Pensione di vecchiaia

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Questa voce è stata curata da Fabio Ravelli e Francesca Ajello

 

Nozione

La vecchiaia costituisce uno degli eventi protetti presi in considerazione dall’art. 38 della Costituzione.
Il principale strumento che l’ordinamento previdenziale predispone a favore dei lavoratori che, a causa dell’età avanzata, non sono più in grado di assicurarsi un reddito mediante lo svolgimento di un’attività di lavoro è la “pensione di vecchiaia”.
La caratteristica peculiare della pensione di vecchiaia è la concessione del trattamento previdenziale è subordinata, oltre che alla cessazione dell’attività di lavoro e al raggiungimento di una certa anzianità assicurativa, soprattutto al raggiungimento di una certa età anagrafica (c.d. “età pensionabile”).

 

Sistema di calcolo

Il sistema di calcolo della pensione di vecchiaia varia a seconda dell’anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995 (la Legge 335/1995, cd. “Riforma Dini”, è entrata in vigore il 1° gennaio 1996)

  • a coloro che al 31/12/1995 avevano un’anzianità contributiva di almeno 18 anni, si applica il c.d. “sistema retributivo”, il quale assume come base di calcolo le retribuzioni percepite durante l’ultimo periodo lavorato
  • a coloro che sono stati assunti a partire dal 1/1/1996 si applica integralmente il c.d. “sistema contributivo”, secondo il quale la pensione è calcolata in base alla contribuzione versata durante l’intera vita lavorativa
  • a coloro che sono stati assunti prima del 1996, ma che al 31/12/1995 non avevano ancora maturato 18 anni di contribuzione, si applica il c.d. “sistema misto”, il quale prevede:
    • l’applicazione del sistema di calcolo retributivo per i periodi fino al 31/12/1995
    • l’applicazione del sistema contributivo per i periodi a partire dal 1/1/1996.

Tuttavia, la legge dà la possibilità di optare per il solo sistema contributivo a condizione di avere una contribuzione pari o superiore a 15 anni, di cui almeno 5 versati nel sistema contributivo.

 

Requisiti di accesso al trattamento di vecchiaia

I requisiti richiesti dalla legge per accedere alla pensione di vecchiaia sono stati oggetto di due rilevanti riforme:

  • la cd. Riforma Dini (introdotta con legge 335/1995)
  • il cd. decreto Salva Italia (introdotto con D.L. 201/2011 conv. In L. 22.12.2011 n. 214).

 

 

Riforma Dini

La legge 335/1995 richiedeva due requisiti: l’età pensionabile e l’anzianità contributiva.
L’età pensionabile era stabilita, in via generale, in 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
Erano poi richiesti alcuni requisiti contributivi, che variano a seconda del sistema di calcolo adottato:

  • ai lavoratori cui si applica il sistema retributivo è richiesta una contribuzione minima di 20 anni (comunque accreditata: da attività lavorativa, figurativa, da riscatto, ecc.). Sono sufficienti 15 anni di contributi per coloro che al 31/12/1992:
  • avevano già tale anzianità
  • avevano già compiuto l’età pensionabile prevista all’epoca
  • erano stati autorizzati ai versamenti volontari
  • ai lavoratori cui si applica il sistema contributivo è invece richiesta una contribuzione minima di 5 anni.

A questi ultimi erano concesse altre due vie di accesso al trattamento di vecchiaia:

  • la prima prevede che il soggetto abbia maturato 40 anni di contribuzione (a prescindere dall’età anagrafica)
  • la seconda prevede che il soggetto abbia un’anzianità contributiva di 35 anni ed abbia raggiunto l’età anagrafica prevista per la pensione di anzianità.

Tuttavia, l’accesso alla pensione di vecchiaia prima del 65° anno di età era consentito solo se il soggetto aveva maturato il diritto ad una pensione dell’importo di almeno 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale.
Successivamente, la Legge 122/2010 aveva introdotto una novità nella determinazione delle decorrenze del trattamento pensionistico. La semplificazione si concretizzava nell’individuazione di un criterio temporale per definire l’apertura della finestra contributiva.

Per coloro che avevano maturato il diritto a pensione entro il 31 Dicembre 2010 si applicavano le vecchie disposizioni sull’apertura delle finestre.
Per coloro che avevano maturato il diritto a pensione dopo il 31 Dicembre 2010 si applicavano le nuove decorrenze che prevedono:

  • per gli iscritti al fondo lavoratori dipendenti: il diritto a pensione maturava 12 mesi dopo il raggiungimento dei requisiti
  • per gli iscritti alle gestioni dei lavoratori autonomi e alla gestione separata: il diritto a pensione maturava 18 mesi dopo il raggiungimento dei requisiti.

 

 

Decreto Salva Italia

Il cd. Decreto Salva Italia (D.L. 201/2011 conv. In L. 22.12.2011 n. 214) ha stabilito nuovi requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia, al fine di raggiungere tre differenti finalità:

  • attuare l’equiparazione del requisito anagrafico per uomini e donne;
  • elevare l’età pensionabile;
  • incentivare alla prosecuzione dell’attività lavorativa.

 

 

Requisiti anagrafici

I nuovi requisiti anagrafici, validi a decorrere dall’1.1.2012, si applicano a tutti i lavoratori che siano stati assunti per la prima volta dal 1.1.1996 in poi (quindi privi di anzianità contributiva a tale data) e ai lavoratori passati al sistema contributivo pro rata).
In base alle nuove regole, l’età pensionabile dei dipendenti è così fissata:

  • Per i lavoratori dipendenti del settore privato: 66 anni a decorrere dal 1.01.2012 e a 67 anni a decorrere dal 2021;
  • Per le lavoratrici dipendenti del settore privato la legge effettua un’equiparazione progressiva, così determinata: 62 anni dal 2012; 63 anni e 6 mesi dal 2014; 65 anni dal 2016 e 66 anni dal 2018. A decorrere dal 2021, l’età pensionabile è fissata, anche per le donne, a 67 anni;
  • Per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti del settore pubblico: 66 anni a decorrere dal 2012 e 67 anni a decorrere dal 2021.

Si precisa che i requisiti anagrafici così indicati sono soggetti ad un incremento annuale calcolato in base ad un meccanismo di adeguamento alla speranza di vita che si applica a tutti i trattamenti a decorrere dal 1.01.2013. Secondo tale meccanismo di adeguamento, si dovrebbe giungere, 2021, alla già indicata età pensionabile pari a 67 anni. Qualora ciò non avvenisse, l’età pensionabile verrà comunque pensionabile verrà comunque elevata con decreto direttoriale in modo che nel 2012 il requisito dei 67 anni sia comunque raggiunto.

 

Requisiti contributivi

Ad oggi, gli ulteriori requisiti previsti per accedere al trattamento di pensione di vecchiaia sono:

  • Aver maturato un’anzianità contributiva minima pari a 20 anni;
  • La pensione spettante non deve essere inferiore ad un determinato importo minimo, che viene determinato facendo riferimento al valore dell’assegno sociale (ossia di un prestazione di natura assistenziale erogata dall’INPS e rideterminata di anno in anno);
  • Cessazione del rapporto di lavoro.

Come anticipato, il decreto Salva Italia ha introdotto una forma di incentivazione al proseguimento dell’attività lavorativa, in base al quale il lavoratore, dopo aver maturato i requisiti pensionistici, può decidere di proseguire nella propria attività lavorativa fino ad un limite massimo di flessibilità, fino ai 70 anni.
In tal caso, viene applicato un coefficiente di trasformazione calcolato fino ai 70 anni che incrementa la prestazione pensionistica a favore del lavoratore.

 

Accesso alla pensione di vecchiaia per alcune categorie particolari

Per alcune categorie particolari sono previsti requisiti di accesso ridotti.

LAVORATORI NON VEDENTI
I lavoratori non vedenti, se tali prima dell’iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria, ovvero con almeno 10 anni di iscrizione e contribuzione dopo l’insorgenza della cecità, possono andare in pensione a 55 anni se uomini e a 50 se donne. In tutti gli altri casi i lavoratori non vedenti possono andare in pensione a 60 anni se uomini e a 55 se donne.

LAVORATORI INVALIDI
I lavoratori invalidi con almeno l’80% di invalidità possono andare in pensione a 55 anni se uomini e a 50 se donne.

LAVORI USURANTI
la legge prevede che coloro che svolgono lavori usuranti possono andare in pensione prima, rispetto ai limiti di età stabiliti per la generalità dei casi, in relazione allo svolgimento e alla durata dell’attività.

LAVORATRICI MADRI
Le lavoratrici madri, alle quali si applichi il regime contributivo, possono andare in pensione in anticipo aggiungendo alla loro età 4 mesi per ciascun figlio fino ad un massimo di 12 mesi. In alternativa possono optare per un calcolo più favorevole della pensione grazie all’applicazione di un coefficiente di trasformazione maggiore.

 

L’età pensionabile delle donne

Sino al 1.01.2012, ai fini dell’accesso al trattamento di vecchiaia, per le donne era prevista un’età pensionabile inferiore a quella richiesta agli uomini.
Il divario di età pensionabile poteva comunque essere colmato: la legge consentiva infatti alle donne di optare per la prosecuzione dell’attività lavorativa fino ai limiti di età previsti per gli uomini.
Tuttavia, secondo una sentenza della Corte di giustizia (C-46/07), la differenziazione tra l’età pensionabile delle donne e quella degli uomini, prevista dal nostro ordinamento, si poneva in contrasto con il principio di parità di trattamento in materia di retribuzioni sancito dall’art. 141 del Trattato CE.
La censura della Corte investiva tuttavia solo l’età pensionabile prevista per i dipendenti pubblici. Conseguentemente dal 1° gennaio 2012 l’età pensionabile per le dipendenti pubbliche è pari a 65 anni.
Il decreto Salva Italia, come visto, è stato redatto con l’espressa finalità di ottenere una convergenza fra il requisito previsto per gli uomini e per le donne, con una particolarità:
mentre nel settore pubblico l’equiparazione è già in vigore, per le lavoratrici del settore privato, invece, l’equiparazione avverrà progressivamente e diventerà definitiva nel 2018.

