Contratto di apprendistato

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Questa voce è stata curata da Silvia Chellini

 

Scheda sintetica

Espressamente definito dal legislatore come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione ed all’occupazione dei giovani, l’apprendistato è un contratto a causa mista, nel quale cioè accanto alla causa di scambio (lavoro verso retribuzione) tipica del contratto di lavoro subordinato si pone la finalità formativa.
La normativa in materia è oggi integralmente racchiusa negli articoli da 41 a 47 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
Per quanto concerne la struttura giuridica dell’istituto, viene mantenuta la previsione, introdotta già con la riforma del 2003, di tre diverse tipologie di apprendistato:

  1. La prima è costituita dall’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, che può essere utilizzato in tutti i settori di attività ed è rivolto ai giovani di età compresa tra 15 e 25 anni. La durata del contratto, da determinarsi tenendo conto della qualifica o del diploma da conseguire, non può essere superiore a tre anni, quattro nel caso di diploma professionale quadriennale.
  2. Il secondo tipo previsto è quello dell’apprendistato professionalizzante, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali mediante formazione sul lavoro ed apprendimento tecnico-professionale. Detta tipologia, che può essere utilizzata in tutti i settori di attività, pubblici o privati, è rivolta ai giovani di età compresa tra 18 e 29 anni, ma può essere stipulato già a partire dal diciassettesimo anno di età con i soggetti che abbiano già conseguito una qualifica professionale ai sensi del d.lgs. 226 del 2005. La determinazione della durata del contratto è rimessa agli accordi interconfederali ed ai contratti collettivi. Tuttavia, la legge specifica che la durata minima del periodo di apprendistato non può essere superiore a tre anni, elevati a cinque per le figure professionali dell’artigianato individuate dalla contrattazione collettiva.
  3. La terza tipologia, anch’essa utilizzabile in tutti i settori di attività sia pubblici che privati, è costituita dall’apprendistato di alta formazione e di ricerca. Ne sono destinatari i soggetti di età compresa tra 18 e 29 anni e può essere utilizzato per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008, per attività di ricerca, nonché per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. La durata e la regolamentazione del contratto per quanto attiene alla componente formativa sono rimesse alle Regioni, in accordo con le associazioni di lavoratori e datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca, comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico.

L’art. 47, comma 4, del d.lgs. 81/2015 prevede infine la possibilità di ricorrere all’apprendistato per la qualificazione o riqualificazione professionale di lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di trattamento di disoccupazione. In tal caso non è previsto alcun limite di età per la stipulazione del contratto, né sono individuati limiti di durata.
Qualunque sia la tipologia utilizzata, il contratto di lavoro deve essere redatto per iscritto ai fini della prova e deve contenere, in forma sintetica, il piano formativo individuale, definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.
Sotto il profilo del trattamento economico, vige innanzitutto il divieto di retribuzione a cottimo. Il datore di lavoro può inoltre sotto-inquadrare il lavoratore apprendista fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante agli addetti alle stesse mansioni al cui conseguimento il contratto è finalizzato o, in alternativa, determinare la retribuzione in misura percentuale rispetto all’anzianità di servizio.
Al fine di garantire lo svolgimento della prestazione in un contesto favorevole all’apprendimento, si prevede che il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente tramite agenzie di somministrazione autorizzate, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro; tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. Colui che non abbia dipendenti specializzati o qualificati o ne abbia in numero inferiore a tre può assumere non più di tre apprendisti.
Durante il periodo di formazione, ad entrambe le parti è fatto divieto di recedere dal contratto in assenza di giusta causa o giustificato motivo. Una volta concluso il periodo di apprendistato, i contraenti possono invece recedere liberamente, con il solo limite del preavviso ex art. 2118 c.c., decorrente dal termine di detto periodo. In tal caso, durante il preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti manifesta la volontà di recedere dal contratto, il rapporto di lavoro prosegue come un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Normativa di riferimento

  • Artt. 2130 – 2134 c.c.
  • Legge 19 gennaio 1955, n. 25, Disciplina dell’apprendistato
  • D.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668, Approvazione del regolamento per l’esecuzione della disciplina legislativa sull’apprendistato
  • Legge 28 febbraio 1987, n. 56, Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro, artt. 21 e 22
  • Legge 24 giugno 1997, n. 196, Norme in materia di promozione dell’occupazione, art. 16
  • D.M. 28 febbraio 2000, Disposizioni relative alle esperienze professionali richieste per lo svolgimento delle funzioni di tutore aziendale
  • D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, artt. 47 – 53
  • D.lgs. 15 aprile 2005, n. 77, Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, a norma dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53
  • D.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, Testo unico dell’apprendistato
  • Legge 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità per il 2012), art. 22
  • Legge 28 giugno 2012, n. 92, Riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • D.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv. in Legge 9 agosto 2013, n. 99, cd. Decreto Lavoro
  • Linee Guida approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano il 20 febbraio 2014
  • D.l. 20 marzo 2014, n. 34, conv. in Legge 16 maggio 2014, n. 78, cd. Decreto Poletti
  • D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, artt. Da 41 a 47
  • Contratto Collettivo di Lavoro applicato

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, sono stati abrogati la legge 19 gennaio 1955, n. 25, gli articoli 21 e 22 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, l’articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e gli articoli da 47 a 53 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Tuttavia, per le Regioni ed i settori ove la disciplina del decreto non è immediatamente operativa, è prevista l’applicazione, in via transitoria e non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore provvedimento medesimo, delle regolazioni previgenti.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 è stato abrogato il d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167.

 

Scheda di approfondimento

Il contratto di apprendistato: l’evoluzione dell’istituto sino all’approvazione del Testo unico del 2011

Il contratto di apprendistato per secoli ha rappresentato il canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro e può essere considerato come lo strumento tradizionale utilizzato dal legislatore per connettere occupazione giovanile e formazione.
La figura del moderno apprendista affonda le proprie radici in quella del laborans medievale, che collaborava nella bottega artigiana e versava al maestro un compenso per l’insegnamento ottenuto, aspirando ad acquisire, mediante il tirocinio nell’arte o nella professione, la posizione di maestro o di socio dell’artigiano. Disciplinato dagli Statuti delle corporazioni, l’apprendistato medievale svolgeva essenzialmente la funzione di preparare l’ingresso del giovane nell’organizzazione professionale.
Con l’avvento dell’industrialismo, l’apprendista è diventato un lavoratore come gli altri, avente pertanto diritto alla retribuzione, seppure in misura ridotta. Il contratto di apprendistato, tuttavia, non ha mai perso la tradizionale funzione di far conseguire al lavoratore una qualifica professionale, ovvero di far apprendere il mestiere mediante l’addestramento sul posto di lavoro.
La prima disciplina organica del contratto di apprendistato risale agli anni trenta ad opera del r.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906, convertito nella l. 2 giugno 1939, n.739, che ha fornito per la prima volta una definizione di apprendista, individuato in “chiunque è occupato in un’azienda industriale o commerciale con lo scopo di acquistare la capacità necessaria per divenire lavoratore qualificato mediante addestramento pratico e la frequenza, ove siano istituiti, dei corsi per la formazione professionale”. Già allora era quindi evidente che si trattava di un contratto di lavoro subordinato caratterizzato da finalità formative perseguite mediante l’intreccio dell’addestramento in azienda con la formazione teorica acquisita attraverso la frequenza di corsi extra-aziendali.
Con l’avvento del Codice Civile del 1942, il contratto di apprendistato, denominato tirocinio, ha trovato la propria collocazione all’interno degli artt. 2130 – 2134 c.c., aventi ad oggetto durata (art. 2130), retribuzione (art. 2131), istruzione professionale (art. 2132), diritto all’attestato al termine del rapporto (art. 2133) e applicabilità della disciplina relativa ai rapporti di lavoro, in quanto compatibile (art. 2134). La previsione dell’obbligo retributivo accanto all’obbligo formativo rivelano ancora una volta la volontà di considerare l’apprendistato come un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato però dalla ulteriore funzione di far acquisire al lavoratore una qualifica professionale mediante la formazione sul campo.
L’entrata in vigore della Costituzione ha confermato e consacrato detta natura speciale del rapporto di apprendistato, riconoscendo all’art. 35 Cost. la funzionalizzazione della formazione professionale all’istruzione ed all’attività lavorativa.
Il primo intervento organico di riforma dell’istituto si è avuto con la l. 9 gennaio 1955, n. 25, che fino alla emanazione del vigente Testo unico ha rappresentato la principale normativa di riferimento in materia. La legge del 1955 definiva l’apprendistato come il “rapporto di lavoro in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire o a far impartire, nella sua impresa, all’apprendista assunto alle sue dipendenze, l’insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’opera nell’impresa medesima”. Anche tale definizione normativa sottolineava la causa speciale del contratto di apprendistato, sia perché sul datore accanto all’obbligo retributivo grava anche quello di impartire all’apprendista l’insegnamento professionale necessario, sia perché il lavoratore presta la propria attività non solo a vantaggio del datore, ma anche al fine di apprendere ed acquisire una qualifica.
Il legislatore è successivamente intervenuto nel corso degli anni sessanta in un’ottica di prevenzione degli abusi, da un lato riducendo la facoltà del datore di assumere apprendisti per non più del cento per cento delle maestranze specializzate e già qualificate e vietando l’utilizzo degli apprendisti per lavorazioni a cottimo e incentivo oppure a produzioni in serie e lavori di manovalanza e dall’altro introducendo un controllo preventivo sulle assunzioni medesime da parte dell’Ispettorato del lavoro.
Ulteriori modifiche alla legge del 1955 si sono poi avute con la l. 28 febbraio 1987, n. 56 che ha esteso all’apprendistato gli incentivi previsti per il contratto di formazione e lavoro (assunzione nominativa, agevolazioni contributive, esclusione degli apprendisti dal computo dei limiti dimensionali dell’impresa) e con l’art. 16 della l. 24 giugno 1997, n. 196 (cd. pacchetto Treu) che ha ampliato l’ambito di applicazione dell’apprendistato e ne ha valorizzato i contenuti formativi.
L’avvento degli anni 2000 è stato foriero di molteplici e profonde modifiche per l’istituto.
La disciplina dell’apprendistato è stata, infatti, completamente rivista mediante il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che, pur lasciando intatta l’ossatura giuridica del contratto, ha introdotto alcune importanti innovazioni, prevedendo in generale l’abrogazione delle disposizioni normative e regolamentari incompatibili. La novità principale è costituita dall’articolazione dell’istituto in tre diverse tipologie, applicabili in tutti i settori di attività, con l’eccezione delle pubbliche amministrazioni:

  • il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione (art. 48), finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale e rivolto ai giovani di almeno quindici anni di età;
  • il contratto di apprendistato professionalizzante (art. 49), volto all’acquisizione di una qualificazione mediante una formazione sul lavoro ed un apprendimento tecnico-professionale e destinato ai giovani di età compresa tra diciotto e ventinove anni;
  • il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, cd. apprendistato specializzante (art. 50), per i soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni.

Altro aspetto importante della riforma del 2003 è costituito dal rinvio della regolamentazione dei profili formativi alle Regioni, d’intesa con i Ministeri dell’istruzione e del lavoro, nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi. L’intervento della normativa regionale ha però sofferto notevoli ritardi, soprattutto in relazione al contratto di apprendistato professionalizzante, spingendo il legislatore ad intervenire già nel 2005 introducendo la possibilità per la contrattazione collettiva di dettare una disciplina suppletiva in attesa della regolamentazione regionale (comma 5 bis introdotto all’art. 49 con la l. 80/2005).
Nel 2008, la normativa di cui al d.lgs. 276/2003 è stata oggetto di un nuovo importante intervento di modifica ad opera del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella l. 6 agosto 2008, n. 133, con riferimento ancora all’apprendistato professionalizzante ex art. 49 ed a quello per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione ex art. 50.

Quanto alla prima di dette tipologie, la legge ha innanzitutto soppresso la previsione del limite legale minimo di durata del contratto (due anni), rimettendone la determinazione alla contrattazione collettiva, ed ha introdotto il cd. doppio canale per la formazione dell’apprendista (art. 59, comma 5 ter), secondo il quale quest’ultima poteva essere erogata anche esclusivamente all’interno dell’azienda. In tal caso, la nuova disposizione ha attribuito integralmente la competenza a disciplinare i profili formativi ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ed agli enti bilaterali, senza alcun coinvolgimento delle Regioni e delle Province Autonome. Si prevedeva poi che gli stessi contratti collettivi e gli enti bilaterali fossero competenti in ordine alla nozione di formazione aziendale nonché alla determinazione, per ciascun profilo formativo, della durata e delle modalità di erogazione della formazione, delle modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e della registrazione nel libretto formativo.
A seguito di tale riforma, quindi, la via contrattuale non era più considerata quale strumento di disciplina sussidiario destinato a cedere dinanzi all’introduzione delle normative regionali (art. 49, comma 5 bis), ma diventava la fonte primaria di disciplina dell’apprendistato professionalizzante con formazione esclusivamente aziendale. Nell’intenzione del legislatore, la riforma avrebbe dovuto rendere il dettato normativo conforme a quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2005, con la quale la formazione aziendale nell’apprendistato è stata ricondotta entro la materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale.

