Processo del lavoro

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Questa voce è stata curata da Alvise Moro

 

Scheda sintetica

Il nostro ordinamento ha previsto un rito speciale – introdotto con la Legge 11 agosto 1973, n. 533 – per la trattazione di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro ed in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria.
Il rito speciale del lavoro si applica alle controversie relative a tutti i rapporti di lavoro subordinato, sia a quelle riguardanti obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato, sia a quelle in cui tale rapporto si presenti come antecedente o presupposto necessario della situazione di fatto posta a fondamento della domanda.
Il rito del lavoro si applica anche a rapporti non inerenti l’esercizio dell’impresa, ossia a rapporti alle dipendenze di datori di lavoro non imprenditori.
La controversia si può riferire a qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, anche non ancora costituito o già cessato, nonché a tutti gli aspetti del rapporto.
Il rito speciale in oggetto si applica, inoltre, anche a controversie estranee all’ambito del rapporto di lavoro subordinato privato, quali quelle relative a rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, se caratterizzati da prestazione d’opera continuativa e coordinata e prevalentemente personale, a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, a prestazioni previdenziali ed assistenziali obbligatorie.
Da ultimo, accanto al rito disciplinato dal codice di procedura civile e di cui si è appena descritto il campo di applicazione, la legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha introdotto un ulteriore procedimento speciale che riguarda tutti i licenziamenti illegittimi per i quali si applicano le sanzioni previste dall’art. 18 L. 300/1970, anche quando la decisione sul licenziamento presuppone la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro (cioè, quando, per esempio, il recesso sia avvenuto nel corso di un rapporto di lavoro formalmente autonomo e il ricorrente intende far valere la natura subordinata del rapporto).

 

Fonti normative

  • artt. 24 e 111 Costituzione
  • artt. 409 e seguenti c.p.c.
  • artt. 18 e 19 c.p.c.
  • art. 2113 c.c.
  • art. 185 c.p.c.
  • artt. 670-702 c.p.c.
  • Legge 11 agosto 1973, n. 533
  • Legge 31 marzo 1998, n. 80
  • Decreto legislativo n. 165/2001
  • Decreto legislativo n. 124/2004
  • Decreto Legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, art. 1
  • Legge 4 novembre 2010, n. 183, artt. 75 e seguenti
  • Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita

 

 

Scheda di approfondimento

Il nostro ordinamento ha previsto un rito speciale – introdotto con la Legge 11 agosto 1973, n. 533 – per la trattazione di tutte le controversie relative a rapporti di lavoro ed in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria.
Il processo del lavoro, malgrado presso molti uffici giudiziari – per una serie di ragioni che qui non serve illustrare – il rito speciale non sia sempre, in tutto o in parte, rispettato, continua comunque a rappresentare il più efficiente procedimento civile, caratterizzato da:

  • oralità: vanno redatti per iscritto soltanto gli atti introduttivi, mentre l’ulteriore deposito di note difensive deve essere espressamente disposto dal Giudice;
  • immediatezza: i tempi sono scanditi da rigorose decadenze e dal divieto di udienze di mero rinvio;
  • concentrazione degli atti.

In buona sostanza, il rito speciale, disciplinato dagli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile (recentemente modificati dalla legge 4 novembre 2010, n. 183), si differenzia da quello ordinario:

  • per una maggiore celerità;
  • per i più ampi poteri istruttori riconosciuti al Giudice del Lavoro;
  • per uno spiccato favor alla conciliazione della controversia.

 

 

Campo di applicazione

Il rito speciale del lavoro si applica, in primo luogo, alle controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato:

  1. sia a quelle riguardanti obbligazioni caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato,
  2. sia a quelle in cui tale rapporto si presenti come antecedente o presupposto necessario della situazione di fatto posta a fondamento della domanda.

Occorre, poi, precisare che il rito del lavoro si applica anche a rapporti non inerenti l’esercizio dell’impresa (art. 409 n. 1 c.p.c.), ossia a rapporti alle dipendenze di datori di lavoro non imprenditori, come ad esempio il lavoro a domicilio, il lavoro domestico, il rapporto di portierato negli stabili urbani.

 

Oggetto

La controversia si può riferire a qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, anche non ancora costituito o già cessato, nonché a tutti gli aspetti del rapporto.
Quindi, oltre alle normali pretese di natura retributiva ed alle impugnazioni dei licenziamenti, rientrano nella disciplina in esame anche le controversie aventi ad oggetto ad esempio:

  1. la costituzione del rapporto di lavoro;
  2. l’impugnazione dei trasferimenti individuali;
  3. l’applicazione di sanzioni disciplinari;
  4. il risarcimento di danni conseguenti a violazioni di regole imperative (mancata fruizione di ferie, danni da infortunio, mancato versamento dei contributi previdenziali, etc.);
  5. il risarcimento di danni all’immagine professionale;
  6. l’inquadramento del lavoratore (attribuzione a mansioni superiori o inferiori, demansionamento, etc.);
  7. la violazione degli obblighi di fedeltà e di non concorrenza;
  8. il mobbing;
  9. le molestie sessuali;
  10. il trasferimento d’azienda;
  11. la cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo del socio lavoratore con la società cooperativa;
  12. gli atti aventi ad oggetto rinunzie o transazioni.

Il rito speciale in oggetto si applica, inoltre, anche a controversie estranee all’ambito del rapporto di lavoro subordinato privato, quali quelle relative a:

  1. rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, se caratterizzati da prestazione d’opera continuativa e coordinata e prevalentemente personale (art. 409 n. 3 c.p.c.);
  2. rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, lavoratori a progetto, procacciatori d’affari, amministratori di società di capitali, amministratori di condominio.
  3. prestazioni previdenziali ed assistenziali obbligatorie (art. 442 c.p.c.);
  4. contratti agrari (rapporti di mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto), o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto, ferma restando, però, la competenza delle sezioni specializzate agrarie previste dalla legge n. 320/1963 (art. 409 n. 2 c.p.c.);
  5. locazione e comodato di immobili urbani e affitto di aziende (art. 447-bis c.p.c.), innanzi al Giudice ordinario.

 

 

Tentativo facoltativo di conciliazione

Avanti la Commissione di Conciliazione

Con l’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 183, che ha modificato l’art. 410 c.p.c., a far data dal 24 novembre 2010, chi intende proporre un’azione in giudizio non è più obbligato a promuovere un previo tentativo di conciliazione. L’obbligo permane esclusivamente qualora la controversia riguardi contratti certificati (di cui tratteremo a breve).
Quindi, in linea generale, il tentativo di conciliazione è meramente facoltativo e non costituisce più una condizione di procedibilità della domanda (la legge n. 183/2010 ha abrogato, con l’art. 31 comma 9 anche gli artt. 65 e 66 che disciplinavano il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni).
Le parti – e, quindi, sia il lavoratore che il datore di lavoro – prima di adire il Giudice del Lavoro, possono promuovere il tentativo di conciliazione, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato, presso la Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro della provincia in cui è sorto il rapporto oppure della provincia in cui si trova l’azienda oppure della provincia in cui si trovava la dipendenza dell’azienda al momento della fine del rapporto.

Nel caso di rapporti di collaborazione, agenzia e rappresentanza, il tentativo di conciliazione può essere promosso unicamente presso la Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, del rappresentante o del titolare del rapporto di collaborazione.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento alla Direzione Provinciale del Lavoro.
Copia della richiesta del tentativo di conciliazione, a seguito della modifica dell’art. 410 c.p.c., deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.