 

Le finestre di uscita dopo la L. n. 247/2007

Anche per il pensionamento di vecchiaia la Legge n. 247/2007 ha previsto alcune finestre di uscita, sicché dal 2008 si potrà andare in pensione di vecchiaia secondo il seguente schema:

Requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia

Requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia

 

 

Cumulo della pensione di vecchiaia con i redditi da lavoro

In via generale, la pensione di vecchiaia è interamente cumulabile con i redditi da lavoro (dipendente e autonomo).
Tuttavia, qualora la pensione sia liquidata con il sistema contributivo, i redditi da pensione e quelli da lavoro sono incompatibili, in tutto o in parte, a seconda dell’età anagrafica del soggetto e del tipo di attività da esso svolta.
In particolare:

  • chi svolge lavoro dipendente dovrà rinunciare alla pensione qualora abbia meno di 63 anni, mentre perderà la metà della quota eccedente la pensione minima qualora abbia dai 63 anni in su;
  • chi svolge lavoro autonomo, a prescindere dall’età, perderà la metà della quota eccedente la pensione minima.

 

 

La domanda di pensione

La domanda di pensione viene presentata per mezzo di appositi moduli reperibili nei siti internet degli enti previdenziali oppure presso gli enti di patronato.
Nel modulo di domanda sono indicati anche i certificati anagrafici (o equivalenti dichiarazioni sostitutive) che vanno allegati.
Il modulo di domanda deve essere presentato, insieme agli altri documenti, presso gli uffici dell’ente previdenziale o presso un ente di patronato riconosciuto dalla legge.

 

Il trattamento pensionistico per i lavoratori autonomi

I lavoratori autonomi godono della prestazione pensionistica nelle seguenti modalità:

  • i lavoratori agricoli, gli artigiani e i commercianti (iscritti alle tre rispettive gestioni speciali) godono della pensione secondo il medesimo sistema previsto per i lavoratori dipendenti;
  • gli iscritti alla Gestione separata dell’INPS godono della pensione di vecchiaia, liquidata secondo il sistema contributivo. I trattamenti sono disciplinati dalle disposizioni previste per la gestione speciale degli esercenti attività commerciale;
  • per i liberi professionisti, la prestazione pensionistica è gestita dalla Cassa previdenziale di afferenza.

 

 

Normativa

  • Legge 8 agosto 1995, n. 335, “Riforma Dini”
  • Legge 24 dicembre 2007, n. 247 “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività”
  • Legge 30 luglio 2010, n. 122 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica””
  • DL 201/2011 conv. In L. 22.12.2011 n. 214

 

