Redditi da lavoro dipendente prestato all’estero

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Questa voce è stata curata da Marco Rovello

 

Definizione

Sino al 1° gennaio 2001, la lettera c), comma 3, dell’articolo 3 del D.P.R. 917/86 prevedeva la totale esclusione dalla base imponibile dei redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo.

Tale norma è stata abrogata ad opera del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, emanato in attuazione della delega per il riordino della tassazione dei redditi di lavoro dipendente contenuta nella legge 662/96.

Successivamente, l’articolo 36 della legge 342/2000 ha inserito il comma 8-bis all’articolo 48 del TUIR (oggi articolo 51), che ha introdotto un sistema di tassazione su base convenzionale, ossia forfetaria.

La maggior parte degli ordinamenti tributari prevede, in applicazione del worldwide taxation principle, che i cittadini siano assoggettati a imposta per i redditi ovunque prodotti, mentre, per quanto riguarda i non residenti, è prevista la tassazione dei soli redditi conseguiti nello Stato secondo il principio del source based taxation.

La contemporanea applicazione di tali principi determina, a livello internazionale, fenomeni di duplicazione di imposta, contro i quali sono possibili vari rimedi quali l’esclusione dalla base imponibile dei redditi prodotti all’estero o il riconoscimento di un credito di imposta a fronte delle imposte pagate all’estero.

Nell’ordinamento interno, il totale esonero da imposizione dei redditi di lavoro dipendente prestato all’estero aveva scongiurato qualsiasi rischio di duplicazione di imposta consentendo tuttavia ambiti di totale esclusione qualora lo Stato della fonte non provvedesse ad assoggettare a prelievo il reddito ivi prodotto.

La disciplina vigente, modificando radicalmente prospettiva, ha ricondotto a imposizione all’interno dello Stato i redditi in argomento.

In estrema sintesi, i redditi esteri quali stipendi, pensioni ecc., percepiti da contribuenti con residenza in Italia, vanno dichiarati e tassati in Italia se:

  • non esiste convenzione contro la doppia imposizione tra lo Stato italiano ed il Paese estero;
  • la Convenzione prevede la tassazione sia in Italia che all’estero, o solo in Italia.

Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in attuazione della delega contenuta nella legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha apportato profonde modifiche alla disciplina del mercato del lavoro, introducendo una pluralità di modelli contrattuali che, in ambito tributario, impongono un’analisi volta alla individuazione della categoria reddituale cui ricondurre le manifestazioni economiche sottostanti.

Le varie forme di lavoro intermittente, lavoro a progetto, lavoro occasionale e lavoro ripartito trovano ospitalità all’interno delle categorie proprie del lavoro dipendente e assimilato di cui agli articoli 49, 50 e 51 del TUIR, ma in taluni casi anche all’interno della categoria del lavoro autonomo, disciplinata dall’articolo 53.

Al fine di individuare il trattamento riservato alle prestazioni rese al di fuori del territorio nazionale, andranno verificate le condizioni imposte dalle disposizioni tributarie in materia.

Il trattamento fiscale dei redditi conseguiti da lavoratori dipendenti dislocati all’estero risente di alcuni margini di incertezza dovuti principalmente al fatto che, pur in presenza di norme che fanno espresso riferimento a redditi di “lavoro dipendente all’estero”, nell’ordinamento positivo è ancora assente una definizione generale di tale fattispecie.

Pertanto, al fine di individuare la disciplina riferibile ai singoli casi di distacco, trasferta, trasferimento, comando, assegnazione di personale all’estero, eccetera, è necessario fare ricorso, oltre che alle disposizioni normative, anche alle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziale e, non ultimo, alle disposizioni di prassi.

In estrema sintesi, si può affermare che il regime fiscale applicabile ai lavoratori dipendenti dislocati all’estero varia a seconda dello Stato di residenza del lavoratore, del periodo di permanenza all’estero e delle modalità di invio.

Per i residenti in Italia, che prestano la propria attività lavorativa all’estero, sono previste tre diverse forme di tassazione che si distinguono fondamentalmente per i differenti criteri di determinazione della base imponibile. Quest’ultima può infatti corrispondere ai compensi effettivamente percepiti, come disposto all’articolo 51, commi da 1 a 8, oppure può essere determinata, per i redditi conseguiti a partire dall’anno di imposta 2001, sulla base della retribuzione convenzionale, come disposto dall’articolo 51, comma 8-bis, oppure, a partire dall’anno di imposta 2003, nel caso di lavoratori frontalieri, il reddito imponibile corrisponde alla somma eccedente gli 8.000 euro, come previsto dall’articolo 2, comma 11, della legge 289/2002.

Possono inoltre essere considerati i seguenti casi particolari le borse di studio se percepite da residenti devono essere dichiarate in Italia (salvo esenzioni specifiche).

Alle indennità di servizio dei dipendenti regionali stabilmente assegnati a sedi all’estero, indennità mensili speciali corrisposte a titolo di rimborso forfetario delle spese, può essere applicato il regime fiscale previsto dall’art.51, D.P.R. 917/1986.

