Licenziamento nelle organizzazioni di tendenza

Tu sei qui:

Questa voce è stata aggiornata da Alexander Bell

 

Scheda sintetica

Ai sensi dell’art. 4 della legge 108/1990, per organizzazioni di tendenza si intendono quei “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”.

Sino all’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 23/2015, il nostro ordinamento riconosceva ai lavoratori assunti presso le organizzazioni di tendenza tutele diverse rispetto a quelle garantite ai lavoratori assunti presso la generalità degli altri datori di lavoro, escludendo, in particolare, che nei confronti dei dipendenti di tali organizzazioni potesse operare la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 della legge 300/1970, come modificata dalla riforma del 2012.
Ciò comportava che il dipendente ingiustamente licenziato da un’organizzazione di tendenza, che pure superasse le soglie dimensionali previste dall’art. 18, godeva esclusivamente della tutela economica prevista dall’art. 8 della legge 604/1966 (indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti).
Lo stesso valeva anche in caso di licenziamento collettivo illegittimo, perché comminato in violazione degli oneri procedimentali previsti dalla legge 223/1991: se il licenziamento era disposto da un’organizzazione di tendenza, il regime sanzionatorio applicabile era esclusivamente quello previsto dall’art. 8 della legge 604/1966, e mai quello disciplinato dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Lo scopo del legislatore era evidentemente quello di impedire che tali organizzazioni fossero costrette a mantenere in servizio un dipendente che non condivideva, o addirittura che si trovava in contrasto, con le finalità che le stesse perseguono.

Questa differenziazione del regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti illegittimi dei dipendenti delle organizzazioni di tendenza è tuttavia venuta meno a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015, in tema di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, attuativo della legge 183/2014 (c.d. Jobs Act).
L’art. 9, comma 2, del decreto stabilisce, infatti, che ai dipendenti delle organizzazioni di tendenza, in caso di licenziamento illegittimo, si applica la medesima disciplina dettata dal decreto per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 presso ogni altro datore di lavoro, imprenditore e non.
Tale disciplina, come meglio si chiarisce nei prossimi paragrafi, distingue le tutele riconosciute al dipendente a seconda delle dimensioni del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento e, seppur in via residuale, prevede la possibilità che il datore di lavoro sia condannato a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.

L’equivoca formulazione della norma non consente tuttavia di stabilire sin d’ora con certezza se la nuova disciplina opererà nei confronti dei soli lavoratori assunti dalle organizzazioni di tendenza dal 7 marzo 2015 in poi, o se invece si applicherà a tutti i dipendenti delle medesime organizzazioni, anche se assunti prima di tale data.
Il dato letterale dell’art. 9, peraltro, sembrerebbe deporre a favore della seconda ipotesi (applicazione della disciplina a tutti i dipendenti delle organizzazioni di tendenza, indipendentemente dalla data di assunzione): la norma prevede infatti che alle organizzazioni di tendenza “si applica la disciplina di cui al presente decreto”, senza alcuna distinzione tra vecchi e nuovi assunti, a differenza dell’art. 1 dello stesso decreto, che, con riguardo ai lavoratori assunti presso la generalità dei datori di lavoro, specifica invece che il nuovo regime di tutela si applica soltanto agli “assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Va però evidenziato che una siffatta interpretazione, che estende la nuova disciplina anche a coloro che sono stati assunti dalle organizzazioni di tendenza prima dell’entrata in vigore del decreto, potrebbe sollevare un dubbio di compatibilità con la delega legislativa contenuta nella legge 183/2014, la quale precisava che le nuove regole sul licenziamento avrebbero potuto riguardare soltanto le “nuove assunzioni”.
Su tali questioni occorrerà pertanto attendere di verificare come si orienterà la giurisprudenza.

 

Cosa prevede la nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo 23/2015

Il Decreto legislativo n. 23/2015 (la cui disciplina, ai sensi del secondo comma dell’art. 9, si applica anche ai lavoratori delle organizzazioni di tendenza) stabilisce garanzie differenti a seconda che il licenziamento illegittimo riguardi lavoratori assunti presso datori di lavoro che superano le soglie numeriche fissate dall’art. 18 della legge 300/1970 ovvero lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono dette soglie.
In base alla nuova disciplina, il lavoratore ingiustamente licenziato dall’organizzazione di tendenza avrà diritto, nella maggior parte dei casi, a percepire esclusivamente un indennizzo economico; la tutela reintegratoria viene invece limitata a poche e residuali ipotesi.

 

A. Le tutele riconosciute ai lavoratori assunti presso organizzazioni di tendenza che soddisfano i requisiti dimensionali dell’art. 18 della legge 300/1970

Il decreto legislativo 23/2015 stabilisce che il datore di lavoro che rientra nelle soglie dimensionali fissate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori può essere, in talune specifiche ipotesi, obbligato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. In particolare, l’obbligo di reintegra scatta nei casi di:

  • licenziamento discriminatorio a norma dell’art. 15 della Legge n. 300 del 1970, Statuto dei lavoratori (art. 2, co. 1);
  • licenziamento nullo per espressa previsione di legge (art. 2, co. 1);
  • licenziamento inefficace perché intimato in forma orale (art. 2, co. 1, ult. parte);
  • licenziamento rispetto al quale il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2, co. 4);
  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (art. 3, co. 2).

Nelle prime quattro ipotesi (licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore), il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità ovvero l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro, oltre alla reintegrazione del lavoratore, anche al pagamento di un’indennità a favore di quest’ultimo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

L’indennità è commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrisponde al periodo intercorrente tra il giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso, l’indennità non può essere inferiore a cinque mensilità.

Fermo restando il diritto a percepire la suddetta indennità, al lavoratore è attribuita la facoltà di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un ulteriore indennizzo economico, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, purché effettui la relativa richiesta entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla comunicazione. L’indennità sostitutiva della reintegrazione non è assoggettata a contribuzione previdenziale.

Anche nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, rispetto al quale sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il datore di lavoro è condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, e il dipendente ha diritto di percepire un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. A tale indennità, tuttavia, andrà dedotto non solo l’aliunde perceptum, ma anche le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro (secondo i criteri indicati dall’art. 4, co. 1, lett. c), del decreto legislativo n. 181 del 2000). Inoltre, l’indennità non potrà essere superiore a 12 mensilità (non è invece prevista un’entità minima, come invece stabilito per le altre ipotesi di licenziamento nullo o inefficace).

Fuori delle suddette ipotesi, in tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale).

Più in particolare, l’art. 3, co. 1, del decreto stabilisce che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, allorché il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento, dichiara l’estinzione del rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (la base di calcolo è costituita, anche in questo caso, dall’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto).

In ogni caso, l’indennità non potrà essere inferiore a 4 mensilità, né potrà superare le 24 mensilità.

Ai sensi dell’art. 10, il medesimo regime sanzionatorio (indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio, comunque ricompresa tra 4 e 24 mensilità) trova applicazione anche nei casi di licenziamento collettivo illegittimo per violazione della procedura prescritta dalla legge (in particolare, le procedure richiamate all’art. 4, co. 12, Legge 223 del 1991) o per violazione dei criteri di scelta (art. 5, co. 1, Legge 223 del 1991).

Al lavoratore spetta un mero indennizzo economico anche nell’ipotesi di licenziamento illegittimo per violazione del requisito della motivazione (art. 2, co. 2, legge 604 del 1966) o per violazione della procedura prescritta dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori.
In questi casi, tuttavia, l’indennità risulta dimezzata: sarà pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 2 mensilità e un limite massimo pari a 12 mensilità.

 

B. Le tutele riconosciute ai lavoratori assunti presso organizzazioni di tendenza che non soddisfano i requisiti dimensionali dell’art. 18 della legge 300/1970

L’art. 9 del decreto legislativo 23/2015 prevede che, nei confronti dei lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono le soglie dimensionali previste dall’art. 18, trova applicazione il medesimo regime di tutele previsto per i dipendenti delle imprese di maggiori dimensioni, con due significative differenze: è esclusa la reintegrazione nell’ipotesi del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale e la tutela economica risulta sostanzialmente dimezzata.
Vale a dire che, in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore occupato presso un datore di lavoro minore, la reintegrazione varrà solo nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Negli altri casi, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico, così calcolato:

  • in caso licenziamento intimato per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo o per giustificato motivo oggettivo, se il giudice accerta l’illegittimità del licenziamento, al lavoratore è riconosciuto un indennizzo (non assoggettato a contribuzione previdenziale) di importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio; in ogni caso, l’indennizzo non può essere inferiore a due mensilità, né può superare le sei mensilità;
  • in caso di licenziamento illegittimo per violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 2, co. 2, della Legge 604/1966, ovvero, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300 del 1970, al lavoratore spetta un indennità (non assoggettata a contribuzione previdenziale) pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di una mensilità e un limite massimo di sei mensilità.

 

 

C. L’offerta di conciliazione

Il decreto legislativo 23/2015 introduce una nuova procedura conciliativa, finalizzata a rendere più rapida la definizione del contenzioso sul licenziamento, che prevede l’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro.
In particolare, l’art. 6 del decreto stabilisce che, in caso di licenziamento, il datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), può convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative indicate dal quarto comma dell’art. 2113 c.c. (tra cui, in particolare, le commissioni di conciliazione presso le direzioni provinciali del lavoro) e dall’art. 76 del decreto legislativo 276 del 2003, e offrirgli un assegno circolare di importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 2 mensilità e non superiore a 18 mensilità.

Per incentivare questo tipo di soluzione, il legislatore ha previsto che detto indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Ai sensi dell’art. 9 del decreto, la procedura conciliativa si applica anche ai lavoratori assunti presso datori di lavoro che non raggiungono le soglie dimensionali fissate dall’art. 18 della legge 300/1970; in questo caso, tuttavia, l’importo dell’assegno offerto al lavoratore è dimezzato e non può in ogni caso superare le 6 mensilità.

 

Normativa – Cosa fare – Tempi – A chi rivolgersi

Per informazioni dettagliate vedi scheda sul licenziamento individuale

 

 

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di licenziamento nelle organizzazioni di tendenza

  1. Nell’ambito di un’organizzazione di tendenza un determinato orientamento sessuale non costituisce requisito essenziale e determinante secondo i principi di proporzionalità e ragionevolezza per lo svolgimento dell’attività lavorativa (all’art. 3, commi 3 e 5, d.lgs. n. 216/2003), giacché non interferisce con il progetto educativo dell’istituto scolastico, né può essere considerata una violazione da parte dell’insegnante dell’obbligo di fedeltà all’etica della scuola. (Corte app. Trento 7/3/2017, n. 14, Pres. Zanotti Est. Terzi, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di R. S. Rugiu, “Il caso della docente di una scuola religiosa: la discriminazione per orientamento sessuale nelle organizzazioni di tendenza”, 790)
  2. Ai sensi degli artt. 3 e 4 della L. 11 maggio 1990, n. 108, il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie è nullo, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro, anche ove il datore di lavoro sia una delle cd. organizzazioni di tendenza. (Cass. 3/10/2016 n. 19695, Pres. Nobile Est. Boghetich, in Lav. nella giur. 2017, 200)
  3. In materia di licenziamento del lavoratore subordinato, l’applicabilità della disciplina prevista per le cc.dd. “organizzazioni di tendenza” dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 4 che esclude l’operatività della tutela reale stabilita dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 richiede l’accertamento in via preliminare, da parte del giudice, che il datore di lavoro non sia un imprenditore ex art. 2082, c.c., e, quindi, che non sussista una struttura imprenditoriale e, soltanto qualora detto accertamento abbia esito negativo, occorre verificare la ricorrenza degli ulteriori requisiti tipici di siffatte organizzazioni. (Cass. 22/12/2014 n. 27228, Pres. Macioce Est. Bronzini, in Lav. nella giur. 2015, 307)
  4. Gli ambiti territoriali caccia di cui alla L. 11/02/92 n. 157 non costituiscono organi delle Province, né articolazioni territoriali delle stesse, ma associazioni di diritto privato, restando irrilevante ai fini di tale qualificazione sia la forma di finanziamento prevalentemente pubblico sia il concorso alla realizzazione di un fine pubblico; ne segue che l’applicabilità o meno al rapporto di lavoro dei dipendenti Atc del regime di stabilità reale deve essere valutata alla stregua dei criteri propri del rapporto di lavoro privato. (Corte app. Potenza 28/5/2008, Pres. Ferrone Est. Stassano, in D&L 2008, 1061)
  5. Ai fini della qualificazione del datore di lavoro come organizzazione di tendenza (con conseguente esclusione dal regime di stabilità reale) non è necessario che detta organizzazione abbia una “caratterizzazione ideologica”, essendo sufficiente che persegua senza fini di lucro una qualsiasi finalità culturale e dunque anche sportiva (nella specie è stato qualificato come organizzazione di tendenza l'”Ambito territoriale caccia” in quanto associazione di diritto privato volta a promuovere la caccia su una determinata area e curare la gestione dei conseguenti problemi ambientali). (Corte app. Potenza 28/5/2008, Pres. Ferrone Est. Stassano, in D&L 2008, 1061)
  6. In tema di licenziamento, l’esclusione della tutela reale di cui all’art. 18 SL, prevista per le c.d. organizzazioni di tendenza dall’art. 4, l. n. 108/1990, non è riferibile agli istituti di patronato, atteso che questi non svolgono attività sindacale o politica, ma assistono i lavoratori e i pensionati nelle pratiche amministrative e giudiziarie, ricevendo sovvenzioni in relazione al lavoro svolto. (Cass. 20/11/2007 n. 24043, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Mugnaini, “Sulla qualificazione giuridica dei patronati ai fini dell’applicazione della tutela reale in materia di licenziamento”, 653)
  7. Ai fini della tutela c.d. reale contro i licenziamenti, con applicazione dell’art. 18 St. Lav., va riconosciuto il carattere di imprenditore anche all’associazione senza fini di lucro, di per sè organizzazione di tendenza, che svolga professionalmente un’attività con complessa organizzazione di beni strumentali e di personale per produrre ricchezza. (Trib. Ravenna 12/6/2006, ord., Est. R. Riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 993)
  8. Ai fini dell’applicazione dell’art. 4 della legge 11 maggio n. 108, che esclude dall’ambito di operatività dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, l’attività svolta – oltre ad avere carattere non imprenditoriale – deve rientrare in una delle previsioni della suddetta disposizione legislativa, avendo riferimento all’oggetto essenziale e qualificante della stessa e restando irrilevanti profili eventualmente secondari rispetto ai quali la prima abbia autonomia. (In applicazione di tali principi la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori alla Casa internazionale del clero, la cui attività essenziale – affidata a soggetto giuridico avente come scopo il suo svolgimento – consiste nel fornire servizi di tipo alberghiero ad ecclesiastici residenti a Roma per lavoro o transitanti, restando irrilevante l’attività svolta dagli ospiti e le modalità di offerta del servizio, quali la possibilità di svolgere all’interno della Casa attività di culto, ai fini di far rientrare l’attività in quelle di religione o di culto). (Cass. 7/4/2005 n. 7207, Pres. Mercurio Rel. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2005, 1785)