Nella richiesta la parte è tenuta a precisare:

  1. nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta, nonché la sede;
  2. il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
  3. il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
  4. l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la Commissione di Conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.
Entro i dieci giorni successivi al deposito della memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale, la Commissione di Conciliazione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni.
Trattasi di termini non perentori.

Dinanzi alla Commissione di Conciliazione il lavoratore può farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione di Conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la Commissione di Conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
Delle risultanze della proposta formulata dalla Commissione di Conciliazione e non accettata senza adeguata motivazione il Giudice del Lavoro eventualmente adito deve tener conto all’esito del successivo giudizio per la decisione sulle spese di giudizio.
Per tale ragione, ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’art. 415 c.p.c. devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito.

 

In sede sindacale

Il tentativo di conciliazione può svolgersi anche in sede sindacale. Ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’art. 410 c.p.c. (per quanto concerne invio della richiesta, esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa, memoria, etc.).
Nel nuovo testo dell’art. 410 c.p.c. è stato eliminato il precedente richiamo alle “procedure di conciliazione previste da contratti ed accordi collettivi”: ciò induce a ritenere che il tentativo di conciliazione in sede sindacale possa ora essere esperito anche se la contrattazione collettiva non lo prevede espressamente.
Il verbale di conciliazione in sede sindacale deve essere depositato presso la Direzione Provinciale del Lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale.
Il Direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella Cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto.
Il Giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
Il verbale acquista in tal modo efficacia di titolo esecutivo. Il titolo esecutivo è il documento che consente, nel processo civile, di promuovere l’esecuzione forzata.
La giurisprudenza, per quanto concerne i requisiti di validità e di inoppugnabilità ex art. 2113 c.c. dei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c., considera invalido ed inidoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 2113 c.c. il verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto in assenza di uno dei due conciliatori.
Le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi non sono valide, a meno che non siano contenute in verbali di conciliazione sottoscritti in sede amministrativa, sindacale o giudiziale (artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c.).

 

Tentativo obbligatorio di conciliazione

Il tentativo di conciliazione è ancora obbligatorio in un solo caso: quando la futura controversia giudiziale riguardi un contratto che è stato certificato ai sensi dell’art. 75 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dall’art. 30 comma 4 della Legge n. 183/2010 (“al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita” nel titolo VIII del decreto legislativo n. 276/2003).
Si precisa, in proposito, che sia le parti che i terzi, nella cui sfera giuridica il contratto certificato è destinato a produrre effetti, possono adire l’autorità giudiziaria per:

  • erronea qualificazione del contratto;
  • difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione;
  • vizi del consenso;

Tuttavia essi sono obbligati a rivolgersi previamente alla stessa Commissione di Certificazione che ha certificato il contratto e chiedere che sia esperito il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c.


Una nuova forma di conciliazione è stata poi introdotta con la legge di riforma del 2012.
Essa deve essere esperita nelle sole ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro cui si applichi la disciplina di cui all’art. 18 S.L.
Più precisamente, la riforma prevede che, in questo caso, il licenziamento debba essere preceduto da una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro (Dtl), ove ha sede l’unità produttiva nella quale è impiegato il lavoratore. La comunicazione deve essere inoltre trasmessa per conoscenza a quest’ultimo.
In tale comunicazione, il datore di lavoro deve indicare la propria intenzione di procedere al licenziamento e i motivi del medesimo, oltre alle eventuali misure per la ricollocazione. Entro sette giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl trasmette alle parti la convocazione per un incontro (che si deve svolgere secondo le disposizioni contenute nell’art. 410 cod. proc. civ.) finalizzato ad esaminare eventuali soluzione alternative al recesso.
La procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, salvo che le parti non chiedano una proroga per arrivare ad un accordo o che la procedura non debba essere sospesa per legittimo impedimento del lavoratore (la sospensione non può comunque essere superiore a quindici giorni).
Essa può concludersi in diversi modi:

  • se il tentativo di conciliazione fallisce o il termine di 20 giorni decorre inutilmente, il datore di lavoro può comunicare al lavoratore il licenziamento che ha efficacia a decorrere dalla prima comunicazione;
  • se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore ha diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego.

 

 

Differenze con la conciliazione monocratica

La conciliazione ex art. 410 c.p.c. non va confusa con la conciliazione monocratica ex art. 11 del Decreto legislativo n. 124/2004, tenuta sempre presso la Direzione Provinciale del Lavoro.

 

Decadenze

A seguito della modica dell’art. 6 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, l’impugnazione del licenziamento è inefficace se non è seguita entro il termine di 180 giorni (270 per i licenziamenti intimati prima del 18 luglio 2012) – che decorrono dal termine di decadenza di cui al primo comma dell’art. 6 cit. – dal deposito del ricorso nella Cancelleria del Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al Giudice del Lavoro deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
Tali nuove disposizioni si applicano anche:

  1. a tutti i casi di invalidità del licenziamento;
  2. ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;
  3. al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto;
  4. al trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c., con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;
  5. all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo;
  6. ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge 4 novembre 2010, n. 183, con decorrenza dalla scadenza del termine;
  7. ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della legge 4 novembre 2010, n. 183, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;
  8. alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c. con termine decorrente dalla data del trasferimento;
  9. in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

 

 

Primo grado

Il processo del lavoro si articola in tre gradi di giudizio.
La sentenza di primo grado è impugnabile con ricorso in appello.
La sentenza d’appello, invece, è impugnabile con ricorso per cassazione per sole questioni di legittimità (violazione di norme di diritto, di procedura, sulla competenza e sulla giurisdizione).
Va precisato che il legislatore ha previsto un rito speciale solo per i primi due gradi di giudizio.

 

Competenza

A seguito dell’istituzione del Giudice Unico, le controversie in materia di lavoro e previdenza e assistenza obbligatorie sono di competenza del Tribunale in composizione monocratica in funzione di Giudice del Lavoro.
Esse sono trattate esclusivamente nella sede principale del Tribunale.
Si tratta di una competenza esclusiva per materia e, quindi, il Tribunale è competente per tutte le controversie indicate nell’art. 409 c.p.c., qualunque ne sia il valore.
Ai fini dell’individuazione del Giudice competente per materia, è necessario riferirsi all’oggetto della domanda proposta dall’attore ed ai fatti dedotti a fondamento della stessa; pertanto, né le eccezioni formulate dal convenuto, né la sommaria indagine sui documenti prodotti in giudizio possono comportare una decisione diversa da quella compiutamente ravvisabile in base alla domanda.
In particolare, la competenza del giudice deve essere determinata sulla base del tipo di rapporto invocato nella domanda dell’attore.
Competente per territorio è il Giudice nella cui circoscrizione:

  1. è sorto il rapporto,
  2. ovvero si trova l’azienda
  3. o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della cessazione del rapporto. Tale competenza permane anche dopo il trasferimento o la cessazione dell’azienda o di una sua dipendenza, purché la domanda sia presentata entro sei mesi da tale evento. Il termine semestrale è sospeso dalla comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi.