Per ulteriori approfondimenti sui redditi di lavoro dipendente si veda anche:

Fonti normative

  • D.M. Lavoro e Politiche Sociali 16.1.2008
  • C.M. 26.1.2001, n. 9/E.
  • articolo 51 TUIR (Testo Unico Imposte sul Reddito)
  • articolo 165 TUIR (Testo Unico Imposte sul Reddito)

 

A chi rivolgersi

  • CAAF – Centri Servizio Fiscale
  • Professionisti abilitati

 

Tassazione degli stipendi esteri (art. 51, co. 8-bis)

Il comma 8-bis dell’articolo 48 del TUIR, oggi articolo 51, dispone che “il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale…”.

Dal periodo di paga in corso dal 1.1.2008 e fino a tutto il periodo di paga in corso al 31.12.2008, la misura delle retribuzioni convenzionali è stata fissata dal D.M. Lavoro e Politiche Sociali 16.1.2008. I soggetti che adempiono agli obblighi contributivi su tale reddito devono operare le relative ritenute. Chiarimenti sono stati forniti dalla C.M. 26.1.2001, n. 9/E.

La tassazione degli stipendi percepiti all’estero avviene quindi quasi sempre solo in Italia (con esenzione nello stato estero) quando si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni: il lavoratore presta la sua attività all’estero per non più di 183 giorni nell’anno fiscale considerato; il datore di lavoro risiede in Italia; lo stipendio non è pagato da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha all’estero. Il calcolo dei 183 giorni deve includere tutti i giorni trascorsi all’estero anche se non lavorativi (es. sabati, domeniche, festivi, ferie, interruzioni, malattie, ecc.).

Il presupposto della continuità impone che l’attività lavorativa sia svolta nello Stato estero per un determinato periodo di tempo ma senza considerevoli interruzioni. Al riguardo appare significativa la decisione della Commissione tributaria centrale 18 aprile 1988, n. 3558, la quale precisa che “occorre verificare non già se l’obbligo di recarsi all’estero discenda da accordi precedenti o stipulati al momento dell’invio, ma se tali pattuizioni precedenti o contemporanee prevedano l’espletamento di attività lavorative un po’ in Italia e un po’ all’estero o esclusivamente all’estero per un periodo di tempo congruo e determinato”.

Con la risoluzione n. 12/1197 del 30 luglio 1990 è stato ritenuto sussistere il requisito della continuità nel caso di lavoratori dipendenti operanti su navi italiane in acque territoriali estere per periodi di circa 5 mesi senza interruzioni.

Ulteriore condizione per l’applicabilità della disciplina convenzionale è che l’attività lavorativa sia svolta all’estero come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro. L’esecuzione della prestazione lavorativa dev’essere integralmente svolta all’estero sostanziandosi in un “vincolo di incardinamento occupazionale”, come precisa la Commissione tributaria centrale (decisione 5 maggio 1990, n. 3405). Tale circostanza deve emergere da specifici accordi contrattuali. La risoluzione 17 luglio 1980, n. 1171, ha precisato che, nel caso di contratto lavorativo preesistente alla dislocazione in uno Stato estero, debbano essere assunti accordi integrativi espliciti che prevedano le necessarie variazioni normative e tributarie del rapporto di lavoro.

Come già sottolineato oltre ai requisiti della esclusività e della continuità del rapporto lavorativo è stato altresì introdotto, al comma 8-bis dell’articolo 51, un requisito temporale per il quale il reddito imponibile è determinato sulla base della retribuzione convenzionale qualora il lavoratore soggiorni all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi.

La circolare n. 207/E del 16 novembre 2000 ha precisato che nel computo dei giorni rilevano anche i periodi di ferie, le festività, i riposi settimanali indipendentemente dal luogo ove siano trascorsi e che l’intervallo di 12 mesi non necessariamente deve coincidere con l’anno ma può essere collocato anche a cavallo di due anni solari.

Vanno, invece, escluse: brevi interruzioni, ferie trascorse al di fuori del Paese estero e tempo di transito fra due luoghi fuori del Paese inferiore a 24 ore.

La medesima circolare ha precisato, inoltre, che il periodo non deve necessariamente essere continuativo essendo sufficiente a tal fine che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un numero di giorni superiore a 183 nell’arco dei 12 mesi, purché sia rispetta l’ulteriore condizione della continuità.

Si deve pertanto ritenere non applicabile il regime convenzionale nel caso in cui la prestazione lavorativa sia svolta non solamente all’estero ma anche in Italia (ad esempio, una settimana in Italia e tre all’estero durante ciascun mese).

Qualora, invece, nell’arco dei 12 mesi il lavoratore dipendente abbia prestato la propria attività in via continuativa in più di uno Stato estero e per un numero di giorni superiore a 183, il presupposto di applicabilità del comma 8-bis dell’articolo 51 si deve ritenere realizzato. Una conferma è rintracciabile nella circolare n. 9/E del 26 gennaio 2001, che contiene la risposta a un quesito sollevato da un dipendente che ha prestato attività lavorativa sia in Francia che nel Regno Unito.