In ordine, invece, all’apprendistato specializzante, la l. 6 agosto 2008, n. 133 ne ha introdotto l’utilizzabilità ai fini del conseguimento del titolo di dottore di ricerca ed ha esteso a detta tipologia i principi informatori della disciplina previsti per quello professionalizzante. Inoltre, per sopperire al vuoto normativo ancora esistente a livello regionale, si è previsto che, in assenza di regolamentazioni regionali, l’apprendistato di terzo tipo potesse essere attivato mediante convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le università e le altre istituzioni formative.
Le modifiche appena descritte non hanno mancato di suscitare critiche da parte delle Regioni, che all’indomani della entrata in vigore delle stesse hanno sollevato questione di legittimità costituzionale lamentando la lesione delle proprie competenze legislative e del principio di leale collaborazione. La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza 176/2010, respingendo i ricorsi avverso le modifiche relative all’apprendistato specializzante ed accogliendo parzialmente le censure relative all’apprendistato professionalizzante. Il giudice delle leggi, in particolare, ha lasciato intatta la possibilità di ricorrere alla formazione esclusivamente aziendale, ma ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il cd. canale parallelo di disciplina introdotto nel 2008. La contrattazione collettiva e gli enti bilaterali, pertanto, potevano sì intervenire in materia, ma nel rispetto di quanto previsto dalla normativa regionale e nazionale esistente, nonché dei principi e criteri direttivi di cui al comma 5 dell’art. 49, tra cui il limite minimo di 120 ore di formazione annua e l’individuazione di un tutor aziendale per ogni apprendista. In assenza di normativa regionale, infine, restava comunque operativo il comma 5 bis che consentiva una regolamentazione sussidiaria e cedevole da parte dei contratti collettivi.
Analoghe considerazioni valgono anche per la definizione della nozione di formazione aziendale, che i contratti collettivi potevano formulare solo in conformità a quanto previsto dalla normativa regionale.

A pochi mesi dalla pronuncia della Corte Costituzionale, il legislatore è nuovamente intervenuto in materia di apprendistato attraverso due norme contenute nella l. 4 novembre 2010, n. 183, cd. collegato lavoro.
L’art. 46 di tale provvedimento ha riaperto la delega al governo per il riordino della normativa in materia già dettata dall’art. 1, comma 30, della l. 24 dicembre 2007, n. 247, cd. legge sul welfare.
L’art. 48 della l. 183/2010, invece, è intervenuto specificamente sull’apprendistato di primo tipo o per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, riportando a quindici anni l’età minima per l’accesso al medesimo, in controtendenza rispetto alla previsione di cui allo stesso art. 1, comma 622, della l. 296/2006 (finanziaria 2007), secondo la quale “l’età per l’accesso al lavoro è (…) elevata da quindici a sedici anni”. La predetta disposizione stabilisce infatti che, previa intesa tra Regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell’istruzione, sentite le parti sociali, “l’obbligo di istruzione di cui all’articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, si assolve anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione di cui al predetto articolo 48 del decreto legislativo n. 276 del 2003”. L’obiettivo che il legislatore ha dichiarato di perseguire con detta modifica era quello di contrastare l’elusione dell’obbligo formativo e l’abbandono scolastico. Non si può tuttavia fare a meno di notare che la possibilità di assolvere l’ultimo anno dell’obbligo scolastico attraverso un contratto di apprendistato può in realtà condurre al risultato opposto, in quanto si consente al quindicenne di entrare nel mondo del lavoro senza aver prima completato il proprio percorso formativo di base. Si tratta quindi di una norma che non pare realizzare quell’obiettivo di “elevare il livello di istruzione dei cittadini”, che come anche la Corte Costituzionale ha osservato nella sentenza n. 334/2010 è perseguito da tutti gli altri Paesi Europei. Ciò nonostante, la previsione è stata ribadita anche nel Testo unico sull’apprendistato, approvato con il d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167 in attuazione della suddetta delega contenuta nella legge sul welfare del 2007 e prorogata con il cd. collegato lavoro del 2010.

Possiamo rilevare che il Testo unico del 2011 ha rappresentato il punto di arrivo di un lungo percorso di riforma realizzato dal legislatore con il coinvolgimento sia delle Regioni in sede di Conferenza Permanente, sia delle Parti Sociali, le quali hanno contribuito fattivamente alla realizzazione di esso mediante l’accordo del 17 febbraio 2010 sulle “Linee guida per la formazione”, l’Intesa “Per il rilancio dell’apprendistato” raggiunta con Governo, Regioni e Provincie Autonome il 27 ottobre 2010 (23 le sigle che hanno aderito) e l’Intesa dell’11 luglio 2011. Occorre sottolineare peraltro che il testo definitivo approvato dal Governo aveva accolto gran parte delle richieste di modifica avanzate dalle organizzazioni sindacali rispetto allo schema di decreto legislativo precedentemente licenziato dal Consiglio dei Ministri.

 

Segue: le modifiche al Testo unico sull’apprendistato: dalla riforma Fornero al decreto Poletti, passando per il decreto lavoro del 2013

Approvato il Testo unico, gli interventi di restyling da parte del legislatore non si sono fatti certamente attendere e si sono succeduti con cadenza pressoché annuale.
A distanza di pochi mesi, infatti, si sono avute già le prime incisive modifiche finalizzate, come espressamente dichiarato dal legislatore medesimo, a valorizzare il ruolo dell’apprendistato quale canale privilegiato di accesso dei giovani nel mondo del lavoro ed a garantirne la funzione formativa.
In tal senso ha operato la l. 92/2012, cd. riforma Fornero, che ha modificato taluni elementi della disciplina generale di cui all’art. 2 del Testo unico del 2011.

Innanzitutto, è stata introdotta una durata minima del contratto di apprendistato, fissata in sei mesi, fatte salve le eccezioni previste dall’art. 4, comma 5 del Testo unico del 2011 per l’apprendistato professionalizzante a cui ricorrano datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali (art. 2, comma 1, lett. a bis), Testo unico del 2011).

In secondo luogo, al fine di favorire l’assunzione con contratto di apprendistato, il legislatore del 2012 ha innalzato il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dipendenti dal medesimo datore di lavoro (da 1:1 a 3:2), ferme restando le previsioni relative ai datori che non abbiano alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbiano in numero inferiori a tre, nonché la disciplina speciale per le imprese artigiane (art. 2, comma 3, Testo unico del 2011).
Per favorire, invece, il mantenimento in servizio dell’apprendista al termine del periodo formativo, è stato introdotto un meccanismo in base al quale l’assunzione di nuovi apprendisti è collegata alla percentuale di stabilizzazioni effettuate nell’ultimo triennio. Si è previsto, infatti, che il datore di lavoro possa procedere a nuove assunzioni in apprendistato solo nel caso in cui, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, abbia proseguito il rapporto di lavoro con almeno il cinquanta per cento degli apprendisti da lui dipendenti, con esclusione dal computo di detta percentuale dei rapporti cessati durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Inoltre, gli apprendisti assunti in violazione del predetto limite sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (art. 2, comma 3 bis, Testo unico del 2011). Per il primo triennio di applicazione della riforma, il rapporto suddetto è stato fissato nella inferiore misura del trenta per cento. Sono stati esclusi inoltre dall’applicazione della predetta disposizione i datori di lavoro con meno di dieci dipendenti (art. 2, comma 3 ter, Testo unico del 2011).

Infine, con la riforma del 2012 si è specificato che, in caso di recesso ai sensi dell’art. 2118 c.c. al termine del periodo di formazione, durante il periodo di preavviso trova applicazione la disciplina del contratto di apprendistato (art. 2, comma 1, lett. m), Testo unico del 2011) ed è stata estesa agli apprendisti l’applicazione dell’assicurazione sociale per l’impego (ASPI) (art. 2, comma 2, lett. e bis), Testo unico del 2011).
Puntuale, nell’estate del 2013, è arrivato l’ennesimo intervento di modifica, rivolto però in tal caso alla disciplina specifica dell’apprendistato di primo e secondo tipo.
Con il d.l. 76/2013, convertito in l. 99/2013, si è previsto, infatti, che l’apprendistato per il diploma e la qualifica professionale possa essere trasformato, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale, in apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali. In tal caso, però, la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva di cui al d.lgs. 167/2011 (art. 3, comma 2 bis, Testo unico del 2011).

Quanto all’apprendistato professionalizzante, l’art. 2, commi 2 e 3, di detto provvedimento ha invece operato un intervento di semplificazione e rilancio, finalizzato tra l’altro a “fronteggiare la grave situazione occupazionale che coinvolge in particolare i soggetti giovani”. In tale ottica, il legislatore ha demandato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano l’adozione di linee guida volte a disciplinare il contratto di apprendistato professionalizzante, con facoltà di derogare alle previsioni del Testo unico prevedendo:

  1. l’obbligatorietà del piano formativo individuale esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche;
  2. la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita attraverso l’utilizzo di un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 10 ottobre 2005, recante “Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino”;
  3. che in caso di imprese multi localizzate, la formazione avvenga nel rispetto della disciplina della regione ove l’impresa ha la propria sede legale.

Dette linee guida, da adottarsi entro il termine del 30 settembre 2013, sono state approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 20 febbraio 2014 e sfruttano integralmente la facoltà di deroga attribuita dal legislatore in materia di apprendistato di secondo tipo. Si prevede, infatti, che: il piano formativo è obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche (art. 2); in assenza del libretto formativo del cittadino, la registrazione della formazione può essere effettuata in un documento avente i contenuti minimi di esso (art. 3); per le imprese aventi sede in più Regioni, può essere applicata la disciplina dell’offerta formativa pubblica della Regione in cui è ubicata la sede legale o, a seguito della acquisita operatività delle linee guida, quella delle Regioni in cui si trovano le sedi operative (art. 4).

La Conferenza permanente ha provveduto altresì a disciplinare durata, contenuti e modalità di realizzazione dell’offerta formativa pubblica. Sul punto, all’art. 1 delle Linee guida, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno convenuto che la formazione di base e trasversale sia obbligatoria nella misura in cui: sia disciplinata come tale nell’ambito della regolamentazione regionale; sia realmente disponibile per l’impresa e per l’apprendista (cioè approvata e finanziata dalla pubblica amministrazione e disponibile per l’impresa entro i sei mesi dall’assunzione) o, in via sussidiaria e cedevole, sia definita obbligatoria dalla disciplina contrattuale vigente. Si specifica, inoltre, che la formazione può essere realizzata in FAD secondo le modalità che dovranno essere definite dalle Regioni e dalle Province autonome.
Quanto alla durata e ai contenuti dell’offerta formativa pubblica, si stabilisce in linea generale che siano determinati con riferimento al titolo di studio posseduto dall’apprendista al momento dell’assunzione. Quindi, la durata viene fissata in: 120 ore per gli apprendisti privi di titolo o in possesso di licenza elementare e/o della sola licenza di scuola secondaria di I grado; 80 ore per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola secondaria di II grado o di qualifica o diploma di istruzione e formazione professionale; 40 ore per gli apprendisti in possesso di laurea o di titolo equivalente. Tali durate potranno essere però ridotte per gli apprendisti che hanno già completato in precedenti periodi in apprendistato uno o più moduli formativi. In ordine al contenuto, le linee guida si limitano a fissare l’oggetto minimo della formazione per l’acquisizione delle competenze di base e trasversali.
Regioni e Province autonome si sono infine impegnate a recepire le disposizioni suddette entro 6 mesi dall’approvazione delle linee guida.

Arriviamo alle novità introdotte dal d.l. 34/2014, cd. decreto Poletti, convertito in l. 78/2014, che hanno toccato sia la disciplina generale del contratto di cui all’art. 2, Testo unico, sia aspetti specifici dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e dell’apprendistato professionalizzante, ponendosi in una certa misura in controtendenza rispetto allo spirito della suesposta riforma del 2012.
Quanto alla disciplina generale, è stata modificata la lett. a) dell’art. 2, comma 1, Testo unico del 2011, nella parte in cui prevedeva espressamente la forma scritta anche per il piano formativo individuale, oltre che per il contratto ed il patto di prova. Attualmente, la lettera della legge richiede, infatti, soltanto la “forma scritta del contratto e del patto di prova”. Tuttavia, il requisito di forma per il piano formativo è da ritenersi solo apparentemente abrogato. Infatti, la lett. a) prosegue specificando che “il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali”. Da tale previsione consegue, quindi, che anche il piano formativo debba necessariamente rivestire la forma scritta, in quanto parte integrante il contratto di apprendistato che, come detto, deve essere redatto in forma scritta ad substantiam.
È stato inoltre modificato il comma 3 bis dell’art. 2 introdotto dalla cd. riforma Fornero. Sul punto, fatta salva la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, di individuare limiti diversi da quelli previsti, è stata ridotta al venti per cento la quota di stabilizzazioni richieste per procedere a nuove assunzioni in apprendistato. Inoltre, il campo di applicazione della disposizione è stato limitato ai soli datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti, con conseguente abrogazione del comma 3 ter della medesima disposizione.