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di pensione di vecchiaia

In genere

  1. Il calcolo della pensione dell’avvocato deve tenere conto anche degli anni non coperti da contribuzione integrale.
    La Cassazione, nell’accogliere il ricorso di un avvocato al quale era stato negato il diritto al computo, ai fini dell’anzianità contributiva, di due annualità per le quali aveva effettuato versamenti solo parziali, dà continuità all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che ritiene che, nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo tanto della pensione di vecchiaia quanto nella pensione di anzianità, dal momento che nessuna norma prevede che venga annullata l’annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto. (Cass. 12/6/2023 n. 16586, Pres. Berrino Rel. De Felice, in Wikilabour, Newsletter n. 12/23)
  2. Una lettura ragionevole del divieto di cumulo tra retribuzione e pensione ottenuta in quota 100: dovuta la restituzione solo della quota relativa alla retribuzione percepita, e non dell’intera annualità di pensione.
    Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da un uomo, beneficiario della pensione “quota 100”, al quale l’INPS aveva chiesto la restituzione di una intera annualità di pensione, per il fatto di avere percepito nel medesimo periodo redditi da lavoro dipendente (nel caso, meno di 150 euro per due giornate di lavoro), che la legge considera non cumulabili con il trattamento previdenziale per il periodo fino al raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Secondo il Tribunale, la pretesa dell’Istituto non trova fondamento nella norma di legge, che si limita a prevedere l’incumulabilità senza stabilire la specifica sanzione. La conseguenza individuata dall’INPS è ritenuta iniqua e sproporzionata, e l’Istituto si dovrà limitare a chiedere la restituzione dei maggiori importi percepiti dal beneficiario di pensione “quota 100” a fronte della prestazione di lavoro subordinato. (Trib. Lucca 7/3/2023, Giud. Piccoli, in Wikilabour, Newsletter n. 12/23)
  3. È legittima – attesa l’autonomia regolamentare riconosciuta agli enti previdenziali di diritto privato – la previsione di un termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla pensione, la cui violazione comporta la perdita del diritto alla corresponsione dei ratei di pensione relativi ai periodi anteriori alla presentazione della domanda. (Cass. 18/1/2021 n. 693, ord., Pres. Berrino Rel. Calafiore, in Lav. nella giur. 2021, 422)
  4. Le disposizioni codicistiche in tema di annullamento del contratto per errore si applicano anche agli atti unilaterali, qual è l’atto di dimissioni, ai sensi dell’art. 1324 c.c.; va tuttavia rilevato che la fattispecie in esame non è sussumibile nell’ambito dell’errore determinante l’annullamento dell’atto, giacché l’errore di diritto invocato non concerne propriamente le dimissioni, non lamentando la ricorrente di aver errato né sulla natura, né sugli effetti dell’atto e che quindi fosse viziata la sua volontà di risolvere il rapporto di lavoro. L’errore di diritto è caduto invece su una norma giuridica concernente il distinto, ancorché collegato, rapporto previdenziale, giacché la lavoratrice si aspettava, attraverso il riconoscimento della rendita vitalizia, di aver maturato il diritto al trattamento pensionistico. (Trib. Roma 20/11/2020, Giud. Savignano, in Lav. nella giur. 2021, 425)
  5. Il D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”) va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia per ragioni di conformità rispetto alla normativa Eurounitaria, sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno, nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 7 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, comma 4 e di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 11, comma 4), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale c.d. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro. (Cass. 9/7/2020 n. 14644, Pres. Manna Rel. Pagetta, e Cass. 10/7/2020 n. 14817, Pres. Manna Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2021, 92)
  6. L’iscrizione alla Gestione separata deve considerarsi obbligatoria anche per i soggetti che, già titolari di un trattamento pensionistico, svolgano successivamente attività professionale senza versare al proprio Ente previdenziale privatistico di riferimento una contribuzione idonea a costituire una autonoma posizione previdenziale. Solo l’adeguamento degli Statuti e dei Regolamenti dei citati Enti al disposto di cui al comma 11 dell’art. 18 del d.l. n. 98/2011 può comportarne l’esonero dall’iscrizione alla Gestione separata. (Cass. 23/3/2020 n. 7485, Pres. Manna Est. Cavllaro, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di F. D’Aversa, “La vocazione universalistica della gestione separata: il caso del professionista già pensionato”, 535)
  7. Il diritto del lavoratore a vedersi costituire, a spese del datore, la rendita vitalizia per effetto del mancato versamento dei contributi previdenziali è soggetto all’ordinario termine di prescrizione che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo all’Inps, indipendentemente dal fatto che il lavoratore sia o meno a conoscenza della omissione contributiva. (Cass. S.U. 14/9/2017, n. 21302, Pres. Primo Est. Berrino, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di G. Cavallini, “Il regime prescrizionale del diritto alla rendita vitalizia ex art. 13, l. n. 1338/1962, tra conferme e prospettive critiche”, 123)
  8. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, c. 777, della l. n. 296/2006, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), sollevata – in riferimento all’art. 117, c. 1, Cost., in relazione agli artt. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione, firmato a Parigi il 20.3..1952, ratificati e resi esecutivi, con l. n. 848/1955 – dalla Corte di Cassazione, con ordinanza dell’11.3.2015, è inammissibile. (Corte Cost. 12/7/2017, n. 166, Pres. Grossi Est. Morelli, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di B. Caponetti, “Le pensioni svizzere e il dialogo tra le Corti: non guardarmi, non ti sento!”, 91)
  9. È inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 24, 3° comma, primo periodo, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, conv. con modif. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, come interpretato dall’art. 2, 4° comma, d.l. 31 agosto 2013 n. 101, e 2, 21° comma, l. 8 agosto 1995 n. 335, nella parte in cui impone il collocamento a riposo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età delle impiegate che abbiano maturato i requisiti per il conseguimento della pensione con il raggiungimento del sessantunesimo anno di età e di venti anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 2011, laddove gli impiegati, che si trovino nella medesima condizione lavorativa, sono collocati a riposo al raggiungimento dell’età di sessantasei anni e tre/sette mesi, in riferimento agli art. 3, 37, 1° comma, Cost., e, in relazione agli art. 157 Tfue e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, 11 e 117, 1° comma, Cost. (Corte Cost. 12/5/2017, n. 111, Pres. Grossi Est. Sciarra, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di D. Gottardi, “Le Corti, la disapplicazione, le discriminazioni nei pensionamenti coatti”, 827)
  10. L’art. 3, c. 8, l. n. 297 del 1982 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica) è costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e maturi contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, a ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima. (Corte Cost. 13/4/2017, n. 82, Pres. Grossi Est. Sciarra, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di C. Garofalo, “La neutralizzazione dei periodi contributivi per disoccupazione al vaglio della Corte Costituzionale: una sentenza dall’esito già scontato”, 96)
  11. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 53 Cost., dell’art. 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il quale riconosce, per il triennio 2014-2016, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici in misura progressivamente decrescente dal 100 al 40 per cento, in corrispondenza all’importo del trattamento pensionistico, rispettivamente, superiore da tre a sei volte (per il solo anno 2014) il trattamento minimo Inps. Benché la limitazione della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici stabilita, per il biennio 2012-2013, dall’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011 sia stata dichiarata illegittima con la sentenza n. 70 del 2015, la disposizione impugnata si differenzia (non condividendone, quindi, le ragioni di incostituzionalità) da quella caducata che prevedeva un blocco integrale della rivalutazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo. Il legislatore del 2013 ha, infatti, previsto una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo Inps e per il solo anno 2014, ispirandosi a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e dell’adeguatezza dei trattamenti di quiescenza. (Corte Cost. 13/7/2016 n. 173, Pres. Grossi Est. Morelli, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di L. Taschini, “Solidarietà ed equilibrio di bilancio al tempo della crisi economica. Riflessioni a margine delle sentenze 173 e 174 del 2016 della Corte Costituzionale”, 161, e in Lav. nella giur. 2017, con commento di I. Pepe, 33)
  12. Il contributo di solidarietà a carico dei titolari dei trattamenti pensionistici più elevati non viola gli artt. 3 e 53 Cost. perché non riveste la natura di imposta, attribuitagli dai rimettenti quale presupposto per il sollecitato controllo di compatibilità. Il prelievo istituito dal comma 486 della norma impugnata non è configurabile, infatti, come tributo non essendo acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’Inps e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”. Si è, dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale. (Corte Cost. 13/7/2016 n. 173, Pres. Grossi Est. Morelli, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di L. Taschini, “Solidarietà ed equilibrio di bilancio al tempo della crisi economica. Riflessioni a margine delle sentenze 173 e 174 del 2016 della Corte Costituzionale”, 161 e in Lav. nella giur. 2017, con commento di I. Pepe, 33)
  13. Il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità cui è sottoposto, e palesarsi come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2, 36 e 38 Cost.), deve operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum. Tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame. (Corte Cost. 13/7/2016 n. 173, Pres. Grossi Est. Morelli, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di L. Taschini, “Solidarietà ed equilibrio di bilancio al tempo della crisi economica. Riflessioni a margine delle sentenze 173 e 174 del 2016 della Corte Costituzionale”, 161 e in Lav. nella giur. 2017, con commento di I. Pepe, 33)
  14. È fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che, in assenza di figli minori, studenti o inabili, limita l’ammontare della pensione di reversibilità quando il coniuge scomparso abbia contratto matrimonio a un’età superiore ai settant’anni e il superstite sia più giovane di almeno vent’anni, atteso che ogni limitazione del diritto alla pensione di reversibilità deve rispettare i principi di eguaglianza e ragionevolezza e il principio di solidarietà, che è alla base del trattamento previdenziale in esame, e non deve interferire con le scelte di vita dei singoli, espressione di libertà fondamentali, dovendosi pertanto ritenere inaccettabili limitazioni basate su un dato meramente naturalistico quale l’età per incidere su un istituto – la pensione di reversibilità – fondato sul vincolo di solidarietà che si stabilisce nella famiglia. (Corte Cost. 13/7/2016 n. 173, Pres. Grossi Est. Morelli, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di L. Taschini, “Solidarietà ed equilibrio di bilancio al tempo della crisi economica. Riflessioni a margine delle sentenze 173 e 174 del 2016 della Corte Costituzionale”, 161, e in Lav. nella giur. 2016, con commento di L. Calafà, 1079 e in Lav. nella giur. 2017, con commento di I. Pepe, 33)