I fori indicati sono alternativi, non avendo valore determinante ed esclusivo il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.
Il ricorrente è, quindi, libero di scegliere uno dei fori indicati dal legislatore, purché provi che ricorrono gli elementi di fatto relativi al criterio di competenza per territorio prescelto.
Qualora non risulti possibile individuare il Giudice competente sulla base dei suddetti criteri si dovrà fare riferimento ai fori generali delle persone fisiche e giuridiche (artt. 18 e 19 c.p.c.).
Sono nulle le clausole derogative della competenza per territorio e a nulla vale l’eventuale approvazione specifica, in quanto la competenza per territorio inderogabile costituisce un’ipotesi di competenza funzionale.
La nozione di dipendenza alla quale è stato o è addetto il lavoratore comprende anche un’elementare terminazione dell’impresa costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa (quali, ad esempio, il computer, la modulistica e l’autovettura utilizzata dal dipendente per lo svolgimento dell’attività).
In caso di rapporto di lavoro eseguito con le modalità del telelavoro a domicilio, se il domicilio del lavoratore e la sede dell’azienda appartengono a fori diversi, è competente il giudice nella cui circoscrizione si trova la sede dell’impresa e non quello del domicilio del lavoratore.
I tre fori previsti dalla legge (art. 413 c.p.c.) operano in modo alternativo e concorrente anche rispetto alla domanda proposta da lavoratori invalidi avviati obbligatoriamente per la costituzione del rapporto di lavoro ed il risarcimento danni per la mancata assunzione.
Il primo foro va identificato in relazione alla sede della Direzione Provinciale del Lavoro che ha emesso il provvedimento di avviamento, gli altri due con riferimento, rispettivamente, al luogo dove si trova l’azienda o la dipendenza, in relazione alla quale il servizio del collocamento, nella sua competente articolazione locale, ha emesso quel provvedimento.
Il foro dell’azienda è costituito dal luogo in cui sono effettivamente esercitati i poteri di direzione e amministrazione e non dal luogo in cui si trova la sede legale.
Per le controversie riguardanti rapporti di collaborazione, di agenzia e rappresentanza commerciale, la competenza per territorio, è devoluta, invece, in via esclusiva al Giudice nella cui circoscrizione ha il proprio domicilio il collaboratore, l’agente o il rappresentante.
La competenza resta invariata anche quando, dopo la cessazione dei rapporto, ma prima della proposizione della domanda giudiziale, il lavoratore abbia trasferito altrove il proprio domicilio.

 

Svolgimento del processo di primo grado

La domanda relativa ai diritti oggetto di controversia si propone con ricorso.
Il ricorso deve necessariamente contenere (art. 414 c.p.c.):

  1. l’indicazione del giudice;
  2. le generalità del ricorrente (nome, cognome, residenza o domicilio eletto nel comune in cui ha sede il Giudice); se il ricorrente è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicarne la denominazione o ditta, nonché la sede (art. 414, comma I n. 2, c.p.c.);
  3. le generalità del convenuto (nome, cognome, residenza, domicilio o dimora); se il convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicarne la denominazione o ditta, nonché la sede (art. 414, comma I n. 2, c.p.c.);
  4. la determinazione dell’oggetto della domanda;
  5. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda, con le relative conclusioni. La mancata determinazione dell’oggetto della domanda e l’omessa esposizione degli elementi di fatto e di diritto su cui essa si fonda comportano la nullità insanabile del ricorso, qualora tali elementi non siano individuabili neppure attraverso un esame complessivo dell’atto. La nullità è rilevabile anche d’ufficio e in grado di appello, ma non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità. L’accertamento spetta al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione. I fatti su cui il ricorrente fonda le sue pretese devono essere specificatamente indicati nell’atto, non potendo a tale obbligo supplire una produzione documentale che presuppone, invece, la preventiva estrinsecazione del fatto;
  6. l’indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti che si producono.

Il ricorso, con i relativi allegati, deve essere depositato nella Cancelleria del Giudice, il quale, nei successivi 5 giorni, fissa con decreto l’udienza di discussione.
Il ricorrente deve notificare ricorso e decreto al convenuto entro il termine ordinatorio di 10 giorni dall’emissione del decreto stesso, facendo sì che tra la data della notifica e quella dell’udienza intercorra un temine perentorio non inferiore a 30 giorni.
All’udienza di discussione, che dovrebbe tenersi entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso (termine ordinatorio), le parti devono essere presenti personalmente.
Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno 10 giorni prima dell’udienza di discussione depositando nella Cancelleria del Giudice una memoria difensiva in cui, a pena di decadenza, deve:

  1. prendere posizione in modo preciso sui fatti allegati dal ricorrente;
  2. proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio;
  3. proporre le domande riconvenzionali;
  4. indicare specificamente i mezzi di prova;
  5. depositare i documenti.

Nell’udienza fissata per la discussione della causa il Giudice interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione della lite e, ai sensi dell’art. 420 c.p.c., come modificato dall’art 31 comma 4 della legge 4 novembre 2010, n. 183, formula alle parti una proposta transattiva. Tale tentativo può essere rinnovato in qualunque momento della controversia (art. 185 c.p.c.).
La mancata comparizione delle parti o il rifiuto della proposta transattiva del Giudice senza giustificato motivo costituiscono comportamento valutabile dal Giudice ai fini del giudizio.
Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale, però, deve essere a conoscenza dei fatti della causa; la mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti di causa è valutata dal Giudice ai fini della decisione.
La procura deve essere conferita con atto pubblico (art. 2699 c.c.) o scrittura privata autenticata (art. 2703 c.c.) e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare e transigere la controversia.
Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale, però, deve essere a conoscenza dei fatti della causa; la mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti di causa è valutata dal Giudice ai fini della decisione.
La procura deve essere conferita con atto pubblico (art. 2699 c.c.) o scrittura privata autenticata (art. 2703 c.c.) e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare e transigere la controversia.
L’interrogatorio libero delle parti non è un mezzo di prova, in quanto non è preordinato a provocare la confessione, bensì semplicemente a chiarire i termini della controversia ed a rendere possibile il tentativo di conciliazione. Esso costituisce un adempimento doveroso per il Giudice, ma la sua omissione non determina alcuna sanzione di nullità che si rifletta sulla validità della sentenza, né può costituire motivo di impugnazione in sede di legittimità.
Dalle dichiarazioni rese, così come dal rifiuto della parte di sottoporvisi, il giudice può trarre elementi chiarificatori e sussidiari del proprio convincimento.
Se la conciliazione riesce viene redatto un processo verbale con efficacia di titolo esecutivo.
Se la conciliazione non riesce, il Giudice, valutate le eccezioni preliminari di rito e pregiudiziali di merito (giurisdizione, competenza, improponibilità dell’azione per decadenza, prescrizione estintiva) può ritenere la causa matura per la decisione; in tale ipotesi, il Giudice invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza.
Se, invece, occorre istruire la causa, il Giudice decide se ammettere i mezzi di prova già proposti dalle parti nei rispettivi atti, nonché quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti.
L’assunzione delle prove può avvenire nella stessa udienza, ma usualmente il Giudice rinvia tale incombente ad un’udienza successiva.
Rispetto al rito ordinario, il Giudice del Lavoro ha poteri più ampi, anche sotto l’aspetto istruttorio. Egli può, ad esempio, ordinare d’ufficio l’esibizione di documenti, accedere al luogo di lavoro, chiedere informazioni ai sindacati, disporre l’ammissione di qualsiasi mezzo di prova, ridurre le liste testimoniali.
Esaurita l’istruttoria, il Giudice può fissare un’udienza di discussione, anche concedendo alle parti un termine per il deposito di eventuali note difensive.
La discussione è orale.
Al termine della discussione, il Giudice pronuncia la sentenza, dando immediata lettura del dispositivo (c.d. principio di concentrazione) in pubblica udienza a pena di nullità della sentenza.
Per i processi instaurati dal 25 giugno 2008, la nuova normativa ha introdotto l’obbligo per il Giudice di esporre contestualmente alla lettura del dispositivo anche le ragioni di fatto e di diritto della decisione, prevedendo, solo in caso di particolare complessità della controversia, la possibilità di fissare nel dispositivo un termine, non superiore a 60 giorni, per il deposito della sentenza.