Passando alle novità relative alla disciplina specifica dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, è stato introdotto all’art. 3 un nuovo comma 2 ter, a norma del quale, “fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione almeno nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo”. È stato così introdotto già a livello normativo il principio della cd. percentualizzazione della retribuzione dell’apprendista.
Al fine di incentivare il ricorso all’apprendistato di primo tipo, si è inoltre previsto che, “per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali” (art. 3, comma 2 quater, Testo unico del 2011).

In ordine all’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, il cd. decreto Poletti è intervenuto sulla formazione di natura trasversale, con una modifica volta evidentemente a spronare le Regioni a predisporre percorsi formativi pubblici. Il novellato art. 4, comma 3, Testo unico del 2011, impone, infatti, alla Regione di comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 febbraio 2014.
L’evoluzione più recente della normativa in materia di apprendistato testimonia in maniera evidente il tentativo del legislatore di incentivare il ricorso a detta tipologia contrattuale. Non si può tuttavia non rilevare come detta frenesia riformatrice presenti spesso elementi di contraddittorietà e rischi di pregiudicare la finalità formativa del contratto di apprendistato.

 

Segue: la disciplina attuale: l’apprendistato alla luce del jobs act

Il percorso di riforma del mercato del lavoro portato avanti dal Governo Renzi con il cd. jobs act ha toccato nuovamente la disciplina del contratto di apprendistato.
Il decreto di riordino delle tipologie contrattuali, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 dedica all’apprendistato gli articoli da 41 a 47, che vanno a sostituire la disciplina di cui al Testo unico del 2011.
Ancora una volta si è intervenuti sulla cd. disciplina generale, segnatamente sotto il profilo del riparto di competenze tra legge e contrattazione collettiva, ma soprattutto è stato ridisegnato l’apprendistato di primo tipo e sono stati parzialmente rivisti l’apprendistato professionalizzante, per il quale è stato abbandonato il sinonimo «contratto di mestiere», e quello di alta formazione e ricerca. Le novità non hanno risparmiato neppure la disciplina degli standard professionali e formativi, le modalità certificazione delle competenze ed i meccanismi incentivanti per la promozione dell’istituto, per la cui definizione si rinvia ad altro apposito decreto attuativo della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183.
Nell’ottica di riordino e razionalizzazione della disciplina delle tipologie contrattuali, è stato infine abrogato il Testo Unico del 2011 (art. 55, lett. g), d.lgs. 81/2015).

 

Natura e causa del contratto di apprendistato

L’art. 41 del d.lgs. 81/2015 definisce espressamente l’apprendistato un “contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”.
Si tratta di una tipologia contrattuale rientrante nel genus del lavoro subordinato, con tutto ciò che ne consegue in termini di applicazione della normativa a tutela del lavoratore dipendente. Allo stesso tempo, però, si è dinanzi ad un rapporto di lavoro “speciale” per quanto attiene alla causa del contratto, ovvero con riferimento alla ragione economico – giuridica posta a fondamento del medesimo. Invero, se la causa del contratto di lavoro subordinato è da ravvisarsi nello scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione, nell’apprendistato in particolare a detta funzione si aggiunge l’ulteriore finalità formativa, che ne fa quindi una forma contrattuale a causa mista. Detta peculiarità si riflette su gran parte della disciplina normativa della fattispecie, incidendo direttamente tanto sui requisiti formali e sostanziali del contratto, quanto sul trattamento economico del lavoratore, fino a rilevare anche in punto di disciplina dell’estinzione del rapporto di lavoro.

In proposito, merita dar conto di quanto previsto al comma 3 dell’art. 41, a norma del quale “l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro, con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, nell’ambito del Quadro europeo delle qualificazioni”. Viene così espressamente sottolineata la funzione propria dell’apprendistato, soprattutto di quello di primo e di terzo tipo, consistente nell’integrazione tra formazione e lavoro, al fine di agevolare la collocazione dei giovani nel mercato del lavoro.
Come osservato, l’art. 41 del d.lgs. 81/2015 riconduce l’apprendistato entro la macrocategoria del lavoro a tempo indeterminato. Con tale esplicitazione il legislatore ha quindi posto fine al dibattito in passato sorto in dottrina ed in giurisprudenza circa la natura a termine o a tempo indeterminato del contratto in parola. Merita comunque osservare che il Ministero del lavoro si era già espresso nello stesso senso nella vigenza della disciplina di cui al d.lgs. 276/2003. Con la nota del 12 novembre 2009 emanata in risposta ad un interpello proposto dal consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, relativo proprio alla riconducibilità dell’apprendistato entro il tipo contratto a termine o contratto a tempo indeterminato, il Ministero aveva appunto sostenuto la natura a tempo indeterminato di detta tipologia contrattuale facendo leva, da un lato, sull’espressa esclusione del contratto di apprendistato dal campo di applicazione del d.lgs. 368/2001 (art. 10, comma 1, d.lgs. 368/2001) e, dall’altro, sul fatto che trattasi di un rapporto di lavoro pienamente assimilabile al lavoro a tempo indeterminato, salvo solo per la sopra citata specialità della causa.

La regola fissata dall’art. 41 subisce tuttavia un’eccezione nel caso dell’apprendistato professionalizzante. A detta forma di apprendistato possono, infatti, ricorrere anche datori di lavoro che svolgono attività in cicli stagionali, nel qual caso i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto, anche a tempo determinato (art. 44, comma 5, d.lgs. 81/2015).
Analoga previsione è stata contenuta all’art. 43, comma 8, d.lgs. 81/2015 con riferimento all’apprendistato di primo tipo. Si prevede infatti che, per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.

 

La “disciplina generale” del contratto di apprendistato tra legge e contrattazione collettiva

Per quanto concerne la disciplina del contratto di apprendistato, il Testo unico del 2011 aveva rafforzato notevolmente il ruolo della contrattazione collettiva. Con il d.lgs. 81/2015 si assiste invece ad una inversione di tendenza, dal momento che l’art. 42 del decreto ha ridimensionato detto ruolo in favore della fonte legislativa, riconducendo a disposizioni di legge gran parte di quelli che, in base al Testo unico, erano individuati quali criteri generali di disciplina cui dovevano conformarsi le Parti sociali. Ciò è avvenuto in particolare con riferimento alla forma ed alla durata minima del contratto, nonché in ordine alla disciplina del recesso.
Quanto ai requisiti formali contratto, si specifica che la forma scritta è richiesta ai soli fini della prova e che esso contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale, definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. Inoltre, nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e nell’apprendistato di alta formazione e ricerca, il piano formativo individuale dovrà essere predisposto dall’istituzione formativa di provenienza dello studente, con il coinvolgimento dell’impresa. Al piano formativo individuale, per la quota a carico dell’istituzione formativa, dovrà inoltre provvedersi nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Quanto alla durata minima del contratto, viene mantenuto il limite dei 6 mesi, facendo tuttavia salve le ipotesi derogatorie di apprendistato a tempo determinato di cui agli artt. 43, comma 8, e 44, comma 5.
Passando all’istituto del recesso datoriale, si conferma la recedibilità ai sensi dell’art. 2118 c.c., ma rispetto al Testo unico del 2011 viene modificato il dies a quo di decorrenza del termine di preavviso: non più dalla fine del periodo di formazione, bensì dal termine del periodo di apprendistato. Inoltre, sotto il profilo sanzionatorio, viene ora espressamente richiamata la normativa vigente per il licenziamento “illegittimo”.

Con specifico riferimento all’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, viene altresì introdotta una ipotesi di recesso legittimo ex lege: si stabilisce, infatti, che costituisce giustificato motivo di licenziamento anche il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi, come attestato dall’istituzione formativa di provenienza.
L’art. 42, comma 5, d.lgs. 81/2015 rimette poi agli accordi interconfederali ed ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni di datori di lavoro e lavoratori comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale la residua regolamentazione del contratto, limitandosi a fissare una serie di principi generali, che in larga parte riproducono la disciplina legislativa previgente ed ai quali le Parti sociali dovranno attenersi. In particolare, detti accordi dovranno prevedere:

  • il divieto di retribuzione a cottimo;
  • la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e in modo graduale all’anzianità di servizio;
  • la presenza di un tutore o referente aziendale;
  • la possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali di cui all’articolo 118 della l. 23 dicembre 2000, n. 388 ed all’articolo 12 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni, anche attraverso accordi con le Regioni;
  • la possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti all’interno del percorso di formazione esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi, nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;
  • la registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276;
  • la possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;
  • la possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato.

Un’importante novità, già introdotta dal Testo unico del 2011 e ribadita dal d.lgs. 81/2015, è costituita dall’estensione dell’ambito di applicazione dell’apprendistato al settore pubblico. Ai sensi degli artt. 44 e 45 del d.lgs. 81/2015, infatti, il contratto di apprendistato professionalizzante e quello di alta formazione e ricerca possono essere stipulati anche dalle amministrazioni pubbliche in ogni settore di attività. Si tratta, tuttavia, di una previsione non di immediata applicazione, necessitando di un intervento attuativo di rango ministeriale, ovverosia di un Decreto del Presidente del Consiglio, adottato su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Parti sociali e la Conferenza Unificata, che disciplini le modalità di reclutamento e di accesso, nonché l’applicazione del contratto di apprendistato nel settore pubblico (art. 47, comma 6, d.lgs. 81/2015).

La nuova normativa, al pari della precedente, nulla dice in ordine alla possibilità di concludere un contratto di apprendistato part-time. Ciò nonostante, è da ritenersi ancora attuale l’indirizzo assunto dal Ministero del lavoro con la circolare n. 102 del 1986 (successivamente confermato con altri interventi, per cui si vd. da ultimo la circolare n. 34/2010) circa la piena compatibilità dell’apprendistato con un regime orario part-time, ferma ovviamente l’esigenza che la riduzione oraria non sia di ostacolo alla realizzazione delle finalità formative caratterizzanti il contratto.

Il d.lgs. 81/2015 legittima, invece, in modo esplicito il ricorso al contratto di apprendistato da parte delle agenzie di somministrazione, seppure limitatamente alla somministrazione a tempo indeterminato, il cd. staff leasing.
Tale legittimazione emerge chiaramente dal disposto dell’art. 42, comma 7, del decreto che, nel fissare il numero massimo di apprendisti che ciascun datore di lavoro può avere alle proprie dipendenze, fa riferimento sia agli apprendisti assunti direttamente che a quelli “assunti per il tramite delle agenzie di somministrazione autorizzate”. Invero, il Ministero del lavoro aveva già ritenuto possibile il ricorso all’apprendistato con riferimento allo staff leasing, “purché le modalità di esecuzione del rapporto di lavoro consentano la realizzazione delle finalità di formazione” (circolare n. 5/2005).
Il legislatore specifica poi che “è in ogni caso esclusa la possibilità di utilizzare apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato”.
La suddetta apertura, operata ormai anche a livello normativo, suscita quantomeno alcune perplessità proprio sotto il profilo del raggiungimento dell’obiettivo formativo connaturato al contratto di apprendistato. È, infatti, difficile immaginare che tale finalità possa essere effettivamente soddisfatta mediante l’invio del lavoratore apprendista in missioni di durata predeterminata e frazionate nel tempo, magari presso imprese utilizzatrici diverse, ipotesi questa che non rappresenta certo un mero caso di scuola.

 

Le tipologie di apprendistato

Proseguendo nel solco tracciato dalla riforma del 2003 prima e dal Testo unico del 2011 poi, il d.lgs. 81/2015 contempla tre diverse forme di apprendistato, che peraltro in gran parte ricalcano quelle già previste dal d.lgs. 276/2003:

  1. l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  2. l’apprendistato professionalizzante;
  3. l’apprendistato di alta formazione e ricerca.

L’art. 47, comma 4, del d.lgs. 81/2015 contempla poi quello che molti hanno definito come il quarto tipo di apprendistato, ovverosia l’apprendistato per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione.