  15. L’ordinamento pensionistico non è ispirato a un criterio di precisa corrispondenza tra prestazioni e contributi versati, essendo sufficiente che, in forza dei contributi obbligatori e volontari, al lavoratore siano attribuite adeguate prestazioni previdenziali, mentre non rileva l’inidoneità dei contributi volontari, sulla base di una verifica a posteriori, ad assicurare concretamente un miglioramento delle prestazioni, anche perché, in ogni caso, la contribuzione volontaria determina la conservazione dei presupposti assicurativi per un eventuale pensionamento anticipato di invalidità. (Cass. 15/6/2016 n. 12332, Pres. Napoletano Rel. De Gregorio, in Lav. nella giur. 2016, 931)
  16. Con riferimento alle disposizioni in materia pensionistica di cui all’art. 24 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, la disciplina applicabile agli iscritti all’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) è quella assicurata dalle misure adottate dall’Istituto stesso ai sensi dell’art. 24, co. 24, dello stesso d.l. n. 201, così come previsto per gli iscritti agli altri enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza privatizzati ai sensi del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, come tali indicati nella tabella a quest’ultimo allegata. (Cass. SU 4/9/2015 n. 17589, Pres. Rovelli Est. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Francesca Maffei, “La permanenza in servizio fino ai settant’anni e il necessario consenso del datore di lavoro”, 1160)
  17. In materia di trattamenti pensionistici, la disposizione dell’art. 24, co. 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma si limita a prefigurare condizioni previdenziali di incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino ai settanta anni di età. (Cass. SU 4/9/2015 n. 17589, Pres. Rovelli Est. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Francesca Maffei, “La permanenza in servizio fino ai settant’anni e il necessario consenso del datore di lavoro”, 1160)
  18. Gli enti previdenziali privatizzati (quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, in funzione dell’obiettivo (di cui all’art. 3, comma 12, L. n. 335/1995) di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano, comunque, una trattenuta sul detto trattamento, già determinato, in base ai criteri a esso applicabili e, come tali, risultino peraltro incompatibili con il rispetto del principio pro-rata, essendo il principio stesso stabilito proprio “in relazione alle anzianità già maturate”, che concorrono, appunto, alla determinazione di quel trattamento, e oltrepassino altresì il limite della ragionevolezza, ledendo l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantità dei contributi versati (fattispecie relativa all’azione promossa da alcuni commercialisti ormai in pensione che si erano visti prelevare parte della loro pensione a titolo di contributo di solidarietà, in applicazione di un nuovo Regolamento della Cassa). (Cass. 8/1/2015 n. 53, Pres. Stile Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2015, 418)
  19. Nel regime dettato dall’art. 1, comma 12, l. 8 agosto 1995 n. 335 (di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), prima delle modifiche a tale disposizione apportate dall’art. 1, comma 763, l. 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007), la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata – il cui rispetto è prescritto per le casse privatizzate ex d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti – ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse. Pertanto con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e alle modifiche regolamentari adottate con delibere del 22 giugno 2002, 7 giugno 2003 e 20 dicembre 2003, che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributi distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera – per il calcolo della quota A – il principio del pro rata e quindi trova applicazione il previgente e più favorevole criterio di calcolo: la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell’arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione, e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni. (Cass. 12/8/2014 n. 17892, Pres. Lamorgese Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2014, 1130)
  20. Deve essere respinta la richiesta di risarcimento del danno avanzata da un lavoratore, indotto alle dimissioni alla luce dei dati comunicati dall’INPS, salvo scoprire poi di non avere ancora i requisiti per la pensione, allorché emerga che in tali comunicazioni si richieda esplicitamente la collaborazione dell’assicurato per il riscontro del corretto versamento dei contributi. (Cass. 17/4/2014 n. 8972, Pres. Coletti De Cesare Rel. Marotta, in Lav. nella giur. 2014, 715)
  21. In tema di trattamento pensionistico da riconoscere agli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali, la complessiva normativa regolamentare di risulta – per tale intendendosi quella posta dalle delibere del 22 giugno 2002, del 7 giugno 2003 e del 20 dicembre 2003 – prevede pensioni liquidate col criterio interamente retributivo, secondo i criteri previgenti, se maturate in data antecedente al 31 dicembre 2003, mentre, per quelle maturate successivamente, prevede una quota A (retributiva), determinata considerando la media dei redditi degli ultimi 24 anni come base di calcolo limitatamente all’anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2003, e una quota B (contributiva) per l’anzianità contributiva successiva a tale data. Il principio del pro-rata è stato posto, per le Casse privatizzate, dall’art. 3, comma 12, L. n. 335/1995 e quindi opera solo dall’entrata in vigore di tale legge di riforma e in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche indicenti sulla determinazione della quota A e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità. (Cass. 30/10/2013 n. 24534, Pres. Stile Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2014, 85)
  22. Il danno subito dal lavoratore che sia stato indotto alla anticipata cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di errata comunicazione dell’INPS sulla propria posizione contributiva, e che si sia visto poi rigettare la domanda di pensione di anzianità per insufficienza dei contributi versati, in quanto fondato sul rapporto giuridico previdenziale, è riconducibile a illecito contrattuale. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari da sommarsi a quelli obbligatori anteriormente accreditati. (Cass. 19/9/2013 n. 21454, Pres. Roselli Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2014, 1043)
  23. Il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, n. 1, lett. c) della direttiva 2000/78/CE osta a una normativa nazionale, ai sensi della quale un beneficiario partner di un’unione civile percepisca una pensione complementare di vecchiaia di importo inferiore rispetto a quella concessa a un beneficiario coniugato e non legalmente separato, qualora, da un lato, nello Stato membro interessato il matrimonio sia riservato a persone di sesso diverso e coesista con una forma di unione civile che può essere contratta solamente da persone dello stesso sesso e, dall’altro, sussista una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale, per il motivo che, nell’ordinamento nazionale, il suddetto partner di un’unione civile si trovi in una situazione di diritto e di fatto paragonabile a quella di una persona coniugata per quanto attiene alla summenzionata pensione. (Corte di Giustizia, Grande Sez., 10/5/2011, C-147/08, Pres. Skouris Rel. Svaby, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Borzaga, “Unioni civili, trattamenti pensionistici e discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale: fin dove può spingersi il diritto comunitario del lavoro?”, 215)
  24. La ratio dell’art. 2, 3° comma, lett.b) D.Lgs. 3/12/92 n. 503 è quella di favorire i lavoratori che comunque godano di una minor contribuzione, mantenendo per essi il diritto a pensione con ridotti requisiti di accredito (780 contributi in luogo di 932); è, pertanto, del tutto irrilevante, nonché contrario ai precetti costituzionali di uguaglianza e parità di trattamento, distinguere fra chi abbia maturato meno di 52 settimane all’anno in quanto occupato per periodi inferiori a tale limite e chi, invece, abbia lavorato per l’intero anno solare maturando, tuttavia, una contribuzione di minor peso a causa del peculiare sistema di accredito (caso relativo a una lavoratrice domestica che, in possesso di un’anzianità assicurativa pari a 25 anni, aveva lavorato per molti anni solari interi, ma con un numero di ore settimanali inferiore alle 24 richieste per le collaboratrici domestiche al fine dell’accreditamento del contributo settimanale pieno). (Corte app. Firenze 26/2/2010, Est. Nisticò, in D&L 2010, con nota di Yara Serafini, “I beneficiari del regime pensionistico agevolato ex art. 2, 3° comma, lett. b), D.Lgs. 503/92; la particolare situazione della lavoratrice domestica”, 653)
  25. In tema di trattamento pensionistico, le disposizioni di cui all’art. 59, commi 6 e 8, della L. 27 dicembre 1997, n. 449, che stabiliscono i requisiti per conseguire il diritto alla pensione di anzianità e prevedono, per i lavoratori autonomi, un differimento di quattro mesi nei termini di accesso al trattamento medesimo, si applicano alle pensioni di anzianità decorrenti dal 1° gennaio 1998, indipendentemente dal fatto che l’assicurato abbia maturato il relativo diritto durante la vigenza della legge precedente, atteso che il citato comma 6 fa riferimento non al momento di maturazione del diritto al trattamento pensionistico, ma all’epoca di decorrenza del medesimo, senza che tale soluzione determini un irragionevole sacrificio delle aspettative dell’aspirante non essendo invocabili le garanzie di costituzionalità apprestate per la pensioni di vecchiaia e restando salva, per il legislatore, la possibilità di intervenire con leggi anche peggiorative (entro il limite della ragionevolezza) sui trattamenti in corso di erogazione. Ne consegue, quanto alla disciplina transitoria per le pensioni di anzianità dei lavoratori autonomi per gli anni 1998/2000, che il differimento di quattro mesi dei termini di accesso alla prestazione (cosiddette finestre) vale anche per coloro che avessero già raggiunto i cinquantasette anni, giacché le finalità di bilancio alla base del disposto slittamento, e il conforme trattamento previsto per i lavoratori dipendenti, dimostrano che il requisito anagrafico (età superiore ai cinquantasette anni) non rileva ai fini dell’esclusione dello slittamento stesso. (Cass. 29/4/2009 n. 9998, Pres. De Luca Est. Bandini, in Lav. nella giur. 2009, 952)
  26. In difetto di espressa disposizione di contrario segno, i trattamenti pensionistici devono essere liquidati sulla base della disciplina normativa vigente al momento della loro liquidazione, cosicché la variazione della percentuale di rivalutazione dei redditi, disposta, in applicazione dell’art. 15, ultimo comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773, dal d.m. 18 settembre 1990, per il calcolo delle prestazioni pensionistiche a favore degli iscritti alla Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, non è applicabile alle pensioni liquidate anteriormente alla prevista decorrenza della variazione stessa, rappresentando il fluire del tempo idoneo elemento di versificatore della disciplina delle situazioni giuridiche e non potendo ritenersi l’illogicità di tale elemento di versificatore in considerazione del suo collegamento all’esigenza di rispetto degli equilibri della gestione finanziaria della Cassa. (Cass. 17/4/2009 n. 9255, Pres. De Luca Est. Bandini, in Lav. Nella giur. 2009, 954)
