TFR – Trattamento di Fine Rapporto

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Questa voce è stata curata da Simone Perego

 

Scheda sintetica

Il Trattamento di fine rapporto (TFR), che dal 1° giugno 1982 ha sostituito l’indennità di anzianità, è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Esso matura durante lo svolgimento del rapporto ed è costituito dalla somma di accantonamenti annui di una quota di retribuzione rivalutata periodicamente.

Il TFR deve essere corrisposto al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro (e quindi indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno determinata), fatto salvo il caso di integrale destinazione alla previdenza complementare.
La legge prevede alcune ipotesi tassative nelle quali parte del TFR accantonato può essere anticipato nel corso del rapporto.
I Contratti Collettivi hanno la facoltà di fissare condizioni di miglior favore per l’erogazione di anticipazioni del TFR, nonché stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle relative richieste.

Fino al 31 dicembre 2006, il TFR non destinato alla previdenza complementare restava in azienda fino alla cessazione del rapporto, salvo le eventuali anticipazioni richieste dal dipendente; inoltre la gestione del trattamento era completamente demandata al datore di lavoro.
A decorrere dal 1° gennaio 2007, il TFR ha assunto la finalità prevalente di strumento di finanziamento previdenziale: è cambiata la disciplina del conferimento del trattamento alle forme pensionistiche complementari, con l’obbligo per i lavoratori di decidere al momento dell’assunzione la destinazione del TFR maturando.

Il TFR che i lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti decidono di mantenere presso il datore di lavoro e di non destinare a forme di previdenza complementare viene gestito da un apposito fondo istituito presso l’Inps (Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto, c.d. Fondo Tesoreria: art. 1, c. 749 – 766, L. 296/2006; D.M. 30 gennaio 2007).

 

Cosa fare – tempi

Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore potrà effettuare una verifica circa l’esattezza dell’importo corrisposto a titolo di TFR.
Il diritto a percepire il TFR si prescrive in 5 anni (art. 2948, c. 5 c.c.), che decorrono dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro (Cass. 18.11.1997, n. 11470).
In caso di mancata corresponsione dell’importo in questione, oppure nel caso in cui l’importo corrisposto non dovesse essere corretto, il lavoratore potrà agire giudizialmente nei confronti dell’ex datore di lavoro proponendo o un decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., nel caso in cui disponga di un documento dal quale risulti l’esatto ammontare del TFR (busta paga, CUD, ecc.), ovvero un ricorso ex art. 414 c.p.c. nel caso in cui manchi la prova scritta del credito.

 

A chi rivolgersi

  • Organizzazioni sindacali di categoria
  • Studio legale esperto in diritto di lavoro

 

 

Documenti necessari

  • Buste paga
  • C.U.D.

 

 

Fonti normative

  • R.D. n. 1825/1924
  • Legge n. 604/1966
  • Legge 297/1982
  • Legge 296/2006
  • Art. 2120 c.c.
  • Art. 2112 c.c.
  • Art. 36 Costituzione
  • D.L. n. 333/1992 conv. in Legge n. 359/1992
  • D.Lgs. n. 151/2001
  • Legge n. 53/2000
  • D.Lgs. n. 124/1993
  • Legge n. 243/2004
  • D.Lgs. 252/2005
  • D.M. 30 gennaio 2007

 

 

Evoluzione storica

Anteriormente alla novella del 1982, l’indennità spettante al prestatore di lavoro all’atto della cessazione del rapporto era denominata “indennità di anzianità” e, prima ancora, “indennità di licenziamento”.

Inizialmente riconosciuta ai soli impiegati e nelle sole ipotesi di licenziamento non dovuto a colpa del lavoratore (art. 10, R.D. n. 1825/1924), il diritto a tale indennità veniva successivamente esteso a nuove ed ulteriori ipotesi: dapprima, con il codice civile del 1942, a tutte le categorie di lavoratori ed in seguito, con la L. n. 604/1966, a tutte le ipotesi di cessazione del rapporto, ivi comprese il licenziamento per giusta causa e le dimissioni (Coste Cost. 27.6.1968, n. 75 in Foro It. 1971, I, 490).

Recependo tali indicazioni estensive la giurisprudenza riconosceva il diritto alla corresponsione dell’indennità di anzianità anche nei casi di rapporti di lavoro di durata inferiore all’anno (Corte Cost. n. 204/1971), di rapporto di lavoro dirigenziale (Corte Cost. 20.1.1971, n. 7 in Foro It. 1971, I, 490 e Corte Cost. 15.3.1972, n. 47 in Foro It. 1972, I, 862), di lavoro a domicilio (Corte Cost. 4.5.1972, n. 85 in Foro It. 1972, I, 1527), nelle ipotesi di risoluzione durante il periodo di prova (Corte Cost. 22.12.1980, n. 189 in Mass. Giur. Lav. 1981, 537) e di rapporto di lavoro a termine (Cass. 16.6.1988, n. 3711 in Orient. Giur. Lav. 1988, 827; Cass. 11.1.1988, n. 72 in Notiz. Giur. Lav. 1988, 232).

La progressiva estensione dell’ambito soggettivo e oggettivo di applicabilità dell’istituto ha indotto il legislatore dell’82 a ridisciplinarne i contenuti; la Legge 297/1982 ha quindi modificato profondamente l’istituto, ora denominato Trattamento di fine rapporto, che ha finito per assumere natura di retribuzione accantonata, ovvero di retribuzione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Da ultimo, la Legge 296/2006, rendendo obbligatorio il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari a far tempo dal 1° gennaio 2007, ha ancora una volta mutato la finalità dell’istituto che, nelle intenzioni del legislatore, dovrà diventare uno strumento di finanziamento previdenziale.

 

Calcolo del TFR

 

Sistema attuale

Secondo l’art. 2120 Codice Civile, come modificato della L. 297/1982, il TFR si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5 (art. 2120 c.c., c. 1).

In caso di sospensione del rapporto di lavoro nel corso dell’anno per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve considerarsi quale base per il calcolo del TFR da accantonare l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto stesso (art. 2120 c.c., c. 3).

La quota di TFR accantonata, ad eccezione di quella maturata nell’anno in corso, deve essere incrementata al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 % in misura fissa e dal 75 % dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat (art. 2120 c.c., c. 4).

 

Sistema previgente

L’art. 2120 c.c., nella formulazione originaria (prima delle modifiche della Legge 297/1982), prevedeva, in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la corresponsione al prestatore di lavoro di un’indennità di anzianità proporzionale agli anni di servizio.

L’ammontare dell’indennità (nota anche come liquidazione) era determinato in base all’ultima retribuzione e in relazione alla categoria di appartenenza del prestatore di lavoro.

In particolare, il calcolo dell’indennità di anzianità seguiva modalità diverse a seconda che si trattasse di impiegati o di operai:

  • per i primi si moltiplicava l’ultima retribuzione mensile per il numero di anni di servizio maturati presso la stessa azienda;
  • per i secondi si moltiplicava l’ultima retribuzione oraria per il numero di ore annue (fissato convenzionalmente dalla contrattazione collettiva di categoria) e quindi per il numero di anni di servizio.

 

 

Sistema misto

Per i lavoratori in forza alla data del 1° giugno 1982, si applica un sistema di calcolo del TFR misto:

  • per gli anni di lavoro prestati anteriormente alla data citata si applica il criterio di calcolo precedente la Legge 297/1982 (in pratica si calcola la retribuzione di maggio 1982 per gli anni di servizio prestati sino al 31 maggio 1982 e l’importo così ottenuto viene rivalutato, anno per anno, su base composta, con tasso costituito dall’1,5 % in cifra fissa, più il 75 % dell’aumento dei prezzi ISTAT);
  • per gli anni di lavoro prestati dopo il 1° giugno 1982 si applica il vigente criterio di calcolo di cui all’art. 2120 c.c.

Il TFR spettante sarà dunque costituito dalla somma degli importi ottenuti con i due criteri di calcolo.

 

La retribuzione annua accantonabile

Il concetto di “non occasionalità”

L’art. 2120 c.c., c. 2, stabilisce che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua utile ai fini del calcolo del TFR comprende tutte le somme, incluso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.

La novella del 1982 ha innovato la definizione di retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR contenuta nel testo previgente dell’art. 2120 c.c., introducendo il concetto di “non occasionalità” in luogo di quello di “continuità”.
Mentre infatti, nell’ipotesi di indennità di anzianità la retribuzione doveva essere determinata con riferimento all’intero rapporto e, quindi, con necessità di una ripetizione nel tempo di un determinato compenso, viceversa la nuova nozione di retribuzione utile ai fini del TFR, che attiene alla natura e alla tipologia dell’emolumento, esclude solo le erogazioni sporadiche ed occasionali, cioè collegate a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite: così, ad esempio, sono state escluse dal computo le somme erogate “una tantum” a titolo di liberalità, non collegate al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale (Cass. 1.8.1996, n. 6923 in Not. Giur. Lav. 1997, 120).

Tale novità comporta, secondo la prevalente giurisprudenza, che devono computarsi nella retribuzione utile tutti gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro (Cass. 3.11.1998, n. 11002 in Mass. Giur. It. 1998; Cass. 22.8.2002, n. 12411 in Giust. 2003, 2, 173; Cass. 3.9.2001, n. 12851; Cass. 19.6.2004, n. 11448 in Lav. Giur. 2004, 1301) o in diretta dipendenza con le mansioni stabilmente svolte dal lavoratore in seno all’azienda (Cass. 14.6.2005, n. 12778).

In buona sostanza, secondo quello che è oramai l’orientamento giurisprudenziale prevalente, ai fini dell’inclusione di un compenso nella retribuzione utile non è necessario che esso abbia assunto carattere di definitività, ma è sufficiente che di esso il lavoratore abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, non avendo rilievo l’elemento temporale di percezione del compenso stesso, qualora questo sia da considerare come corrispettivo della prestazione normale perché inerente al valore professionale delle mansioni espletate (Cass. 25.11.2005, n. 24875 in Mass. Giur. It. 2005).

 

Casistica

In base al criterio della “non occasionalità”, nella retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR devono essere sicuramente ricompresi tutti i compensi aventi carattere continuativo, in quanto hanno nel rapporto di lavoro la loro causa tipica, quali:

La giurisprudenza ha ritenuto altresì computabili nel TFR:

  • l’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 22.2.1993, n. 2144 in Not. Giur. Lav. 1993, 522);
  • la percentuale di servizio (Trib. Firenze 4.2.1985 in Giust. Civ. 1985, I, 1455);
  • i premi di rendimento (Pret. Roma 16.1.1984 in Giust. Civ. 1984, I, 2669) o di produzione benché variabili (Cass. 21.8.1987, n. 6986) ed anche se non corrisposti tutti gli anni (Pret. Milano 19.12.1986 in Dir. Prat. Lav. 1987, 2019);
  • il c.d. compenso per tempo di viaggio o casa – lavoro (Trib. Milano 8.6.1986 in Orient. Giur. Lav. 1986, 1077);
  • la gratifica di bilancio (Pret. Milano 22.11.1984 in Orient. Giur. Lav. 1985, 618);
  • l’indennità per il lavoro notturno ed il compenso per turni avvicendati (Cass. S.U. 24.2.1986, n. 1102; Cass. 5.11.1986, n. 6472; Cass. 5.12.1985, n. 6115; Trib. Milano 9.11.1985 in Orient. Giur. Lav. 1986, 489);
  • l’indennità sostitutiva di ferie e festività (Cass. 8.6.2005, n. 11936 in Guida Dir. 2005, 31, 57);
  • l’indennità di sottosuolo, di cassa, di cuffia, di disagiata residenza (Pret. Milano 22.4.1981 in Lavoro80, 1981, 734; Cass. 15.10.1980, n. 5533; Cass. 10.5.1980, n. 3089 in Mass. Giur. Lav. 1981, 26);
  • i compensi percepiti per lavoro straordinario vanno esclusi solo se erogati per prestazioni a carattere saltuario, ad es. collegati a incrementi non prevedibili di attività (Cass. 26.5.2004, n. 10172 in Mass. Giur. It. 2004), mentre devono essere computati quando il lavoro straordinario viene prestato con frequenza (ma non necessariamente con periodicità assoluta) in correlazione con la particolare organizzazione del lavoro (Cass. 5.2.1994, n. 1002);
  • trattamenti esteri e di trasferta purché erogati in dipendenza del rapporto di lavoro e a titolo non occasionale (Cass. 5.2.1988, n. 1223 in Mass. Giust. Civ. 1988, 2);
  • il valore d’uso dell’autovettura (Cass. 15.11.2002, n. 16129 in Mass. Giur. Lav. 2003, 53), salvo che l’uso sia concesso dietro corrispettivo poiché, in tal caso, si configurerebbe un rapporto di locazione (Cass. 21.1.1988, n. 466) – (si veda anche la voce Fringe benefits);
  • l’equivalente dei canoni di locazione dell’abitazione concessa in uso in via continuativa ed il rimborso delle spese telefoniche private (Cass. 22.6.2004, n. 11644; Pret. Milano 15.12.1986 in Dir. Prat. Lav. 1987, 2019 – (si veda anche la voce Fringe benefits).


Oltre al rimborso spese, sono per converso esclusi dalla retribuzione da accantonare i compensi contraddistinti dall’occasionalità ossia quelli a carattere discontinuo o corrisposti dal datore di lavoro per mere liberalità quali, ad esempio, i premi aziendali corrisposti in particolari occasioni, lo sconto offerto ai dipendenti nell’acquisto, oppure l’utilizzazione di beni o servizi aziendali, nonché (a seguito del d.l. n. 333/1992, convertito in L. n. 359/1992) il valore del servizio mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda.

 

Derogabilità della base di calcolo

L’art. 2120 c.c., c. 2, fa salva la possibilità per la contrattazione collettiva di stabilire quali elementi retributivi debbano essere presi in considerazione ai fini del calcolo del TFR, prevedendone ulteriori rispetto alla legge, ma anche escludendone altri, purché ciò avvenga senza che la retribuzione accantonabile vada al di sotto del limite minimo garantito dalla Costituzione (principio della proporzionalità e sufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost.).

A titolo esemplificativo si riportano le previsioni di alcuni contratti collettivi con l’elencazione dei compensi utili ai fini del calcolo del TFR:

  • ALIMENTARI: minimo contrattuale, ex indennità di contingenza, aumenti periodici di anzianità e scatti consolidati, aumenti di merito e/o superminimi, premio di produzione, indennità di turno continuativa, cottimi, tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità sostitutiva della mensa, indennità di alloggio, di maneggio denaro, indennità sostitutiva di generi in natura.
  • CHIMICI: minimo contrattuale, indennità di posizione organizzativa, aumenti periodici di anzianità, elemento retributivo individuale, aumenti di merito ed altre eccedenze mensili sul minimo contrattuale, indennità di contingenza, elemento aggiuntivo della retribuzione, premio di produzione ed elemento retributivo scorporato per viaggiatori e piazzisti, indennità di turno, indennità di alloggio, indennità per lavorazioni nocive, indennità di mensa, compenso per lavoro discontinuo fino a 50 ore settimanali, provvigioni, interessenze, cottimo, mensilità aggiuntive, indennità sostitutiva del preavviso.
  • METALMECCANICI: retribuzione fissata dalla legge, con l’esclusione di: compensi e relative maggiorazioni per le prestazioni effettuate oltre l’orario di lavoro, equivalente del costo della mensa e, dal 1° gennaio 1998 fino al 31 dicembre 1999, tredicesima mensilità.
  • TERZIARIO: retribuzione fissata dalla legge, incluso il compenso per lavoro supplementare corrisposto ai lavoratori a tempo parziale, con esclusione di: rimborsi spese, somme concesse occasionalmente a titolo di una tantum, gratificazioni straordinarie non contrattuali e simili, compensi per lavoro straordinario e per lavoro festivo, indennità sostitutiva del preavviso, indennità sostitutiva delle ferie, indennità di trasferta e diarie non aventi carattere continuativo, prestazioni in natura quando sia previsto un corrispettivo a carico del lavoratore, elementi espressamente esclusi dalla contrattazione collettiva integrativa.
  • GOMMA E PLASTICA: minimo di retribuzione, aumenti di merito ed altre eccedenze mensili sul minimo contrattuale, aumenti periodici di anzianità e scatti congelati, indennità di contingenza ed E.D.R., maggiorazioni per lavoro a turni avvicendati, relativo importo aggiuntivo per turno notturno e ad personam per mantenimento del guadagno di cottimo, cottimo o compenso sostitutivo del cottimo, premio di produzione, compenso per lavoro discontinuo fino a 48 ore settimanali, indennità di mensa, mensilità aggiuntive, indennità sostitutivo del preavviso.

 

 

Indennità sostitutiva del TFR in caso di morte del lavoratore

L’art. 2122 stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR maturato e spettante al lavoratore alla data del decesso sia corrisposto sotto forma di indennità sostitutiva ai superstiti.

Ne hanno diritto il coniuge, i figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. In mancanza di tali persone, l’indennità è attribuita secondo le regole della successione testamentaria o legittima.

La ripartizione dell’indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno.
E’ nullo ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l’attribuzione e al ripartizione dell’indennità.

 

Anticipazioni sul TFR maturato in corso di rapporto

L’art. 2120 c.c. (commi 6 – 11) prevede che il lavoratore possa chiedere, in costanza di rapporto, un’anticipazione del TFR.

La possibilità di ottenere l’anticipazione è subordinata alle seguenti condizioni:

  • il lavoratore deve avere maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro (art. 2120 c.c., c. 6);
  • l’anticipazione deve essere contenuta nei limiti del 70 % del trattamento spettante nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta (art. 2120 c.c., c. 6);
  • l’anticipazione deve essere altresì contenuta nei limiti del 10 % degli aventi titolo e, comunque, del 4 % del numero totale dei dipendenti (art. 2120 c.c., c. 7); a tale proposito, la Cassazione (sentenza n. 2749 del 6.3.1992, in Dir. Prat. Lav. 1992, 1221) ha escluso dal regime di anticipazione del TFR le aziende con esiguo numero di dipendenti, argomentando sia sul tenore letterale della norma, che, imponendo il limite del 4 % del totale dei dipendenti, postula una presenza di questi nella misura di almeno 25 unità, sia sulla ratio, intesa a non privare le imprese suddette di una fonte di finanziamento, alla cui utilizzazione sono preordinati gli accantonamenti annuali del TFR (in senso contrario: Pret. Macerata 20.9.1984 in Orient. Giur. Lav. 1984, 1220; Pret. Milano 9.2.1984 in Orient. Giur. Lav. 1984, 518);
  • l’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro (art. 2120 c.c., c. 9).

 

La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

  • eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche (art. 2120 c.c., c. 8 lett. a); la straordinarietà che giustifica la concessione dell’anticipazione non deve essere intesa nel senso di rarità e di singolarità degli interventi e delle terapie, ma di complessità o pericolosità (Pret. Firenze 30.3.1983 in Giust. Civ. 1983, I, 1852) ovvero di rilevante importanza medico – economica dei medesimi (Cass. 11.4.1990, n. 3046 in Giust. Civ. 1991, I, 171). La necessità per il lavoratore di ottenere l’anticipazione deve rivestire carattere di attualità intesa nel senso di immediatezza fra richiesta e bisogno del lavoratore (Pret. Milano 3.6.1983 in Lavoro80 1983, 1060); la spesa può riguardare anche costi accessori, quali le spese di viaggio e il soggiorno nei luoghi di cura delle persone che prestano assistenza al malato (Pret. Firenze 21.12.1982, in Rep. Giur. Lav. 1983, II, 220). Infine, secondo la giurisprudenza, la norma non richiede né il preventivo, né la dimostrazione a consuntivo della spesa (Pret. Firenze 30.3.1983, cit.);
  • acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile (art. 2120 c.c., c. 8 lett. b); la Corte Costituzionale (sentenza n. 142 del 5.4.1991, in Dir. Prat. Lav. 1991, 1147) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede, in ipotesi di acquisto in itenere, la possibilità di provarne l’acquisto con mezzi idonei a dimostrarne l’effettività (ad es. preliminare di acquisto). Il diritto all’anticipazione sussiste anche nel caso di acquisto da parte del coniuge ove vi sia comunione dei beni (Cass. 3.12.1994, n. 10371 in Dir. Prat. Lav. 1995, 1059);
  • eventuali spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi parentali e per formazione del lavoratore (art. 5 D.Lgs. 151/2001 e art. 7 Legge 53/2000). Si tratta dei congedi per astensione facoltativa dei genitori o per malattia del bambino e dei congedi per conseguimento dei titoli di studio o partecipazione ad attività formative extra – aziendali o per la c.d. formazione continua. Alcuni di tali congedi infatti non sono retribuiti o sono retribuiti solo in parte, sicché tra le “spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi” possono rientrare anche quelle per i sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. L’anticipazione deve essere corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo (art. 7, c. 1, L. 53/2000).


Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali.
I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione (art. 2120 c.c., c. 11). In assenza di espresse regolamentazioni contrattuali, la tesi prevalente in giurisprudenza ritiene che si debba privilegiare il criterio dell’ordina cronologico delle domande (Pret. Cagliari 21.5.1985 in Foro It. 1985, I, 3034).

L’importo anticipato deve essere portato in detrazione dal TFR spettante a fine rapporto (art. 2120 c.c., c. 9).

Il diritto all’anticipazione è espressamente escluso (art. 4, c. 3, Legge 297/1982) per i lavoratori dipendenti di aziende dichiarate in crisi ai sensi della Legge n. 675/1977.

 

Fondo di garanzia

L’art. 2 Legge 297/1982 ha istituito, presso l’Inps, il “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto”, avente lo scopo di erogare al lavoratore dipendente o suoi aventi causa il TFR in caso di insolvenza del datore di lavoro.

I casi in cui può essere richiesta l’erogazione del TFR da parte del Fondo di garanzia sono definiti dallo stesso art. 2 della Legge 297/1982 (commi 2 – 5); essi sono:


Il 7° comma del citato art. 2 prevede che il Fondo di garanzia debba effettuare il pagamento entro 60 giorni dalla richiesta dell’interessato.
I 60 giorni si computano dal momento in cui viene consegnata all’ufficio competente la domanda completa della documentazione (Cass. 2.2.1991, n. 1052, in Foro It. 1992, I, 2502).

 

TFR e previdenza complementare

Con il D.Lgs. 21/04/1993, n. 124 è stata introdotta la disciplina dei fondi pensione privatistici, cioè di quelle forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, aventi lo scopo di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.

Le forme di previdenza complementare costituiscono il c.d. secondo pilastro del nostro sistema previdenziale, che si affianca al sistema pensionistico pubblico (c.d. primo pilastro).

Avendo trovato scarsissimo seguito tra i lavoratori, il legislatore del 2004 (Legge 243/2004) si è prefisso l’obiettivo di sviluppare su larga scala la previdenza complementare incentivandone il finanziamento mediate la devoluzione del TFR.
In attuazione della delega contenuta nella citata legge, è stato emanato il D.Lgs. 252/2005 che ha operato una riforma complessiva della previdenza complementare, disponendo in un unico testo normativo tutta la disciplina della materia.

La riforma, per effetto della Legge 296/2006, art. 1, c. 749, è entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2007.
Da tale data, ciascun lavoratore dipendente deve decidere se destinare il proprio TFR da maturare alle forma pensionistiche complementari o mantenere lo stesso presso il datore di lavoro.

E’ bene rilevare che il nuovo regime riguarda esclusivamente il TFR che matura dal 1° gennaio 2007. Il TFR maturato fino alla data di esercizio dell’opzione resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato alla fine del rapporto di lavoro.

 

Modalità di scelta del lavoratore

Entro 6 mesi dall’assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007 (i lavoratori già in servizio all’entrata in vigore della riforma hanno dovuto esprimere la scelta entro il 30.6.2007), il lavoratore dipendente del settore privato deve effettuare la scelta di adesione o meno alla previdenza complementare.

A tale scopo, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore adeguate informazioni sulle diverse opzioni; il datore di lavoro è altresì tenuto a fornire al lavoratore appositi modelli tramite i quali operare la scelta e a conservare gli stessi compilati dal lavoratore, al quale ne rilascia copia controfirmata per ricevuta (D.M. 30 gennaio 2007).

Pertanto, il lavoratore può:

  1. decidere di aderire alla previdenza complementare, indicando il fondo pensione prescelto e dichiarando la propria volontà di conferirvi a titolo di contribuzione il TFR maturando (assenso esplicito); l’adesione determina l’automatica iscrizione del lavoratore alla forma indicata e godrà di tutti quei diritti di informazione e partecipazione alla forma previdenziale cui ha aderito;
  2. decidere di non aderire, dichiarando espressamente il proprio diniego (rifiuto esplicito) e optando per il mantenimento del TFR maturando presso il proprio datore di lavoro; in tal caso, il prestatore di lavoro può sempre successivamente revocare tale scelta e conferire il TFR ad un fondo pensione complementare.


Qualora il lavoratore lasci passare inutilmente i 6 mesi di tempo previsti dalla legge, l’adesione al fondo pensione categoriale avviene automaticamente, e comporta la devoluzione integrale e obbligatoria del TFR maturando (silenzio – assenso).
Il datore di lavoro è obbligato a trasferire il TFR maturando del dipendente al fondo pensione individuato secondo i criteri definiti dall’art. 8, c. 7, lett. b, D.Lgs. 252/2005.

La scelta relativa alla previdenza complementare comporta per i lavoratori una trasformazione del regime concernente il TFR.
Infatti:

  • se il lavoratore aderisce, volontariamente o per effetto del silenzio-assenso, alla previdenza complementare, tale decisione è irrevocabile e dovrà devolvere obbligatoriamente il TFR maturando al fondo pensione. Al termine del rapporto pertanto non gli verrà corrisposto il TFR, ma riceverà, a decorrere dalla data di maturazione dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico, una pensione integrativa nella forma di una rendita periodica; se l’adesione proviene da un lavoratore con rapporto in corso al 1° gennaio 2007, il TFR maturato precedentemente sarà corrisposto in regime di retribuzione differita alla cessazione del rapporto;
  • se il lavoratore non aderisce alla previdenza complementare, continuerà a maturare il TFR che sarà liquidato in regime di retribuzione differita al temine del rapporto.


Un regime particolare è previsto per quei lavoratori con rapporto già in essere al 29 aprile 1993, che hanno la possibilità di trasferire anche solo una parte del TFR maturando, con le seguenti modalità:

  • i soggetti che al 1° gennaio 2007 erano già iscritti ad una forma pensionistica complementare possono decidere di contribuire al fondo con la stessa quota versata in precedenza mantenendo presso il datore di lavoro la quota residua di TFR. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, il residuo TFR è trasferito dal datore di lavoro al Fondo Tesoreria Inps;
  • i lavoratori che al 1° gennaio 2007 non erano iscritti ad una forma pensionistica complementare possono scegliere di trasferire il TFR futuro a una forma pensionistica complementare, nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza, in misura non inferiore al 50%.

In entrambi i casi resta ferma la possibilità di incrementare la quota di TFR futuro da versare alla forma pensionistica complementare.

La riforma ha inciso anche per quanto riguarda la funzione di riserva di liquidità che il TFR ha svolto nei confronti delle imprese. Le quote venivano infatti accantonate presso il datore di lavoro per tutta la durata del rapporto e, salvo anticipazioni, venivano materialmente corrisposte solo al termine del rapporto di lavoro.
Ora invece, l’adesione dei dipendenti alle forme pensionistiche complementari comporta l’obbligo per i datori di lavoro di versare mese per mese la quota di retribuzione accantonata a titolo di TFR al fondo pensione cui il lavoratore aderisce.
Ma anche nel caso in cui il lavoratore non aderisca alla previdenza complementare, nelle aziende con almeno 50 dipendenti, il datore perde di fatto la disponibilità di tali quote dovendole conferire ad un apposito fondo (c.d. Fondo Tesoreria) istituito dalla Legge 296/2006 presso la Tesoreria dello Stato e gestito dall’Inps.
Il Fondo Tesoreria erogherà le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 c.c.
Per ottenere il TFR, il lavoratore deve presentare un’unica domanda al datore di lavoro che provvede alla liquidazione del TFR in misura integrale.
Il datore riscatterà quanto anticipato al Fondo attraverso conguaglio delle quote di TFR da versare al Fondo Tesoreria e, in caso di incapienza, dei contributi dovuti all’Inps.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di Trattamento di Fine Rapporto

In genere

  1. Pressante invito al legislatore perché provveda a rimuovere l’incostituzionalità del differimento e della rateazione del TFS. Come noto, l’art. 3, co. 2, d.l. n. 79/97, e l’art. 12, co. 7, d.l. n. 78/10 prevedono il differimento e la rateizzazione (graduale e oltre un certo ammontare) del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. La Corte costituzionale, investita della relativa questione di costituzionalità dal TAR Lazio, osserva che: (i) la natura retributiva delle indennità di fine servizio, ribadita in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale, inserisce tali prestazioni nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost, quindi con la garanzia della giusta retribuzione, anche con riguardo alla tempestività dell’erogazione; (ii) dato che il TFS incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale, non è tuttavia da escludersi che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione di tale indennità, purché l’intervento legislativo sia sottoposto a una rigorosa delimitazione temporale e sia conforme ai principi di ragionevolezza e proporzionalità; (iii) il termine dilatorio di dodici mesi previsto per l’erogazione del tfs dall’art. 3, co. 2, d.l. n. 79/97, in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio, non rispetta tali requisiti, essendosi trasformato da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale; (iv) quanto alla previsione del pagamento rateale del TFS, di cui all’art. 12, co. 7, d.l. n. 78/10, sebbene sia strutturata secondo una progressione graduale delle dilazioni, che consente di calibrare il sacrificio economico derivante dalla percezione frazionata dell’indennità in modo tale da renderne esenti i beneficiari dei trattamenti più modesti, essa, tuttavia, combinandosi col meccanismo del differimento, finisce con l’aggravare il vulnus costituzionale evidenziato; (v) a tale vulnus non può tuttavia porre rimedio la Corte costituzionale (che pertanto dichiara inammissibile la questione), ma solo il legislatore, al quale spetta il compito di individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto sia delle esigenze di cassa sia delle peculiari e importanti esigenze del lavoratore, che il TFS mira a soddisfare; (viii) la discrezionalità del legislatore non è temporalmente illimitata: non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n. 159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame. (Corte Cost. 23/6/2023 n. 130, Pres. Sciarra Red. San Giorgio, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  2. Spetta di regola al lavoratore chiedere l’insinuazione nel fallimento del datore per le quote di t.f.r. da questi trattenute e non versate al fondo di previdenza complementare.
    In giudizio, i giudici di merito avevano dichiarato la mancanza di legittimazione attiva di un dipendente che aveva chiesto appunto l’insinuazione nel passivo del fallimento del datore di lavoro per le quote di TFR da questi trattenute, ma poi non versate al fondo di previdenza complementare cui il lavoratore aveva aderito. La Cassazione, ripercorrendo nei suoi tratti essenziali la disciplina della materia nonché la giurisprudenza sviluppatasi al riguardo su due filoni diversificati, aderisce motivatamente alla soluzione della normale legittimazione attiva del lavoratore, salvo che risulti che questi, nell’autorizzare il versamento al Fondo delle quote di TFR via via maturate, abbia in realtà inteso operare non una delegazione di pagamento al datore di lavoro, che si estinguer col fallimento, ma una vera e propria cessione di un credito futuro al Fondo, nel qual caso è quest’ultimo il soggetto legittimato. (Cass. 7/6/2023 n. 16116, Pres. Cristiano Rel. Vella, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  3. Il conferimento di una quota di TFR ad un fondo di previdenza complementare non altera la causa dell’attribuzione patrimoniale che continua a porsi in relazione sinallagmatica con la prestazione di lavoro e costituisce, quindi, retribuzione. (Trib. Padova 15/12/2020, Giud. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2021, 318)
  4. Il trattamento di fine rapporto è dovuto (fatte salve le ipotesi di anticipazione espressamente previste dalla norma) solo all’atto della cessazione definitiva del rapporto di lavoro: ne consegue che, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, ove accompagnata dall’ordine giudiziale di reintegrazione del dipendente nel proprio posto di lavoro, questi non ha diritto a percepire l’ammontare del TFR fino a quel momento maturato. (Cass. 20/5/2020 n. 9303, ord., Pres. Berrino, Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2020, 994)
  5. In caso di recesso del curatore dal contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato dalla società fallita in data antecedente al fallimento e conseguente retrocessione del ramo d’azienda al fallimento, esso non risponde delle quote di tfr maturate in data successiva alla data di efficacia dell’affitto d’azienda. (Trib. Milano 5/5/2015, decr., Pres. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Luigi Andrea Cosattini, “Retrocessione al fallimento dell’azienda affidata e licenziamento: il difficile equilibrio fra esigenze della massa e tutela del lavoratore”, 941)
  6. Il compenso per lavoro straordinario continuativo deve essere inserito nella base di calcolo del TFR, anche se di ammontare variabile: infatti, si è ritenuto che il carattere continuativo vada riferito all’esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica, purché espletata per organizzazione del lavoro e quindi non imprescindibile e fortuita. (Trib. Bari 13/10/2014, Giud. Isabella Calia, in Lav. nella giur. 2015, 207)
  7. Ai fini della tutela prevista dalla legge n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del T.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per la esiguità del credito azionato, va considerato non soggetto a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, c. 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva. (Cass. 4/7/2014 n. 15369, Pres. Coletti De Cesare Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 1027)
  8. La condizione necessaria perché sorga il diritto nei confronti del Fondo di garanzia presso l’Inps è che l’obbligo di pagare il t.f.r. non sia stato adempiuto e intervenga una situazione di insolvenza del datore di lavoro. (Cass. 15/4/2013 n. 9068, Pres. Coletti De Cesare Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2013, 617)
  9. I versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare non hanno natura retributiva, né l’hanno avuta in passato, trattandosi di esborsi non legati da nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa ed esonerati dalla contribuzione AGO, con assoggettamento a contributo di solidarietà, ai sensi della disposizione retroattiva del d.l. n. 103 del 1991, art. 9 bis conv. Dalla l. n. 166 del 1991. Ne consegue che gli accreditamenti per la previdenza integrativa non concorrono a determinare la base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità. (Cass. 18/3/2013 n. 6707, Pres. Stile Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2013, 618)
  10. Gli emolumenti erogati al dirigente che svolga le cariche di amministratore o liquidatore di altre società del medesimo gruppo rientrano nella base di computo del t.f.r. dovuto in dipendenza del rapporto di lavoro dirigenziale se legate, con rapporto sinallagmatico, al rapporto di lavoro. (Cass. 1/10/2012 n. 16636, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Raffaele Squeglia, 64)
  11. Il controvalore dell’uso di un’autovettura di proprietà della datrice di lavoro, utilizzata anche per motivi privati, rientra nella base di computo del t.f.r. dovuto in dipendenza del rapporto di lavoro dirigenziale. (Cass. 1/10/2012 n. 16636, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Raffaele Squeglia, 64)
  12. La prescrizione del diritto al t.f.r. decorre dal momento della cessazione del rapporto di lavoro. (Cass. 1/10/2012 n. 16636, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Raffaele Squeglia, 64)
  13. Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare, avendo natura previdenziale e non retributiva, non si computano – quale che sia il soggetto tenuto all’erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti – né nell’indennità di anzianità (maturata sino al 31/5/82) né nel Tfr. (Cass. 4/6/2012 n. 8959, Pres. Canevari, Est. La Terza, in D&L 2012, con nota di Alessandro Premoli, “Responsabilità solidale negli appalti: osservazioni sul termine biennale e sull’ambito applicativo”, 528)
  14. In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio di onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla l. n. 297/1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette, purché la volontà risulti chiara pur senza l’utilizzazione di formule speciali o espressamente derogatorie. (Cass. 7/5/2012 n. 6861, Pres. De Luca Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2012, 722)
  15. In materia di indennità di fine rapporto, in caso di stipula di un contratto di assicurazione ai sensi dell’art. 4 del RDL 8/1/42 n. 5, convertito dalla L. 2/10/42 n. 1251 e restato in vigore sino all’introduzione della L. 29/5/82 n. 297, nelle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro possono distinguersi una posta capitale rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità maturata dal dipendente, e un ammontare ulteriore, detto rendimento di polizza, costituente il risultato dell’operazione assicurativa, implicante un’eccedenza rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge, fermo restando, però, la funzione della stipulazione di assicurare ai lavoratori la corresponsione dell’indennità di anzianità in misura legale. Pertanto, l’opzione datoriale per questa forma di provvidenza sostitutiva non comportava automaticamente l’attribuzione ai dipendenti del rendimento di polizza, consistente negli interessi sui versamenti o premi corrisposti, eccedente rispetto all’indennità di anzianità, mentre tale erogazione supplementare può trovare titolo solo in un’eventuale pattuizione aggiuntiva o in specifiche clausole della polizza assicurativa, intese ad assicurare ai dipendenti condizioni di miglior favore rispetto a quelle di legge. (Cass. 28/3/2012 n. 4969, Pres. Roselli Est. Bandini, in D&L 2012, con nota di Caterina Tomba, “Polizze assicurative stipulate in favore dei dipendenti: due recenti pronunce della Suprema Corte”, 523)
  16. A norma dell’art. 2, commi 1-7, della l. n. 297/1982, qualora il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alla legge fallimentare, il lavoratore, per poter ottenere l’immediato pagamento (nel rispetto del termine di sessanta giorni dalla domanda) del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, deve provare, oltre alla cessazione del rapporto di lavoro e all’inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal debitore, anche lo stato di insolvenza in cui versa quest’ultimo, utilizzando, a tal fine, la presunzione legale prevista dalla legge (l’apertura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa o del concordato preventivo nei confronti del medesimo debitore); viceversa, ove non sia possibile l’applicazione della legge fallimentare perché non ricorre la condizione soggettiva di cui all’art. 1 del R.d. n. 267/1942, il lavoratore, allo scopo sopra indicato, oltre alla prova dell’avvenuta conclusione del rapporto di lavoro e all’inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal datore di lavoro, deve fornire anche l’ulteriore prova che quest’ultimo non è soggetto alle procedure esecutive concorsuali e deve, inoltre, dimostrare, in base alla diversa presunzione legale pure prevista dalla legge (l’esperimento di una procedura esecutiva individuale, senza che ne sia necessario il compimento), che mancano o sono insufficienti le garanzie patrimoniali del debitore. (Cass. 15/11/2011 n. 23840, Pres. Miani Canevari Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2012, 93)
  17. Il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della legge 29 maggio 1982, n. 297 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’Inps per l’insolvenza o l’inadempimento del datore di lavoro. (Trib. Trapani 10/6/2010, Giud. Antonelli, in Lav. Nella giur. 2010, 1051
  18. Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro con la conseguenza che la prescrizione di tale diritto non decorre in costanza di rapporto. (Cass. 9/3/2010 n. 5707, Pres. De Luca Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Sara Huge, “Quando sorge il diritto al Tfr?”, 559)
  19. Nel caso in cui venga proposto ordinario ricorso per cassazione ex art. 360 n. 3, c.p.c., la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il testo integrale del contratto collettivo di diritto privato sul quale il ricorso si fonda, non essendo sufficiente la produzione del mero stralcio del contratto. (Cass. 9/3/2010 n. 5707, Pres. De Luca Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Sara Huge, “Quando sorge il diritto al Tfr?”, 559)
  20. Nella determinazione della base di calcolo utile per la quantificazione del Tfr e dell’indennità sostitutiva del preavviso dovuta a seguito del licenziamento di un dirigente, è necessario prendere in considerazione la media degli elementi variabili della retribuzione degli ultimi 36 mesi (quali bonus annuali, componenti in natura dell’alloggio e mensa) secondo il criterio di competenza rapportato alla “esigibilità” di tali elementi e non invece secondo il principio di cassa che si riferisce alla retribuzione effettivamente corrisposta al dipendente. (Trib. Milano 20/7/2009, Est. Casella, in D&L 2009, con nota di Angelo Beretta, “Le modalità di calcolo dell’incidenza della retribuzione variabile sul preavviso e sul Tfr: il nuovo citerioro dell’esigibilità”, 1014)
  21. I contributi versati a un fondo di previdenza integrativa aziendale, anche per la loro natura contributiva, non devono essere inclusi nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto.(Corte app. Milano 7/4/2009, Pres. Ruitz Est. De Angelis, in D&L 2009, 778)
  22. Il DPCM 8 giugno 1946 dispone, all’art. 2, che il CNR provveda al trattamento di quiescenza del personale di ruolo tramite capitalizzazione finanziaria. La ricognizione di tali disposizioni, che si coordinano con la previsione da parte della Giunta amministrativa del CNR di termini di scadenza per i prescritti investimenti, consente di configurare, all’interno del contratto di lavoro, un obbligo dell’ente di procedere all’acquisto di buoni postali fruttiferi, sì che in mancanza dell’investimento, o in caso di investimento non puntuale, al medesimo ente deve essere imputato l’inadempimento, secondo le regole proprie della responsabilità contrattuale (nel caso di specie, poiché è rimasto accertato che il CNR ha effettuato in ritardo l’investimento delle quote accantonate e che da tale ritardo la dipendente ha subito un pregiudizio patrimoniale, pari alla mancata percezione delle somme dovute è da ritenersi conseguentemente configurata la responsabilità dell’ente per il medesimo pregiudizio, rilevando che questi – pur avendo riconosciuto, con delibera del 1989, la legittimità degli investimenti – nulla aveva disposto riguardo agli investimenti effettuati in ritardo). (Cass. Sez. Un. 25/11/2008 n. 28056, Pres. Carbone Rel. Morcavallo, in Lav. nelle P.A. 2008, 1151)
  23. Il giudicato formatosi su una domanda avente a oggetto la computabilità di una determinata voce retributiva nella base di calcolo del t.f.r., proposta nel corso del rapporto di lavoro, non preclude accertamenti successivi che abbiano a oggetto altri elementi idonei a concorrere alla liquidazione finale del trattamento. (Cass. 16/6/2008 n. 16206, Pres. De Luca Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Giuseppe Maria Monda, “Retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto e limiti di estensione del giudicato”, 321)
  24. L’inutile esperimento di una qualsivoglia procedura esecutiva individuale non è, da solo, idoneo a realizzare la preventiva escussione del debitore principale, per il pagamento di quanto dovuto dal datore di lavoro inadempiente non soggetto a procedure concorsuali. Tuttavia non è imposto al lavoratore l’onere di provare l’insufficienza della garanzia offerta dall’intero patrimonio del datore di lavoro inadempiente, ma soltanto l’onere di dimostrare che le garanzie patrimoniali sono risultate in tutto o in parte insufficienti, a seguito di un esperimento dell’esecuzione forzata serio e adeguato, che comporta, in coerenza con la norma diligenza, la ricerca di beni di proprietà del datore di lavoro inadempiente, quanto meno nei luoghi, comunque, ricollegabili alla sua persona. (Cass. 8/5/2008 n. 11379, Pres. ed Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Franco Focareta, “L’intervento del Fondo di Garanzia nei casi di datori di lavoro non soggetti a procedure concorsuali”, 176)
  25. Per la determinazione della retribuzione di riferimento ai fini del calcolo del Tfr (secondo il combinato disposto degli art. 2099 e 2120 c.c.) rilevano anche le somme corrisposte in costanza di rapporto a titolo di indennità di vacanza contrattuale. (Corte app. Milano 9/4/2008, Pres. Castellini, Est.Sbordone, in D&L 2008, con nota di M.G. Alberio, “Riflessioni in merito all’Ivc e alla sua possibile incidenza sul Tfr”, 993)
  26. In tema di accantonamenti utili ai fini del trattamento di fine rapporto, occorre distinguere fra l’azione di mero accertamento dell’entità della quota da accantonare, da quella strumentale intesa a ottenere concreta attuazione di un particolare diritto, quale quello al computo di una determinata voce; per questa seconda fattispecie, non è configurabile la prescrizione dell’azione fino a quando perduri la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sulle competenze di fine rapporto). (Cass. 10/10/2007 n. 21239, Pres. Sciarelli Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2008, 309)
  27. Quanto al parametro di determinazione della base di calcolo per il computo del trattamento di fine rapporto vige il principio dell’omnicomprensività della retribuzione adottato del 2° comma dell’art. 2120 c.c., come novellato dalla L. 297/82, salva la facoltà riconosciuta alle parti sociali di apportare a tale regola eccezioni o desumibili in modo chiaro e univoco ovvero espressamente dichiarate (nel caso di specie la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore che si è visto negata la computabilità della retribuzione percepita a titolo di lavoro straordinario nella base di calcolo per la determinazione del Tfr cassando con rinvio la sentenza per la verifica della sussistenza o meno, per il compenso percepito dal lavoratore, dei connotati necessari per rientrare nella base di calcolo). (Cass. 24/9/2007 n. 19695, Pres. Mattone Est. Amoroso, in D&L 2007, con nota di Roberta Maddalena Paris, “Retribuzione – parametro del Tfr: modalità di deroga del principio della onnicomprensività della retribuzione da parte della contrattazione collettiva, 1169)
  28. I contributi versati a favore dei fondi di previdenza integrativa hanno natura retributiva e, nella misura in cui non siano esclusi dalla contrattazione collettiva, vanno computati nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. (Trib. Milano 12/6/2007, Giud. Di Leo, in ADL 2008, con commento di Pasquale Picciariello, “I contributi per la previdenza complementare sono computabili nel trattamento di fine rapporto”, 251)
  29. Il diritto al Tfr nasce solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che costituisce elemento costitutivo della fattispecie e non termine di adempimento, sussistendo in precedenza meri accantonamenti contabili. (Trib. Grosseto 17/4/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 98)
  30. Nel regime di cui all’art. 2120 c.c. nel testo antecedente le modifiche ex L. 25/5/82 n. 297, i compensi per prestazioni di lavoro straordinario sono compatibili ai fini della determinazione della base di calcolo di trattamento di fine rapporto qualora le predette prestazioni siano state svolte con frequenza e periodicità per un apprezzabile periodo di tempo così da divenire abituali nel quadro dell’organizzazione di lavoro (nella specie, la Corte ha ritenuto congrua la valutazione riferita a 12 mesi antecedenti al 31/5/82). (Cass. 26/9/2006 n. 20867, Pres. Mercurio Est. Lamorgese, in D&L 2007, 151)
  31. Devono essere computati nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di buonuscita, ai8 sensi dell’art. 2120 c.c., tutti gli emolumenti, percepiti dal lavoratore, di carattere continuativo, a nulla valendo una loro esclusione da tale base di calcolo da parte di clausole collettive. (Trib. Lecce 5/9/2006, Giud. Mainolfi, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Giacomo Fontana, “Sul principio dell’omnicomprensività della retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto”, 569)
  32. È costituzionalmente illegittimo l’art. 9, comma 3, d.lgs. C.p.S. 4 aprile 1947 n. 207, nella parte in cui non prevede che l’indennità di fine rapporto spettante al dipendente dello Stato non di ruolo defunto, in mancanza dei soggetti ivi indicati, si devolva secondo le norme che disciplinano la successione mortis causa. (Cost. 23/12/2005 n. 458, Pres. Marini Red. Gazzella, in Giust. Civ. 2006, 259)
  33. I contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro in relazione all’art. 4 r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5 (sul fondo per l’indennità agli impiegati) per garantire ai singoli dipendenti un sistema di liquidazione dell’indennità di anzianità superiore al minimo legale hanno natura di contratti a favore di terzi, rispetto ai quali, però, la facoltà, attribuita dall’art. 1411 c.c. allo stipulante, di revocare o modificare la stipulazione prima che il terzo dichiari nei confronti di entrambe le parti del contratto, di volere profittare, è preclusa dal fatto che, nei modi suddetti, si introduce una variazione migliorativa del trattamento economico che, una volta accettata, sia pure tacitamente dai lavoratori, impegna alla sua osservanza ambedue le parti dei singoli contratti di lavoro, senza che su tale impegno influisca la proroga o la riapertura dei termini stabiliti, ai fini delle provvidenze in questione, dall’art. 8 r.d.l. n. 5 del 1942. Pertanto, fino all’abrogazione delle norme relative al sistema del Fondo suddetto, operata dall’art. 4 l. 29 maggio 1982 n. 297, l’attuazione di tali provvidenze con contratti di assicurazione corrispondenti, nell’intento delle parti, ai requisiti posti dall’art. 4 r.d.l. n. 5 del 1942 implica il persistente assoggettamento dei relativi rapporti a questa disposizione, con la conseguenza – atteso il richiamo ivi formulato all’art. 2 r.d.l. n. 5 del 1942 – della sussistenza dell’obbligo legale del datore di lavoro di adeguare i premi dell’assicurazione ai successivi aumenti delle retribuzioni, indipendentemente dalla circostanza che un obbligo siffatto discenda o meno dallo stesso contratto di assicurazione; mentre è escluso che il datore di lavoro possa revocare la rinuncia agli interessi o rendimenti su detti premi, una volta che essa sia stata da lui effettuata e accettata dai dipendenti. (Cass. 22/7/2005 n. 15533, Pres. Ciciretti Est. Roselli, in Giust. Civ. 2006, 293)
  34. Atteso che la domanda di riliquidazione dell’indennità di buonuscita ha ad oggetto un diritto di natura diversa rispetto al diritto al trattamento di fine rapporto, se la prima è formulata per la prima volta in appello deve dichiararsi inammissibile non potendo ritenersi implicita in quella relativa al trattamento di fine rapporto, ritualmente proposta con l’atto introduttivo. (Cass. 4/3/2005 n. 4712, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Orient. Giur. Lav. 2005, 201)
  35. Allorché le prestazioni di lavoro straordinario siano svolte con notevole frequenza e in misura sempre rilevante, le stesse hanno il carattere della continuità e i relativi emolumenti devono considerarsi erogati a titolo non occasionale con conseguente necessaria inclusione degli stessi nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. (Trib. Milano 23/10/2004, Est. Martello, in Lav. nella giur. 2005, 491)
  36. L’art. 14, comma 3, d.P.R. n. 597 del 1973 (nel testo come sostituito dall’art. 2 l. n. 482 del 1985, applicabile ratione temporis) secondo cui in tema di Irpef e con riguardo ai redditi di lavoro dipendente “se per il lavoro prestato anteriormente alla data di entrata in vigore della l. 29 maggio 1982 n. 297, il trattamento di fine rapporto risulta calcolato in misura superiore a una mensilità della retribuzione annua per ogni anno preso a base di commisurazione, ai fini della determinazione dell’aliquota ai sensi del comma 1 non si tiene conto dell’eccedenza”, va interpretato nel senso che, con la locuzione “mensilità della retribuzione annua”, il legislatore si è riferito a una quota pari a una mensilità, vale a dire a un dodicesimo dell’intera retribuzione globale di fatto percepita nell’anno, comprensiva, quindi, delle quote di tredicesima e quattordicesima mensilità e non semplicemente a una mensilità della paga base riferita a un mese di prestazione. (Cass. 29/7/2004 n. 14522, Pres. Riggio Est. Monaci, in Giust. civ. 2005, 366)
  37. Non è valida la pattuizione, individuale o collettiva, che disponga l’anticipazione mese per mese del trattamento di fine rapporto nella retribuzione corrente. (Cass. 11/11/2002, n. 15813, Pres. Ciciretti, Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2003, 439, con nota di Marco Novella, Sulla legittimità del trasferimento nella retribuzione mensile del trattamento di fine rapporto)
  38. L’art. 2120 c.c. (nel testo di cui all’art. 1, l. 29 maggio 1982, n. 297), nel prevedere che il trattamento di fine rapporto è dovuto in “ogni caso” di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, fissa il principio dell’arrotondamento al mese delle frazioni di mese uguali o superiori ai quindici giorni, ma non quello della irrilevanza delle frazioni di mese inferiori a quindici giorni. Pertanto tale norma non abroga il secondo comma dell’art.5, l. 18 aprile 1962, n. 230, che prevede, per tutti i lavoratori a tempo determinato, il diritto ad una indennità di fine lavoro, da calcolarsi in base al principio di proporzionalità alle frazioni di anno di attività lavorativa prestata. (Cass. 25/9/2002, n. 13934, Pres. Sciarelli, Est. Lupi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 320, con nota di Enrico M. Rossi, Rapporti di lavoro di durata inferiore a quindici giorni e t.f.r.).
  39. Relativamente all’epoca di corresponsione del Tfr va affermato il principio secondo cui l’erogazione deve essere contestuale all’atto della cessazione del rapporto non essendo giustificato per il datore di lavoro trattenere l’intero importo fino alla determinazione di una parte di esso in attesa della pubblicazione degli indici di rivalutazione Istat; egli può infatti cautelarsi in ordine alla “mora debendi” mediante il pagamento degli accantonamenti rivalutati, con differimento del rateo il cui esatto conteggio è impedito dal ritardo nella pubblicazione dell’ultimo indice Istat, senza peraltro subire alcuna conseguenza, atteso che tale limitato differimento è dovuto a fatto del terzo. Manifestamente infondata si rivela l’obiezione della società ricorrente secondo cui sarebbe ingiustificato porre a carico del datore di lavoro l’onere di effettuare un duplice conteggio e prospetta una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2120 c.c., nel testo modificato dalla l. 29/5/82, n. 297, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., che risulta manifestamente infondata. Non si chiariscono invero le ragioni per cui il sacrificio del datore di lavoro, consistente nell’effettuazione di un duplice conteggio, dovrebbe essere piu’ grave – al punto di determinare una ingiustificata disparità di trattamento – rispetto a quello del lavoratore costretto ad attendere il pagamento di un importo frutto di anni di lavoro, sovente già destinato a far fronte a pressanti necessità. Neppure si spiega per quale motivo la libertà di iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 Cost., dovrebbe essere meglio protetta del diritto del lavoratore, anch’esso garantito all’art. 36 Cost., a conseguire la giusta mercede per l’opera prestata e soprattutto non si considera che il contemperamento di tali contrapposte esigenze avviene proprio in sede di contrattazione collettiva (mentre nel CCNL applicabile nella fattispecie niente si dice della possibile dilazione di pagamento dell’intero Tfr) (Cass. 28/1/02, n. 1040, pres. Saggio, est. Spanò, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 567, con nota di Canali De Rossi, Esigibilità del Tfr e lavoro straordinario non occasionale)
  40. Il diritto del dipendente a ricevere il Tfr sorge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, sicchè il datore di lavoro non può procrastinarne il pagamento neppure in relazione all’esigenza di determinarne l’importo complessivo sulla base dell’ultimo indice Istat; deve pertanto provvedere al pagamento della parte già determinabile e differire il rateo il cui esatto conteggio è impedito dal ritardo nella pubblicazione dell’ultimo indice Istat. (Cass. 28/1/2002 n. 1040, Pres. Saggio, in D&L 2002, 407, con nota di Roberto Muggia, “Il diritto al Tfr: alla cessazione del rapporto o al momento della pubblicazione dell’indice Istat?”)
  41. Il pubblico dipendente (che avendo anzianità di servizio inferiore ad un anno non ha maturato il diritto all’indennità di buonuscita a carico dell’Inpdap) ha diritto – in applicazione dell’art. 2 L. 8/8/95 n. 335, norma di immediata applicazione – alla corresponsione del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 2120 c.c., anche in difetto della prevista disciplina contrattuale attuativa. (Corte d’Appello Milano 18/9/2001, Est. Mannacio Est. Ruiz, in D&L 2002, 178)
  42. L’azione promossa dal lavoratore, in corso di rapporto, al fine di determinare il corretto accantonamento, da parte del datore di lavoro, delle quote annuali di TFR maturato, ha natura di azione di accertamento, in relazione alla quale va ritenuto l’interesse ad agire del lavoratore, in presenza di una situazione di incertezza, e va escluso il decorso della prescrizione in costanza di rapporto (Pret. Napoli 16/6/95, est. Ingala, in D&L 1996, 186)
  43. Posto che l’art. 2120 c.c. nulla espressamente dispone in ordine al termine di pagamento del Tfr, e considerato che l’art. 2099 c.c. fa riferimento, in ordine al termine di pagamento della retribuzione, all’uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito, deve ritenersi legittima, e non contrastante con norme imperative di legge, la clausola del contratto collettivo che preveda, per il pagamento del Tfr, il termine di sessanta giorni dalla data di cessazione del rapporto, stabilendo la decorrenza degli interessi legali, solo a partire dal sessantunesimo giorno successivo alla cessazione del rapporto (Trib. Torino 23/11/94, pres. Gamba, est. Rossi, in D&L 1995, 669)
  44. Con riferimento ad un contratto collettivo che non comprende tra gli elementi retributivi da includere nel Tfr il compenso per lavoro straordinario (nella specie Ccnl Guardie Giurate) è infondata la richiesta di includere nel Tfr stesso quantomeno gli elementi retributivi base volti a compensare l’ora di lavoro straordinaria, al netto della maggiorazione, non potendosi attribuire ai contraenti collettivi la volontà di scomporre il compenso per lavoro straordinario tra compenso base e maggiorazione. (Trib. Milano 5/6/2004, Est. Ianniello, in D&L 2004, 386)

 

 

Anticipo del TFR

  1. La mancata corrispondenza con la finalità dell’erogazione della richiesta anticipazione di TFR non costituisce di per sé inadempimento di un obbligo del lavoratore, poichè il rapporto di lavoro rappresenta solo un “titolo” per la sua concessione, anche se tale oggettiva estraneità non esclude un riflesso che il comportamento del dipendente può assumere sul piano del generale rapporto di fiducia che si pone alla base del contratto di lavoro. Allo scopo, però, della configurabilità di tale condotta come causa giustificativa del licenziamento è necessario che essa sia qualificabile in termini di notevole gravità, dovendo risultare idonea a non consentire, neppure provvisoriamente, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Tale valutazione è rimessa al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione. (Cass. 29/1/2007 n. 1827, Pres. De Luca Est. cuoco, in Lav. nella giur. 2007, 1033)
  2. La ratio della disposizione di cui all’art. 2120 c.c. sull’anticipazione del tfr per l’acquisto della prima casa di abitazione è quella di consentire al lavoratore di diventare proprietario della casa dove normalmente egli vive con il suo nucleo familiare, sicchè l’unica condizione che la norma pone è che l’anticipazione sia impiegata per il detto scopo; la norma non impone che la casa di abitazione sia necessariamente vicina al luogo di lavoro, la lontananza potendo solo essere un indizio di insussistenza del presupposto. (Corte app. Milano 9/1/2006, Pres. Castellini Rel. Curcio, in Lav. Nella giur. 2006, 825)
  3. L’art. 7, L. n. 53/2000 prevede la possibilità di anticipare la corresponsione del trattamento di fine rapporto, al fine di fruire dei congedi formativi previsti dalla legge stessa; detto articolo prevede espressamente ipotesi diverse da quelle di cui all’art. 2120 c.c. e, non richiamando il requisito degli otto anni di anzianità previsto dall’art. 2120 c.c., non richiede il detto requisito di anzianità per gli anticipi per congedi formativi. (Trib. Bologna 18/6/2004, Est. Palladino, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Claudio Giovanni Pozzobon, 1083)
  4. Ai sensi dell’art. 2120 c.c., 8° comma, lett. b), il diritto all’anticipazione del trattamento di fine rapporto per l’acquisto della prima casa di abitazione, sussiste non solo nel caso in cui sia il lavoratore a effettuare l’acquisto, ma anche quando l’acquisto debba essere effettuato da un figlio del lavoratore e la richiesta di anticipazione sia giustificata dalla necessità di quest’ultimo di disporre del relativo importo (Cass. 8/7/97 n. 6189, pres. Mollica, est. Ciretti, in D&L 1998, 439, n. TESTA, Sul diritto all’anticipazione del Tfr, per l’acquisto della prima casa del figlio)
  5. Al fine di ottenere l’erogazione dell’anticipazione del Tfr è necessaria la sussistenza di una serie di condizioni, che è onere del lavoratore provare, mentre, esclusa la discrezionalità della scelta tra più richiedenti da parte del datore di lavoro, unico elemento ulteriore rilevante risulta l’ordine di presentazione delle domande (Pret. La Spezia 8/8/96, est. Ghinoy, in D&L 1997, 368, n. Aragiusto, Anticipazione del Tfr: diritti e doveri dei lavoratori e del datore di lavoro e criteri di scelta tra più richiedenti)
  6. Sussiste il diritto all’anticipazione del Tfr, non soltanto per l’acquisto della prima casa, ma anche per diverse attività negoziali che conducano al medesimo risultato, fra le quali rientra senz’altro anche l’ipotesi di costruzione in proprio della casa (Pret. Tivoli 11/7/95, est. Sacco, in D&L 1995, 1021)

 

 

Incidenza delle indennità

  1. Ai fini della computabilità o meno dell’indennità di trasferta nel calcolo dell’indennità di anzianità e del TFR, nella nozione di “trasfertisti”, rientrano i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata, percependo la retribuzione indipendentemente dall’effettiva effettuazione della trasferta, secondo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici e giuridici. (Cass. 11/12/2013 n. 27643, Pres. Roselli Est. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 282)
  2. Stante la natura retributiva dell’indennità sostitutiva del preavviso, tale importo deve essere considerato per la determinazione della base di calcolo utile ai fini del calcolo del Tfr. (Trib. Milano 20/7/2009, Est. Casella, in D&L 2009, con nota di Angelo Beretta, “Le modalità di calcolo dell’incidenza della retribuzione variabile sul preavviso e sul Tfr: il nuovo citerioro dell’esigibilità”, 1014)
  3. La nozione legale di retribuzione, da porre a base del calcolo del trattamento di fine rapporto (ai sensi dell’art. 2120 c.c., come novellato dall’art. 1 della L. n. 297 del 1982), comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese, fatta salva la diversa previsione eventualmente contenuta nei contratti collettivi successivi alla legge istitutiva di detto trattamento, che possono derogare, anche in peius, la nozione legale di retribuzione. (Corte app. Torino 15/1/2008, d.ssa Barbero, in Lav. nella giur. 2008, 962)
  4. L’indennità estero che consiste in un aumento retributivo che si offre al lavoratore all’estero, anche in considerazione dei maggiori costi ai quali va incontro, ha natura integralmente retributiva e va dunque imputata nel Tfr, qualora non vi sia concreta evidenza della specifica corrispondenza tra tali costi e l’indennità medesima. (Trib. Milano 23/5/2006, in D&L 2006, con nota di Marcella Mensi, “Natura dell’indennità estero e incidenza sul Tfr”, 875)
  5. Il compenso attribuito in ragione degli elementi di disagio insiti nelle modalità esecutive e logistiche dell’applicazione all’estero ha natura retributiva. Ai fini della computabilità della c.d. indennità estero sul TFR occorre, peraltro, indagare la natura dell’emolumento applicando un criterio esegetico che – ai sensi dell’art. 1362 c.c. – deve essere volto a dare rilevanza all’espressione negoziale esterna, prescindendo invece dai motivi dell’attribuzione rimasti nella mera sfera psichica del soggetto che offre il trattamento. (Trib. Roma 23/7/2004, Est. Conte, in Lav. nella giur. 2005, 394)
  6. Nel caso in cui il contratto collettivo di lavoro, applicato al caso di specie antecedentemente alla riforma della disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi della l. n. 297 del 1982, includa nella base di calcolo del trattamento di fine lavoro le “competenze accessorie corrisposte a carattere fisso e continuativo”, tra tali elementi contributivi va compresa l’indennità di presenza, caratterizzata dalla regolarità ed indefettibilità della corresponsione, a nulla rilevando marginali oscillazioni, con riferimento alle normali vicende connesse all’effettiva presenza in servizio del dipendente. (Consiglio di Stato 8/1/2003, n.5, Pres. Giovannini, Est. De Nictolis, in Foro it. 2003 parte terza, 1)
  7. L’individuazione della retribuzione annua utile al fine del calcolo del Tfr, per quanto concerne specificamente l’incidenza del lavoro straordinario e degli istituti contrattuali su di esso, deve operarsi, ai sensi dei commi 1 e 2, art. 2120 c.c., ai fini di un’esigenza di certezza dell’entità degli accantonamenti, con riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento degli accantonamenti stessi e non con riferimento a quella vigente all’atto della cessazione del rapporto. Qualora si sostenga il carattere retroattivo dell’esclusione dello straordinario a fini del Tfr – pattuita nel Ccnl vigente all’epoca di risoluzione del rapporto ma estranea e non rinvenibile nei precedenti Ccnl che rimandano ai criteri della fonte legale – si osserva come la pattuizione collettiva sarebbe comunque nulla perché contraria a norma di legge inderogabile, essendo vietato ad un contratto collettivo successivo di peggiorare retroattivamente per un istituto disciplinato ex lege (n. 297/82 afferente la struttura del Tfr, in fattispecie) i criteri diversi e più favorevoli definiti dai Ccnl previgenti, individuati dalla lettera e) dalla ratio legis quali fonti, ratione temporis, immodificabili per gli accertamenti annuali (Cass. 2/3/01, n. 3079, pres. Trezza, est. Lupi, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1188, con nota di Bertolini, Straordinario e Tfr: la Cassazione si smentisce nuovamente e di Meucci, Lineare applicazione da parte della Cassazione dello spirito della l. n. 297/82 sul Tfr)
  8. L’indennità integrativa speciale ai sensi dell’art. 1, l. nn. 87/94 va computata nella quota del 60% nella “base di calcolo” della buonuscita intendendosi individuare con tale espressione non il momento della raccolta del coacervo di elementi retributivi indicati dall’art. 38 e confluenti nella base contributiva nella sola quota dell’80%, ma la fase successiva e finale del calcolo della buonuscita individuata dall’ art. 3 D.P.R. n. 1032/73; va chiarito, quindi, che l’i.i.s., in ottemperanza ai parametri di uguaglianza e proporzionalità fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 243/93, entra a far parte della buonuscita direttamente nella quota del 60% senza dover soggiacere all’ulteriore conteggio dell’80% che ne ridurrebbe l’incidenza alla minore quota del 48% (Corte Appello Bologna 18/1/01, pres. Castiglione, est. Benassi, in Lavoro giur. 2001, pag. 447, con nota di Gennari, Computo dell’indennità integrativa speciale nella buonuscita : un contenzioso ancora aperto)
  9. Esclusa l’esistenza di un principio di onnicomprensività della retribuzione utile ai fini indistintamente degli istituti legali e contrattuali, va tuttavia riconosciuta alla indennità di presenza (o di incentivazione) – in ragione dell’espressa previsione di cui all’art. 12, l. n. 379/55 per i dipendenti degli enti locali cui la delibera n. 407/87 assimila ai fini della quiescenza quelli dell’ARIN – la computabilità della stessa nel loro trattamento di quiescenza, non essendo tale indennità priva del carattere della continuità per il solo fatto di essere corrisposta nelle giornate di effettiva presenza al lavoro ma – all’opposto – dovendosi tale carattere ritenersi sussistente per la circostanza che l’indennità in questione è casualmente correlata all’ordinaria prestazione di lavoro. Altrettanto non può dirsi per l’indennità “buoni pasto”, in quanto esclusa espressamente dalla l. n. 359/92 dalla nozione di retribuzione, salvo che accordi e contratti collettivi, anche aziendali, non dispongano diversamente (Cass. 4/12/00, n. 15418, pres. Ianniruberto, est. Cellerino, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 386)
  10. L’ art. 1, l. 29/1/94, n. 87, nello stabilire l’inclusione dell’indennità integrativa speciale nella base di computo dell’indennità di buonuscita e nel limitare, contestualmente, tale inclusione ad una data percentuale, ha perseguito esclusivamente lo scopo di fissare la misura nella quale il primo di detti emolumenti è da comprendere nel coacervo di quelli destinati a confluire nella base contributiva necessaria alla liquidazione del secondo e non quello di determinare la consistenza dell’i.i.s. secondo criteri di computo diversi ad quelli stabiliti per tutte le alte componenti facenti parte della base contributiva (Cass. 27/10/00, n. 14222, pres. Ravagnani, in Lavoro giur. 2001, pag. 445, con nota di Gennari, Computo dell’indennità integrativa speciale nella buonuscita : un contenzioso ancora aperto)
  11. L’esclusione del compenso per lavoro straordinario dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto disposta dal c.c.n.l. metalmeccanici 5/7/94, deve ritenersi applicabile anche alle “quote” di t.f.r. maturate anteriormente all’entrata in vigore del suddetto contratto collettivo, qualora il rapporto di lavoro sia cessato in vigenza dello stesso c.c.n.l. (Trib. Cuneo 16/3/00, est. Cavallo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 434)
  12. L’art. 48 del Trattato CE (ora art. 39, secondo la nuova numerazione) non osta alla normativa nazionale che neghi il diritto all’indennità di licenziamento a un lavoratore qualora quest’ultimo ponga volontariamente fine al contratto di lavoro per svolgere un’attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro, mentre concede il diritto alla detta indennità al lavoratore qualora il contratto venga risolto senza che il lavoratore stesso ne abbia preso l’iniziativa o ciò non gli sia imputabile (Corte Giustizia 27/1/00, n. C-190/98, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 589, con nota di Bianchi, Indennità di licenziamento e ambito di applicazione dell’art. 48 (ora 39) del Trattato CE)
  13. Poiché il contratto collettivo dei dipendenti da Istituti di Vigilanza stabilisce che la retribuzione annua da prendere alla base della determinazione della quota Tfr è quella composta dal minimo contrattuale, dalla contingenza, e altro, senza nulla prevedere per il compenso del lavoro straordinario, deve ritenersi che, in ipotesi di prestazione di lavoro straordinario continuativo, compensato con la paga base, la contingenza e la specifica maggiorazione, vadano incluse nella base di calcolo del Tfr le prime due voci, mentre ne vada esclusa la sola maggiorazione per il lavoro straordinario (Trib. Parma 12 gennaio 2000, est. Ferraù, in D&L 2000, 431)
  14. Con riguardo alla cosiddetta “indennità estero” – la cui natura mista (in parte retributiva e in parte risarcitoria) è oggetto di una presunzione semplice – è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi, l’accertamento del giudice di merito, il quale (ai fini della computabilità nell’indennità di anzianità e nel trattamento di fine rapporto) abbia ritenuto il carattere interamente retributivo di detta indennità (Cass. 4/1/00, n. 22, pres. Dell’Anno, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 298, con nota di Foglia, Licenziamento del dirigente e qualificazione della nozione convenzionale di “giustificatezza”)
  15. Non vanno computati nel Tfr i premi pagati dall’azienda per polizze assicurative sanitarie, in quanto, con il pagamento di tali premi, non viene attribuito al lavoratore alcun beneficio immediato. Vanno invece computati i contributi volontari versati dalla datrice di lavoro a fondi di previdenza integrativa, costituendo essi quote di retribuzione che il lavoratore rinuncia a riscuotere, destinandole a scopi previdenziali (Pret. Milano 23/7/99, est. Anastasio, in D&L 1999, 881)
  16. Ai sensi dell’art. 1, L. 29/1/94 n. 87, ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita, l’indennità integrativa speciale va computata nell’intera misura del 60% dell’indennità integrativa speciale annua in godimento alla data di cessazione dal servizio, moltiplicata per gli anni utili ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita, e non nella misura ulteriormente ridotta all’80% di tale 60%, in pretesa applicazione dell’art. 38 DPR 29/12/73 n. 1032 (Pret. Milano 23/2/98, est. Vitali, in D&L 1998, 738. In senso conforme, v. Pret. Milano 10/7/97, est. Marasco, in D&L 1998, 145)
  17. In ipotesi di lavoro all’estero, ove risulti accertato in fatto che l’indennità di alloggio sia stata erogata al fine di effettivamente compensare le maggiori spese di reperimento di un alloggio, ne va esclusa l’incidenza sulla indennità di anzianità e sul TFR, salve le diverse e più favorevoli previsioni degli accordi individuali e/o collettivi (Pret. Milano 10/6/96, est. Curcio, in D&L 1997, 143)
  18. L’indennità di cassa va inclusa nella retribuzione di fatto percepita, da assumersi come base per il calcolo della tredicesima mensilità, ai sensi dell’art. 13 D.S. parte III CCNL metalmeccanici, nonché, essendo corrisposta con carattere di continuità, nella base di calcolo del TFR, ai sensi dell’art. 2120 c.c. (Pret. Milano, sez. Rho, 7/11/95, est. Maupoil, in D&L 1996, 481)
  19. La stipula di un contratto di comodato di alloggio in epoca di poco antecedente la stipula del contratto di lavoro, contenente la pattuizione dell’estinzione del contratto al momento della cessazione della carica di dirigente, denota la stretta connessione tra il comodato dell’appartamento e il rapporto di lavoro e di conseguenza comporta il diritto del lavoratore a veder computato nel trattamento di fine rapporto il valore economico dell’alloggio (Cass. 12/4/95 n. 4197, pres. Alvaro, est. Toriello, in D&L 1996, 175, nota S. MUGGIA, L’incidenza del valore dell’alloggio sul TFR)