 

L’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore

Il contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (art. 43, d.lgs. 81/2015) può essere utilizzato in tutti i rami di attività del settore privato, per assumere giovani che abbiano compiuto i quindici anni e fino al compimento del venticinquesimo anno di età.
Il legislatore ha quindi mantenuto la possibilità, già introdotta con il collegato lavoro del 2010, di ricorrere all’apprendistato in deroga alla regola generale di cui all’art. 1, comma 622, l. 296/2006 (finanziaria 2007), secondo la quale “l’età per l’accesso al lavoro è (…) elevata da quindici a sedici anni”. Tale previsione, giustificata dal legislatore come misura di contrasto all’elusione dell’obbligo formativo e all’abbandono scolastico, è stata fortemente criticata da parte di alcune sigle sindacali, in ragione del fatto che, consentendo l’accesso al mercato del lavoro prima del completamento del percorso formativo, potrebbe in realtà condurre al risultato opposto, rischiando peraltro di frustrare un obiettivo altrettanto fondamentale quale quello di innalzare il livello di istruzione dei giovani.

La finalità perseguita mediante il primo tipo di apprendistato è costituita dall’acquisizione di una qualifica professionale spendibile sul mercato o del diploma professionale. Con la riforma del 2015, si è inoltre previsto che detta tipologia contrattuale possa essere utilizzata anche per la ulteriore specializzazione professionale del lavoratore. Infatti, contratti di apprendistato, di durata non superiore a quattro anni, potranno essere stipulati con i giovani iscritti a partire dal secondo anno dei percorsi di istruzione secondaria superiore, per l’acquisizione, oltre che del diploma di istruzione secondaria superiore, di ulteriori competenze tecnico-professionali rispetto a quelle già previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore. A tal fine, viene abrogato il comma 2 dell’articolo 8-bis del d.l. 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 novembre 2013, n. 128. Sono fatti salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda già attivati. Possono essere, infine, stipulati contratti di apprendistato, di durata non superiore a due anni, per i giovani che frequentano il corso annuale integrativo che si conclude con l’esame di Stato, di cui all’articolo 6, comma 5, del dPR 15 marzo 2010, n. 87.

Quanto alla durata del contratto, la legge pone soltanto un limite massimo di tre anni per la componente formativa, elevati a quattro nel caso di conseguimento di un diploma professionale quadriennale. Si precisa, tuttavia, che la durata deve essere determinata tenendo conto della qualifica o del diploma da conseguire.
Quanto al profilo formativo del contratto, il legislatore specifica quindi che esso è “strutturato in modo da coniugare la formazione sul lavoro effettuata in azienda con l’istruzione e formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell’ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e di quelli di cui all’articolo 46”. Diventa pertanto indispensabile che la formazione conseguita in azienda si associ a quella erogata da un ente formativo.
A tale innovazione si ricollega l’eliminazione dell’inciso a norma del quale l’apprendistato di primo tipo può essere utilizzato “anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione”. Tali modifiche, da leggersi in combinazione tra loro, portano a ritenere che il rapporto di lavoro in apprendistato dovrà necessariamente svolgersi in concomitanza con la frequentazione di un corso di istruzione e formazione professionale, poiché in caso contrario verrebbe disattesa la struttura stessa del contratto.

In tale ottica di stretta connessione tra azienda ed ente di formazione si pone anche la previsione di cui al comma 6, secondo la quale il datore di lavoro che intenda assumere in apprendistato deve sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, secondo uno schema definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che stabilisce il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore. Con il medesimo decreto verranno definiti anche i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato, e, in particolare, il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere svolta in apprendistato ed i requisiti delle imprese nelle quali si svolge, nonché il numero di ore da effettuare in azienda, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e delle competenze delle regioni e delle province autonome.
In ogni caso, il legislatore stabilisce che, nell’apprendistato che si svolge nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale regionale, la formazione esterna all’azienda dovrà svolgersi nell’istituzione formativa cui è iscritto lo studente e non potrà essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale per il secondo anno e del 50 per cento per il terzo e quarto anno, nonché per l’anno successivo finalizzato al conseguimento del certificato di specializzazione tecnica.

La regolamentazione dei profili formativi del contratto è di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, ma rispetto al testo unico del 2011 viene meno la necessità di un apposito accordo in sede di Conferenza permanente e del preventivo parere delle parti sociali. Sono stati inoltre eliminati quei principi e criteri direttivi dettati dal legislatore nazionale ed ai quali la disciplina di secondo livello doveva attenersi. Tuttavia, in caso di inerzia delle regioni, potrà esservi un intervento sostitutivo a livello centrale. In assenza di regolamentazioni regionali, l’attivazione dell’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale è, infatti, rimessa al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che ne disciplina l’esercizio con propri atti.

Quanto al rapporto di lavoro, si prevede la facoltà di proroga del contratto di apprendistato. Il quarto comma dell’art. 43 stabilisce, infatti, che “in relazione alle qualificazioni contenute nel Repertorio di cui all’articolo 41, comma 3, i datori di lavoro hanno la facoltà di prorogare fino ad un anno il contratto di apprendistato dei giovani qualificati e diplomati, che hanno concluso positivamente i percorsi di cui al comma 1, per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, spendibili anche ai fini dell’acquisizione di certificati di specializzazione tecnica superiore. Il contratto di apprendistato può essere prorogato di un anno anche nel caso in cui, al termine del periodo di formazione, l’apprendista non abbia conseguito il titolo di qualifica, diploma o specializzazione professionale”.

È inoltre possibile trasformare il contratto di apprendistato di primo tipo in apprendistato professionalizzante, dopo il conseguimento della qualifica o del diploma professionale ai sensi del d.lgs. 226/2005, nonché del diploma di istruzione secondaria superiore, ed allo scopo di acquisire la qualifica professionale ai fini contrattuali. In tal caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può comunque eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva (art. 43, comma 9, d.lgs. 81/2015).
Sotto il profilo retributivo, si registra un netto peggioramento delle condizioni di cui al Testo unico del 2011. Per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è infatti esonerato da ogni obbligo retributivo, mentre per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.

Infine, in maniera analoga a quanto previsto per l’apprendistato professionalizzante, l’art. 43, comma 8, d.lgs. 81/2015 stabilisce che, per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possano prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.

 

L’apprendistato professionalizzante

L’apprendistato professionalizzante è rivolto a soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni. Tuttavia, per coloro che sono in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del d.lgs. 226/2005, il contratto può essere stipulato già a partire dal diciassettesimo anno di età.
Dal lato datoriale, il campo di applicazione è esteso anche al settore pubblico, previa adozione di un apposito decreto ministeriale.
Il contratto è finalizzato all’acquisizione di una qualifica professionale a fini contrattuali, che, ai sensi dell’art. 44, comma 1, del decreto, deve essere “determinata dalle parti del contratto sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Il d.lgs. 81/2015 rimette agli accordi interconfederali ed ai contratti collettivi la determinazione, in ragione del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire, della durata e delle modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche. Lo stesso vale per la durata anche minima del contratto, la quale non potrà comunque essere superiore a tre anni ovvero a cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento (in precedenza il limite massimo era fissato a sei anni).

Per quanto concerne la formazione, si prevede che questa debba svolgersi sotto la responsabilità dell’azienda e che debba essere integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dall’offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali.
In proposito, la normativa si limita a prevedere un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio, senza operare alcun riferimento alla formazione formale, così sminuendo proprio l’elemento caratterizzante il contratto di apprendistato, la componente formativa.

La disciplina della formazione di tipo professionalizzante, nel rispetto del riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost., è rimessa alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, sentite le parti sociali, e dovrà tenere conto del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista. Anche al fine di incentivare le Regioni nell’adozione di detta disciplina, oltre che per garantire l’effettività della cd. formazione trasversale, l’ente territoriale deve comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica. Detta comunicazione dovrà peraltro specificare le sedi ed il calendario delle attività previste e la Regione potrà avvalersi, per l’attività formativa medesima, anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarati disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 febbraio 2014.
Le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le associazioni di categoria dei datori di lavoro potranno inoltre definire, anche nell’ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere.

Nell’ambito dell’apprendistato professionalizzante si prevede, infine, una deroga alla regola generale della natura a tempo indeterminato del contratto. Infatti, con riferimento ai datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali, i contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del rapporto apprendistato, ivi compresa l’apposizione del termine al contratto.

L’apprendistato professionalizzante, individuato dal legislatore quale canale privilegiato per l’accesso dei giovani nel mercato del lavoro, è stato oggetto di uno specifico intervento di semplificazione e rilancio ad opera del d.l. 76/2013, convertito in l. 99/2013, finalizzato tra l’altro a “fronteggiare la grave situazione occupazionale che coinvolge in particolare i soggetti giovani”. In tale ottica, l’art. 2 di tale provvedimento ha demandato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano l’adozione di linee guida volte a disciplinare il contratto di apprendistato professionalizzante, con facoltà di derogare alle previsioni del Testo unico prevedendo:

  • l’obbligatorietà del piano formativo individuale esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche;
  • la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita attraverso l’utilizzo di un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 10 ottobre 2005, recante “Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino”;
  • che in caso di imprese multi localizzate, la formazione avvenga nel rispetto della disciplina della regione ove l’impresa ha la propria sede legale.

Dette Linee guida sono state adottate dalla Conferenza permanente il 20 febbraio 2014, sfruttando a pieno la facoltà derogatoria attribuita da legislatore.
In esse si prevede, infatti, che:

  • il piano formativo è obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche (art. 2);
  • la registrazione della formazione può essere effettuata in un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino (art. 3);
  • per le imprese aventi sede in più Regioni, può essere applicata la disciplina dell’offerta formativa pubblica della Regione in cui è ubicata la sede legale o, a seguito della acquisita operatività delle linee guida, quella delle Regioni in cui si trovano le sedi operative (art. 4).

La Conferenza permanente ha provveduto altresì a disciplinare durata, contenuti e modalità di realizzazione dell’offerta formativa pubblica. Sul punto, all’art. 1 delle Linee guida, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano convengono che la formazione di base e trasversale sia obbligatoria nella misura in cui: sia disciplinata come tale nell’ambito della regolamentazione regionale; sia realmente disponibile per l’impresa e per l’apprendista (cioè approvata e finanziata dalla pubblica amministrazione e disponibile per l’impresa entro i sei mesi dall’assunzione) o, in via sussidiaria e cedevole, sia definita obbligatoria dalla disciplina contrattuale vigente. Si specifica, inoltre, che la formazione può essere realizzata in FAD secondo le modalità che dovranno essere definite dalle Regioni e dalle Province autonome.
Quanto alla durata e ai contenuti dell’offerta formativa pubblica, si stabilisce in linea generale che siano determinati con riferimento al titolo di studio posseduto dall’apprendista al momento dell’assunzione. Quindi, la durata viene fissata in: 120 ore per gli apprendisti privi di titolo o in possesso di licenza elementare e/o della sola licenza di scuola secondaria di I grado; 80 ore per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola secondaria di II grado o di qualifica o diploma di istruzione e formazione professionale; 40 ore per gli apprendisti in possesso di laurea o di titolo equivalente. Tali durate potranno essere però ridotte per gli apprendisti che hanno già completato in precedenti periodi in apprendistato uno o più moduli formativi. In ordine al contenuto, le linee guida si limitano a fissare l’oggetto minimo della formazione per l’acquisizione delle competenze di base e trasversali.
Regioni e Province autonome si sono infine impegnate a recepire le disposizioni suddette entro 6 mesi dall’approvazione delle linee guida.

 

L’apprendistato di alta formazione e ricerca

Il contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca può essere stipulato, in tutti i settori di attività, sia privati che pubblici, con i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni.
Esso presuppone il possesso da parte del lavoratore di un diploma di istruzione secondaria superiore ovvero di un diploma professionale, conseguito nei percorsi di istruzione e formazione professionale integrato da un certificato di istruzione e formazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale all’esito del corso annuale integrativo. Con il d.lgs. 81/2015 è stata quindi eliminata la possibilità di ricorrere a detta tipologia di apprendistato per il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore.
Si cerca così di superare il rischio di sovrapposizione tra apprendistato di alta formazione e ricerca e apprendistato di primo tipo, finalizzando il primo all’acquisizione di competenze di più alto livello. Tale novità ha evidentemente l’obiettivo di far sì che l’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale e quello di alta formazione e ricerca integrino organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l’occupazione dei giovani con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale, obiettivo anticipato dal legislatore all’art. 39 del d.lgs. 81/2015.