  27. E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 11 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 in relazione all’utilizzo, ai fini perequativi, dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo elaborato per le famiglie degli operai e impiegati anziché di quello elaborato per le famiglie dei pensionati. L’inammissibilità deriva in primo luogo dalla mancanza di motivazione dell’ordinanza di rimessione circa la sussistenza della giurisdizione in capo al remittente, profilo rilevante in quanto il giudizio principale è destinato a incidere su posizioni di diritto soggettivo, il che a sua volta si riverbera sul giudizio di legittimità costituzionali in termini di assenza del carattere di incidentalità della questione proposta (poiché il petitum del giudizio principale non deve identificarsi con l’oggetto della questione di costituzionalità in esso sollevata). In secondo luogo l’inammissibilità deriva dalla mancanza di specifica motivazione dell’ordinanza circa l’esistenza (contestata dall’Avvocatura di Stato) di un solo indice ufficiale elaborato dall’ISTAT per le famiglie dei pensionati. (Corte Cost. 12/1/2009, ord., Pres. Flick Red. Amirante, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Germano Dondi e Roberto Retus, 361)
  28. La facoltà che l’art. 72 c. 11 del d.l. n. 112/2008, convertito con l.n. 133/2008, assegna alla p.a. di risolvere il rapporto lavorativo con i dipendenti con anzianità contributiva di 40 anni deve essere esercitata nel rispetto della buona fede, con conseguente obbligo di motivazione da parte del datore di lavoro pubblico (nella specie, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il collocamento a riposo di un medico, disposto senza espressa motivazione). (Trib. Reggio Emilia 12/1/2009, ord. Est. Parisoli, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Davide Casale, “Il licenziamento del personale pubblico (dirigente) con quaranta anni di anzianità contributiva ex art. 72 del D.L. n. 112/2008”, 1051)
  29. L’art. 72 c. 11 del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008, nel consentire alle p.a. la risoluzione del rapporto lavorativo con i dipendenti con anzianità contributiva di 40 anni, non ha inteso derogare alla disciplina delle durata e della revoca degli incarichi dirigenziali (nella specie, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il collocamento a riposo di un medico che aveva un incarico dirigenziale preesistente al predetto decreto legge). (Trib. Reggio Emilia 12/1/2009, ord. Est. Parisoli, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Davide Casale, “Il licenziamento del personale pubblico (dirigente) con quaranta anni di anzianità contributiva ex art. 72 del D.L. n. 112/2008”, 1051)
  30. Nel calcolo della pensione spettante ai lavoratori addetti ai pubblici servizi di trasporto, che sono andati in pensione anticipatamente, si deve tenere conto della maggiorazione di anzianità contributiva prevista dall’art. 4, comma 1, D.L. n. 501/95 non solo ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione medesima, che non va, pertanto, calcolata solo sulla base della contribuzione effettiva. (Trib. Monza 31/10/2008, dott. Di Lauro, in Lav. nella giur. 2009, 313)
  31. L’art. 19, comma 1, della L. n. 843/78, in relazione alla disciplina di adeguamento al costo della vita delle pensioni dell’assicurazione generale obbligatoria fondata sulla corresponsione di quote aggiuntive (c.d. quote fisse) di importo uguale per tutte le pensioni, di cui all’art. 10, L. n. 160/75, ha escluso, a decorrere dall’1 gennaio 1979, che lo stesso soggetto, se titolare di più pensioni, comprese quelle delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive, integrative, esclusive o esonerative dell’assicurazione generale, possa fruire su più di una pensione di tali quote aggiuntive, o dell’incremento dell’indennità integrativa speciale, o di ogni altro analogo trattamento collegato con il costo della vita. Ne consegue che questa regola trova applicazione anche nel caso di titolarità di una pensione dell’assicurazione generale obbligatoria e di una pensione dello Stato e, in tal caso, al pensionato, come precisa il comma 2 del citato art. 19, continua a corrispondersi l’indennità integrativa speciale inerente alla pensione statale e non spettano invece le quote aggiuntive sulla pensione dell’assicurazione generale obbligatoria corrisposta all’Inps. L’esclusione del diritto alle quote aggiuntive su quest’ultima pensione è applicabile, con riferimento ai periodi in cui il titolare abbia ricevuto anche la pensione statale, anche nel caso in cui successivamente sia stata riconosciuta l’illegittimità dell’attribuzione della pensione statale e tuttavia sia stata esclusa la ripetizione delle rate già corrisposte in ragione della buona fede dell’interessato. (Cass. 23/10/2008 n. 25616, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2009, 83)
  32. Ai fini del conseguimento del diritto allan pensione, il requisito dell’anzianità contributiva nell’a.g.o. può essere raggiunto anche mediante il computo dei periodi di contribuzione versati presso le gestioni speciali dei lavoratori autonomi, con totalizzazione dei contributi, senza necessità di dover domandare la ricongiunzione della posizione contributiva ovvero dimostrare l’impossibilità di ottenerla, tale condizione non essendo prevista dalla legge in considerazione della diversità dei due istituti, tra loro alternativi. (Cass. 8/9/2008 n. 22585, Pres. Mercurio Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, 200)
  33. Nel giudizio promosso dal pensionato per l’accertamento dell’illegittimità della ripetizione dell’indebito avanzata dall’ente previdenziale a seguito della avvenuta corresponsione di somme non dovute, spetta a detto ente fornire la prova dei fatti costitutivi che fondano la pretesa restitutoria e non già al pensionato provare il suo diritto ai pagamenti la cui debenza è stata successivamente contestata all’ente medesimo e ciò in quanto, in riferimento ad azioni di accertamento negativo, nell’applicare le regole di distribuzione dell’onere probatorio poste dall’art. 2697 c.c. occorre dare rilievo non al criterio dell’iniziativa processuale, bensì al criterio di natura sostanziale relativo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, là dove, appunto, grava su chi invoca la ripetizione dell’indebito l’onere di dimostrare non solo l’esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi. (Nella specie, la S.C., enunciando l’anzidetto principio, ha confermato l’impugnata sentenza che aveva accolto la domanda di accertamento negativo proposta da un assicurato in relazione alla pretesa dell’INPS di conseguire la restituzione di ratei pensionistici che si assumevano indebitamente corrisposti, in difetto della prova dell’asserito indebito da parte dell’ente previdenziale. (Cass. 17/7/2008 n. 19762, Pres. Mattone Est. Toffoli, in Lav. nella giur. 2008, 1277)
  34. Ai fini della trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile non può essere utilizzato, per incrementare l’anzianità contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidità in assenza di attività di lavoro, dovendo escludersi l’applicazione in detta ipotesi della diversa regola prevista dall’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità. (Cass. 7/7/2008 n. 18580, Pres. De Luca Est. La Terza, in Orient. giur. lav. 2008, 757)
  35. Ai fini del calcolo della prestazione pensionistica deve farsi riferimento alla retribuzione imponibile così come determinata dallanorma di legge sulla quale sono stati calcolati e versati i contributi. (Cass. 22/2/2008 n. 4678, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Giancarlo Esposti, “Breve nota in punto di retribuzione imponibile”, 693)
  36. In tema di pensione di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria o di forme di previdenza di essa sostitutive, la decorrenza di detta pensione in base alle regole delle “finestre” indicate dall’art. 1, comma 29, della L. 8 agosto 1995, n. 335 – e, quanto alla fase di prima applicazione di tale disciplina, dalla Tabella E richiamata dallo stesso comma 29 citato – rappresenta elemento costitutivo dello stesso diritto a pensione, il quale, pertanto, si perfeziona soltanto nel momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge, essendo quindi irrilevante, per l’insorgenza di siffatto diritto, che l’assicurato abbia, prima del predetto momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e presentato domanda di pensione (come si limitava a richiedere l’art. 22 della L. 30 aprile 1969, n. 153). Ne consegue che la disciplina del menzionato comma 29 dell’art. 1 della L. n. 335 del 1995 ben può incidere retroattivamente su situazioni che, alla data di ingresso della regolamentazione da esso recata (1° gennaio 1996), non abbiano ancora raggiunto la consistenza del diritto, quali appunto quelle di coloro che, sotto l’impero dell’art. 11, comma 8, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, avrebbero dovuto andare in pensione con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo alla maturazione dei prescritti requisiti di contribuzione e di età anagrafica, senza perciò stesso rappresentare un intervento legislativo lesivo del principio dell’affidamento sui cd. “diritti quesiti” (v. Corte cost., sent. n. 393 del 2000), né determinare un vulnus alle garanzie apprestate dall’art. 38 Cost. al diritto a pensione, giacché detta norma fondamentale non riguarda la pensione di anzianità (v. Corte cost., ord. n. 278 del 2003). (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva respinto le domande di taluni dirigenti di aziende industriali – iscritti all’Inpdai, allora ente gestore della previdenza obbligatoria di categoria – i quali, sul presupposto di aver maturato il requisito contributivo e risolto il rapporto di lavoro nella immediata vigenza della legge 8 agosto 1995, n. 335, avevano chiesto che fosse loro riconosciuto il diritto alla pensione di anzianità a decorrere dal 1° gennaio 1996 e non già alla diversa decorrenza del 1° luglio 1996 o del 1° ottobre 1996, applicata in forza dell’art. 1, comma 29, citato). (Cass. 24/8/2007 n. 18041, Pres. Mattone Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 193)
  37. Il regime pensionistico di un lavoratore che abbia prestato periodi lavorativi in Italia e in Germania, e sia perciò assicurato presso i due enti di previdenza sociale dei predetti Stati membri dell’Unione europea, è diverso a seconda che egli abbia o meno maturato i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia in entrambi gli Stati ovvero in uno solo di essi, giacché, nel primo caso egli ha diritto alla doppia prestazione (non applicandosi alla pensione di vecchiaia il divieto di cumulo di prestazioni della stessa natura, secondo quanto disposto dall’art. 12 del Regolamento CEE n. 1408 del 1971, nella formulazione antecedente alle modifiche recate dal Regolamento CEE n. 1248 del 1992), con i temperamenti previsti dalla stessa normativa comunitaria (artt. 44, 46 e 49 del citato Regolamento n. 1408), mentre nel secondo caso avrà diritto alla prestazione presso uno soltanto degli enti previdenziali, cumulando i vari periodi di contribuzione “come se” fossero conseguiti in un solo Stato. Sicché, al lavoratore italiano che abbia ottenuto (come nella specie) la liquidazione della pensione di vecchiaia presso l’ente previdenziale tedesco, non può essere negata la facoltà di far valere presso l’Inps periodi di assicurazione i quali possano comportare la liquidazione di una autonoma prestazione di vecchiaia a carico dell’ente italiano medesimo. (Cass. 26/7/2007 n. 16453, Pres. Mattone Est. Di Nubila, in Lav. nella giur. 2008, 194, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1304)
  38. Il reato di truffa in danno dell’Inpdad per indebita riscossione di pensione non è un reato permanente, nè un reato istantaneo a effetti permanenti, bensì un reato a consumazione prolungata, e, quindi, con riferimento alla prescrizione, il momento consumativo coincide con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato, e il danno addirittura incrementandosi, fino a quando non vengano interrotte le riscossioni. (Cass. pen. 4/7/2007 n. 25560, Pres. Pizzuti Est. Federico, in Dir. e prat. lav. 2007, 2021)
  39. In tema di pensione di anzianità, in applicazione della regola delle “finestre” (art. 1, comma 29, L. n. 335 del 1995), in base alla quale l’apertura della “finestra” è condizione essenziale per la decorrenza della pensione di anzianità, sia a carico dell’assistenza generale obbligatoria che delle forme sostitutive, non è sufficiente il possesso dei requisiti assicurativi e contributivi prescritti (oltre che la presentazione della domanda e la cessazione dell’attività lavorativa) dovendo in aggiunta verificarsi, ai fini della decorrenza del trattamento, la condizione dell’apertura delle “finestre” per il conseguimento della prestazione, sicchè, ove i requisiti si perfezionino entro il terzo trimestre dell’anno, gli interessati possano accedere al pensionamento dal primo gennaio dell’anno successivo. (Cass. 3/4/2007 n. 8306, Pres. Mercurio Est. Picone, in Lav. nella giur. 2007, 1255)
  40. E’ rilevante e non manifestamente infondata – in relazione agli art. 3, primo comma, 35, quarto comma, e 38, secondo comma, della Costituzione – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (contenente “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” – legge finanziaria 2007) nella parte in cui trova applicazione retroattiva anche ai lavoratori che alla data di entrata in vigore di tale disposizione abbiano già maturato il diritto alla pensione di anzianità e l’abbiano esercitato chiedendo, senza averla ottenuta, la liquidazione della prestazione stessa. Infatti, la suddetta norma – incidente, innovativamente, in senso peggiorativo sull’art. 5, secondo comma, del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (e succ. modif.), relativo alla determinazione della retribuzione pensionabile inerente i periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri in conseguenza di convenzioni e accordi internazionali di sicurezza sociale (come quello intercorso – e rilevante nella specie – tra l’Italia e la Svizzera il 14 dicembre 1962, ratificato con la L. 18 maggio 1973, n. 283) – collide, in primo luogo con il canone costituzionale espresso dall’art. 38, comma secondo, Cost., perchè comporta la riduzione ex post di un trattamento previdenziale già maturato, con la conseguenza che – pur tenendo conto della diversità di tutela dei trattamenti pensionistici di anzianità rispetto a quelli di vecchiaia – priverebbe il pensionato di mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Inoltre, la citata disposizione di cui all’art. 1, comma 777, della L. n. 296 del 2006 contrasta con il principio costituzionale della tutela del lavoro all’estero (di cui all’art. 35, comma quarto, Cost., in combinato disposto con l’art. 3, comma primo, Cost.) perchè – a parità di retribuzione percepita in Italia e all’estero – svantaggia il lavoratore emigrato rispetto al lavoratore rimasto in Italia in quanto riparametra retroattivamente la retribuzione pensionabile del primo in termini ingiustificatamente riduttivi e penalizzanti. Infine, la suddetta norma viola anche il principio di uguaglianza, previsto dall’art. 3, comma primo, Cost., atteso che la sua efficacia retroattiva si arresta di fronte all’avvenuta liquidazione della pensione (e, quindi, all’adempimento dell’obbligo dell’Inps), che costituisce una circostanza contingente e causale, inidonea, di per sé, a giustificare un regime differenziato. (Cass. 5/3/2007 n. 5048, Pres. Mercurio Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2007, 1146)
  41. In tema di pensione di anzianità, l’art. 59, comma 6, della legge n. 449 del 1997, non fa alcun riferimento, ai fini della sua operatività, alla data di conseguimento dei requisiti necessari (età anagrafica, anzianità contributiva, data della domanda amministrativa) ma pone, come unico criterio per la sua applicazione, la data di decorrenza della prestazione, con la conseguenza che le regole previste dalla citata disposizione del 1997 si applicano, indefettibilmente, a tutte le pensioni di anzianità aventi decorrenza dal primo gennaio 1998 in poi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il diritto alla pensione di anzianità dal primo gennaio 1998, a un assicurato, lavoratore autonomo, in possesso di trentacinque anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1997, in relazione alla domanda amministrativa presentata nel dicembre 1997, sul presupposto dell’entrata in vigore, a tale data, del D.L. n. 375 del 1997, di sospensione dei trattamenti pensionistici di anzianità fino alla data di entrata in vigore della legge finanziaria del 1998, sospensione confermata, con la citata legge n. 449, innalzando, con effetto sui trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dal primo gennaio 1998, il requisito dell’età anagrafica e spostando in avanti i termini di accesso al pensionamento). (Cass. 2/2/2007 n. 2268, Pres. Senese Est. La Terza, in Dir. e prat. lav. 2007, 2599)
  42. Conformemente al principio enunciato dalla Corte di Giustizia Cee nella sentenza 24 settembre 1998 (causa c-132/96), per determinare l’importo teorico della pensione virtuale, da assumere come base per il calcolo del pro-rata, a carico dell’Inps, della pensione ai superstiti della quale un soggetto sia titolare in dipendenza del cumulo (totalizzante) di periodi di assicurazione maturati dal dante causa sotto la legislazione di diversi Stati membri, va presa in considerazione (ai sensi dell’art. 46, n. 2, lett. a) del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408/71/Cee e delle successive modifiche e integrazioni) l’integrazione al trattamento minimo – alla quale il dante causa aveva diritto, in relazione all’importo teorico – della stessa pensione virtuale. (Cass. 25/1/2007 n. 1667, Pres. Sciarelli Est. Picone, in Dir. e prat. lav. 2007, 2595)
  43. Con riferimento alla contribuzione figurativa per disoccupazione involontaria, la base di calcolo della retribuzione pensionabile, nella quale devono essere inclusi gli emolumenti extramensili (quali i ratei di mensilità aggiuntive e le indennità sostitutive di ferie non godute) rientranti nell’ampia nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi ex art. 12, L. n. 153 del 1969 e successive modifiche, è costituita, per le settimane coperte da contribuzione effettiva e per quelle che non lo sono, dalla retribuzione imponibile ai fini contributivi. (Cass. 9/1/2007 n. 157, Pres. Mercurio Est. Monaci, in Lav. nella giur. 2007, 831)
  44. Tra le due possibili opzioni interpretative dell’art. 4 del D.L. n. 501 del 1995, conv. in L. n. 11/96, bisogna preferire quella per cui il beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva per il prepensionamento dei lavoratori ferrotranviari vale non solo ai fini del conseguimento della pensione, ma anche per la determinazione della misura della stessa. (Corte app. Milano 8/1/2007, Pres. Dott. Castellini Rel. Dott.ssa Curcio, in Lav. nella giur. 2007, 1045)
  45. È costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 4, primo comma Cost., l’art. 3, secondo comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri), nella parte in cui prevede l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità “con l’iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi o con qualsiasi attività di lavoro dipendente” perché, mentre nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria la pensione di anzianità è equiparata alla pensione di vecchiaia quando il pensionato raggiunge la relativa età, ciò non avviene per i geometri, con la conseguenza che la titolarità di detto trattamento si risolve in una limitazione eccessivamente gravosa e a tempo indefinito della possibilità di lavoro. (Cost. 3/4/2006 n. 137, Pres. Marini Red. Amirante, in Dir. e prat. lav. 2006, 1155)
  46. In tema di utilizzazione da parte dei pensionati delle gestioni speciali di contributi accreditati nell’assicurazione dei lavoratori dipendenti, la formulazione letterale dell’art. 2 ter, D.L. n. 30/1974, convertito in L. n. 114/1974, esprime l’intento del legislatore di accrescimento della tutela di coloro che, già titolari di pensioni liquidate dalle gestioni speciali per l’attività di lavoro autonomo, hanno espletato attività di lavoro dipendente e versato i contributi all’assicurazione generale obbligatoria. In nessun modo la norma si presta a essere riferita al pensionato da lavoro dipendente che continua a prestare attività di lavoro autonomo, dovendo escludersi ogni possibilità di interpretazione estensiva e restando precluso il ricorso all’analogia, dal carattere eccezionale della disposizione. Peraltro, il dubbio di legittimità costituzionale della menzionata disposizione è manifestamente infondato, atteso che, come già rilevato dal Giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 54/1987), non è stata introdotta alcuna discriminazione per essere stato, il trattamento di favore, praticato nei confronti del lavoro dipendente, in ragione della differenza con il lavoro autonomo, quanto ai sistemi retributivi e di contribuzione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e decisa nel merito, rigettando la domanda proposta dal ricorrente, titolare di pensione di vecchiaia a carico della gestione lavoratori dipendenti, per la riliquidazione della pensione di anzianità a carico della gestione speciale commercianti, sulla base della menzionata disposizione). (Cass. 23/1/2006 n. 1263, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. Nella giur. 2006, 704)
  47. Per individuare, in relazione alle disposizioni dell’art. 1, commi 25 ss., L. n. 335/1995, le regole che disciplinano la maturazione del diritto alla pensione di anzianità, deve farsi riferimento a quelle vigenti nella gestione previdenziale che eroga la prestazione. E infatti la retribuzione del cumulo, anche automatico, dei contributi accreditati in più gestioni, concerne, esclusivamente, la liquidazione della pensione in una delle gestione dei lavoratori autonomi, mentre, ai fini della liquidazione di una pensione nella gestione dei lavoratori dipendenti, è necessario che il requisito contributivo sussista con riferimento ai contributi alla stessa versati. Pertanto, ove il lavoratore dipendente, in possesso di contributi versati in parte presso la gestione lavoratori dipendenti, non abbia maturato i requisiti sufficienti per il conseguimento della pensione di anzianità nella gestione dei lavoratori dipendenti, e reclami la pensione di anzianità sul presupposto di aver comunque maturato la relativa anzianità contributiva, non sussiste il diritto all’attribuzione della prestazione, non potendo cumularsi i contributi versati nelle due gestioni. (Nella specie, la S.C. risolvendo il contrasto in giurisprudenza, ha ritenuto non conforme al principio di diritto enunciato la decisione del giudice di merito che aveva fissato la decorrenza della pensione di anzianità secondo le regole della gestione lavoratori dipendenti, con il riconoscimento del cumulo dei contributi versati come lavoratore autonomo). (Cass. 21/12/2005 n. 28261, Pres. Carbone Rel. Miani Canevari, in Lav. Nella giur. 2006, 604)
  48. Nessun meccanismo di computo della pensione può danneggiare il prestatore che continui a lavorare dopo aver maturato il diritto alla pensione; pertanto la neutralizzazione dei periodi di retribuzione minore è possibile ogniqualvolta i periodi stessi non siano necessari ai fini dell’anzianità contributiva. (Trib. Ravenna 17/11/2006, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Matteo Marsano, 1119)
