Impugnazione

Questa voce è stata curata da Alexander Bell

 

Impugnazione della risoluzione del rapporto di lavoro

L’impugnazione consiste in un atto scritto con il quale il lavoratore esprime la volontà di contestare la validità del licenziamento.
La legge non richiede per questo atto particolari formule: è infatti sufficiente che il lavoratore manifesti per iscritto e in termini chiari al datore di lavoro che intende opporsi al licenziamento (art.6 Legge 604/1966, modificato dall’art. 32 della Legge 183/2010).
Il licenziamento può essere impugnato dal lavoratore anche tramite l’intervento del sindacato.
L’impugnazione può essere portata a conoscenza del datore di lavoro con qualsiasi mezzo idoneo, come lettere, telegrammi o fax.

 

Modi e tempi per l’impugnazione

L’art.32 della Legge 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro) ha profondamente modificato modalità e termini per l’impugnazione del licenziamento.
Fino a oggi la procedura di impugnazione del licenziamento prevedeva che:

  • entro 60 giorni dalla data di comunicazione scritta del licenziamento ovvero dalla successiva data di comunicazione scritta dei motivi, il lavoratore doveva impugnare il licenziamento (si precisa che, per effetto della riforma 2012, il termine in esame è pari a 120 giorni nell’ipotesi in cui l’impugnazione del licenziamento presupponga anche la corretta qualificazione del rapporto di lavoro o la nullità del termine);
  • impugnato per tempo il licenziamento, il lavoratore aveva quindi 5 anni di tempo per proporre ricorso al giudice contro il licenziamento;
  • il ricorso al giudice doveva obbligatoriamente essere preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione: in assenza di tale tentativo, ovvero se il ricorso al giudice veniva presentato prima di 60 giorni dalla richiesta del tentativo stesso, il giudice sospendeva il giudizio e assegnava alle parti un termine di 60 giorni per proporre il tentativo.

La Legge 183/2010 ha confermato che l’impugnazione del licenziamento deve avvenire entro il termine di 60 giorni dalla data del licenziamento o dalla successiva data di comunicazione dei motivi. Scaduto inutilmente tale termine, il lavoratore perde la possibilità di richiedere al Giudice del lavoro di accertare l’invalidità del licenziamento e di condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno.

La giurisprudenza (Cass. Sez. Un. 8830/10) ha peraltro chiarito che, in caso di impugnazione effettuata con lettera raccomandata, è sufficiente che la spedizione avvenga entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, essendo invece irrilevante che la dichiarazione sia ricevuta dal datore di lavoro oltre questo termine.

La nuova disciplina ha invece profondamente modificato la seconda parte della procedura di impugnazione, quella che di fatto si apre dopo che il lavoratore abbia impugnato il licenziamento entro 60 giorni.
In primo luogo, la Legge 183/2010 ha escluso l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione e ha contestualmente introdotto una pluralità di mezzi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso al giudice. Le parti avranno comunque la facoltà di richiedere il tentativo di conciliazione, ma saranno altresì libere di ricorrere direttamente all’autorità giudiziaria.

Il tentativo di conciliazione prima del giudizio rimane obbligatorio nella sola ipotesi in cui la controversia riguardi i contratti certificati ai sensi del D.Lgs. 276/2003.
Il lavoratore che intenda impugnare dinnanzi al giudice un contratto di lavoro certificato dovrà quindi preventivamente esperire il tentativo di conciliazione presso la commissione che ha emesso l’atto di certificazione.
In alternativa a tale tentativo di conciliazione, le parti potranno facoltativamente ricorrere alle procedure arbitrali. Resta innanzitutto inalterata la possibilità di rivolgersi all’arbitro nei casi e con le modalità previste dai contratti collettivi.

In aggiunta, la nuova disciplina prevede due nuove forme di arbitrato:

  • l’arbitrato durante il tentativo di conciliazione: le parti, durante il tentativo di conciliazione, avranno la possibilità di chiedere alla commissione di conciliazione di risolvere la lite in via arbitrale;
  • l’arbitrato innanzi a un collegio costituito a iniziativa delle parti: le parti potranno decidere che la lite sia risolta da un collegio composto da un rappresentante di ciascuna di esse e da un presidente scelto, di comune accordo, tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati cassazionisti.

Un’ulteriore forma di conciliazione è stata, da ultimo, reintrodotta con la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro: essa deve essere esperita in tutti e nei soli casi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro a cui si applichi la disciplina prevista dall’art. 18.
Più precisamente, la riforma prevede che, in questo caso, il licenziamento venga preceduto da una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro (Dtl), ove ha sede l’unità produttiva nella quale è impiegato il lavoratore. La comunicazione deve essere inoltre trasmessa per conoscenza a quest’ultimo.
In tale comunicazione, il datore di lavoro deve indicare la propria intenzione di procedere al licenziamento e i motivi del medesimo, oltre alle eventuali misure per la ricollocazione. Entro sette giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl trasmette alle parti la convocazione per un incontro (che si deve svolgere secondo le disposizioni contenute nell’art. 410 cod. proc. civ.) finalizzato ad esaminare eventuali soluzione alternative al recesso.
La procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, salvo che le parti non chiedano una proroga per arrivare ad un accordo o che la procedura non debba essere sospesa per legittimo impedimento del lavoratore (la sospensione non può comunque essere superiore a quindici giorni).
Essa può concludersi in diversi modi:

  • se il tentativo di conciliazione fallisce o il termine di 20 giorni decorre inutilmente, il datore di lavoro può comunicare al lavoratore il licenziamento che ha efficacia a decorrere dalla prima comunicazione;
  • se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore ha diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego.

In secondo luogo, la Legge 183/2010 ha radicalmente ridotto i termini concessi al lavoratore per proporre ricorso al giudice. La nuova disciplina, infatti, stabilisce che, una volta impugnato per tempo il licenziamento, il lavoratore ha 180 giorni (270 giorni per i licenziamenti intimati prima del 18 luglio 2012) di tempo per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
In questo secondo caso, se la conciliazione o l’arbitrato vengono rifiutati oppure non è raggiunto il relativo accordo, il lavoratore ha 60 giorni di tempo – dal giorno del rifiuto o del mancato accordo – per depositare il ricorso in tribunale.
Nel caso in cui il lavoratore non rispetti i termini di 270 o 60 giorni, l’impugnazione perde efficacia.
In sintesi, la Legge 183/2010 prevede questa nuova procedura:

  • entro 60 giorni dalla data della comunicazione scritta del licenziamento ovvero dalla successiva data di comunicazione scritta dei motivi, il lavoratore deve impugnare il licenziamento;
  • impugnato per tempo il licenziamento, il lavoratore ha 180 giorni (270 giorni per i licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della riforma del 2012) per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato;
  • in questo secondo caso, se la richiesta di conciliazione o arbitrato viene rifiutata oppure non si raggiunge l’accordo, il lavoratore ha 60 giorni per depositare il ricorso in tribunale.

Le nuove norme in materia di impugnazione del licenziamento (Legge 183/2010) sono state estese anche ad altre controversie, e in particolare a: