del potere disciplinare, comporta che la tempestività della contestazione sia esclusa non solo quando risulti sia stato esercitato con modalità e fini diversi da quelli suoi propri, ma anche quando il tempo trascorso abbia ingenerato la legittima convinzione del prestatore di lavoro della rinuncia all’esercizio del potere stesso. In applicazione del principio di buona fede, che costituisce il fondamento dell’esigenza di immediatezza, il tempo che intercorre tra verificazione del fatto, contestazione dell’illecito ed irrogazione della sanzione deve essere valutato non solo in relazione alla complessità dei fatti e dell’accertamento nonché della valutazione e qualificazione giuridica per la individuazione della sanzione applicabile; quel tempo deve essere valutato anche nel quadro della struttura aziendale, in particolare quando la complessità dell’ organizzazione e della relativa scala gerarchica comporti la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà dell’imprenditore (Cass. 21/12/00, n. 16050, pres. De Musis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 974)
  26. Il principio di tempestività della sanzione disciplinare va interpretato in senso relativo, con riferimento specifico alle ragioni oggettive del caso concreto, che possono portare a ritardare il momento dell’accertamento dei fatti (Trib. Roma 15/12/00, pres. e est. Bellini, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 113)
  27. E’ illegittima la sanzione disciplinare preceduta da una non tempestiva contestazione degli addebiti; il valore relativo da attribuirsi al requisito dell’immediatezza della contestazione, onde consentire al datore di lavoro il preciso accertamento della condotta del lavoratore, va infatti contemperato con l’esigenza di garantire a quest’ultimo la possibilità di difesa, che viene invece compromessa dal decorrere di un lasso di tempo eccessivo (Tribunale Milano 30 giugno 2000, est. Peragallo, in D&L 2000, 985)

 

 

Disciplina contrattuale

  1. Ove il Ccnl applicato preveda che i provvedimenti disciplinari di sospensione e licenziamento siano adottati dall’organo collegiale della società datrice di lavoro l’intimazione del recesso operata dal Direttore del personale determina la invalidità del licenziamento (nella specie il giudice ha ritenuto che l’organo collegiale andasse individuato nel Consiglio d’Amministrazione). (Trib. Milano 30/11/2002, ord., Est. Mascarello, in D&L 2003, 384, con nota di Giuseppe Bulgarini d’Elci, “Sui limiti contrattuali nell’individuazione del soggetto abilitato a licenziare”)
  2. Nel caso in cui il contratto collettivo preveda, ai fini dell’applicazione di un provvedimento disciplinare, un termine massimo decorrente dalla presentazione delle giustificazioni, tale termine opera anche nelle ipotesi in cui il lavoratore ometta di presentare giustificazioni, considerato che la disposizione contrattuale prevede tale presentazione come facoltà, così come il mancato esercizio di tale facoltà non può consentire l’inosservanza del termine finale per l’irrogazione della sanzione. (Trib. Milano 23/7/2002, Est. Vitali, in Lav. nella giur. 2003, 493)
  3. La clausola di contratto collettivo (nella specie, dei metalmeccanici privati) la quale prevede che, in sede di procedimento disciplinare, la contestazione vada fatta per iscritto, che i provvedimenti non potranno essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni, e che le giustificazioni si intendono accolte se il provvedimento non viene emesso entro i sei giorni successivi, è correttamente interpretata, pena la nullità per violazione della norma inderogabile di cui all’art. 7, 5° comma, l. 20/5/70, n. 300 e la sua sostituzione automatica con la norma di legge, nel senso che il secondo termine decorre dallo spirare del primo anche se le giustificazioni siano state rese anteriormente allo spirare del medesimo; il termine di sei giorni di cui sopra è rispettato qualora il provvedimento disciplinare, pur comunicato all’interessato successivamente alla sua scadenza, si sia perfezionato prima della medesima (Cass. 7/9/00, n. 11806, pres. Ianniruberto, est. Stile, in Foro it. 2000, pag. 3472)
  4. L’art. 52 del Ccnl industria chimica e farmaceutica secondo cui i provvedimenti disciplinari, tra cui il licenziamento, devono essere emanati non prima del decorso di cinque giorni dalla contestazione ed entro i cinque giorni successivi, pone a carico del datore di lavoro l’onere di adottare entro tale termine il provvedimento disciplinare non anche di portarlo a conoscenza del lavoratore (Trib. Milano 3 novembre 1999, est. Porcelli, in D&L 2000, 215)
  5. Il termine di decadenza del potere datoriale di adottare provvedimenti disciplinari, stabilito in 6 giorni dall’art. 23 sez. III D.G. CCNL per l’industria privata metalmeccanica, si riferisce al momento di emanazione del provvedimento medesimo e di spedizione della relativa lettera, non essendo invece necessario che quest’ultima pervenga nel detto termine al lavoratore che ne è destinatario (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 16/1/96, est. Perrino, in D&L 1996, 761)
  6. Il termine previsto dall’art. 23 c. 4 D.G. sez. III CCNL metalmeccanici privati per la comminazione della sanzione deve considerarsi superato, ove il provvedimento disciplinare, atteso il suo carattere recettizio, pervenga al lavoratore oltre i sei giorni successivi alle giustificazioni; in tal caso la sanzione deve essere annullata, assumendo il mancato rispetto del termine il significato di irrimediabile preclusione all’adozione del provvedimento (Pret. Monza 25/7/95, est. Padalino, in D&L 1996, 160, nota MAZZONE, Sanzioni disciplinari: termine finale per la loro comminazione e obbligo di motivazione)
  7. Ove il CCNL applicato preveda l’obbligo di motivazione della sanzione, l’inosservanza di tale obbligo da parte del datore di lavoro determina la nullità del provvedimento disciplinare (Pret. Monza 25/7/95, est. Padalino, in D&L 1996, 160, nota MAZZONE, Sanzioni disciplinari: termine finale per la loro comminazione e obbligo di motivazione. In senso conforme, v. Trib. Monza, sez. Desio, 14/6/99, est. Rolfi, in D&L 1999, 865)
  8. Sono illegittime le sanzioni disciplinari inflitte senza il rispetto del termine di trenta giorni previsto per l’invio della contestazione dell’infrazione dall’art. 86 del CCNL 1/1/90 dei ferrovieri (Pret. Milano 7/3/95, est. Atanasio, in D&L 1995, 555)
  9. Il termine finale contrattuale di trenta giorni dalla conoscenza del fatto per la contestazione del medesimo al dipendente ai fini disciplinare, previsto dall’art. 86 CCNL 1/1/90 ferrovieri, è rispettato qualora la lettera di contestazione venga spedita entro il termine stesso, essendo irrilevante il momento della ricezione da parte del dipendente (Pret. Milano 15/10/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 79, nota FRANCESCHINIS, Poteri della commissione di garanzia e sanzioni disciplinari agli scioperanti; in senso conforme, v. Trib. Milano 30/5/97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 751, n. Franceschinis, Ancora in tema di sanzioni disciplinari e sciopero ex L. 146/90)

 

 

Condotta antisindacale

  1. Comprime in maniera illegittima il diritto di difesa del lavoratore soggetto a procedimento disciplinare – e ancor più il diritto del sindacato di svolgere liberamente la propria attività sindacale, che si estrinseca anche nell’assistenza del lavoratore che deve rendere le proprie giustificazioni – la richiesta della società di sentire il lavoratore in una sede che dista oltre 500 km dal luogo dove il dipendente svolge la propria prestazione (Trib. Milano 10/11/2006, decr., Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Eleonora Pini, “Il diritto di difesa ex art. 7 SL”, 81)
  2. La contestazione disciplinare comunicata a soggetti diversi dal lavoratore direttamente interessato, per di più affissa nella bacheca aziendale, lede l’immagine professionale e pubblica del lavoratore, nonché la sua personalità morale e, pertanto, contrasta con l’art. 2087 c.c. Costituisce condotta antisindacale la comunicazione di una contestazione disciplinare a soggetti diversi dai lavoratori direttamente interessati, di per sé comunque illegittima, qualora tale comportamento costituisca modalità attuativa di una precedente condotta accertata quale antisindacale (nella specie la condotta antisindacale già accertata consisteva nell’avvio di una procedura disciplinare nei confronti di lavoratori che, nell’ambito di un’azione sindacale, si erano rifiutati di effettuare interventi richiesti fuori dall’orario di lavoro). (Trib. Milano 9/1/2004, Est. Santosuosso,, in D&L 2004, 304, con nota di Angelo Beretta, “Assenza di riservatezza nella procedura disciplinare: una modalità antisindacale di attuare una condotta antisindacale”)
  3. La contestazione disciplinare non ancora sfociata in un provvedimento disciplinare costituisce condotta antisindacale qualora si configuri come uno strumento intimidatorio, diretto a ostacolare lo svolgimento dell’attività sindacale (Trib. Milano 3 febbraio 2000 (decr.), est. Salmeri, in D&L 2000, 328)
  4. E’ antisindacale la sanzione inflitta dal datore di lavoro senza aver raccolto le giustificazioni offerte dal lavoratore per il tramite del rappresentante sindacale ex art. 7 SL (Pret. Legnano 3/11/94, est. Ravazzoni, in D&L 1995, 98)

 

 