Detta tipologia contrattuale è finalizzata al conseguimento di titoli di studio universitari e di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, e alla specializzazione tecnica superiore di cui all’articolo 69, l. 17 maggio 1999, n. 144, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori di cui all’articolo 7, d.P.C.M. 25 gennaio 2008. Si prevede infine che l’apprendistato di alta formazione e ricerca possa essere utilizzato per attività di ricerca, nonché per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Si tratta di una novità importante, che tuttavia rischia di rimanere soltanto sulla carta. La norma, infatti, pecca di effettività laddove non prevede in capo al professionista che accoglie il praticante presso il proprio studio alcun obbligo di procedere ad una regolare assunzione con contratto di apprendistato. È agevole ipotizzare che, mancando un siffatto obbligo, sarà sempre preferita l’alternativa costituita dal tradizionale praticantato come scambio tra prestazione e acquisizione della formazione necessaria allo svolgimento della professione.

La disciplina e la durata del contratto, per quanto attiene ai profili formativi, è rimessa alle Regioni in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca, comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico. Per ovviare alle possibili problematiche connesse ad eventuali ritardi nell’intervento della regolamentazione regionale, l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca viene rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con i predetti soggetti dell’alta formazione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
In maniera analoga a quanto statuito per l’apprendistato di primo tipo, il datore di lavoro che intenda stipulare un contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca dovrà sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, o con l’ente di ricerca, secondo uno schema definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’istruzione dell’Università e della ricerca e del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che stabilisce la durata e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. Il suddetto protocollo dovrà stabilire altresì il numero dei crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione a carico del datore di lavoro, anche in deroga al limite di cui all’articolo 2, comma 147, del d.l. 262/2006.

La formazione esterna all’azienda dovrà essere svolta nell’istituzione formativa cui è iscritto lo studente e, di norma, nei percorsi di Istruzione Tecnica Superiore non potrà essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale.
Sotto il profilo retributivo, si registra anche qui un netto passo indietro rispetto alle previsioni del Testo unico del 2011. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa non vi sarà alcun obbligo retributivo, mentre per quelle a carico del datore di lavoro sarà riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.

 

L’apprendistato per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione, un quarto tipo?

L’art. 47, comma 4, d.lgs. 81/2015 prevede la possibilità di ricorrere al contratto di apprendistato per assumere lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione e finalizzato alla loro qualificazione o riqualificazione professionale. In proposito, molti hanno parlato di una quarta tipologia di apprendistato. Appare in realtà più opportuno ricondurre detta forma contrattuale entro la tripartizione già realizzata con la riforma del 2003, preferibilmente entro l’apprendistato professionalizzante del quale è quantomeno auspicabile l’estensione della disciplina dei profili formativi e della durata.

Come sottolineato dal Ministero del lavoro nell’interpello n. 21 del 1° agosto 2012, con riferimento all’apprendistato per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione, non costituisce requisito soggettivo per la stipulazione del contratto l’età del prestatore, in deroga al principio generale per cui l’apprendistato è un contratto rivolto essenzialmente ai giovani. Costituisce, invece, requisito imprescindibile l’iscrizione nelle liste di mobilità, indipendentemente dalla percezione oppure no della relativa indennità.
La disposizione contempla inoltre una disciplina speciale per quanto attiene al recesso dal contratto di lavoro. Infatti, si prevede espressamente l’applicazione della normativa in materia di licenziamenti individuali, tanto nel corso del periodo di formazione, quanto al termine del medesimo, in deroga rispetto alla regola generale in materia di apprendistato, per cui al termine del periodo di formazione le parti possono recedere dal contratto con il solo limite del preavviso di cui all’art. 2118 c.c. decorrente dalla conclusione del periodo formativo stesso.

Poiché il contratto di apprendistato è finalizzato alla formazione del lavoratore, appare evidente che esso potrà essere utilizzato per assumere lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione soltanto qualora comporti l’acquisizione di competenze nuove ed ulteriori rispetto a quelle già presenti nel bagaglio professionale del prestatore di lavoro.

L’introduzione di questa forma di apprendistato è stata fortemente criticata da una parte delle forze sindacali, per il rischio che il ricorso ad essa possa determinare la perdita dell’indennità di mobilità da parte del lavoratore, qualora questi non accetti un’offerta di lavoro in apprendistato con relativo sottoinquadramento o percentualizzazione della retribuzione. Ai sensi dell’art. 19, comma 10, d.l. 29 novembre 2008, infatti, il lavoratore destinatario di trattamenti di sostegno al reddito decade dal beneficio degli stessi qualora rifiuti un lavoro congruo ex art. 1 quinquies, d.l. 5 ottobre 2004, n. 249, ovvero sia inquadrato in un livello retributivo non inferiore del venti per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza. C’è tuttavia da ritenere che, qualora il sottoinquadramento o la percentualizzazione della retribuzione non portino a superare detto limite del venti per cento, il lavoratore in mobilità possa legittimamente rifiutare l’offerta di lavoro in apprendistato.
Sotto il profilo contributivo, infine, la norma prevede in favore del datore di lavoro l’applicazione dei benefici relativi all’assunzione di lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Sul punto, il Ministero del lavoro, con il citato interpello n. 21 del 1° agosto 2012, ha precisato che, nel caso di assunzione in apprendistato di lavoratori in mobilità, “troverà esclusiva applicazione il regime contributivo agevolato di cui alla L. n. 223/1991 per i periodi indicati dalla medesima Legge mentre, al termine degli stessi, troverà applicazione la normale contribuzione prevista per i lavoratori subordinati non apprendisti. Resta ferma, tuttavia, in favore del datore di lavoro che assume con contratto di apprendistato e sul quale conseguentemente grava l’onere della formazione, la possibilità di fruire – per tutto il periodo di formazione – dell’istituto del sottoinquadramento o, in alternativa, della progressione retributiva in misura percentuale, secondo quanto previsto dal contratto collettivo di riferimento ai sensi dell’art. 2 lett. c) del D.Lgs. n. 167/2011 (ndr, ora art. 42, comma 5, lett. b), d.lgs. 81/2015)”.

 

Assumere in apprendistato, quali limitazioni?

Secondo il disposto dell’art. 42, comma 7, d.lgs. 81/2015, il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o in somministrazione, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso, rapporto che comunque non può superare il cento per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre.
Si tratta evidentemente di una limitazione finalizzata a garantire un adeguato livello di formazione e di affiancamento al lavoratore apprendista. In tale ottica, con l’interpello n. 11 del 2 aprile 2011, il Ministero del lavoro ha precisato che, in presenza di un’impresa collegata sul piano funzionale e produttivo ad altra impresa principale, il numero massimo di apprendisti che possono essere assunti può essere rilevato con riferimento alle maestranze specializzate e qualificate comunque rientranti nella medesima realtà imprenditoriale, anche se operanti in unità produttive o sedi diverse da quelle in cui opera l’apprendista. In tal senso milita peraltro la modifica introdotta con la riforma del 2003, per cui il rapporto apprendisti/lavoratori specializzati e qualificati deve essere verificato non più “presso l’azienda”, bensì “presso il datore di lavoro”.

Le predette limitazioni non trovano tuttavia applicazione con riferimento alle imprese artigiane, per le quali operano le disposizioni di cui all’articolo 4 della l. 8 agosto 1985, n. 443 .
Al fine di incentivare il datore di lavoro al mantenimento in servizio del lavoratore al termine del periodo formativo, la l. 92/2012 ha introdotto il cd. onere di stabilizzazione degli apprendisti già in forza all’organico aziendale. È stato, infatti, previsto che l’assunzione di nuovi apprendisti sia subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di una determinata percentuale degli apprendisti già dipendenti dallo stesso datore di lavoro.
Detta previsione, originariamente di applicazione generale, con il d.l. 34/2014, convertito in legge 78/2014, è stata limitata ai soli datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti. Inoltre, ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, di individuare limiti diversi, la quota di stabilizzazione è stata ridotta dall’originario cinquanta al venti percento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Ai fini del computo della predetta percentuale non si tiene conto dei rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.

Qualora non sia rispettata la percentuale di stabilizzazione, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un solo apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Inoltre, gli apprendisti eventualmente assunti in violazione dei limiti suddetti sono considerati lavoratori subordinati assunti con ordinario contratto a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (art. 42, comma 8, d.lgs. 81/2015).

 

La costituzione del rapporto di lavoro: requisiti formali e sostanziali del contratto di apprendistato

Il contratto di apprendistato deve essere redatto in forma scritta, richiesta ad probationem, ovverosia ai fini della prova. Esso deve inoltre contenere, seppure in forma sintetica, il piano formativo individuale, che può essere definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.

 

La disciplina del rapporto di lavoro

Come già osservato (cfr. supra § 3.4), la regolamentazione del contratto di apprendistato e di conseguenza quella del rapporto di lavoro è in parte rimessa dal d.lgs. 81/2015 alla determinazione da parte di accordi interconfederali e contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni di datori di lavoro e lavoratori comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, nel rispetto di una serie di criteri e principi direttivi fissati dal legislatore. La lettura di tali criteri unitamente alle disposizioni normative consente tuttavia di ricostruire una disciplina generale del rapporto di lavoro in apprendistato che, alla luce della funzione formativa del contratto, presenta tratti di specialità rispetto a quella propria del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Trattamento normativo, economico e previdenziale

Per quanto concerne il trattamento economico degli apprendisti, vige innanzitutto un generale divieto di retribuzione a cottimo, vale a dire che la retribuzione non può essere commisurata alla quantità di lavoro prestata in una determinata unità di tempo.
In secondo luogo è prevista la possibilità per i datore di lavoro di inquadrare l’apprendista fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto. Si consente, quindi, di remunerare diversamente ed in misura inferiore la prestazione di lavoro dell’apprendista, essenzialmente in ragione del minor apporto che questi fornisce all’utilità dell’impresa.
In alternativa al sottoinquadramento, la retribuzione dell’apprendista può essere determinata in misura percentuale e in modo graduale all’anzianità di servizio.

Con specifico riferimento all’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, il legislatore ha precisato che la retribuzione deve tener conto delle ore di lavoro effettivamente prestate, nonché delle ore di formazione. Tuttavia, per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo. Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta. Sono fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi.
Del tutto identica la previsione di cui all’art. 45, comma 3, d.lgs. 81/2015 per quanto riguarda l’apprendistato di alta formazione e ricerca.

Sotto il profilo previdenziale, ai sensi dell’art. 42, comma 6, d.lgs. 81/2015, trovano applicazione anche per gli apprendisti le norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatorie, ovvero si estendono loro l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la malattia, l’invalidità e vecchiaia, la maternità, nonché il diritto all’assegno familiare ed all’assicurazione sociale per l’impego (NASPI). Inoltre, in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto superiore a trenta giorni, secondo quanto disposto dai contratti collettivi, è prevista la possibilità di prolungare il periodo di apprendistato.

Passando infine all’orario di lavoro, agli apprendisti maggiorenni trovano applicazione le norme di cui al d.lgs.8 aprile 2003, n. 66, come espressamente previsto dall’ art. 2, comma 4, del medesimo provvedimento. Per gli apprendisti minorenni, invece, opera la normativa a tutela dei minori dettata dalla l. 17 ottobre 1967, n. 977. Pertanto, mentre all’apprendista che abbia compiuto il diciottesimo anno di età può essere legittimamente richiesto di effettuare lavoro notturno o straordinario, il lavoro notturno è vietato per gli apprendisti minorenni, salve le deroghe di cui all’art. 17 della l. 977/1967 (art. 15, l. 977/1967), ed il loro orario di lavoro non potrà in ogni caso superare le otto ore giornaliere e le quaranta ore settimanali (art. 18, l. 977/1967). Si differenzia anche il regime del riposo settimanale, che per gli apprendisti minorenni deve essere di almeno due giorni, preferibilmente consecutivi e comprendenti la domenica. Ai minori impiegati in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo, nonché, con esclusivo riferimento agli adolescenti, nei settori turistico, alberghiero o della ristorazione, il riposo settimanale può essere concesso anche in un giorno diverso dalla domenica. Il periodo di riposo può essere ridotto in presenza di comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo, ma non può comunque essere inferiore a 36 ore consecutive, e può essere interrotto nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati o di breve durata nella giornata (art. 22, l. 977/1967).

 

La formazione nell’apprendistato: piano formativo, tutoraggio, riconoscimento della qualifica, libretto formativo, standard formativi e professionali, repertorio delle professioni, certificazione delle competenze, forme di finanziamento

Il contratto di apprendistato, indipendentemente dalla tipologia utilizzata, deve essere sempre accompagnato dal piano formativo individuale, ovverosia da un documento nel quale deve essere individuato il percorso di formazione che l’apprendista dovrà seguire, oltre alle modalità attraverso le quali lo stesso sarà attuato durante il rapporto di lavoro. Il piano formativo individuale, che è parte integrante del contratto, può essere indicato in forma sintetica, eventualmente anche facendo ricorso a moduli e formulari predisposti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.
Fondamentale nella realizzazione dell’obiettivo formativo è il ruolo del tutore aziendale che, secondo quanto previsto dal d.m. 28 febbraio 2000, n. 22, ha il compito di “affiancare l’apprendista durante il periodo di apprendistato, di trasmettere le competenze necessarie all’esercizio delle attività lavorative e di favorire l’integrazione tra le iniziative formative esterne all’azienda e la formazione sul luogo di lavoro”. Egli inoltre è chiamato a collaborare con le strutture di formazione esterna all’azienda, al fine di valorizzare il percorso di apprendimento in alternanza e ad esprimere valutazioni sulle competenze acquisite dall’apprendista ai fini dell’attestazione da parte del datore di lavoro.