 

Ordinanze anticipatorie degli effetti della sentenza

Il Giudice, in ogni stato del giudizio, può disporre con ordinanza il pagamento delle somme non contestate.
Il Giudice può anche ordinare nel corso del processo il pagamento di una somma a titolo provvisorio (o provvisionale), quando ritiene accertato il diritto e nei limiti della quantità per la quale considera raggiunta la prova.
La legge prevede, per l’emissione dell’ordinanza di pagamento delle somme non contestate, l’istanza di parte senza alcuna specificazione, il che significa che essa deve essere emessa anche se a formularla è il datore di lavoro.
Per quanto riguarda la provvisionale, invece, è ammessa solo l’istanza del lavoratore.
Le ordinanze costituiscono titolo esecutivo; quella relativa alla provvisionale può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Questi provvedimenti non sono appellabili, trattandosi di ordinanze riesaminabili dal giudice nel corso del procedimento; prive del carattere della decisorietà non sono assimilabili alla sentenza di condanna.

 

Secondo grado

Contro le sentenze pronunciate dal Tribunale la parte soccombente può proporre appello.

 

Competenza

La competenza a decidere in secondo grado spetta alla Corte d’Appello.

 

Svolgimento del processo di secondo grado

L’appello si propone con ricorso, che deve essere depositato nella Cancelleria della Corte d’Appello competente:

  • nel termine di 30 giorni se la sentenza è stata notificata (c.d. termine breve)
  • o, in caso contrario, entro un anno dalla pubblicazione (c.d. termine lungo).

Se non viene proposto appello nei termini la sentenza di primo grado passa in giudicato.
La tempestività dell’appello va riscontrata con riferimento alla data del deposito del ricorso in appello presso la Cancelleria del Giudice di secondo grado, e non a quella della successiva notificazione del ricorso stesso e del decreto di fissazione dell’udienza.
Il ricorso deve contenere le stesse indicazioni previste per la proposizione della domanda in primo grado, nonché la specifica indicazione dei motivi dell’impugnazione.
Il Presidente della Corte, entro 5 giorni dalla data di deposito del ricorso, nomina il Consigliere Relatore e fissa con decreto, nel termine ordinatorio di 60 giorni dalla stessa data, l’udienza di discussione, dandone comunicazione all’appellante.
Ricorso e decreto vanno notificati alla controparte appellata nel termine ordinatorio di 10 giorni.
Tra la data di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza all’appellato e quella dell’udienza deve intercorrere un termine perentorio non minore di 25 giorni, a pena di nullità del ricorso.
La costituzione in giudizio dell’appellato deve avvenire almeno 10 giorno prima dell’udienza di discussione con il deposito in Cancelleria della memoria difensiva e del fascicolo.
In grado d’appello non è ammesso il mutamento delle domande originarie formulate in primo grado, né l’introduzione di domande nuove o nuove eccezioni. Non sono ammessi neppure nuovi mezzi di prova, salvo che il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.

Nell’udienza di discussione:

  • il Giudice Relatore fa la relazione, ovvero riassume i termini della controversia;
  • le parti discutono oralmente la causa;
  • il Collegio decide dando lettura del dispositivo nell’udienza stessa.

Se la Corte ammette nuove prove, fissa altra udienza per l’assunzione delle prove stesse e la pronuncia della sentenza. L’assunzione deve avvenire da parte del Collegio (e non del solo relatore), a pena di nullità.
Le pronunce in grado d’appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione secondo i principi generali in tema di impugnazioni.

 

Effetti della sentenza

Le sentenze, sia quando pronunciano condanna a favore del lavoratore, sia quando sono favorevoli al datore di lavoro, sono immediatamente esecutive.
L’esecutività ha carattere provvisorio e può essere sospesa con ordinanza dal giudice d’appello:

  • quando l’esecuzione potrebbe comportare gravissimo danno al datore di lavoro (se ad agire è il lavoratore);
  • quando ricorrono gravi motivi e l’esecuzione è già iniziata (se ad agire è il datore di lavoro).

Il lavoratore può avviare l’esecuzione anche in base al solo dispositivo della sentenza, possibilità che è, invece, preclusa al datore di lavoro.

 

Il procedimento speciale per l’impugnazione dei licenziamenti

 

Per i lavoratori assunti prima del 2015

Come anticipato, la riforma del 2012 ha introdotto un nuovo procedimento che si affianca al rito del lavoro disciplinato dal codice di procedura civile al fine di ridurre tempi di risoluzione di alcune categorie di controversie che impongono una particolare celerità.
Infatti, tale procedimento riguarda esclusivamente le cause relative ai licenziamenti per i quali, se illegittimi, si applicano le sanzioni previste dall’art. 18 Statuto lavoratori, anche quando la decisione sul licenziamento presuppone la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. Esso è applicabile a tutte le controversie instaurate dopo il 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della riforma.
Il nuovo rito è caratterizzato, come il rito del lavoro ordinario, da tre differenti gradi di giudizio (rispettivamente davanti al Tribunale, alla Corte d’appello e alla Corte di Cassazione), ma ciascuna di queste di queste fasi è caratterizzata da alcune peculiarità.

 

A. Giudizio di primo grado

Il giudizio di primo grado è a sua volta caratterizzato da due fasi, una necessaria ed una solo eventuale.

La prima fase, improntata alla maggiore speditezza, si introduce con ricorso davanti al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Tale atto può essere molto sintetico: può, infatti, limitarsi a descrivere le circostanze di fatto e gli elementi di diritto senza necessariamente contenere l’indicazione in modo completo delle istanze istruttorie e la produzione di tutti i documenti. Inoltre, non prevede preclusioni per eventuali istanze successive.
Come visto, il ricorso deve essere depositato in tribunale entro 180 giorni dall’impugnazione (o 270 giorni per i licenziamenti intimati prima del 18 luglio 2012).
A seguito del deposito, l’udienza di comparizione deve essere fissata entro 40 giorni. Una volta fissata quest’ultima, il ricorrente deve notificare il ricorso presentato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza entro 25 giorni prima dell’udienza medesima. Il convenuto deve invece costituirsi entro 5 giorni prima di essa.
Il procedimento deve svolgersi nel modo più rapido possibile: non sono dunque ammesse domande riconvenzionali o chiamate di terzi. Inoltre, il giudice, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.
Esso si conclude con un’ordinanza (che può essere di accoglimento o di rigetto) immediatamente esecutiva, che non può essere sospesa o revocata, se non con la sentenza emessa all’esito della seconda fase.

Alla fase appena descritta, può seguirne una seconda detta di opposizione, in quanto finalizzata ad ottenere una rivisitazione dell’ordinanza emessa nella fase precedente.
La struttura del giudizio della fase di opposizione è quella del rito del lavoro “ordinario” che si è descritto più sopra.
Essa si introduce quindi con ricorso da depositarsi presso il tribunale che ha emesso l’ordinanza entro 30 giorni dalla notifica o dalla comunicazione dell’ordinanza. L’atto deve contenere tutti i requisiti previsti dall’art. 414 c.p.c. e può contenere la deduzione di circostanze nuove non dedotte nella prima fase di giudizio oltre ad istanze istruttorie diverse.
Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza (che deve essere fissata entro 60 giorni dal deposito del ricorso stesso) deve essere notificato almeno 30 giorni prima dell’udienza stessa, al convenuto, il quale, a sua volta, deve costituirsi entro 10 giorni prima della medesima, con una comparsa di risposta ai sensi dell’art. 416 c.p.c.. Tale atto deve contenere anche l’eventuale chiamata di un terzo in causa. Qualora ciò avvenisse, il giudice deve fissare una nuova udienza entro 60 giorni e il terzo si deve costituire 10 giorni prima di essa. La memoria di costituzione può, invece, contenere una domanda riconvenzionale solo nel caso in cui essa si fondi su fatti costitutivi identici a quelli del licenziamento (in caso contrario, essa viene separata dal giudizio in corso).
Durante il procedimento, il giudice sente le parti e procede, omessa ogni formalità, agli atti di istruzione ammissibili, assegnando eventualmente un termine per note.
La fase si conclude con una sentenza che deve essere depositata entro 10 giorni dopo l’udienza di discussione e che è provvisoriamente esecutiva.