Anche il reddito di lavoro dipendente percepito da esperti nazionali distaccati presso la Commissione Ue, che svolgono la loro attività all’estero in via continuativa e per la maggior parte del periodo d’imposta (pure rimanendo all’Anagrafe della popolazione residente in Italia) è determinato convenzionalmente.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 207/E del 16 novembre 2000, ribadendo una posizione già precedentemente espressa, ha ravvisato necessaria la collocazione del lavoratore dipendente inviato all’estero in un così detto ruolo estero annotando a libro paga e matricola l’interruzione delle prestazioni lavorative in Italia.

Con la medesima circolare 207/E è stato inoltre precisato che la tassazione in base a reddito convenzionale “non si applica ai dipendenti in trasferta, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero, derivante da un contratto specifico”.

Con tale interpretazione viene confermato un orientamento già espresso dall’Amministrazione finanziaria anche se non sono più presenti, come in passato, i riferimenti ai distacchi e alle missioni per i quali in realtà la disciplina convenzionale risulta applicabile qualora siano rispettate le condizioni espresse dal dettato normativo.

I nuovi criteri impositivi in materia di reddito di lavoro dipendente hanno imposto l’attenzione sulle modalità di fruizione del credito di imposta a fronte delle imposte assolte nello Stato estero. L’articolo 165 del TUIR è applicabile ai casi di specie e il credito spetta solo quando le imposte assolte all’estero siano divenute definitive. Datore all’1.1.1998 il datore di lavoro può riconoscere tale credito nel conguaglio di fine anno.

 

I lavoratori frontalieri

Un definitivo allontanamento dalle norme che escludevano l’imponibilità dei redditi di lavoro dipendente prestati all’estero è operato dall’articolo 2, comma 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, laddove è stata prevista l’imposizione sui redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa ed esclusiva in zone di frontiera (Francia, Austria, Slovenia, Repubblica di San Marino, Stato della Città del Vaticano) e in Paesi limitrofi (Principato di Monaco) da soggetti residenti nel territorio dello Stato.

Sono pertanto assoggettati a imposta i redditi conseguiti per l’anno di imposta 2003 e per gli anni 2004, 2005, 2006, 2007 che concorrono alla formazione del reddito complessivo per l’importo eccedente gli 8.000 euro.

Questa disposizione è stata estesa anche agli anni 2008, 2009, 2010 dalla Finanziaria 2008.

L’esclusione dalla base imponibile dei redditi in argomento era stata precedentemente prorogata dalla legge 388/2000 per gli anni di imposta 2001 e 2002.

In tale occasione, con circolare n. 1/E del 2001, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che l’agevolazione è applicabile solamente ai lavoratori dipendenti residenti in Italia che quotidianamente si recano all’estero per svolgere le proprie prestazioni lavorative.

Una definizione più ampia è contenuta alla lettera b) dell’articolo 1 del regolamento 1408/71/Cee in materia di sicurezza sociale, ove con il termine “lavoratore frontaliero” si intende qualsiasi lavoratore che è occupato nel territorio di uno Stato membro e risiede nel territorio di altro Stato membro in cui rientra di massima ogni giorno o almeno una volta alla settimana.

La nuova disciplina che prevede la tassazione dei redditi dei cd. Frontalieri deve essere tuttavia coordinata con le specifiche disposizioni contenute nelle convenzioni con i Paesi limitrofi. Per quanto riguarda la Svizzera, in considerazione dell’accordo 3 marzo 1974 e della convenzione 9 marzo 1976, i redditi in argomento continuano a essere assoggettati a imposta in via esclusiva nella Confederazione elvetica.

Per quanto riguarda gli accordi con l’Austria, l’articolo 15 della convenzione prevede l’imposizione solo da parte dello Stato in cui il lavoratore è residente. Pertanto, in passato si configurava una situazione di doppia esenzione in quanto il lavoratore dipendente residente in Italia non veniva tassato né nello Stato della fonte in virtù di espressa norma convenzionale, né nello Stato di residenza in vigenza dell’esclusione dal worldwide taxation principle.

Per quanto concerne gli accordi con la Francia, l’articolo 15 del Trattato prevede la tassazione esclusiva del lavoratore frontaliero nello Stato di residenza, con la precisazione che la rinuncia a imposizione da parte dello Stato della fonte è subordinata all’effettivo prelievo da parte dello Stato della residenza.

Pertanto, per i redditi conseguiti in epoca antecedente al 2003, i redditi dei lavoratori transfrontalieri erano assoggettati a imposizione in Francia; oggi, il prelievo fiscale compete solamente allo Stato italiano.

La Cass. 8.7.2004, n.12595/04 precisa che, in tema di imposte sul reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia da un contribuente frontaliere residente all’estero, va applicata la regola della tassazione in base alla residenza, a prescindere dal luogo di produzione del reddito.

Dal periodo di imposta 1.1.2001, gli assegni di confine sono soggetti a Irpef nella misura del 50% del loro ammontare (fino al periodo d’imposta in corso al 31.12.2000 erano esenti), trovando applicazione l’art. 51, co. 8, D.P.R. 917/1986.