Questioni di procedura

  1. Ai sensi dell’art. 10, All. A del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, a eccezione delle questioni disciplinari, le controversie riguardanti il personale autoferrotranviario erano state già devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro. Il passaggio al giudice ordinario delle controversie concernenti anche i provvedimenti disciplinari è da considerare avvenuto fin dal D.Lgs. n. 28/1993, in forza dell’art. 68. Tuttavia – giusta l’art. 45, comma 17, del D.Lgs. n. 80/1998 – permangono al giudice amministrativo le controversie che attengono a periodi del rapporto di lavoro precedenti il 30 giugno 1998 e che sono state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000. (Cons. Stato 21/11/2007 n. 5968, Pres. Santoro Est. Giambartolomei, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marcello Lupoli, 945)
  2. Il giudizio di congruità della sanzione disciplinare non costituisce eccesso di mandato del collegio arbitrale investito dell’impugnazione della sanzione stessa. (Trib. Firenze 21/10/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 458)
  3. L’art. 10, 1° comma, L. 27/3/01 n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche) è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che gli artt. 1 e 2 della legge stessa-concernenti gli effetti della sentenza di “patteggiamento” nel giudizio disciplinare-si riferiscano anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore. (Corte Cost. 25/7/2002 n. 394, Pres. Ruperto Rel. Mezzanotte, in D&L 2002, con nota di Rossana Martignoni, “Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare nel pubblico impiego”)
  4. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., del combinato disposto dell’art. 1 L. 24/5/52 n. 628 (Estensione della norma del RD 8/1/31 n. 148 al personale delle filovie urbane ed extraurbane e delle autolinee urbane), degli artt. 1, 3 e 4 L. 22/9/60 n. 1054 (Estensione delle norme contenute nel RD 8/1/31 n. 1478 al personale degli autoservizi extraurbani) e dell’art. 58 RD 8/1/31 n. 148 all. A (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), che demanda alla cognizione del Giudice amministrativo, anziché a quella del Giudice ordinario in funzione di Giudice del lavoro, le controversie concernenti la legittimità di sanzioni disciplinari comminate ai dipendenti di aziende autoferrotranviarie successivamente all’entrata in vigore dell’art. 68 D. Lgs. 3/2/93 n. 29. La specialità della disciplina rende infatti – sul piano costituzionale – la ripartizione della giurisdizione relativa a quei rapporti di lavoro non dipendente dalla giurisdizione spettante al Giudice ordinario in materia di rapporti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni. (Corte Cost. 7/5/2002 n. 161, Pres. Ruperto Rel. Chieppa, in D&L 2002, 581, con nota di Giovanni Paganuzzi, “Autoferrotranvieri: l’occasione perduta”)
  5. La sospensione del procedimento disciplinare non può legittimamente protrarsi fino alla conclusione del processo penale per il solo fatto che la condotta contestata sia oggetto di indagine da parte della magistratura inquirente: il datore di lavoro può, infatti, accedere al fascicolo del procedimento penale già alla chiusura delle indagini preliminari e con il rinvio a giudizio dell’indagato e, pertanto, nel caso in cui la procedura disciplinare sia stata temporaneamente sospesa nell’intento di valersi delle acquisizioni dell’istruttoria penale per un’adeguata valutazione dei fatti contestati, e con riferimento al momento in cui cessa il segreto istruttorio che dovrà valutarsi la tempestività dell’azione disciplinare. (Corte d’Appello Firenze 3/4/2002, Pres. Bartolomei Est. Pieri, in D&L 2003, 163, con nota di Lisa Giometti, “Temperamenti e limiti invalicabili del criterio di tempestività dell’azione disciplinare in relazione ad addebito disciplinare integrante ipotesi di reato”)
  6. Costituisce domanda nuova (e non diversa qualificazione dei medesimi fatti), e come tale è inammissibile se proposta per la prima volta in grado d’appello, la richiesta al giudice di considerare una serie di episodi come elementi costitutivi di un illecito disciplinare contemplato da una norma del contratto collettivo applicabile (Cass. 6/6/00, n. 7617, pres. Ianniruberto, est. Lamorgese, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 79, con nota di Corti, Conversione ex officio del licenziamento per giusta causa e fattispecie previste dalla contrattazione collettiva)
  7. Nel giudizio promosso dal datore di lavoro per l’accertamento della legittimità della sanzione disciplinare irrogata, ha natura riconvenzionale (e pertanto deve essere proposta, a pena di inammissibilità, secondo quanto disposto dall’art. 418 c.p.c.) la domanda – proposta dal lavoratore convenuto – di condanna della società al pagamento della retribuzione trattenuta in esecuzione della sanzione medesima (Pret. Firenze 10/12/98, est. Varriale, in D&L 1999, 603, n. Pavone, Sanzione disciplinare: vizi di forma e domanda di restituzione delle somme trattenute)
  8. È inammissibile, per carenza di interesse ad agire, la domanda con cui il datore di lavoro si rivolga al giudice per ottenere l’accertamento della legittimità dell’esercizio in futuro del proprio potere disciplinare e la scelta, tra le misure previste dal codice disciplinare, del provvedimento adeguato ai fatti contestati al lavoratore in sede aziendale (Pret. Milano 5/3/98, est. Mascarello, in D&L 1998, 805)

 

 

Casistica