  9. L’art. 4, L. 11 maggio 1990, n. 108 prevede che l’art. 18, L. n. 300/1970 non trovi applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgano senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, di istruzione ovvero di religione e di culto. (Corte d’appello Palermo, 22/1/2004, Pres. Ardito Rel. Civiletti, in Lav. nella giur. 2004, 1007)
  10. Al fine di configurare un’organizzazione di tendenza che, ai sensi dell’art. 4 L. 108/90, è esclusa dal campo di oparatività della tutela reale prevista – in caso di licenziamenti illegittimi – dall’art. 18 L. 300/70 (come modificato dalla L. 108/90), è necessario che si tratti di datore di lavoro “non imprenditore” privo dei requisiti previsti dall’art. 2082 c.c. (e cioè professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività, consistente nella produzione di beni o servizi , ovvero nell’interposizione nello scambio di beni o servizi). In particolare, l’applicazione della disciplina prevista dalla L. 108/90 (art. 4) per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, dell’assenza, nella singola organizzazione, di una struttura imprenditoriale e della presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dall’art. 4 L. 108/90 (Nel caso, si faceva questione del Telefono Azzurro) (Cass. 22/11/99 n. 12926, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 633, con nota di Granata, Organizzazione di tendenza, contratto di lavoro subordinato e licenziamento individuale: il caso del telefono Azzurro)
  11. Al fine di accertare la configurabilità di un’organizzazione di tendenza, sono del tutto irrilevanti le modalità con le quali l’ente datore di lavoro è stato costituito, rilevando esclusivamente il carattere ideologico dell’attività dal medesimo espletata (Pret. Milano 11/12/98 (decr.), est. Cincotti, in D&L 1999, 62, n. Mensi, Titolo III SL e natura imprenditoriale del datore di lavoro)
  12. Perché ricorra la fattispecie della c.d. organizzazione di tendenza, nei cui confronti, a mente dell’art. 4, 1° comma, secondo cpv., L. 11/5/90 n. 108, è esclusa l’applicabilità dell’art. 18 SL, occorrerà che il datore di lavoro non sia un imprenditore, con ciò dovendosi intendere non tanto l’assenza dello scopo di lucro, quanto, invece, l’assenza del criterio di economicità nello svolgimento dell’attività istituzionale. Tale ultima attività, poi, dovrà necessariamente coincidere con quelle elencate in via d’eccezione nell’art. 4 cit., in quanto tali suscettibili di sola stretta interpretazione (Pret. Nuoro 21/12/96, est. Passerini, in D&L 1998, 224)
  13. Un istituto scolastico confessionale svolge attività imprenditoriale anche se percepisce un compenso per le sole attività collaterali e non anche per l’attività scolastica (Cass. 15/9/95 n. 9734, pres. Lanni, est. Vigolo, in D&L 1996, 218, nota S. MUGGIA, Sul requisito dell’economicità della prestazione di enti scolastici confessionale e del rapporto di lavoro dei religiosi)
  14. Non è configurabile quale organizzazione di tendenza l’associazione sindacale che si prefigge un fine economico ben preciso quale quello di rendere più produttiva l’attività delle cooperative associate (Pret. Roma 8/11/96, est. Buonassisi, in D&L 1997, 399)
  15. La norma di cui all’art. 4, 1° comma, L.11/5/90 n. 108 che esclude l’applicabilità dell’art. 18 SL alle c.d. organizzazioni di tendenza, si applica soltanto ai lavoratori che svolgono mansioni ideologicamente qualificate, e non ai lavoratori che svolgono mansioni neutre rispetto alla tendenza (nel caso di specie il Pretore ha ritenuto neutra, indipendentemente dalla natura imprenditoriale o meno dell’associazione di appartenenza, la mansione di addetto al servizio crediti agevolati) (Pret. Roma 8/11/96, est. Buonassisi, in D&L 1997, 399)
  16. Le religiose, che lavorano per un istituto scolastico confessionale, autonomo dalla congregazione religiosa cui appartengono, devono essere computate ai fini della ricorrenza del requisito numerico ex art. 18 S.L. qualora svolgano il loro lavoro con i caratteri propri della subordinazione (nel caso di specie, i rapporti di lavoro con le religiose è stato ritenuto di natura subordinata dal momento che le stesse percepivano una retribuzione ed erano iscritte presso i competenti enti previdenziali) (Cass. 15/9/95 n. 9734, pres. Lanni, est. Vigolo, in D&L 1996, 218, nota S. MUGGIA, Sul requisito dell’economicità della prestazione di enti scolastici confessionale e del rapporto di lavoro dei religiosi)
  17. Il comportamento di un insegnante di educazione fisica non conforme all’insegnamento dottrinale della chiesa è irrilevante ai fini del giudizio sul suo operato, trattandosi di prestazione tecnica non in grado di influenzare in alcun modo l’insegnamento della scuola (Cass. 16/6/94 n. 5832, pres. Benanti, est. Nuovo, in D&L 1995, 213, nota MUGGIA, Problemi interpretativi del licenziamento nelle organizzazioni di tendenza per aver un dipendente contratto matrimonio civile)
  18. Deve essere considerato illegittimo il licenziamento di un insegnante di educazione fisica di una scuola religiosa per il fatto di avere contratto matrimonio civile (Cass. 16/6/94 n. 5832, pres. Benanti, est. Nuovo, in D&L 1995, 213, nota MUGGIA, Problemi interpretativi del licenziamento nelle organizzazioni di tendenza per aver un dipendente contratto matrimonio civile)