Le funzioni di tutore possono essere svolte da un lavoratore qualificato designato dall’impresa o, nel caso di imprese con meno di quindici dipendenti e nelle imprese artigiane, dal titolare dell’impresa stessa o da un familiare coadiuvante. Affinché il tutore possa essere in grado di far fronte alle funzioni assegnategli, egli dovrà:

  • possedere un livello di inquadramento contrattuale pari o superiore a quello che l’apprendista conseguirà al termine del periodo di formazione,
  • svolgere attività lavorative coerenti con quelle dell’apprendista;
  • possedere almeno tre anni di esperienza lavorativa, salvo che nell’impresa non siano presenti soggetti con tale caratteristica.

Inoltre, ciascun tutore potrà affiancare un massimo di cinque apprendisti, ferme le limitazioni numeriche previste per le imprese artigiane.

Con il Testo unico del 2011 il legislatore ha introdotto la nuova figura del referente aziendale, mantenuta anche dal d.lgs. 81/2015, senza però esplicitare se si tratti di una posizione del tutto sovrapponibile a quella del tutore aziendale oppure no. Sarebbe pertanto auspicabile un intervento chiarificatore sul punto, anche per quanto concerne l’eventuale estensione delle norme contenute nel d.m. 22/2000.
Al termine del percorso formativo esterno e/o interno all’impresa, il lavoratore potrà ottenere il riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi, nonché nei percorsi di istruzione degli adulti.
Inoltre, la formazione effettuata dall’apprendista e la qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita devono essere registrate nel libretto formativo del cittadino. Tale registrazione, nell’apprendistato professionalizzante, è di competenza del datore di lavoro, mentre nelle altre due tipologie è rimessa alla istituzione formativa/ente di ricerca a cui è iscritto/appartiene l’apprendista.
Infine, quanto alla certificazione delle competenze, laddove il Testo unico del 2011 ne rimetteva alle Regioni ed alle Province autonome la disciplina applicativa, l’art. 46, comma 4, espressamente prevede che essa sia effettuata dall’istituzione formativa di provenienza dell’allievo secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 13/2013.

Al fine di armonizzare le qualifiche professionali acquisite attraverso le diverse tipologie di apprendistato e consentire una correlazione tra standard formativi e standard professionali, il legislatore ha previsto infine l’istituzione del repertorio delle professioni presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La realizzazione del repertorio è rimessa ad un apposito organismo tecnico composto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, il quale dovrà tener conto dei sistemi di classificazione del personale contenuti nei contratti collettivi di lavoro e di quanto previsto dall’Intesa del febbraio 2010.
Una volta istituito, il repertorio delle professioni costituirà la base per la certificazione delle competenze acquisite dall’apprendista e per la registrazione delle stesse sul libretto formativo. Nelle more della definizione del repertorio, si farà riferimento ai sistemi di standard regionali esistenti.
Per quanto concerne infine le forme di finanziamento della formazione in apprendistato, l’art. 42, comma 5, lett. d) prevede espressamente la possibilità di ricorrere, anche attraverso accordi con le Regioni e le Province autonome, ai fondi paritetici interprofessionali di cui all’articolo 118, l. 23 dicembre 2000, n. 388 e all’articolo 12, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni.

 

Proroga del contratto e conferma in servizio

Risolvendo i dubbi emersi precedentemente in dottrina, il legislatore ha espressamente previsto che il periodo di apprendistato può essere prolungato in caso di malattia, infortunio o di altra causa di sospensione involontaria del rapporto superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi (art. 42, comma 5, lett. g), d.lgs. 81/2015).
Inoltre, potranno essere previste forme e modalità per la conferma in servizio del lavoratore al termine del percorso formativo al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e fermi i limiti numerici previsti per l’assunzione di apprendisti (art. 42, comma 5, lett. h), d.lgs. 81/2015).

 

Estinzione e consolidamento del rapporto di lavoro

Il contratto di apprendistato viene espressamente definito dal legislatore come un contratto di lavoro a tempo indeterminato, conseguentemente durante il periodo di formazione le parti possono recedere dal contratto soltanto in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. Nel caso in cui venga intimato un licenziamento illegittimo, trova pertanto applicazione la vigente disciplina sanzionatoria (art. 42, comma 3, d.lgs. 81/2015).
Solo al termine del periodo di apprendistato è consentito alle parti di recedere liberamente dal contratto, fermo tuttavia l’obbligo di preavviso ex art. 2118 c.c.. Il periodo di preavviso, durante il quale continua ad applicarsi la disciplina dell’apprendistato, è determinato dalla contrattazione collettiva e decorre per espressa previsione normativa dalla conclusione del periodo di formazione. Qualora nessuna delle parti contrattuali eserciti tale facoltà di recesso, si assiste al consolidamento del rapporto di lavoro, il quale prosegue quindi come un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art. 42, comma 4, d.lgs. 81/2015).
La suddetta disciplina subisce una deroga qualora il contratto di apprendistato sia stato concluso con lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione per la loro qualificazione o riqualificazione. In tal caso, infatti, al termine del periodo di formazione trova applicazione la disciplina in materia di licenziamenti individuali.

 

La patologia del rapporto: inadempimento dell’obbligo formativo ed inosservanza dei principi

Nel caso di omessa o parziale erogazione della formazione, di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire il raggiungimento delle finalità prescritte per la tipologia di apprendistato utilizzata, l’art. 47, comma 1, d.lgs. 81/2015 pone a carico del datore di lavoro una sanzione di natura amministrativa consistente nell’obbligo di versare la differenza tra la contribuzione già versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del cento per cento, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione.
In proposito, con la circolare n. 29/2011, il Ministero del lavoro ha posto l’accento sulla necessaria compresenza dei due requisiti suddetti e consistenti nella esclusiva responsabilità del datore di lavoro e nel mancato raggiungimento degli obiettivi formativi, rilevando che:

  • in caso di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale “la responsabilità del datore di lavoro si potrà configurare nell’ipotesi in cui lo stesso non consentirà al lavoratore di seguire percorsi formativi esterni all’azienda previsti dalla regolamentazione regionale e/o non effettuerà quella parte di formazione interna eventualmente prevista dalla stessa regolamentazione regionale con riferimento all’offerta formativa pubblica”;
  • in caso di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere “la responsabilità del datore di lavoro si potrà configurare nell’ipotesi in cui lo stesso non consentirà al lavoratore di seguire percorsi formativi esterni all’azienda finalizzati all’acquisizione di competenze di base e trasversali e/o non effettuerà la formazione interna che, secondo il Testo unico, è svolta sotto la responsabilità della azienda”;
  • in caso di apprendistato di alta formazione e di apprendistato di ricerca “la responsabilità del datore di lavoro si potrà configurare nell’ipotesi in cui lo stesso non consentirà al lavoratore di seguire i percorsi formativi anche esterni all’azienda previsti dalla regolamentazione regionale. Una maggiore responsabilizzazione del datore di lavoro si avrà evidentemente laddove l’alto apprendistato sia attivato, in assenza di regolamentazioni regionali, sulla base di apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca; in questi casi è infatti possibile sostenere che l’attività formativa, così come in parte avviene per l’apprendistato professionalizzane o di mestiere, è svolta sotto la responsabilità dell’azienda.”

Il Ministero ha altresì osservato che, in presenza di un’eventuale carenza formativa, non necessariamente si ha l’applicazione del regime sanzionatorio predetto, atteso che la normativa prevede la possibilità per il personale ispettivo del Ministero di utilizzare lo strumento della disposizione di cui all’art. 14 d.lgs. 124/2004. Gli ispettori potranno cioè indicare al datore di lavoro la modifica del piano formativo da adottare assegnandogli contestualmente un determinato e congruo termine per adempiere. La disposizione, precisa il Ministro, potrà però essere adottata solo nel caso in cui sia ancora possibile recuperare il debito formativo. È pertanto necessario che il periodo di formazione previsto dal contratto non volga ancora al termine e che la carenza non dipenda esclusivamente dalla mancanza di formazione pubblica. In caso contrario, gli ispettori potranno soltanto rilevare la carenza formativa redigendo apposito verbale e notiziarne il lavoratore.

In caso di inottemperanza al provvedimento di disposizione, troverà applicazione la sanzione amministrativa da €. 515,00 a €. 2.580,00 prevista dall’art. 11, comma 1, d.P.R. 520/1955 per l’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori nell’esercizio delle loro funzioni.
La suesposta disciplina sanzionatoria, che riprende essenzialmente quanto già previsto dall’art. 53, comma 3, d.lgs. 276/2003 eccezion fatta per l’espresso richiamo allo strumento della disposizione, lascia piuttosto perplessi poiché sembrerebbe escludere a priori la possibilità di trasformazione del contratto di apprendistato in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato qualora manchi o sia carente la componente formativa.
Si ritiene, invece, che tale sanzione sia la più razionale conseguenza da applicare laddove manchi o sia carente proprio l’elemento che caratterizza e fa dell’apprendistato un contratto di lavoro speciale, giustificandone i tratti di distinzione rispetto al cd. contratto di lavoro standard. Infatti, venendo meno il tratto specializzante del rapporto di lavoro, la fattispecie dovrebbe essere ricondotta alla disciplina propria di un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato. Sul punto, il dato letterale potrebbe quindi essere superato per via interpretativa in ragione della causa mista del contratto di apprendistato.

In senso del tutto analogo al comma 1, anche il secondo comma dell’art. 47 del d.lgs. 81/2015 prevede esclusivamente sanzioni amministrative per l’ipotesi di violazione delle disposizioni di cui all’art. 42, comma 1, d.lgs. 81/2015 e delle previsioni contrattuali collettive attuative di alcuni dei principi che devono informare l’attivazione e lo svolgimento del rapporto di lavoro.
In particolare, la norma prevede a carico del datore di lavoro la sanzione amministrativa pecuniaria da €. 100,00 a €. 600,00 o, in caso di recidiva, da €. 300,00 a €. 1.500,00 per ogni violazione dei requisiti formali di cui all’art. 42, comma 1, d.lgs. 81/2015, nonché “delle disposizioni contrattuali collettive attuative dei principi di cui all’articolo 42, comma 5, lettere a), b) e c)”, ovverosia:

  • forma scritta del contratto. Il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali;
  • divieto di retribuzione a cottimo;
  • possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e in modo graduale all’anzianità di servizio;
  • presenza di un tutore o referente aziendale.

Anche con riferimento a tali previsioni sanzionatorie, lascia interdetti il fatto che il legislatore abbia previsto solo una sanzione amministrativa e non anche la conversione in ordinario contratto a tempo indeterminato, trattandosi di disposizioni speciali dettate dalla particolare natura e causa del rapporto di apprendistato. Nulla esclude comunque che, anche in tal caso, si possa giungere a tale conclusione argomentando, per via interpretativa, dalla ratio di tutela del lavoratore propria della normativa violata e dalla funzione formativa del contratto di apprendistato.
La norma in parola stabilisce altresì che, alla contestazione delle predette sanzioni amministrative provvedono gli organi di vigilanza che effettuano gli accertamenti in materia di lavoro e previdenza nei modi e nelle forme di cui all’articolo 13, d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, come sostituito dall’articolo 33, l. 4 novembre 2010, n. 183. Si prevede quindi espressamente il ricorso alla procedura di diffida obbligatoria.

 

Gli incentivi economici e normativi per il rilancio dell’istituto

Al fine di promuovere l’utilizzo del contratto di apprendistato, il legislatore della riforma ha mantenuto la previsione di incentivi di carattere economico e normativo a favore delle imprese che vi facciano ricorso.
Per quanto concerne gli incentivi normativi, l’art. 47, comma 3, d.lgs. 81/2015 prevede che, fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti.
In ordine invece agli incentivi economici, ai sensi del comma 7 della medesima disposizione, in attesa della riforma degli incentivi all’occupazione, restano fermi i benefici di carattere contributivo vigenti, che sono mantenuti per un anno dalla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione, con esclusione dei lavoratori in mobilità assunti con contratto di apprendistato.