  1. Nulla la sanzione disciplinare a chi rifiuta un nuovo orario di lavoro svantaggioso.
    Tribunale e Corte d’appello avevano dichiarato l’illegittimità delle sanzioni disciplinari comminate ad alcuni lavoratori metalmeccanici per essersi rifiutati di osservare il nuovo orario giornaliero di lavoro stabilito dall’azienda, articolato su turni di otto ore “spezzati” (dalle ore 6 alle ore 12 e dalle 14 alle 16, oppure dalle ore 12 alle 14 e dalle 16 alle 22), in luogo di quello precedente, basato su turni di otto ore consecutive. I giudici di merito avevano in particolare evidenziato che la modifica di orario disposta dall’azienda, impedendo ai lavoratori di fruire della mezz’ora di pausa retribuita che il CCNL metalmeccanici riconosce solo in presenza di turni giornalieri avvicendati di 8 ore consecutive, aveva determinato un aumento delle ore di lavoro effettivo (otto, invece che sette e mezzo). La valutazione dei giudici di merito supera il vaglio della Cassazione, che, in motivazione, osserva come il ricorso proposto dal datore di lavoro, che lamentava un’errata interpretazione da parte della Corte d’appello delle norme negoziali, non si confronti con la ratio decidendi della sentenza impugnata, ove la affermata illiceità della condotta aziendale non poggia su una interpretazione della previsione collettiva difforme rispetto a quella prospettata dall’azienda, bensì sulla decisione di quest’ultima di introdurre unilateralmente una modifica del sistema di turnazione che aveva privato i lavoratori di un beneficio (la mezz’ora di pausa retribuita) riconosciuto dalla contrattazione collettiva. (Cass. 16/3/2023 n. 7684, Pres. Tria Rel. Di Paola, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23)
  2. Il rifiuto immotivato, opposto da un insegnante di scuola media all’invito, rivolto dalle autorià scolastiche, a sottoporsi ad accertamento dell’idoneità psico-fisica allo svolgimento dell’attività scolastica costituisce atto in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione di insegnante, tale da giustificare l’adozione del provvedimento di destituzione, in quanto configura una violazione non solo dell’interesse dell’amministrazione al regolare svolgimento del servizio ma anche dell’interesse degli studenti a ricevere un insegnamento di qualità adeguata alle loro esigenze, in ambiente sano e sereno. (Rigetto, App. Bologna, 11 dicembre 2003). (Cass. 9/8/2006 n. 17969, Pres. Ravagnani Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1008)
  3. Polemiche, situazioni di tensione, recriminazioni espressioni di malumore contrastanti con l’ordinata e serena convivenza in azienda ed immediatamente conseguenti ad un grave furto perpetrato da ignoti nei locali dell’azienda stessa, ben possono dar luogo a provvedimenti disciplinare ma non alla sanzione espulsiva, capace di privare il lavoratore e la sua famiglia dei mezzi di sussistenza. (Cass. 23/6/2005 n. 13465, Pres. Senese Rel. Roselli, in Lav. e prev. oggi 2005, 1279)
  4. È illegittima la sanzione inflitta ex art. 4 L. 12/6/90 n. 146 della Commissione di Garanzia alla O.S. proclamante uno sciopero legittimo, qualora il comportamento censurato sia ascrivibile ad un gruppo di lavoratori che, pur non essendo destinatari della proclamazione, avevano spontaneamente aderito allo sciopero. (Trib. Milano 6/10/2003, Est. Negri della Torre, in D&L 2004, 58)
  5. L’inosservanza degli obblighi del lavoratore non si limita al rifiuto di adempimento di disposizioni superiori, ma implica necessariamente qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione del corretto svolgimento delle disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale. E’ legittima pertanto la sanzione disciplinare inflitta al dipendente che si sottrae ad accertamenti sanitari da protocolli sanitari stabiliti dal datore per il controllo dell’idoneità psicofisica del lavoratore alle mansioni e giustificati sia dall’esigenza di servizio, come il determinare l’idoneità ad effettuare il servizio stesso, che ad esigenze di tutela della salute del lavoratore consentendone l’applicazione a mansioni confacenti al suo stato psicofisico. (Trib. Milano 9/7/2003, Est. Peragallo, in Lav. nella giur. 2004, 92)
  6. Non costituisce comportamento disciplinarmente rilevante l’aver disatteso un ordine di servizio emanato dal datore di lavoro, qualora le disposizioni in esso contenute difettino di specificità e abbiano un carattere di mera raccomandazione non vincolante (Pret. Roma 3/12/98, est. Perra, in D&L 1999, 356, n. PAVONE)
  7. La richiesta, svolta con congruo anticipo, dei tecnici della manutenzione, di essere accompagnati presso le proprie postazioni, in luogo di utilizzare l’autovettura aziendale, realizzando una parziale e programmata astensione dalla prestazione (accessoria) per la tutela di un interesse collettivo e non per il perseguimento di finalità esorbitanti da questo, è da ritenersi legittimo (nella fattispecie sono state conseguentemente dichiarate illegittime le sanzioni inflitte ai lavoratori che avevano attuato l’astensione dalla prestazione accessoria) (Pret. Roma 6/6/98, est. Mariani, in D&L 1998, 920)
  8. E’ illegittima in quanto sproporzionata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per quattro giorni, volta a sanzionare l’ipotesi di risposta “arrogante” del dipendente a una disposizione impartita dal superiore gerarchico, qualora il comportamento del lavoratore non costituisca “grave insubordinazione” e la disposizione sia stata comunque eseguita (Pret. Roma 3/12/98, est. Perra, in D&L 1999, 356, n. PAVONE)

 

 

Pubblico impiego

  1. Ai fini del licenziamento disciplinare, nel caso di specie per le false timbrature della presenza al lavoro effettuate da un collega, la Pubblica Amministrazione può legittimamente avvalersi delle risultanze del procedimento penale a carico del dipendente e degli atti della polizia giudiziaria. (Cass. 5/3/2021, n. 6221, Pres. Tria Rel. Torrice, in Lav. nella giur. 2021, 660)
  2. La sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale, di cui all’art. 55-ter, c. 1, D.Lgs. n. 165 del 2001, costituisce facoltà discrezionale attribuita alla P.A., il cui esercizio, peraltro, non obbliga quest’ultima ad attendere la conclusione del processo penale con sentenza irrevocabile, potendo riprendere il procedimento disciplinare allorquando ritenga che gli elementi successivamente acquisiti consentano la decisione, alla stregua di una regola che, già ricavabile dal sistema, è stata successivamente formalizzata dalla integrazione della suddetta disposizione ad opera del D.Lgs. n. 75 del 2017. (Cass. 17/2/2021 n. 4195, Pres. Tria Est. Tricomi, in Lav. nella giur. 2021, 553)
  3. Sanzioni disciplinari per i dipendenti delle aziende del trasporto pubblico: è facoltà del lavoratore impugnare la sanzione o tramite il collegio di conciliazione di cui all’art. 7 Stat. Lav. oppure mediante ricorso gerarchico di cui al R.D. 148/1931.
    Il Tribunale di Roma chiarisce che nel settore Autoferrotranvieri l’impugnazione della sanzione disciplinare può essere proposta o nelle forme di cui all’art. 7 Stat. Lav. o con ricorso gerarchico previsto dalla normativa speciale, ossia il R.D. 148/1931. Nel caso in cui il lavoratore abbia promosso la costituzione del collegio di conciliazione di cui all’art. 7 Stat. Lav., il datore di lavoro è tenuto ad aderirvi pena l’inefficacia della sanzione disciplinare. (Trib. Roma 23/9/2020, Giud. Giordano, in Wikilabour, Newsletter n. 16/2020)
  4. Nel pubblico impiego privatizzato, ove la previsione del CCNL ricolleghi ad un determinato comportamento disciplinarmente rilevante solamente una sanzione conservativa, il giudice del merito è vincolato, salva la eventuale nullità di tale previsione ai sensi dell’art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001. (Cass. 16/7/2020 n. 15227, Pres. Napoletano Est. Spena, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. Diamante, Gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato tra tipizzazione e interpretazione giudiziaria, 619)
  5. È illegittima la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per tre giorni comminata dal dirigente scolastico a un docente. La competenza ad applicare al personale docente le sanzioni più gravi della censura e dell’avvertimento scritto spetta all’ufficio per i procedimenti disciplinari ex art. 492 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297. L’art. 55-bis del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, “forme e termini per il procedimento disciplinare”, anche nella sua più recente riformulazione (art. 13 del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75), è una norma di carattere meramente procedurale e, in quanto tale, inidonea a conferire un potere disciplinare in capo al dirigente scolastico per le sanzioni conservative fino a dieci giorni. (Trib. Udine 30/6/2017, Pres. Zuliani Est. Luongo, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di E. Capaldo, “Il potere disciplinare e la competenza sanzionatoria del dirigente scolastico dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75”, 817)
  6. Non è configurabile l’acquiescenza dell’ente pubblico al comportamento disciplinarmente rilevante tenuto dal lavoratore, in quanto, a differenza dell’imprenditore privato, la pubblica amministrazione non può tollerare che rimangano impuniti comportamenti contrari all’interesse pubblico generale. (Cass. 4/4/2017, n. 8722, Pres. Macioce Est. Di Paolantonio, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di A. Tampieri, “Violazione dell’incompatibilità permanenza dell’illecito disciplinare e acquiescenza dell’amministrazione”, 853)
  7. L’art. 55-bis, comma 1, d.lgs. 165/2001 attribuisce la competenza a irrogare le sanzioni disciplinari nei confronti dei pubblici dipendenti al responsabile della struttura di appartenenza per le sole infrazioni disciplinari di minore gravità, mentre per quelle di maggiore gravità il comma 3 prevede che il responsabile trasmetta la notizia del fatto all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Di conseguenza per il personale direttivo e docente della scuola, il dirigente scolastico è competente all’irrogazione diretta soltanto delle sanzioni disciplinari della censura e dell’avvertimento scritto. Pertanto qualora si tratti di infrazioni punibili con sanzione più grave, tra cui quella della sospensione con un massimo edittale “fino a un mese”, il dirigente deve trasmettere la notizia del fatto all’ufficio per i procedimenti disciplinari, istituito presso l’ufficio scolastico regionale. La violazione delle norme sulla competenza disciplinare, trattandosi di norme imperative (art. 55, d.lgs. n. 165/2001), determina la nullità della sanzione irrogata. (Trib. Roma 3/3/2017, Giud. Armone, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di A. Ingrao, “Le norme imperative nel procedimento disciplinare del pubblico impiego privatizzato: gli assenti hanno sempre torto”, 629)
  8. Nel pubblico impiego contrattualizzato la risoluzione del rapporto di lavoro – a seguito del procedimento di cui all’art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 – nel caso di ingiustificato rifiuto, da parte del dipendente pubblico, di sottrarsi alla visita medica di idoneità, reiterato per almeno due volte, di cui al combinato disposto dell’art. 55 octies, lett. d), D.Lgs. n. 165 del 2001 con l’art. 6 del d.P.R. n. 171 del 2011, costituisce un’autonoma ipotesi di licenziamento disciplinare, finalizzata ad assicurare il rispetto delle altre norme dettate dall’art. 55 octies cit., sempre tutelando il diritto di difesa del dipendente. (Cass. 7/11/2016 n. 22550, Pres. Macioce Est. Tria, in Lav. nella giur. 2017, con commento di F. Chietera, 143)
  9. Pur a fronte di un contegno protrattosi nel tempo e fino alla data della contestazione di addebito (nella fattispecie assunzione della carica di amministratore e socio di S.n.c. avente fine di lucro e proprietaria di due ristoranti) deve ritenersi, in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 55 bis D.Lgs. n. 165/2001 e del principio di immediatezza, che l’Azienda Sanitaria Locale sia definitivamente decaduta dal potere di irrogare al pubblico dipendente la sanzione disciplinare quando, come nel caso, fosse a conoscenza di tale situazione da oltre un anno. (Trib. Venezia 2/12/2014, ord., Giud. Menegazzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Mauro Dallacasa, 609)
