Artigianato – Lavoro nel settore artigiano

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Scheda sintetica

E’ considerato imprenditore artigiano chi:

  • assume la piena responsabilità dell’impresa, con tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e gestione;
  • svolge prevalentemente in prima persona l’attività, intervenendo, anche manualmente, nel processo produttivo.
    L’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.


Si considera impresa artigiana quella che:

  • assume esclusivamente una delle forme giuridiche consentite dalla Legge 443 del 1985 e con le successive modifiche introdotte dalla legge 57 del 2001 (impresa individuale, società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, cooperativa, consorzio);
  • ha un numero di dipendenti non superiore a determinati limiti, che variano da 8 a 40 secondo il tipo di contratto (apprendisti o non apprendisti), di lavorazione (in serie o non in serie) e di settore (edilizia, trasporti, abbigliamento, ecc.);
  • è rivolta alla produzione di beni (anche semilavorati) e di servizi.


Sono escluse dall’artigianato le seguenti attività:

  • attività agricola;
  • attività di intermediazione commerciale (somministrazione di alimenti e bevande; attività “commerciali” comunemente intese);
  • attività ausiliarie di queste ultime (agente di commercio, mediatore, ecc.).


Tuttavia l’artigiano può svolgere, entro certi limiti, le attività di cui sopra se sono “strumentali ed
accessorie” all’esercizio dell’impresa.
Più in generale l’artigiano può vendere liberamente prodotti propri e di terzi senza perdere la qualifica di artigiano, però con alcune limitazioni stabilite dalla legge.

 

Riferimenti normativi

  • Codice civile, art. 2083
  • Legge 443/1985
  • Legge 133/1997
  • Legge 57/2001

 

 

Scheda di approfondimento

Il privilegio dei crediti

L’art. 2741 c.c. stabilisce il principio generale in forza del quale i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del creditore, salve le cause legittime di prelazione, tra le quali assume rilievo per le imprese artigiane il privilegio (art. 2745 e ss. c.c.)
Difatti, ai sensi dell’art. 2751 bis n. 5, hanno privilegio generale sui mobili i crediti “dell’impresa artigiana e delle società od enti cooperativi di produzione e lavoro, per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti”.

 

L’assoggettabilità al fallimento

La questione dell’assoggettabilità al fallimento delle imprese artigiane ha sempre suscitato pareri difformi in dottrina e giurisprudenza.
Prima della riforma del diritto fallimentare, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario condizionava l’assoggettabilità alla procedura fallimentare al rispetto di alcuni requisiti e principi generali previsti dal Codice Civile.
In particolare, si riteneva prevalente e prioritaria la definizione di piccolo imprenditore di cui all’art. 2083 c.c. (“..attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”), anche qualora possa contrastare sulla normativa speciale che disciplina l’impresa artigiana.
Doveva pertanto ritenersi assoggettabile a fallimento anche l’impresa artigiana qualora essa espandesse l’attività in misura tale che il capitale prevalesse sul lavoro ed il profitto sul mero guadagno, nonché quando il titolare cessasse di partecipare personalmente al processo produttivo e impiegasse nell’impresa cospicui mezzi finanziari e personale estraneo all’ambiente familiare.
Al riguardo si veda la sentenza della Cassazione n° 3773 del 2/5/1997, secondo cui per qualificare un’impresa come artigiana occorre “una indagine circa la reale portata del concetto di “prevalenza”, da rapportarsi, inevitabilmente, all’attività dell’imprenditore artigiano all’interno del processo produttivo e potendosi, per l’effetto, definirsi artigiana e non capitalistica, l’impresa considerata sotto il profilo della remunerazione, ricavata dal suo titolare, che dovrà configurarsi come guadagno assimilabile ad un reddito da lavoro (con la maggiorazione dovuta al rischio d’impresa) e giammai assurgere al rango di vero e proprio profitto”.

Con il D.Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006, che ha sancito la riforma del diritto fallimentare, la vexata quaestio della fallibità delle imprese artigiane è stata risolta.
La nuova normativa, difatti, ha disposto che ai fini dell’assoggettabilità al fallimento non possono essere considerati piccoli imprenditori coloro che soddisfano, anche in via alternativa, i due seguenti criteri quantitativi:

  • il criterio degli investimenti di capitale dell’azienda per un ammontare superiore a trecentomila euro;
  • il criterio della media dei ricavi lordi conseguiti negli ultimi tre anni (o dall’inizio dell’attività, laddove essa abbia avuto una durata inferiore) per un ammontare complessivo annuo superiore a duecentomila euro.

Per essere assoggettato al fallimento, pertanto, è sufficiente che l’imprenditore (anche artigiano) abbia superato anche uno solo degli indicati parametri.
Ovviamente, anche per l’imprenditore artigiano, vale altresì il limite introdotto dal novellato art. 15 della Legge Fallimentare che prevede che non si possa avere una dichiarazione di fallimento laddove l’esposizione debitoria non superi la soglia dei venticinquemila euro.

 

Peculiarità del lavoro alle dipendenze delle imprese artigiane

  • Le aziende artigiane possono utilizzare la cassa integrazione guadagni ordinaria solo se sono imprese edili o lapidarie;
  • Le peculiarità relative all’assoggettabilità alle procedure fallimentari, con ciò che consegue anche in ordine alla possibilità e alle condizioni per usufruire del Fondo di Garanzia Inps.

 

 

A chi rivolgersi

  • L’imprenditore artigiano può rivolgersi alle Associazioni di categoria
  • In caso di rapporto di lavoro instaurato con imprese artigiane rivolgersi alle organizzazioni sindacali di categoria o agli uffici vertenze sindacali o ancora a studi legali specializzati nel diritto del lavoro.