Le agevolazioni contributive vigenti suddette sono contemplate dall’art. 1, comma 773, della l. 27 dicembre 2006, n. 296, in base al quale, a partire dal 1° gennaio 2007, i datori di lavoro usufruiscono, in via generale e per tutta la durata dell’apprendistato, di una contribuzione a loro carico pari al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, alla quale deve essere sommata quella a carico del lavoratore pari al 5,84%, per un totale complessivo del 15,84%. Per i datori di lavoro che occupano alle loro dipendenze un numero di addetti inferiore a nove, l’aliquota complessiva a loro carico è ridotta per il primo anno all’1,5% e per il secondo anno al 3%, fermo restando il livello del 10% per i periodi contributivi maturati successivamente. Ai fini del computo dei nove dipendenti, sono esclusi:

  • gli apprendisti;
  • i lavoratori assunti con contratto di inserimento o reinserimento ex art. 54, d.lgs. 276/2003;
  • i lavoratori assunti con contratto di reinserimento ex art. 20, l. 223/1991;
  • i lavoratori somministrati, con riferimento all’organico dell’utilizzatore;
  • i lavoratori assunti dopo essere stati addetti a lavori socialmente utili o di pubblica utilità, come previsto dall’art. 7, d.lgs. 81/2000.

Le predette agevolazioni contributive, una volta riconosciute, sono mantenute anche se il numero dei dipendenti supera la soglia delle nove unità.

Con la l. 12 novembre 2011, n. 183 sono state introdotte ulteriori misure di riduzione contributiva per i contratti conclusi a decorrere dal 1° gennaio 2012. In particolare, l’art. 22, comma 1, di tale provvedimento prevede che:

  • al fine di promuovere l’occupazione giovanile, a decorrere dal 1° gennaio 2012, per i contratti di apprendistato stipulati successivamente alla medesima data ed entro il 31 dicembre 2016, ai datori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze un numero di addetti pari o inferiore a nove è riconosciuto uno sgravio contributivo del cento per cento con riferimento alla contribuzione dovuta ai sensi dell’articolo 1, comma 773, quinto periodo, della l. 296/2006, per i periodi contributivi maturati nei primi tre anni di contratto, restando fermo il livello di aliquota del 10% per i periodi contributivi maturati negli anni di contratto successivi al terzo;
  • con effetto dal 1° gennaio 2012 l’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, l. 8 agosto 1995, n. 335 e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche sono aumentate di un punto percentuale.

In conseguenza dell’estensione agli apprendisti della assicurazione sociale per l’impiego, in via aggiuntiva a quanto previsto in relazione al regime contributivo suddetto e con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013 è dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani una contribuzione pari all’1,61 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Con riferimento a tale contribuzione non operano le già richiamate disposizioni di cui all’articolo 22, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

In via sperimentale fino al 31 dicembre 2016, il d.lgs. 150/2015 ha introdotto un particolare regime agevolativo per le due tipologie di apprendistato che costituiscono il sistema duale: l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e l’apprendistato di alta formazione e ricerca. Chi assumerà con questi contratti beneficerà dell’esenzione dal contributo di licenziamento previsto dalla l. 92/2012 e di un’aliquota contributiva del 5% invece che del 10%. Tale aliquota sarà esente anche dall’1,61% relativo all’assicurazione sociale per l’impiego e ai fondi interprofessionali per la formazione.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contratto di apprendistato