  10. Con l’art. 55 bis D.Lgs. n. 165/2001 il legislatore ha previsto – anche a garanzia del dipendente – precisi limiti temporali per operare la contestazione di addebito disciplinare e per l’espletamento della relativa procedura con un sistema di decadenze particolarmente rigoroso sia con riferimento alle scansioni endoprocessuali, sia, soprattutto, con riferimento al termine finale che pone chiaramente in 60 giorni, elevati a 120 per i casi in cui la sanzione da applicare è più grave di quella di cui al primo comma, primo periodo, e rispetto al quale prevede espressamente che “la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”. (Trib. Milano 26/3/2014, Giud. Di Lorenzo, in Lav. nella giur. 2014, 825)
  11. I termini per la contestazione dell’addebito sono limiti temporali, di natura negoziale e pertanto hanno natura ordinatoria, di conseguenza la violazione degli stessi determina un mero inadempimento contrattuale. (Cass. 10/3/2010 n. 5806, Est. Amoroso, in D&L 2010, con nota di Francesco Maiorana, “Contestazione dell’addebito e termini ordinatori”, 609)
  12. Nelle controversie del personale della scuola, va affermata la legittimazione passiva dell’Ufficio scolastico regionale, quale autonomo centro di responsabilità amministrativa, stante la previsione dell’art. 8 del d.p.r. n. 319/2003 che dispone che tale Ufficio ha legittimazione passiva in materia di contenzioso del personale della scuola. (Trib. Modena 7/10/2008, Est. Ponterio, in Lav. nelle P.A. 2008, 1132)
  13. Nelle controversie del personale della scuola, va affermata la legittimazione passiva del Dirigente scolastico in ragione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche rispetto all’amministrazione regionale e provinciale. (Trib. Modena 7/10/2008, Est. Ponterio, in Lav. nelle P.A. 2008, 1132)
  14. Pur non essendo perentorio il termine di 20 giorni per la contestazione dell’illecito quale previsto dall’art. 27 CCNL Comparto Enti pubblici non economici del 6 luglio 1995, il più generale principio di immediatezza è sicuramente applicabile anche al licenziamento del lavoratore pubblico, non trovando giustificazione né il non breve intervallo fra conoscenza e contestazione, né il notevole lasso di tempo fra quest’ultima e l’acquisizione di elementi aggiuntivi di valutazione, ove si tratti di fatti di semplice accertabilità. (Cass. 17/9/2008 n. 23742, Pres. Celentano Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 883)
  15. Poiché nel rapporto di lavoro comune l’atto di apertura del procedimento disciplinare è rappresentato dalla contestazione degli addebiti che è atto i cui effetti si producono solo in quanto esso è portato a conoscenza del dipendente, una lettura dell’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957 che tenga conto del nuovo assetto normativo della materia nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle p.a., deve ricostruire la sequenza del procedimento disciplinare considerandone come primo atto quello di contestazione degli addebiti al dipendente. Conseguentemente il decorso del termine di estinzione del procedimento previsto dall’articolo citato si determina in relazione al momento della contestazione e non già quello della emanazione dell’atto di avvio del procedimento, che è vicenda puramente interna e prodromica all’avvio del procedimento. (Cass. 21/7/2008 n. 20074, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 651)
  16. Il termine di 180 giorni previsto dalla contrattazione di comparto per riassumere il procedimento disciplinare sospeso a causa di processo penale decorre dal giorno in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza definitiva, senza che si possa ingiustificatamente postulare l’onere del datore di lavoro di attivarsi per ottenere la cognizione del procedimento e del suo contenuto. (Cass. 8/5/2008 n. 11361, Pres. Senese Est. Miani Canevari, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Marco Esposito, “Processo penale e procedimento disciplinare nella normativa sul lavoro pubblico: diritto di difesa del dipendente e buon andamento delle amministrazioni pubbliche, 384)
  17. Nel caso di successione di diverse contestazioni disciplinari, qualora sia poi intervenuto accertamento penale sui fatti addebitabili al lavoratore e costituenti giusta causa di licenziamento, la non perfetta coincidenza tra l’ultima contestazione mossa e i fatti oggetto del processo penale non rileva se il convincimento del giudice, ai fini della valutazione della responsabilità, può fondarsi su un apprezzamento complessivo della condotta del dipendente protratta nel tempo. (Cass. 8/5/2008 n. 11361, Pres. Senese Est. Miani Canevari, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Marco Esposito, “Processo penale e procedimento disciplinare nella normativa sul lavoro pubblico: diritto di difesa del dipendente e buon andamento delle amministrazioni pubbliche, 384)
  18. La legge non assegna alcun rilievo alla valutazione delle difese presentate dal dipendente da parte del datore di lavoro, e quindi al processo di formazione della sua volontà per l’esercizio del potere disciplinare, perché il controllo della legittimità della sanzione eventualmente adottata resta comunque affidato al sindacato giudiziale mediante l’impugnazione del provvedimento. (Cass. 8/5/2008 n. 11361, Pres. Senese Est. Miani Canevari, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Marco Esposito, “Processo penale e procedimento disciplinare nella normativa sul lavoro pubblico: diritto di difesa del dipendente e buon andamento delle amministrazioni pubbliche, 384)
  19. E’ integralmente condivisibile l’ordinanza con la quale il Tribunale monocratico ha annullato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi di un infermiere professionale addetto al reparto di medicina interna di azienda ospedaliera, risultando la stessa sproporzionata pur in presenza di una violazione dei doveri di fedeltà nei confronti dell’azienda, non essendo oltretutto possibile ravvisare una significativa violazione della riservatezza del paziente coinvolto nell’accaduto. (Trib. Firenze 27/8/2007, Pres. ed est. Bazzoffi, in D&L 2007, con nota di Filippo Pirelli, “Violazione dell’obbligo di fedeltà e sproporzione della sanzione disciplinare”, 1144)
  20. Risulta sproporzionata e di conseguenza va sospesa la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi di un infermiere professionale addetto al reparto di medicina interna di azienda ospedaliera per avere lo stesso chiamato, durante il turno del servizio, gli organi di stampa per denunziare il ricovero di un paziente in soprannumero rispetto alla disponibilità dei posti letto in reparto. (Trib. 29/6/2007, ord., Est. Taiti, in D&L 2007, con nota di Filippo Pirelli, “Violazione dell’obbligo di fedeltà e sproporzione della sanzione disciplinare”, 1143)