 

B. Giudizio di secondo grado

Il giudizio di secondo grado si propone avanti alla Corte d’appello, con reclamo: il deposito del ricorso deve avvenire entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della sentenza (o entro 6 mesi in assenza di esse). Quest’ultima può essere sospesa dalla Corte d’appello qualora ne ricorrano gravi motivi.
Tale atto, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza (che deve essere fissata entro 60 giorni dal deposito del ricorso) deve essere notificato almeno 30 giorni prima dell’udienza medesima. Il reclamato deve invece costituirsi almeno 10 giorni prima di essa.
Per quanto riguarda il procedimento, la Corte procede agli atti di istruzione ammessi, omettendo ogni formalità non essenziale per il contraddittorio. È necessario precisare che non sono ammessi nuovi mezzi di prova o nuovi documenti, salvo che non siano indispensabili oppure la parte dimostri di non aver potuto produrli prima.
Il giudizio si conclude con sentenza da depositarsi entro 10 giorni dall’udienza di discussione.

 

C. Giudizio di terzo grado

L’ultimo grado di giudizio deve essere proposto con ricorso alla Corte di Cassazione da depositarsi entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della sentenza (o entro 6 mesi in assenza di esse), che può essere sospesa dalla Corte d’appello se sussistono gravi motivi.
La Cassazione fissa l’udienza entro 6 mesi dal deposito del ricorso e il procedimento segue il rito ordinariamente previsto dal codice di procedura civile.

 

Per lavoratori assunti dopo il 2015 (contratto a tutele crescenti)

Il 6 marzo 2015 è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, il D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23, recante Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Il D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 si applica esclusivamente ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri e, pertanto, non riguarda i dirigenti, che restano assoggettati alla disciplina previgente.
Ai licenziamenti regolamentati dalla disciplina di cui al D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dell’art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. Rito Fornero).
Conseguentemente, i licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo nei confronti di lavoratori assunti con un contratto a tutele crescenti non devono essere preceduti dal tentativo di conciliazione di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92.

 

Ambito di applicazione

In base al D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23, la tutela riservata al lavoratore – in caso di licenziamento – è differente, a seconda che l’assunzione sia avvenuta prima o a far data dal 7 marzo 2015.
In particolare, occorre operare una distinzione fra “nuovi” e “vecchi” assunti.
Sono soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 i c.d. “nuovi assunti”, vale a dire i lavoratori a tempo indeterminato assunti dal 7 marzo 2015, o il cui rapporto di lavoro – sempre a partire dal 7 marzo 2015 – sia stato convertito a tempo indeterminato dopo un periodo a tempo determinato, oppure stabilizzato in esito al positivo superamento di un periodo di apprendistato.
Sono altresì soggetti al nuovo regime di tutela i lavoratori assunti prima della data di entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 da aziende che, a tale data, occupavano fino a quindici dipendenti e che, in virtù delle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo, raggiungano in epoca successiva una dimensione occupazionale maggiore.

 

L’offerta di conciliazione di cui all’art. 6 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23

L’art. 6 del D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 disciplina una nuova ipotesi di conciliazione, volta ad evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge.
II datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui agli artt. 2113, quarto comma, c.c. e 76 D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, un importo che non costituisce reddito imponibile fiscale, né previdenziale, di ammontare pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.
Tale importo, previsto nel testo originario in misura non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, è stato rideterminato dalla legge di conversione del D.L. 12 luglio 2018 n. 87 in una misura minima non inferiore a tre e non superiore a ventisette mensilità.
Tale importo è dimezzato per le aziende di piccole dimensioni e, in ogni caso, non può superare le sei mensilità.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa, a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro, sono soggette al regime fiscale ordinario.

 

Interessi e rivalutazione monetaria

In ogni caso in cui vi sia condanna al pagamento di somme di denaro in favore del lavoratore, il Giudice deve condannare il datore anche al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, con decorrenza dal giorno di maturazione del diritto a quello di effettivo pagamento.

 

Spese di giustizia

A partire dal 16 luglio 2011 è stato esteso anche alle cause di lavoro e previdenziali l’obbligo di versamento del contributo unificato. È così venuto meno il regime di totale gratuità dei procedimenti giudiziari in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, che era stato introdotto con la Legge 11 agosto 1973, n. 533.

La nuova disciplina – introdotta con l’art. 37 del D.L. n. 98 del 2011, convertito con Legge 15 luglio 2011, n. 111 –, peraltro, esclude l’obbligo di versamento del contributo unificato per tutti i processi in cui la parte abbia un reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, inferiore a 31.884,48 euro.
Per tutti gli altri casi, l’ammontare del contributo unificato viene stabilito in base al valore della causa, secondo gli scaglioni stabiliti dall’art. 13 del d.P.R. 115/02.

  1. all’art. 9 del D.P.R. n. 115/02 è stato introdotto il comma 1-bis che recita: “Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, superiore al doppio dell’importo previsto dall’articolo 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all’articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all’articolo 13, comma 1”,
  2. all’art. 13, comma 3, del D.P.R. n. 115/02, che inizia con “Il contributo è ridotto alla metà …”, è stata introdotta la disposizione: “e per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, salvo quanto previsto dall’articolo 9, comma 1- bis”;
  3. tutte le misure dei contributi unificati previsti dall’art. 13 D.P.R. n. 115/02 sono state innalzate come da Tabella in calce, ed, inoltre, è stato introdotto, all’art. 13 citato, il comma 3-bis che stabilisce: “ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso, il contributo unificato è aumentato della meta’”;
  4. il comma 7 dell’art. 37 del D.L. n. 98/2011 recita: “Le disposizioni di cui al comma 6 si applicano alle controversie instaurate, …, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”, e l’art. 41 dispone che “Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ….” ovvero il 6 luglio 2011.

Nonostante siano mancate precise istruzioni da parte del Ministero, si può fondatamente sostenere che:

  • deve farsi riferimento al reddito individuale del lavoratore ricorrente e non a quello del nucleo familiare
  • per le cause plurime si deve pagare un solo contributo unificato, sommando il valore di ciascuna posizione;
  • resta valida l’esenzione per le cause di lavoro e previdenziali di ogni altra imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi natura, in base alle previgenti disposizioni
  • ancorché la norma, avente carattere eccezionale, non pare debba estendersi alle esecuzioni ed ai procedimenti fallimentari, le cancellerie richiedono il pagamento del contributo unificato (con conseguente necessità di produrre la documentazione necessaria per l’esenzione).