In genere

  1. L’apprendistato, anche nel regime normativo di cui alla L. n. 25 del 1955, dà vita ad un rapporto a tempo indeterminato a struttura bifasica contraddistinto da una prima fase a causa mista (in cui al normale scambio tra lavoro e retribuzione, proprio del lavoro subordinato, si aggiunge – con funzione specializzante – lo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale), nonché da una seconda fase, soltanto eventuale (perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c.), che rientra nell’ordinario assetto del rapporto di lavoro subordinato. Tale qualificazione non è contraddetta dalla presenza, nel contratto in parola, di un termine finale relativo alla formazione professionale, trattandosi, quest’ultimo, di un termine di scadenza non del contratto, quanto, piuttosto, della prima fase del rapporto, se è vero che, allo spirare del suddetto termine, in assenza di disdetta, il rapporto (unico) continua con la causa tipica del lavoro subordinato. Una volta acclarato che l’apprendistato dà vita ad un rapporto a tempo indeterminato assimilabile all’ordinario rapporto di lavoro subordinato, ne consegue che, in caso di licenziamento intervenuto nel corso del periodo di formazione a causa di un comportamento negligente ovvero, in senso lato, colpevole dell’apprendista, devono trovare applicazione le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, L. n. 300 del 1970, che hanno, come noto, portata espansiva. (Cass. 3/2/2020 n. 2635, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2021, con nota di F. Marinelli, Ancora una pronuncia della Cassazione sulla natura del contratto di apprendistato, 174)
  2. Al rapporto di lavoro in apprendistato si applicano le garanzie procedimentali dettate dalla l. n. 300 del 1970, art. 7, in ipotesi di licenziamento disciplinare nel quale il datore di lavoro addebiti all’apprendista un comportamento negligente ovvero, in senso lato, colpevole. (Cass. 3/2/2020 n. 2365, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di N. De Angelis, “La Cassazione estende la procedura prevista dall’art. 7 l. n. 300/1970 agli apprendisti”, 462)
  3. Stante la natura di contratto a tempo indeterminato dell’apprendistato, il licenziamento della lavoratrice madre nel periodo di irrecedibilità non assistito da giusta causa è nullo con applicazione della tutela ex art. 18 Stat. Lav. in assenza di disdetta alla scadenza del periodo formativo. (Cass. 15/3/2016 n. 5051, Pres. Roselli Est. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Domenico Garofalo, 911)
  4. In tema di contratto di apprendistato, anche se il contratto, diversamente da quanto disposto dall’art. 49 d.lg. n. 276 del 2003, violi gli obblighi di formazioni normativamente previsti non comporta il riconoscimento “ex tunc” di un normale rapporto a tempo indeterminato, con conseguente diritto dell’apprendista alla rivendicazione delle differenze retributive e contributive. (Tribunale Milano, 19 maggio 2015)
  5. Nel contratto di apprendistato, il dato essenziale è rappresentato dall’obbligo del datore di lavoro di garantire un effettivo addestramento professionale finalizzato all’acquisizione, da parte del tirocinante, di una qualificazione professionale, sicché il ruolo preminente che la formazione assume rispetto all’attività lavorativa esclude che possa ritenersi conforme a tale speciale figura contrattuale un rapporto avente ad oggetto lo svolgimento di attività assolutamente elementari o routinarie, non integrate da un effettivo apporto didattico e formativo di natura teorica e pratica, con accertamento rimesso al giudice di merito ed incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Cass. Civ., Sez. Lav., 14754/2014, in Giust. Civ. Mass. 2014).
  6. Il contratto di apprendistato professionalizzante, disciplinato dall’art. 49 d.lg. 276/2003, è una tipologia di contratto subordinato a contenuto formativo in virtù del quale, a fronte della prestazione lavorativa, il datore di lavoro si obbliga a corrispondere all’apprendista una retribuzione e gli insegnamenti necessari per il conseguimento di una qualifica professionale; quindi, l’elemento essenziale di tale contratto è la “funzione addestrativa”. (Nella specie, risultando lo svolgimento da parte della lavoratrice di mansioni semplici e ripetitive, nonché la mancanza di formazione da parte del cd. tutor aziendale, e ritenendo pertanto che il contratto di apprendistato occultava un ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, il Trib. ha dichiarato la nullità del contratto con conseguente conversione “ab origine” in un contratto di lavoro a tempo indeterminato). (Tribunale Arezzo, sez. lav., 6 marzo 2014, n. 3).
  7. L’apprendistato è un rapporto di lavoro speciale, in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire nella sua impresa all’apprendista l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, occorrendo a tal fine lo svolgimento effettivo, e non meramente figurativo, sia delle prestazioni lavorative da parte del dipendente sia della corrispondente attività di insegnamento da parte del datore di lavoro, la quale costituisce elemento essenziale e indefettibile del contratto di apprendistato, entrando a far parte della causa negoziale. Spetta al giudice di merito verificare, con valutazione non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, la ricorrenza di una attività formativa, pur modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, purché adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro. (Cass. Civile, sez. lav., 10 maggio 2013, n. 11265, in Giust. Civ. Mass., 2013).
  8. Il contratto di apprendistato presuppone l’iniziale incapacità del lavoratore di svolgere autonomamente le mansioni per le quali è stato assunto, cui è correlato l’obbligo del datore di lavoro di impartire la formazione necessaria per consentire all’apprendista di acquisire le cognizioni professionali necessarie per svolgere in autonomia tali mansioni. Questi presupposti non vengono meno in ragione del fatto che, durante precedenti rapporti, il lavoratore possa aver svolto mansioni diverse, pur riconducibili ad un inquadramento contrattuale superiore rispetto a quello riconosciuto all’apprendista al momento dell’assunzione (principio affermato in relazione a fattispecie nella quale il lavoratore, che durante precedenti rapporti a tempo determinato, aveva svolto mansioni di addetto al call center, limitandosi a fornire alla clientela indirizzi e recapiti telefonici degli inserzionisti delle Pagine gialle, era stato adibito, durante il rapporto di apprendistato, a mansioni di customer care, aventi ad oggetto la soluzione dei problemi segnalati dai vari inserzionisti). (Tribunale Torino, 24 aprile 2013, in Nuovo notiziario giuridico 2013, 2, 423).
  9. L’inesatto adempimento, anche non lieve, dell’obbligo di formazione teorica e pratica dell’apprendista non determina, di per sé, la trasformazione, sin dall’inizio, del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato, ove la finalità propria del contratto di apprendistato si sia comunque realizzata. (Trib. Torino, 24 aprile 2013, in Nuovo notiziario giuridico 2013, 2, 423).
  10. La sussistenza del rapporto di apprendistato non può, in particolare, essere esclusa solo per l’esercizio da parte del dipendente delle mansioni proprie della qualifica cui lo stesso aspira potendo tale esercizio essere manifestazione dell’addestramento pratico caratteristico del rapporto di apprendistato in cui lo svolgimento delle prestazioni lavorative è collegato all’insegnamento impartito dal datore di lavoro – elemento essenziale e sufficiente del rapporto – sicché tali prestazioni risultano di minore livello sia quantitativo che qualitativo e di minore utilità per l’attività produttiva dell’azienda. (Trib. Milano 4/4/2012, Giud. Scarzella, in Lav. nella giur. 2012, 827)
  11. La sussistenza del rapporto di apprendistato non può, in particolare, essere esclusa solo per l’esercizio da parte del dipendente delle mansioni proprie della qualifica cui lo stesso aspira potendo tale esercizio essere manifestazione dell’addestramento pratico caratteristico del rapporto di apprendistato in cui lo svolgimento delle prestazioni lavorative è collegato all’insegnamento impartito dal datore di lavoro – elemento essenziale e sufficiente del rapporto – sicché tali prestazioni risultano di minore livello sia quantitativo che qualitativo e di minore utilità per l’attività produttiva dell’azienda. (Trib. Milano, 4 aprile 2012, in Lav. nella giur., 2012, 827)
  12. Nel contratto di apprendistato, come in quello di formazione e lavoro, l’attività formativa, che è compresa nella causa negoziale, è modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, potendo assumere maggiore o minore rilievo, a seconda che si tratti di lavoro di elevata professionalità o di semplici prestazioni di mera esecuzione, e potendo atteggiarsi con anticipazione della fase teorica rispetto a quella pratica, o viceversa, sempre che lo svolgimento della suddetta attività di formazione sia idoneo a raggiungere lo scopo del contratto – ossia l’inserimento effettivo nel lavoro dell’impresa mediante l’acquisizione di una professionalità adeguata – secondo una valutazione che è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione, se congruamente motivata. (Cass. 13/2/2012 n. 2015, Pres. Vidiri Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Francesco Barracca, 80)
  13. Il piano formativo individuale, da redigersi in forma scritta, rappresenta l’elemento indefettibile nel contratto di apprendistato professionalizzante al fine di accertare il corretto svolgimento del rapporto che, in quanto tale, deve necessariamente svilupparsi attraverso un percorso formativo delineato e funzionale all’acquisizione delle competenze professionali proprie della qualifica finale; ne consegue che la mancanza del piano formativo individuale, stante il suo carattere essenziale, determina la nullità del contratto di apprendistato che, quindi, sin dal suo inizio va considerato un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con conseguente diritto del lavoratore alle differenze retributive e venir meno del diritto del datore di lavoro agli incentivi economici e normativi applicati all’apprendistato. (Trib. Bergamo, 25 gennaio 2012, in DL Riv. critica dir. lav., 2012, 2, 478)
  14. Nello schema contrattuale dell’apprendistato l’elemento della formazione, che si differenzia nettamente dalla mera attività di istruzione lavorativa diretta a informare il lavoratore sulle modalità di svolgimento dell’attività e sulle caratteristiche dell’ambiente lavorativo, quale elemento costitutivo del contratto, assume un ruolo assolutamente preminente ponendosi quale strumento per la realizzazione di finalità costituzionali (art. 35, 2° comma, cost.) e di politica sociale di livello comunitario (art. 127 del Trattato e regolamento n. 2081/93), di modo che la mancanza della formazione stessa comporta la nullità del contratto, con conseguente instaurazione “ab origine” di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Sassari, 20 luglio 2011, in DL Riv. critica dir. lav., 2011, 4, 866)
  15. Il contratto di apprendistato ha una causa tipicamente mista: accanto a quella propria del rapporto di lavoro, caratterizzato dallo scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa, si pone quella del conseguimento della capacità tecnica necessaria per divenire lavoratore qualificato. A tal fine, il datore di lavoro è obbligato a impartire, o comunque garantire, la necessaria formazione all’apprendista. Tuttavia, se si instaura un ordinario rapporto di lavoro subordinato, ciò avviene in quanto il datore di lavoro ritiene che il prestatore sia sufficientemente perito per espletare quella mansione senza la necessità di un previo addestramento; il successivo contratto di apprendistato che venga eventualmente stipulato con assegnazione alle medesime mansioni, in mancanza di quella causa tipica, non può pertanto che essere considerato nullo quale contratto di apprendistato, e deve invece essere qualificato quale contratto ordinario di lavoro. (Trib. Milano 9/12/2010, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2011, 219)
  16. In materia di apprendistato la legge n. 56 del 1987, art. 21, comma 6, laddove prevede che “i benefici contributivi previsti dalla legge 19 gennaio 1995, n. 25, e successive modificazioni e integrazioni, in materia di previdenza e assistenza sociale, sono mantenuti per un anno dopo la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato”, va interpretato nel senso che il prolungamento di detti benefici in tanto spetterà in quanto la successiva utilizzazione del lavoratore, a seguito della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e per il lasso temporale di un anno ivi indicato, avvenga nella specifica qualifica per l’acquisizione della quale l’apprendistato stesso è stato svolto. (Cass. 22/6/2010 n. 15055, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Orient. Giur. Lav. 2010, 522)
  17. È costituzionalmente illegittimo l’art. 23, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modifica l’art. 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30); limitatamente alle parole “non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi”, “integralmente” e “definiscono la nozione di formazione aziendale”. (Corte Cost. 15/5/2010 n. 176, Pres. Amirante, Est. De Siervo, in Orient. Giur. Lav. 2010, con nota di Cristina Galbiati, “L’apprendistato tra ‘formazione pubblica’ e ‘formazione aziendale’. Riflessioni sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni dopo la sentenza n. 176/2010 della Corte Costituzionale”, 1)
  18. Non è incostituzionale l’art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, che ha modificato l’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, eliminando la previsione della durata minima del contratto di apprendistato professionalizzante. La legge non riduce automaticamente i tempi della formazione professionale e non lede la competenza delle Regioni in materia di formazione professionale. (Corte Cost. 14/5/2010 n. 176, Pres. Amirante Est. Finocchiaro, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di M. Barbieri, “Apprendistato professionalizzante: la leale collaborazione impossibile (per ora)”, di S. Ciucciovino, “Stato, Regioni, autonomia privata nell’apprendistato professionalizzante”, e di M. Garattoni, “La formazione aziendale nell’apprendistato ex art. 49, comma 5-ter, d.lgs. n. 276/2003 dopo la sentenza n. 176/2010 della Corte Costituzionale”, 1059)
  19. E’ costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli artt. 117 e 120 Cost. e con il principio di leale collaborazione – l’art. 23, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, limitatamente alle parole “non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi”, “integralmente” e “definiscono la nozione di formazione aziendale e”, in quanto, rimettendo esclusivamente ai contratti collettivi di lavoro o agli enti bilaterali profili normativi dell’apprendistato professionalizzante, oblitera le competenze regionali in materia. (Corte Cost. 14/5/2010 n. 176, Pres. Amirante Est. Finocchiaro, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di M. Barbieri, “Apprendistato professionalizzante: la leale collaborazione impossibile (per ora)”, di S. Ciucciovino, “Stato, Regioni, autonomia privata nell’apprendistato professionalizzante”, e di M. Garattoni, “La formazione aziendale nell’apprendistato ex art. 49, comma 5-ter, d.lgs. n. 276/2003 dopo la sentenza n. 176/2010 della Corte Costituzionale”, 1059)
  20. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 2008 che ha modificato l’art. 50, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003. Attraverso le convenzioni tra Università e datori di lavoro lo Stato consente di dar luogo effettivamente ai contratti di apprendistato di alta formazione in quelle Regioni ove ancora non sia stata posta una disciplina. Nulla impedisce, poi, alle Regioni di legiferare, riappropriandosi della propria competenza in tema di formazione. L’espressione “in assenza di regolamentazioni regionali” va infatti interpretata come se equivalesse a “fino all’emanazione di regolamentazioni regionali”. (Corte Cost. 14/5/2010 n. 176, Pres. Amirante Est. Finocchiaro, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di M. Barbieri, “Apprendistato professionalizzante: la leale collaborazione impossibile (per ora)”, di S. Ciucciovino, “Stato, Regioni, autonomia privata nell’apprendistato professionalizzante”, e di M. Garattoni, “La formazione aziendale nell’apprendistato ex art. 49, comma 5-ter, d.lgs. n. 276/2003 dopo la sentenza n. 176/2010 della Corte Costituzionale”, 1059)
  21. L’apprendistato è una forma di apprendimento consistente in un’attività di lavoro associata all’acquisizione di cognizioni tecnico-pratiche finalizzate all’acquisizione della professionalità oggetto dell’apprendistato. La circostanza che il contratto di apprendistato non preveda alcun progetto formativo né il programma di ore di studio esterno non fa venir meno l’esistenza del rapporto di apprendistato, essendo sufficiente ai fini della qualificazione del rapporto che in concreto il datore di lavoro abbia impartito direttamente o tramite i colleghi dotati di esperienza professionale le istruzioni tecniche necessarie. (Trib. Bologna 19/5/2009, Giud. Pugliese, in Lav. Nella giur. 2009, 956)
  22. L’apprendistato è uno speciale contratto di lavoro caratterizzato non solo dall’insegnamento professionale svolto nell’interesse dell’apprendista ma anche dal diritto di quest’ultimo a ricevere tale insegnamento correlativamente all’obbligo del datore di lavoro di impartirlo o di farlo impartire. Ne consegue che lo svolgimento delle prestazioni di lavoro secondo modalità che implicano l’inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 10 e 11, legge n. 25/1995 comporta, ai sensi dell’art. 1418 c.c., la nullità del contratto di apprendistato stipulato solo per occultare un ordinario contratto di lavoro subordinato. (Trib. Milano 20/7/2004, Est. Bianchini, in Lav. nella giur. 2005, 289)
  23. L’assunzione di un lavoratore con la qualifica di apprendista non comporta di per sé l’instaurazione di un rapporto di apprendistato e pertanto, in caso di contestazione, la sussistenza di tale rapporto va provata dalla parte che l’allega, mediante la dimostrazione dei relativi requisiti essenziali e soprattutto dell’insegnamento professionale; non assume al detto fine significato decisivo il fatto che il lavoratore assunto sia privo di una precedente esperienza lavorativa, trattandosi di circostanza non incompatibile con la costituzione di un normale rapporto di lavoro. (Corte d’appello Milano 18/5/2004, Est. Ruiz, in Lav. nella giur. 2005, 87)
  24. È illegittimo il contratto di apprendistato stipulato nei confronti di un lavoratore che già lavorava di fatto alle dipendenze del medesimo datore di lavoro, svolgendo le stesse mansioni (nella fattispecie è stata dichiarata l’illegittimità della risoluzione del rapporto, con conseguente diritto del lavoratore alla riassunzione con inquadramento corrispondente alla qualifica che sarebbe stata conseguita al termine dell’apprendistato). È illegittimo il contratto di apprendistato nel caso in cui il datore di lavoro non provi di aver impartito all’apprendista l’insegnamento necessario al conseguimento delle capacità per diventare lavoratore qualificato. (Trib. Milano 23/10/2003, Est. Porcelli, in D&L 2004, con nota di Giuseppe Cordedda, “Contratti di lavoro a contenuto formativo e conversione del rapporto nel caso del lavoratore con mestiere”, 88)
  25. E’ responsabile per violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica, art. 43 c.p.) il datore di lavoro che assegni ad attività oggettivamente pericolosa un giovanissimo apprendista, omettendo, in tal modo, di attenersi alla rigorosa necessità di seguire con assoluta cura i giovani che prestano attività pericolose ed essere, rispetto ad essi, attenti in senso assoluto. (Corte d’appello Milano 16/10/2002, Pres. e Rel. Mannacio, in Lav. nella giur. 2003, 587)
  26. Il contratto di apprendistato non è un contratto a termine, essendo a termine solo l’inquadramento come apprendista. Ne discende che l’inizio di attività di lavoro qualche giorno prima della formale assunzione del dipendente come apprendista non comporta la nullità del contratto di apprendistato in mancanza di allegazioni attoree relative alla instaurazione, prima di quello, di un normale rapporto di lavoro subordinato. (Trib. Milano 13/8/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 486)
  27. L’apprendistato è un rapporto di lavoro speciale in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire nella sua impresa all’apprendista l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato. Affinché tale obiettivo possa essere raggiunto è necessario lo svolgimento effettivo sia delle prestazioni lavorative da parte del dipendente sia della corrisopondente attività di insegnamento da parte del datore di lavoro, essendo consentito a quest’ultimo di modulare la prestazione dell’apprendista e l’addestramento pratico in relazione alle concrete esigenze dell’organizzazione aziendale. (Cass. 1/8/2002, n. 11482, Pres. D’Angelo, Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2003, 72)
  28. L’apprendistato, secondo la stessa definizione data dall’art.2, legge n. 25/55, è un rapporto di lavoro speciale in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire nella sua impresa all’apprendista l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato. Affinché tale obiettivo possa essere raggiunto è necessario lo svolgimento effettivo e non meramente figurativo sia delle prestazioni lavorative da parte del dipendente sia della corrispondente attività di insegnamento da parte del datore di lavoro per un periodo di tempo non inferiore a quello ritenuto congruo dalla contrattazione collettiva per l’apprendimento dell’allievo. Ne consegue che dal computo del periodo di apprendistato vanno esclusi tutti i periodi di interruzione del rapporto sia che siano imputabili al lavoratore (come i giorni di assenza per malattia) sia che dipendano da comprovate esigenze produttive dell’impresa (Cass. 12/5/00, n. 6134, pres. Sciarelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 983; in Lavoro giur. 2002, pag. 159, con nota di Simonato, Gli effetti della sospensione dell’attività produttiva nel rapporto di apprendistato)
  29. E’ affetto da nullità il contratto di apprendistato sottoscritto successivamente all’effettivo inizio del rapporto, in quanto sovrapposto a un normale rapporto di lavoro subordinato instauratosi per fatti concludenti (Pret. Milano 2/3/99, est. Frattin, in D&L 1999, 342. In senso conforme, v. Trib. Milano 23/4/02, est. Cincotti, in D&L 2002, 634)
  30. Nell’ipotesi di licenziamento disciplinare di un apprendista gli addebiti devono essere oggetto di apposita contestazione ex art. 7 SL la cui normativa trova applicazione anche nel rapporto di apprendistato (Pret. Milano 17/2/99, est. Sala, in D&L 1999, 383)
  31. L’assunzione di un lavoratore con qualifica di apprendista senza il tramite dell’Ufficio di collocamento (così come previsto dall’art. 3, legge 19/1/55 n. 25) qualifica il rapporto come ordinario rapporto di lavoro subordinato (Pret. Monza, sez. Desio, 31/10/97, est. Perillo, in D&L 1998, 676)
  32. Ai fini della qualificazione dello speciale rapporto di apprendistato grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver impartito al lavoratore l’insegnamento professionale (Pret. Monza, sez. Desio, 31/10/97, est. Perillo, in D&L 1998, 676)
  33. La mancata effettuazione del tirocinio e lo svolgimento regolare di lavoro straordinario rende inquadrabile il contratto di lavoro come ordinario rapporto subordinato nonostante il formale nomen iuris di apprendistato, e di conseguenza illegittimo perché privo di giustificazione va ritenuto il licenziamento intervenuto al termine del fissato periodi di apprendistato (Pret. Prato 20/7/95, est. Rizzo, in D&L 1995, 1026, nota CASAGNI, Note in tema di impugnazione del licenziamento di lavoratore non iscritto da parte del sindacato e di trasformazione del rapporto formalmente di apprendistato).