  21. Poiché, per orientamento consolidato della Cassazione penale, la registrazione fonografica clandestina di colloqui tra presenti da parte di un soggetto che ne sia partecipe, costituisce una forma di memorizzazione di fatto storico del quale l’Autore può disporre legittimamente, anche ai fini di prova nel processo ai sensi dell’art. 234 c.p.p., non può essere disciplinarmente sanzionato dall’Amministrazione il dipendente pubblico che registri conversazioni intercorse con studenti e colleghi per sostenere una denuncia in sede penale, poiché la valutazione disciplinare deve arrestarsi, per il principio di non contraddizione, di fronte a un comportamento posto in essere nell’esercizio di un diritto quale, nel caso di specie, il diritto di difesa. (Cons. St. 28/6/2007, Pres. Varrone Est. Giovagnoli, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Francesca Marinelli, 296)
  22. Il termine ex art. 24 c. 2 del CCNL Ministeri del 16 maggio 1995, di 20 giorni dalla conoscenza del fatto, ai fini della contestazione disciplinare (peraltro non perentorio), non è applicabile ai procedimenti iniziati prima dell’entrata in vigore della norma contrattuale, restando in tali casi applicabile l’art. 55 c. 5 del d.lgs. n. 165/2001 (nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso correggendo la motivazione della sentenza d’appello, in un caso di cui, dopo la conclusione del procedimento penale con sentenza definitiva comunicata il 23 febbraio 2000, l’amministrazione aveva effettuato la contestazione in data 29 maggio 2000 notificandola il successivo 12 giugno). (Cass. 10/5/2007 n. 10668, Pres. Ciciretti Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2007, 736)
  23. In tema di procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti, nel caso di fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 97/2001, la disposizione transitoria di cui all’art. 10, terzo comma, della legge – quale risulta a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 184/2004, in base alla quale il termine di novanta giorni per avviare il procedimento disciplinare decorre dalla comunicazione della sentenza penale – non trova applicazione quando l’amministrazione sia venuta a conoscenza dei fatti prima di detta comunicazione (nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la tempestività del procedimento disciplinare, perchè avviato nel rispetto dei termini di cui all’art. 10, benché anteriormente al procedimento penale risultasse la piena conoscenza dei fatti da parte dell’amministrazione, che li aveva denunziati penalmente, costituendosi parte civile e disponendo la sospensione dal servizio del dipendente). (Cass. 2/3/2007 n. 4932, Pres. Ciciretti Est. Curcuruto, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Luigi di Paola, “Considerazioni in materia di tempestività della contestazione nel settore pubblico, con particolare riguardo al caso dell’interferenza tra procedimento disciplinare e procedimento penale”, 890)
  24. I procedimenti disciplinari promossi a carico di magistrati in epoca precedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 109/2006 restano sottratti alla disciplina di cui all’art. 32-bis del decreto medesimo (articolo inserito dall’art. 1, comma3, lett. q, della l. n. 269/2006), in quanto, in materia di illeciti disciplinari dei magistrati, va esclusa l’applicabilità del principio di retroattività della lex mitior sancito dall’art. 2, secondo e terzo comma, c.p. (Cass. Sez. Un. 7/2/2007 n. 2685, Pres. Nicastro Rel. Mensitieri, in Lav. nelle P.A. 2007, 557)
  25. Ai sensi del combinato disposto dei commi primo e secondo dell’art. 32-bis del d.lgs. n. 109/2006 (articolo inserito dall’art. 1, c. 3, lett. q, della l. n. 269/2006), ai procedimenti disciplinari promossi contro magistrati dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, per fatti però commessi precedentemente, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti in tema di procedimento disciplinare, contenute nel r.d.lgs. n. 511/1946, solo qualora più favorevoli; se invece non solo la commissione del fatto, ma anche l’inizio dell’azione disciplinare si collocano prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, continua ad applicarsi la disciplina previgente, anche se meno favorevole. (Cass. Sez. Un. 4/1/2007 n. 17, Pres. Prestipino Rel. Buccianti, in Lav. nelle P.A. 2007, 557)
  26. In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, è validamente redatto e non è affetto da indeterminatezza il capo di imputazione in cui il comportamento ascritto all’incolpato faccia riferimento a una serie di episodi stralciati, a mero titolo esemplificativo, da quelli ben più numerosi evidenziati dalla redazione ispettiva, non derivando da tale modalità di redazione alcuna limitazione dell’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato. (Cass. Sez. Un. 3/1/2007 n. 1, Pres. Vella Rel. Vitrone, in Lav. nelle P.A. 2007, 557)
  27. Il personale addetto agli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (c.d. “UNEP”), rientra a pieno titolo tra i destinatari del c.c.n.l. comparto Ministeri, costituendo quella degli ufficiali giudiziari non più una “carriera speciale”, bensì uno specifico “profilo professionale” dei dipendenti dello Stato, come tale assoggettato alle disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001 e, specificatamente, all’art. 55, che contiene i princi fondamentali in materia di sanzioni disciplinari e all’art. 72 d.lgs. n. 165 cit., secondo il quale a far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun ambito di riferimento, non si applicano gli artt. da 100 a 123 d.P.R. n. 3 del 1957 e le disposizioni a essi collegate. Conseguentemente, stipulato il primo contratto di settore, entrato in vigore il 16 maggio 1995, la normativa particolare relativa agli ufficiali giudiziari e assimilati di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, è superata quanto alle disposizioni relative al rapporto di lavoro, e la materia disciplinare trova piena ed esaustiva regolamentazione nelle predette disposizioni normative e nella contrattazione collettiva di settore, che trovano applicazione, secondo il principio generale tempus regit actum, ai procedimenti in corso, per gli atti posti in essere nella sua vigenza (nella fattispecie, la Corte ha escluso che, sopravvenuta la normativa contrattuale, l’amministrazione avesse l’onere di iniziare o riattivare i procedimenti disciplinari non iniziati o sospesi ai sensi dell’art. 90 d.P.R. n. 1229 del 1959). (Cass. 28/9/2006 n. 21032, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. Civ. 2007, 1259)
  28. Con riferimento al procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, qualora i fatti addebitati abbiano rilevanza penale e sia intervenuta la sospensione cautelare del dipendente sottoposto a procedimento penale, ai fini della sussistenza del requisito della tempestività previsto dall’art. 55, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001, la definitiva contestazione può essere differita all’esito del procedimento disciplinare. (Cass. 28/9/2006 n. 21032, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. Civ. 2007, 1259)