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Casistica di decisioni della Magistratura in tema di processo del lavoro

 

Giurisdizione

 

Questioni di legittimità costituzionale

  1. La disciplina dell’accesso all’impiego presso gli Enti soggetti al patto di stabilità è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza esclusiva (residuale) delle Regioni, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. Questo criterio, a norma dell’art. 10 della l. cost. n. 3/2001, vale anche per le Province autonome. E’ pertanto costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 560, l. n. 296/2006, che, per le assunzioni di personale a tempo determinato, dispone di riservare, nel bando delle prove selettive, una quota non inferiore al 60% del totale dei posti programmati ai soggetti coi quali siano stati stipulati uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, esclusi gli incarichi di nomina politica, per la durata complessiva – al 29 giugno 2006 – di almeno un anno. (Corte Cost. 11/4/2008 n. 95, Pres. Bile Est. Mazzella, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Ilaria Milianti, “Alcuni punti fermi sui rapporti tra potestà legislativa dello Stato e delle Regioni in materia di lavoro pubblico”, 494)
  2. È costituzionalmente illegittimo in riferimento agli artt. 24, 111 e 113 Cost., l’art. 30 L. 6/12/71 n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione. (Corte Cost. 12/3/2007 n. 77, Pres. Bile Rel. Vaccarella, in D&L 2007, 675)
  3. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 c. 7 del d.lgs. 165/2001 nella parte in cui stabilisce la decadenza per le azioni relative a fatti anteriori al luglio 1998 che non siano state proposte al giudice amministrativo entro il 15 luglio 2000, in quanto un termine di decadenza di ventisei mesi non rende “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale nel senso in cui deve essere letta la pertinente giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 213/2005; n. 382/2005; n. 197/2006). (Cass. Sez. Un. 15/1/2007 n. 616, Pres. Ianniruberto Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 555)
  4. È inammissibile, poiché non motivata in punto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 64, 1° e 2° comma, del D. Lgs. 30/3/01 n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli artt. 24, 39, 101, 102, 111 Cost., nella parte in cui ritiene l’accordo- raggiunto dall’Aran e dalle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo circa l’interpretazione autentica o la modifica della clausola controversa- idoneo ad incidere sulla controversia già insorta davanti al giudice, imponendosi con efficacia retroattiva al giudice stesso e configurandosi come interferenza di un potere normativo in un processo in corso. (Corte Cost. 5/6/2003 n. 199, Pres. Chieppa Rel. Vaccarella, in D&L 2003, 577)
  5. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. dell’art. 58, all. A, RD 8/1/31 n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), che demanda alla cognizione del Giudice amministrativo anziché a quello ordinario in funzione del Giudice del lavoro le controversie concernenti la legittimità di sanzioni disciplinari comminate ai dipendenti di aziende autoferrotranviarie. Infatti la delegificazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle aziende esercenti un servizio di trasporto (di cui alla L. 270/88), la soppressione delle funzioni amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina e la generale privatizzazione del settore ferroviario rendono disorganico, disomogeneo e non unitario il criterio del riparto di giurisdizione relativo alla materia disciplinare degli autoferrotranvieri, con ciò vanificando i presupposti del criterio di specialità normativa e rendendo irrazionale ed ingiustificato il sistema di riparto attuale. (Trib. Milano 19/12/2002, ord., Est. Chiavassa, in D&L 2003, 447)
  6. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, secondo comma, R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, all. A, laddove, quale norma speciale, continua a devolvere alla giurisdizione amministrativa la cognizione dei ricorsi contro i provvedimenti disciplinari concernenti gli autoferrotranvieri, nonostante la intervenuta devoluzione della materia del pubblico impiego al giudice ordinario. Più in particolare, la situazione di incoerenza tra la giurisdizione in materia di provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti gli altri lavoratori, sia pubblici che privati, attribuita invece al giudice ordinario, costituisce effetto di una scelta discrezionale del legislatore, la quale non si rende sindacabile dalla Corte Costituzionale neppure quando faccia sì che una disposizione legislativa smarrisca la sua ratio originale, purché la mancanza di coerenza non sia tale (come nel caso di specie non si verifica) da sacrificare interessi costituzionalmente protetti. (Cass. 14/11/2002, n. 16049, ordinanza, Pres. Vessia, Rel. Rosselli, in Lav. nella giur. 2003, 381)
  7. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 18 del d.lgs. 387/98, per contrasto con gli artt. 76 e 77 della Cost, nella parte in cui demanda al giudice ordinario le controversie in materia di revoca degli incarichi dirigenziali poiché costituisce, in capo a questo giudice, una giurisdizione esclusiva, in difetto di una delega espressa e in contrasto con gli stessi principi fissati dal legislatore delegante ( l. 59/97) (Trib. Genova 22/9/00, ordinanza n. 753, est. Gelonesi, in Lavoro nelle p.a. 2001, 181, con nota di Nicosia, La giurisdizione del Giudice ordinario sulla revoca degli incarichi dirigenziali al vaglio della Consulta: un freno alla riforma?)

 

 

Regolamento di giurisdizione

  1. Il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall’art. 111 della Costituzione, allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio – in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell’actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c. da parte del litisconsorte pretermesso – ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di “potestas iudicandi” – come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dell’azione per il decorso dei termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, o il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza e assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato o grado del procedimento) -; in tutte queste ipotesi, infatti, si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, poiché si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio. Tale compatibilità con principio costituzionale della ragionevole durata del processo va, invece, esclusa in tutte quelle ipotesi in cui la nullità sia connessa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario e sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello; ciò tanto più nel processo del lavoro, in cui il sistema normativa che fondava l’originario riparto fra giudice ordinario e giudice amministrativo sul presupposto di una giurisdizione esclusiva sull’atto amministrativo, ne ha poi ricondotto il fondamento al rapporto giuridico dedotto, facendo venir meno la ratio giustificatrice di un intenso potere di controllo sulla giurisdizione, da esercitare “sine die”. (In applicazione del su esteso principio, le Sezioni Unite della Corte hanno dichiarato inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.O., sollevata dall’INPDAP per la prima volta nel giudizio di legittimità, in fattispecie relativa alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita di un docente universitario). (Cass. Sez. Un. 30/10/2008 n. 26019, Pres. Criscuolo Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2009, 296)
  2. La proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dall’emanazione di un provvedimento cautelare in corso di causa, poichè esso non costituisce sentenza neppure qualora sia stata contestualmente risolta una questione di giurisdizione, salvo risulti inequivocabilmente che la questione di giurisdizione è stata riferita al solo procedimento cautelare e il regolamento sia stato proposto per ragioni che attengono a esso in via esclusiva. (Cass. 19/1/2007 n. 1144, ord., Pres. Carbone Est. Vitrone, in Dir. e prat. lav. 2007, 2454, e in Lav. nella giur. 2007, 1025)
  3. L’immunità garantita dall’art. 11 del Trattato lateranense non è invocabile dalla Pontificia Università Gregorian, non annoverabile tra gli “enti centrali della Chiesa cattolica” esentati da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano, sicché la controversia inerente al rapporto di lavoro di un dipendente di detta università, nella specie collaboratore di biblioteca, non si sottrae alla giurisdizione del Giudice italiano, non potendosi considerare espressione di una potestà esercitata iure imperii. (Cass. S.U. 19/1/2007 n. 1133, Pres. Carbone Est. Amoroso, con nota di Maddalena Rosano, “L’immunità dalla giurisdizione del giudice italiano nelle controversie di lavoro dei dipendenti di Stati o enti pubblici stranieri equiparati: il caso della Pontificia Università Gregoriana”, 209)
  4. Qualora, proposto regolamento preventivo di giurisdizione, non sia disposta – ai sensi dell’art. 367 c.p.c. – la sospensione del processo pendente, la pronuncia sul regolamento non è preclusa dalla sentenza di primo grado, neppure se questa sia passata in giudicato, trattandosi di sentenza condizionata al riconoscimento della giurisdizione da parte della Corte di Cassazione. (Cass. 23/5/2005 n. 10703, Pres. Nicastro Rel. Di Nanni, in Dir. e prat. lav. 2005, 2153)
  5. La circostanza della contemporanea pendenza di due procedimenti dinanzi a giudici diversi (nella specie, giudice amministrativo e giudice ordinario) non esclude l’ammissibilità di un unico regolamento di giurisdizione, allorchè le controversie pendenti davanti ai due diversi giudici siano assolutamente identiche per soggetti, “petitum” e “causa petendi”, sì da potersi ritenere come un’unica causa fra le stesse parti. (Cass. 26/5/2004 n. 10183, Pres. giustiniani Rel Evangelista, in Lav. e prev. oggi 2004, 1060)
  6. La sospensione del processo per effetto della rimessione alla Corte Costituzionale di una questione di costituzionalità non preclude la risoluzione della questione di giurisdizione in sede di regolamento preventivo davanti alle sezioni unite della Corte di Cassazione. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia, instaurata dal sanitario di una Asl, concernente la pretesa al conferimento di un incarico dirigenziale, attribuito, invece, ad altro sanitario. (Cass. 24/9/2002, n.13918, Pres. Ianniruberto, Rel. Evangelista, (ord), in Foro it.2003 parte prima, 316)

 

 

Pubblico impiego

  1. Il discrimine temporale tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria nelle controversie di impiego alle dipendenze delle PP.AA., imperniato sul criterio del periodo del rapporto di lavoro di attinenza della questione arg. ex art. 69, comma 7, D.Lgs. n. 165 del 2001, è determinato dal momento perfezionativo della fattispecie giuridica costitutiva del diritto azionato, nella specie certamente integrato dal fatto storico della prestazione di lavoro resa dal ricorrente. (Trib. Bari 22/1/2015, Giud. Vernia, in Lav. nella giur. 2015, 647)
  2. Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo un ricorso con il quale sono stati impugnati gli atti di avvio di una procedura per la stabilizzazione delle persone assunte a tempo determinato, atteso che l’atto di indizione di tale procedura costituisce una scelta organizzativa espressione di potere autoritativo. (Tar Lazio 21/5/2012, Pres. Politi, in D&L 2012, con nota di Luca Busico, “Un singolare caso di controversia sulle stabilizzazioni”, 515)
  3. Sussiste la giurisdizione amministrativa della controversia, relativa alla richiesta di inquadramento in area superiore, insorta dopo che, al termine di un corso-concorso pubblico di qualificazione, con passaggio all’area superiore, la graduatoria non era mai stata approvata e i dipendenti risultati vincitori erano stati semplicemente inquadrati nella posizione immediatamente superiore a quella già occupata, rimanendo nell’ambito della stessa area. (Cass. Sez. Un. 2/9/2011 n. 22685, Pres. Vittoria Rel Tirelli, in Lav. nella giur. 2012, 88)
  4. Rispetto a una domanda di risarcimento danni proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro e che sia qualificabile come azione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (in base alla norma transitoria contenuta nell’art. 69, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001) se il fatto storico in cui si concretizzerebbe l’inadempimento dell’amministrazione si sia verificato successivamente al 30 giugno 1998, con la precisazione che, ove si tratti di un illecito permanente, occorre far riferimento al momento della realizzazione del fatto dannoso, coincidente con il tempo della cessazione della permanenza. (Trib. Taranto 7/6/2010, Giud. Deceglie, in Lav. Nella giur. 2010, 1054)
  5. Le controversie aventi ad oggetto concorsi interni che comportino il passaggio da una qualifica all’altra, nell’ambito della stessa area, sono attribuite al giudice ordinario; se il concorso comporta passaggio da un’area all’altra, si riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. S.U. 25/5/2010 n. 12764, Pres. Vittoria Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Alberto Astengo, “Concorsi interni e giurisdizione: una nuova pronuncia delle Sezioni Unite”, 93)
  6. L’art. 63, comma 4, del D.Lgs,. n. 165 del 2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a consentire l’accesso del personale già assunto a una fascia o un’area superiore. Nell’ambito di applicazione della stessa norma ricade, altresì, la controversia relativa alla legittimità (in relazione alla presenza dei vizi tipici dell’atto amministrativo, tra cui quello della manifesta illogicità quale figura sintomatica dell’eccesso di potere) della delibera di indizione di un nuovo bando concorsuale cui addivenga l’amministrazione, anziché attingere alle graduatorie ancora vigenti. (Trib. Tivoli 2/4/2010, Giud. Mari, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Gaetana Pendolino, 921)
  7. L’esistenza di un atto di indirizzo, finalizzato all’avvio della contrattazione collettiva in attuazione della norma di legge istitutiva della separata area della vicedirigenza, non radica la giurisdizione amministrativa, poiché la cognizione in tale materia è devoluta al giudice ordinario. (Cons. St. 22/1/2010 n. 204, Pres. Lodi Est. Potenza, in Lav. Nella giur. 2010, con commento di Giampiero Golisano, 1017)
  8. Rientra nella giurisdizione del Giudice ordinario la controversia promossa ai sensi dell’art. 44 TU immigrazione da un cittadino extracomunitario al fine di vedere accertato il carattere discriminatorio della sua esclusione, in ragione della sua condizione di straniero, dall’accesso a un posto di lavoro alle dipendenze della PA. (Trib. Milano 11/1/2010, decr., in D&L 2009, 1102)
  9. Spetta al giudice ordinario conoscere le controversie in tema di stabilizzazione del personale precario della pubblica amministrazione, in quanto il procedimento di formazione delle graduatorie per la stabilizzazione del personale con contratti di lavoro a tempo determinato, effettuato ai sensi dell’art. 1, comma 519, L. 27/12/06 n. 296, non costituisce una procedura concorsuale in senso proprio. (Trib. Voghera 11/6/2009, Est. Dossi, in D&L 2009, 851)
  10. Il Tribunale Amministrativo della Campania, ritenuta la propria giurisdizione in ordine alle questioni risarcitorie inerenti il danno da demansionamento subito da un professore universitario, con funzioni assistenziali oltre che didattiche presso una struttura sanitaria, ritiene quest’ultima responsabile dei postulati danni perché, avendolo privato delle risorse umane e strumentali necessarie, gli ha impedito l’esercizio delle sue funzioni. (TAR Campania 8/5/2009 n. 2480, Pres. D’Alessandro Rel. Pappalardo, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Paola Cosmai, 934)
  11. In materia di procedure di stabilizzazione avviate da una pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1, commi 519 segg., L. 27/12/06 n. 296 (finanziaria 2007) la giurisdizione spetta al giudice ordinario. (Trib. Genova 10/4/2009, Est. Basilico, in D&L 2009, con nota di Andrea Danilo Conte, “Procedure di stabilizzazione nel pubblico impiego: prime pronunce dopo i dubbi sulla giurisdizione”, 1089)
  12. Il diritto all’assunzione a tempo indeterminato del Dirigente non apicale del Comparto sanità, attraverso le procedure di stabilizzazione del precariato pubblico disciplinate dalla legislazione nazionale e da quella regionale, appartiene alla competenza del giudice ordinario specializzato e non del giudice amministrativo, trattandosi di atti di gestione e non di procedure concorsuali. La pubblica amministrazione può non adottare la stabilizzazione del precariato pubblico, in mancanza di posti vacanti da ricoprire in pianta organica. Ma, se attiva le procedure di stabilizzazione, da un lato non può discrezionalmente limitare l’accesso alla selezione per l’assunzione, dall’altro, se intende stabilizzare solo il personale destinato a ricoprire i posti vacanti, deve fornire prova rigorosa che i posti da ricoprire per esigenze permanenti e durature siano inferiori e non pari al numero dei soggetti da stabilizzare. Pertanto, sussistendo le condizioni di legge e in mancanza di prova del corretto e limitato esercizio del potere discrezionale della P.A., il giudice ordinario accoglie l’istanza cautelare del dipendente precario e ordina al datore di lavoro pubblico di inserirlo nel processo di stabilizzazione del rapporto da cui il lavoratore è stato escluso. (Trib. Trani 3/3/2009, ord., Est. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Vincenzo De Michele, 373)
  13. Le controversie concernenti gli atti di organizzazione dell’amministrazione rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e sono passibili di disapplicazione in tutti i casi in cui costituiscano provvedimenti presupposti di atti di gestione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente. (Cass. S.U. 16/2/2009 n. 3677, Pres. Prestipino Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Alessia Muratorio, 576)