  49. Con riguardo alla disciplina posta dall’art. 1, comma settimo, del D.Lgs. n. 503/1992, secondo il quale il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro, tale presupposto – condizionante l’attivazione del detto trattamento previdenziale – prescinde dalla gestione tenuta ad erogare la prestazione, con la conseguenza che, ove un lavoratore abbia due distinte posizioni contributive, ciascuna idonea ai fini dell’attribuzione della rispettiva pensione di vecchiaia, il riconoscimento del diritto alla pensione richiede la cessazione di qualsiasi rapporto lavorativo e non già del solo rapporto in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione chiamata ad erogare la prestazione. Né tale disciplina può suscitare dubbi di illegittimità costituzionale: in relazione all’art. 38 Cost., atteso che, con la percezione del reddito da lavoro verrebbe meno lo stato di bisogno e l’esigenza di garantire al lavoratore mezzi adeguati alle esigenze di vita; in relazione all’art. 3 Cost., rispetto al cumulo tra la pensione, una volta conseguita, e i redditi da lavoro o da altra pensione, considerata la non omogeneità delle situazioni prospettate. Né, infine, una circolare Inps – peraltro insuscettibile di esame diretto da parte della Corte non contenendo norme di diritto – può derogare alla disciplina legale in materia previdenziale o comunque disporre di posizioni giuridiche soggettive garantite dalla legge e sottratte alla disponibilità dell’ente previdenziale. (Cass. 30/8/2005 n. 17530, Pres. Sciarelli Rel. De Luca, in Dir. e prat. lav. 2006, 580)
  50. In relazione alla domanda di pensione di vecchiaia presentata dall’iscritto la sussistenza del requisito della continuità dell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa per i periodi anteriori al quinquennio precedente la suddetta domanda, quando non sia stata esercitata la facoltà di previsione dal vigente testo dell’art. 3 della legge n. 319/1975 e l’interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione di cui agli artt. 17 e 23 della legge n. 576/1980. (Cass. 21/6/2005 n. 13289, Pres. Carbone Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2005, 73)
  51. Con riferimento al danno risarcibile da parte dell’Inps nei confronti dell’assicurato in seguito ad erronee comunicazioni relative alla posizione contributiva , applicandosi l’art. 1223 c.c. – in base al quale è risarcibile quello che sia conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso, rientrando nelle conseguenze normali del fatto secondo il principio della regolarità causale, e non il danno ulteriore determinato da un comportamento autonomo, ancorchè legittimo, ma non necessitato, del danneggiato – nell’ipotesi in cui con le erronee comunicazioni l’assicurato sia stato indotto a ritenere di aver maturato ad una certa data la contribuzione minima obbligatoria idonea per il godimento, al sessantesimo anno, della pensione di vecchiaia, nonché a non chiedere di essere autorizzato al versamento dei contributi volontari mancanti, il danno risarcibile è individuato nelle maggiori somme da corrispondere per il versamento dei contributi volontari a decorrere dalla data in cui sono stati autorizzati contestualmente al rigetto della domanda di pensione, rispetto a quelle che l’assicurato avrebbe dovuto versare se avesse potuto effettuare tempestivamente i versamenti, mentre non vi rientra la mancata maturazione del diritto a pensione, la quale, essendo collegabile all’autonoma scelta dell’assicurato di non versare comunque i contributi dovuti, non costituisce più una conseguenza immediata e diretta del comportamento dell’Inps. (Cass. 15/6/2005 n. 12823, Pres. Ciciretti Rel. Di Cerbo, in Dir. e prat. lav. 2006, 72)
  52. L’editore è tenuto a risarcire il danno pensionistico per mancato versamento dei contributi previdenziali anche se il giornalista non è iscritto all’albo ma impiegato come subordinato. (Cass. 3/1/2005 n. 28, Pres. Sciarelli Rel. De Luca, in Dir. e prat. lav. 2005, 1412)
  53. Ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia a carico della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti, atteso che – secondo l’art. 22, comma terzo, della legge n. 21 del 1986 – l’accertamento del requisito dell’esercizio della professione deve essere compiuto dalla Cassa periodicamente e, comunque, prima dell’erogazione dei trattamenti previdenziali ed assistenziali, in caso di accertamento negativo, effettuato (come nella specie) prima dell’erogazione, è legittima la cancellazione dell’assicurato con riferimento all’intero periodo, senza limiti temporali, non trovando applicazione l’art. 8 del D.P.R. n. 818 del 1957 (secondo il quale debbono essere accreditati agli effetti del diritto alle prestazioni assicurative i contributi indebitamente versati allorchè l’accertamento dell’indebito versamento intervenga dopo altri cinque anni), che presuppone l’esistenza di un rapporto di assicurazione generale obbligatoria con l’Inps. (Cass. 15/4/2005 n. 7830, Pres. Sciarelli Rel. De Luca, in Dir. e prat. lav. 2005, 2004)
  54. Con riferimento ai contributi versati presso la gestione pensionistica separata di cui all’art. 2, comma 26, L. 8 agosto 1995, n. 335, la restituzione dei contributi spetta, per il periodo transitorio contestualmente determinato dal decreto ministeriale delegato, in favore degli iscritti, in possesso del prescritto requisito anagrafico dei sessanta anni di età, che – alla cessazione dell’attività lavorativa – non conseguano “il diritto alla pensione autonoma o ai trattamenti di cui all’art. 3” dello stesso decreto. Ne consegue, trattandosi di norma di carattere eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione, che l’effetto ostativo alla restituzione dei contributi previsto in relazione alle suddette prestazioni previdenziali non può essere esteso all’ipotesi in cui agli iscritti che non raggiungano presso la gestione separata i requisiti per il conseguimento della pensione autonoma sia riconosciuta la “pensione supplementare”, la quale non è erogata dalla stessa gestione separata, ma è posta a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e del relativo Fondo di adeguamento. (Cass. 19/8/2004 n. 16259, Pres. Senese Rel. De Luca, in Lav. nella giur. 2005, 177)
  55. Nel vigente ordinamento previdenziale non è configurabile né un principio generale di immutabilità del titolo della pensione né il principio inverso, di portata ugualmente generale, del diritto al mutamento del suddetto titolo, atteso che il carattere frammentario del sistema normativo impone soluzioni diverse in relazione alla disciplina dei singoli istituti. Pertanto deve ritenersi consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, ove di questa siano maturati tutti i requisiti anagrafici e contributivi, e ciò sia in forza del disposto dell’art. 1 della legge n. 222 del 1984 (che ha introdotto la regola della trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia), sia per la natura del rischio protetto, che accomuna le due forme di tutela, le quali in attuazione dell’art. 38 Cost. garantiscono il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per i casi di invalidità e vecchiaia. Per contro, non è possibile la conversione del trattamento di invalidità in pensione di anzianità sulla base della anzianità contributiva e assicurativa raggiunta con la prosecuzione della attività lavorativa (in relazione alla quale è possibile solo la liquidazione di supplementi di pensione), in ragione della sostanziale diversità di questo beneficio, che rappresenta un riconoscimento ed un premio per la fedeltà al servizio e non è comparabile con le altre forme previdenziali, comprese nell’area di tutela dell’art. 38 Cost., né rileva a questo fine il disposto dell’art. 22 della legge n. 153 del 1969, che stabilisce l’equiparazione tra pensione di anzianità e pensione di vecchiaia solo con riferimento al momento in cui si pervenga al compimento dell’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia. (Cass. 19/5/2004 n. 9492, Pres. Corona Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2004, 2739)
  56. Il rispetto dei diritti quesiti comporta solo che i lavoratori che, al momento di entrata in vigore delle leggi di riforma, avevano già maturato i requisiti per la pensione secondo la precedente normativa (55 anni di età per la donna e 15 anni di contribuzione), pur senza avere ancora presentato domanda di pensionamento, conservano il diritto ad avvalersi dei precedenti più favorevoli requisiti. Alla data in cui la ricorrente ha tuttavia compiuto i cinquantacinque anni – requisito in precedenza valido per poter fruire della pensione di vecchiaia – occorrevano i seguenti requisiti minimi, mutati nel frattempo per effetto della legge n. 724/1994: a) compimento di 56 anni di età; b) almeno 17 anni di anzianità assicurativa e contributiva. Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno valutato la situazione normativa esistente al momento, peraltro successivo, in cui la ricorrente ha presentato la domanda di pensione di vecchiaia. Manifestamente infondata, pertanto, è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 724 del 1994, anche in considerazione del fatto che l’entrata in vigore delle principali norme di riforma non è stata immediata, ma sottoposta a lunghi periodi transitori. (Cass. 20/12/2003 n. 18338, Pres. Mercurio Rel. Celentano, in Lav. e prev. oggi 2004, 527)
  57. Le disposizioni di cui agli artt. 59, commi 6 e 8, L. n. 449/1997, che determinano i requisiti per conseguire il diritto alla pensione di anzianità, nonché, per i lavoratori autonomi, un differimento di quattro mesi nei termini di accesso al trattamento pensionistico, si applicano ai trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dall’1 gennaio 1998, indipendentemente dal fatto che l’assicurato abbia maturato il relativo diritto durante la vigenza della legge precedente, atteso che il citato comma sesto fa riferimento non al momento di maturazione del diritto al trattamento pensionistico, bensì all’epoca di decorrenza del medesimo. Ne consegue, quanto alla disciplina transitoria per le pensioni di anzianità dei lavoratori autonomi per gli anni 1998/2000 che il differimento di quattro mesi dei termini di accesso alla prestazione (cosiddetto finestre) vale anche per i lavoratori autonomi che avessero già raggiunto i cinquantasette anni, giacchè le finalità di bilancio alla base del disposto slittamento ed il conforme trattamento previsto per i lavoratori dipendenti dimostrano che il requisito anagrafico (età superiore ai cinquantasette anni) non rileva ai fini dell’esclusione dello slittamento stesso. (Cass. 28/11/2003 n. 18280, Pres. Prestipino Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2004, 393)
  58. Le disposizioni di cui all’art. 59, commi 6 e 8, della legge n. 449 del 1997, che determinano i requisiti per conseguire il diritto alla pensione di anzianità, nonché, per i lavoratori autonomi, un differimento di quattro mesi nei termini di accesso al trattamento pensionistico, si applicano ai trattamenti pensionistici di anzianità decorrenti dal 1° gennaio 1998, indipendentemente dal fatto che l’assicurato abbia maturato il relativo diritto durante la vigenza della legge precedente, atteso che il citato comma sesto fa riferimento non al momento di maturazione del diritto al trattamento pensionistico, bensì all’epoca di decorrenza del medesimo. Ne consegue, quanto alla disciplina transitoria per le pensioni di anzianità dei lavoratori autonomi per gli anni 1998/2000, che il differimento di quattro mesi dei termini di accesso alla prestazione (cosiddetto finestre) vale anche per i lavoratori autonomi che avessero già raggiunto i cinquantasette anni, giacchè le finalità di bilancio alla base del disposto slittamento ed il conforme trattamento previsto per i lavoratori dipendenti dimostrano che il requisito anagrafico (età superiore ai cinquantasette anni) non rileva ai fini dell’esclusione dello slittamento stesso. (Cass. 28/11/2003 n. 18280, Pres. Prestipino Rel. La Terza , in Dir. e prat. lav. 2004, 629)