  29. Con riferimento al procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza previsto dalla disposizione transitoria dell’art. 10, comma 3, l. n. 97 del 2001 (nel testo emendato dalla sentenza della C. Cost. n. 186 del 2004), non impone l’instaurazione ex novo di tutti i procedimenti disciplinari per fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge, ma si riferisce anche alle riattivazioni di di procedimenti sospesi, diversamente da quanto previsto dalla normativa a regime; tale termine di decadenza opera, per le sentenze irrevocabili di condanna comunicate all’amministrazione prima dell’entrata in vigore della l. n. 97 del 2001, solo a partire da tale data. (Cass. 28/9/2006 n. 21032, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. Civ. 2007, 1259)
  30. Con riferimento al procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, la previsione del comma 5 (ultimo periodo) dell’art. 55 d.lgs. n. 165 del 2001 – secondo il quale, con riferimento al procedimento disciplinare, “trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi giorni” – si riferisce alla sola evenienza che il dipendente non si avvalga della facoltà di difendersi, non essendo necessarie ulteriori valutazioni dell’amministrazione; tale disposizione non può essere, invece, estesa alla diversa ipotesi di audizione del dipendente, in forza del principio secondo il quale le norme sulla decadenza, per il loro carattere eccezionale, non sono applicabili oltre i casi espressamente previsti, ai sensi dell’art. 14 disp. sulla legge in generale. (Cass. 28/9/2006 n. 21032, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. Civ. 2007, 1259)
  31. Al procedimento disciplinare promosso nei confronti del dipendente di ente locale dopo l’attuazione del codice disciplinare introdotto con il c.c.n.l. del comparto del personale delle regioni-autonomie locali per il periodo 1994-1997, di cui al d.P.C. 6 aprile 1995, non si applicano le disposizioni dettate in tema di pubblico impiego dal d.P.R. n. 3 del 1957. (Cass. 29/3/2006 n. 7196, Pres. Senese Est. Lamorgese, in Giust. civ. 2007, 1260)
  32. In tema di sanzioni disciplinari nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, le giustificazioni dell’impiegato – che sono facoltative e non costituiscono atto del procedimento – non impediscono l’estinzione del procedimento disciplinare se l’amministrazione non abbia compiuto alcun atto per un periodo di novanta giorni (nella specie, la Corte ha cassato la decisione impugnata e, decidendo nel merito, ha dichiarato estinto il procedimento disciplinare per essere trascorsi più di novanta giorni fra la lettera di contestazione e la trasmissione degli atti alla commissione di disciplina). (Cass. 2/3/2006 n. 4605, Pres. Senese Est. Spanò, in Giust. civ. 2007, 1261)
  33. Ai sensi dell’art. 9, 2° comma, L. 7 febbraio 1990, n. 19, la P.A. procedente deve concludere il procedimento disciplinare nel termine di complessivi duecentosettanta giorni dal momento in cui ha appreso della condanna penale del dipendente incolpato; il termine indicato è il frutto della somma tra il termine di 180 giorni –previsto per l’inizio del procedimento disciplinare- con quello di successivi 90 giorni previsto per la conclusione dello stesso. Il termine finale di 90 giorni del procedimento disciplinare decorre in ogni caso dalla scadenza “virtuale” dei 180 giorni previsti per l’avvio del procedimento, a nulla rileva infatti che la sequenza disciplinare abbia avuto concreto inizio prima della scadenza del 180° giorno dall’avvenuta conoscenza della condanna penale irrevocabile. (Cons. di Stato 14/1/2004 n. 1, Pres. De Roberto Est. Farina, in Giur. It. 2004, 1074)
  34. A seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, l’esercizio del potere disciplinare da parte della pubblica amministrazione datrice di lavoro è governato dal diritto privato, non più dalle norme previste in tema di pubblico impiego, né dalle regole che presidiano il procedimento amministrativo. (Cass. 16/5/2003 n. 7704, Pres. Mattone Est. D’Agostino, in Foro it. 2003, parte prima, 2675)
  35. L’amministrazione può individuare l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi dell’art. 59, 4° comma, d.lgs. 3/2/93, n. 29, (ora articolo 55 d.lgs. n. 165/01) semplicemente affidando, attraverso un proprio regolamento, la competenza in materia di sanzioni disciplinari ad un ufficio già esistente, come, nella fattispecie, l’ufficio personale. L’amministrazione può anche disporre la rinnovazione del procedimento disciplinare, sanandone eventuali vizi formali, anche laddove la questione della validità della sanzione disciplinare sia ancora sub iudice (Trib. Benevento 4/7/01 ordinanza, pres e est. Piccone, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 1061, con nota di Salomone, Tre questioni sul procedimento disciplinare nella P.A.)
  36. La l. 7/2/90, n. 19 sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego trova applicazione diretta anche per i dipendenti degli enti locali (Consiglio di Stato 20/11/00, n. 6181, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag.2, parte terza)
  37. Ai sensi dell’art. 2, 1° comma, l. 241/90, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento, avviato d’ufficio o su istanza di parte, con provvedimento espresso, salvo che non sia stata già adottata una formale risoluzione amministrativa inoppugnata e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto, o si tratti di domande manifestamente assurde o totalmente infondate o illegali (Consiglio di Stato 20/11/00, n. 6181, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag.2, parte terza)
  38. In sede di procedimento disciplinare nei confronti di pubblico dipendente che consegua a sentenza di condanna emessa in seguito a patteggiamento, non sono necessari autonomi accertamenti da parte dell’amministrazione per i fatti non controversi e per quelli esaustivamente accertati in sede penale; l’amministrazione può comunque utilizzare gli atti di indagine penale ed è onere dell’ inquisito indicare gli elementi a suo discarico su cui l’amministrazione deve compiere nuovi accertamenti (Consiglio di Stato, 1/9/00, n. 4647, pres. Ruoppolo, est. De Nictolis, in Foro it. 2001, pag. 129, parte terza)
  39. In caso di sanzione disciplinare irrogata da un Ente locale a un proprio dipendente, la valutazione dei fatti e delle prove ai fini della determinazione della responsabilità e della sanzione da applicare rientra nel discrezionale apprezzamento dell’Amministrazione datrice di lavoro e non è sindacabile da parte del Giudice (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 26 giugno 2000 n. 15, pres. Laschena, est. Borioni, in D&L 2000, 905, n. Nespor)
  40. Il termine di novanta giorni previsto dall’art. 9, l. 7/2/90, n. 19 per la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti di pubblico dipendente, non ha carattere perentorio nel caso in cui il procedimento consegua a sentenza di condanna emessa in seguito a patteggiamento (Consiglio di Stato 26/6/00, n.15, ad. plenaria, pres. Laschena, in Foro it. 2000, III, pag. 489)