  59. Il trattenimento in servizio per un biennio oltre il limite massimo previsto per il collocamento a riposo, come previsto dall’art. 16, D. Lgs. 30/12/92 n. 503, non può essere cumulato con l’ulteriore ed eventuale proroga prevista dall’art. 509, 2° comma, del D. Lgs. 16/4/94 n. 297, a norma del quale i dipendenti della (allora) pubblica istruzione possono essere trattenuti in servizio per il conseguimento del massimo della pensione sino al compimento del 70° anno di età. (Trib. Milano 12/7/2002, ord., Pres. Ed Est. Cecconi, in D&L 2002, 1004)
  60. Ai titolari di pensione ultrasessantenni alla data del 30/6/96 ed iscritti alla Gestione speciale Inps per lo svolgimento di attività di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 2, 2° comma, L. 8/8/95 n. 335, nel caso di cessazione dell’attività di lavoro autonomo nel solo quinquennio decorrente dallo stesso 30/6/96 in avanti, spetta ai sensi dell’art. 4, 26° comma, DM 2/5/96 n. 282 il rimborso di tutti i contributi versati alla Gestione speciale, con la sola esclusione della titolarità di una pensione autonoma, a nulla rilevando la possibilità di richiedere, in virtù di quei contributi, una pensione supplementare ex art. 5 L. 12/8/62 n. 1338. (Trib. Milano 22/3/2002, Est. Sala, in D&L 2002, 776)
  61. Per effetto dell’art. 59, comma 4, l. 27/12/97, n. 449 è stata disposta la cessazione generalizzata – con decorrenza dal 1/1/98 – di qualsiasi forma di adeguamento (del trattamento di pensione) collegato alla evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio (cosiddette “clausole oro”) e la conseguente riconduzione al sistema di rivalutazione o perequazione vigente nell’Assicurazione generale obbligatoria. Per i pensionati del Banco di Napoli S.p.a., in ragione della disciplina antecedente succedutasi nel tempo (decreto legislativo n. 503/92, l. 19/11/96, n. 588, di conversione del cosiddetto “decreto salvabanco”), l’abolizione del suddetto regime privilegiato di perequazione delle pensioni collegate alla retribuzione del pari grado in servizio, si è realizzata invece con la seguente decorrenza: a. dal 27/7/96 (data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del cosiddetto “decreto salvabanco”) per coloro che si trovavano già in quiescenza alla data del 31/12/90 (con la conseguenza che ai ricorrenti che versano in tale situazione spettano le rivalutazioni non percepite dal Banco limitatamente al periodo 1/1/94 – 26/7/96); b. dal 1/1/93 (prima per effetto del blocco generalizzato di qualsiasi forma di perequazione automatica delle pensioni ex lege n. 438/92 e poi per effetto dell’art. 9, comma 2, d.lgs. n. 503/92), per coloro che si trovavano ancora in servizio alla data del 31/12/90. La disciplina in questione si sottrae a qualsiasi censura di incostituzionalità, fondata su presunti diritti quesiti, atteso che – avendo il legislatore ordinario il potere di ridurre l’ammontare dei trattamenti pensionistici (quand’anche si tratti di diritti soggettivi perfetti maturabili nell’ambito dei rapporti di durata) sia nei limiti della compatibilità finanziaria, sia del bilanciamento degli opposti interessi, sia della ragionevolezza (cfr. Corte Costituzionale n. 417/96 e n. 393/00) – le regole giuridiche aventi per oggetto la perequazione delle pensioni sono inderogabili soltanto limitatamente agli effetti già prodottisi (Cass. S.U. 3/7/01, n. 9023, pres. Vela, est. Prestipino, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 1552, con nota di Boer, Il tramonto definitivo della “clausola oro” per le pensioni)
  62. L’art. 59, 4° comma, l. n. 449/97 ha reso obbligatorio ed esclusivo il sistema di perequazione automatica di cui all’art. 11, l. n. 503/92 ed ha definitivamente soppresso i sistemi di perequazione aziendale – senza incorrere in vizi di costituzionalità (cfr. Corte Cost. n. 393/00) in quanto non ha carattere retroattivo ma incide solo per il futuro, contenendone i futuri aumenti, sul rapporto di durata costituito dal rapporto previdenziale – vincolando ad applicare, con effetto dal 1/1/98, il sistema di perequazione legale regolato dall’art. 11, che ha ammesso soltanto l’adeguamento collegato alle variazioni del costo vita (Cass. 21/2/01, n. 2570, pres. Trezza, est. Sciarelli, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1022)
  63. Le modificazioni in peius di un trattamento pensionistico di fonte negoziale sono inopponibili ai lavoratori già cessati dal servizio, non spiegando effetti il contratto collettivo, in difetto di specifico mandato, nei confronti dei lavoratori pensionati; dovendosi, infatti, applicare gli accordi collettivi ai soli dipendenti in servizio alla data di stipulazione degli accordi stessi, essendo detti dipendenti i soli in grado di evitare o contenere, attraverso la contrattazione collettiva, l’incidenza negativa delle nuove disposizioni in materia previdenziale sul trattamento complessivo (Cass. 21/2/01, n. 2570, pres. Trezza, est. Sciarelli, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1022)
  64. Con riguardo alla disciplina posta dall’art.1, comma 7, d.lg. n. 503/92, che prevede che il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro, tale presupposto condizionante l’attivazione del trattamento previdenziale vecchiaia prescinde dalla gestione tenuta ad erogare la prestazione; conseguentemente, ove un lavoratore abbia due distinte posizioni contributive, ciascuna idonea ai fini dell’attribuzione della rispettiva pensione di vecchiaia, il riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia richiede la cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro e non già del solo rapporto di lavoro in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione chiamata ad erogare la pensione. (Cass. 7/2/01, n. 1766, pres. Amirante, est. Guglielmucci, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 416)
  65. Nel vigente ordinamento previdenziale non esiste un principio generale di immutabilità del titolo della pensione, pertanto, non essendovi alcuna specifica norma, deve ritenersi consentita la conversione della pensione o dell’assegno di invalidità in pensione di anzianità, atteso altresì che l’art. 1, comma 10, l. n. 222/84 si è limitato a regolare espressamente (ma non esclusivamente) la trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia, senza peraltro escludere l’ipotizzabilità – col concorso dei necessari requisiti – di una conversione in pensione di anzianità (Corte Appello Milano 8/1/01, pres. Ruiz, est. Accardo, in Orient. Giur. Lav. 2000, 1115)
  66. Ai sensi dell’art. 30, l. 26/4/83, n. 131, possono rientrare nel trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali (al quale, nella specie, faceva riferimento la disciplina del trattamento pensionistico aziendale previsto per i dipendenti dell’Azienda municipalizzata acquedotto Napoli-Aman) tutti gli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione dell’attività lavorativa; pertanto, è computabile in detto trattamento l’indennità di presenza (o di incentivazione), che non è priva del carattere della continuità solo perché corrisposta nelle giornate di effettiva presenza, in quanto tale carattere deve ritenersi sussistente per la circostanza che essa è causalmente correlata all’ordinaria prestazione lavorativa. Non rientra, invece, nel suddetto trattamento pensionistico l’indennità “buoni pasto”, così come desumibile dall’art. 6, comma 3, del d.l. 11/7/92, n. 333, convertito con modificazioni della l. n. 359/92 (Cass. 4/12/00, n. 15418, pres. Ianniruberto, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1116)
  67. Il cosiddetto ” premio di fedeltà”, erogato alla cessazione del rapporto di lavoro, deve essere ricompreso nell’ampio concetto di retribuzione imponibile – e, pertanto, pensionabile – tracciato dalla l. n. 153/69 (Trib. Milano 16/11/00, est. Negri della Torre, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1119)
  68. Poiché l’operatività del recesso non può influire né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti ed esercitato il diritto, hanno ormai conseguito il previsto trattamento pensionistico aziendale, né sulla posizione di coloro che hanno maturato i requisiti per il trattamento pensionistico ma non hanno ancora esercitato il relativo diritto previo proprio collocamento a riposo (posizioni entrambe riconducibili alla nozione di “diritti quesiti”), ma non può avere effetto neppure sulla posizione di coloro che, pur avendo maturato i requisiti per il trattamento aziendale, sono parte della fattispecie a formazione progressiva, costitutiva di capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al fondo ai sensi dell’art. 2117 c.c., per quest’ultimi (lavoratori ancora in servizio ma che hanno già maturato i requisiti minimi contributivi, 10 anni, nella specie, ed anagrafici, 60 anni, nel 1996 elevati ex lege a 62), il recesso non implica l’azzeramento del capitale ma importa il diritto ad ottenere gli accantonamenti effettuati per essi dalla banca fino al momento del recesso (ex art. 18, comma 7, d.l. n. 124/93) (Trib. Rieti 4/7/00, pres. Tucci, est. Canè, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 389)
  69. Il valore retributivo delle contribuzioni figurative per disoccupazione deve essere determinato, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia ordinaria, secondo una media retributiva parametrata su tutti gli emolumenti salariali effettivamente percepiti nel corso del periodo lavorato, compresi gli elementi retributivi extra mensili (come le mensilità supplementari, le indennità per ferie non godute) e non solo sulla base delle retribuzioni settimanali correnti (Trib. Ravenna 25/5/2000, pres. e est. Vignati, in Lavoro giur. 2001, pag. 1080, con nota di Paci, Pensioni di vecchiaia e calcolo dei contributi figurativi)
  70. La società cooperativa è tenuta a versare i contributi per l’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia a favore dei propri soci lavoratori (Cass. 28/4/00, n. 5450, pres. Dell’Anno, in Foro it. 2000, I, pag. 2477)
  71. Il titolare di pensione iscritto alla gestione separata presso l’Inps di cui all’art. 2, 26° comma, L. 336/95 per lo svolgimento di attività di collaborazione coordinata e continuativa che, al 65° anno di età, abbia chiesto all’Inps la cancellazione della suddetta gestione, ha diritto a chiedere ed ottenere direttamente dallo stesso Istituto il rimborso dei predetti contributi versati, con la maggiorazione degli interessi di cui all’art. 2, 1° comma, L. 5/3/90, n. 45, decorrenti dalla data della domanda (Trib. Milano, 31/3/00, est. Cincotti, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 543)
  72. Ai sensi del 4° comma dell’art. 1 DL 26/11/94 n. 654, la sospensione del diritto al trattamento pensionistico non si applica a quei lavoratori che, successivamente alla data di entrata in vigore del DL (28/9/94), si trovassero già in pendenza del periodo di preavviso (Pret. Milano 24/2/99, est. Ianniello, in D&L 1999, 445, n. Saija, Decisione tardiva su ricorso amministrativo in materia previdenziale e termini di decadenza dell’azione giurisdizionale)
  73. Ai sensi dell’art. 38 DPR 26/4/57 n. 818 che equipara ai figli legittimi, tra gli altri, i figli nati da precedente matrimonio, ai figli nati dal primo matrimonio, di padre vivente, ma a carico del secondo coniuge della madre, spetta la pensione di reversibilità, nella quota riservata ai figli minori, nel caso di morte di quest’ultimo (Pret. Milano 3 febbraio 1999, est. Sala, in D&L 2000, 263)