  14. In caso di illegittimità, per contrarietà alla legge, del provvedimento di riforma della pianta organica di un comune, con soppressione delle posizioni dirigenziali, questo deve essere disapplicato dal giudice ordinario, con conseguente perdita di effetti dei successivi atti di gestione del rapporto di lavoro costituiti dalla revoca dell’incarico dirigenziale, non sussistendo la giusta causa per il recesso ante tempus del contratto a tempo determinato, che sorge a seguito del relativo conferimento, con diritto del dirigente alla riassegnazione di tale incarico precedentemente revocato, per il tempo di durata residuo e detratto il periodo di illegittima revoca. (Cass. S.U. 16/2/2009 n. 3677, Pres. Prestipino Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Alessia Muratorio, 576)
  15. Appartengono alla giurisdizioe del giudice amministrativo tutte le controversie relative alla partecipazione a procedure concorsuali, per tali intendendosi non solo quelle volte alla costituzione di rapporti di lavoro alle dipendenze delle PP.AA., ma anche quelle, riservate ai soli candidati “interni”, ai fini delle progressioni verticali di particolare rilievo qualitativo. In tutti questi casi, infatti, oggetto è la tutela di interessi legittimi nei confronti del potere amministrativo. (Cass. Sez. Un. 9/2/2009 n. 3051, Pres. Mattone Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2009, 145)
  16. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sia nell’ipotesi di controversie relative a concorsi aperti a candidati esterni sia nell’ipotesi di concorso per soli candidati interni indetti per il passaggio da un’area funzionale a un’altra. (Trib. Milano 16/1/2009, Est. Peragallo, in Orient. Giur. Lav. 2009, 263)
  17. In materia di assunzione di disabili e con riferimento alla riserva prevista in loro favore, le controversie nelle quali si contesta non la graduatoria, ma il riparto dei posti dei riservatari nell’ambito delle fasce sono riconducibili nell’ambito privatistico e appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, venendo in questione la fase successiva rispetto al procedimento amministrativo e all’attività autoritativa che si esaurisce con l’approvazione della graduatoria (nella specie la S.C. ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia relativa al conferimento dell’incarico di Presidenza presso un’istituzione scolastica con particolare riferimento alla pretesa di conferimento dell’incarico in applicazione delle quote di riserva previste per l’assunzione obbligatoria in favore di invalidi). (Cass. Sez. Un. 14/1/2009 n. 561, Pres. Carbone, Rel. Amoroso, in Lav. nelle P.A. 2009, 146)
  18. Spetta al giudice ordinario, e non più alla giurisdizione del giudice amministrativo, la cognizione delle controversie relative alla indennità di fine rapporto, comunque determinate e corrisposte, anche se riguardante i dipendenti dello Stato e delle aziende autonome, quando il diritto fatto valere va riferito a un periodo successivo al 30 giugno 1998, poiché la l. n. 75 del 1980, art. 6, è stata abrogata per incompatibilità con la successiva normativa sul pubblico impiego privatizzato (nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto la giurisdizione ordinaria per le controversie concernenti il rapporto di lavoro del personale in servizio presso la sopprressa direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro, trasferita all’INPDAP ex art. 6, d.lgs. n. 479 del 1994). (Cass. Sez. Un. 14/1/2009 n. 560, Pres. Carbone, Rel. Amoroso, in Lav. nelle P.A. 2009, 146)
  19. Nelle controversie relative a pretese derivanti da prestazioni lavorative a favore di un ente pubblico non economico, rileva ai fini della giurisdizione esclusivamente il periodo di maturazione delle spettanze retributive e dell’insorgenza degli altri crediti, non le date di compimento degli atti di gestione del rapporto, ancorché abbiano determinato l’insorgere della questione litigiosa, atteso che il perfezionamento della fattispecie attributiva del diritto di credito, anche sotto il profilo della sua esigibilità, consente al dipendente di accedere alla tutela giurisdizionale indipendentemente dall’emanazione, da parte dell’amministrazione datrice di lavoro di atti di gestione del rapporto obbligatorio. (Trib. Taranto 13/1/2009, Est. Palma, in Lav. nella giur. 2009, 416)
  20. Nel caso di ritardata assunzione in servizio dovuta a un comportamento della pubblica amministrazione dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato (o con decreto presidenziale emesso all’esito di un ricorso straordinario al Capo dello Stato), la controversia instaurata contro detta amministrazione dall’impiegato assunto in servizio con effetto retroattivo ai soli fini giuridici e non anche economici, e avente a oggetto la pretesa di una somma, equivalente alle retribuzioni non percepite, a titolo di risarcimento del danno, appartiene alla giurisdizione amministrativa esclusiva, atteso che la causa petendi si collega non occasionalmente al pubblico impiego e ciò esclude la configurabilità di un diritto patrimoniale consequenziale (nella specie la Corte ha ritenuto la giurisdizione amministrativa esclusiva in quanto la vicenda per cui era causa era collocabile in epoca anteriore al 30 giugno 1998 e quindi non opera la devoluzione al Giudice ordinario della giurisdizione in materia di rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni). (Cass. 16/12/2008 n. 29350, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nelle P.A. 2008, 1146)
  21. L’attribuzione di mansioni superiori nel pubblico impiego, il cui espletamento si prolungi oltre la data del 30 giugno 1998 implica un temperamento della regola del frazionamento della domanda tra giudice amministrativo e giudice ordinario, con attribuzione della competenza al giudice del lavoro. L’effettivo svolgimento di mansioni superiori legittima il diritto alle differenze retributive la cui quantificazione va ricollegata al principio del riconoscimento di un’equa retribuzione ex art. 36 Cost. (Trib. Patti 26/11/2008, Giud. Mirenna, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Angela Marcianò, 388)
  22. In tema di controversie di pubblico impiego, il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, in relazione all’avvenuto trasferimento al primo giudice, ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, va effettuato con riferimento non a un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito dall’avverarsi delle circostanze e dei fatti materiali posti a fondamento della pretesa avanzata (pertanto, nella presente fattispecie di accessori su crediti corrisposti in ritardo ma entro il 30 giugno 1998 – nella specie nel 1995 – la giurisdizione compete al giudice amministrativo). (Cass. Sez. Un. 25/11/2008 n. 28044, Pres. Prestipino Rel. La Terza, in Lav. nelle P.A. 2008, 1147)
  23. Nel caso in cui il processo avente a oggetto una domanda del pubblico dipendente sia instaurato dinnanzi al giudice sprovvisto di giurisdizione, opera la translatio iudicii. In tal modo, il processo può proseguire dinnanzi al giudice dotato effettivamente di giurisdizione e può addivenirsi a una pronuncia di merito che concluda la controversia, comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed efficiente il servizio giustizia, costituzionalmente rilevante. (Cass. Sez. Un. 25/11/2008 n. 28044, Pres. Prestipino Rel. La Terza, in Lav. nelle P.A. 2008, 1147)
  24. In materia di riparto di giurisdizione, impugnato l’atto con cui l’amministrazione ha respinto la richiesta di scorrimento della graduatoria di un precedente concorso e chiesto che sia accertato il diritto allo scorrimento della stessa senza porre in discussione le procedure concorsuali, trova applicazione il principio secondo cui sono devolute al g.o. le controversie aventi a oggetto il mancato scorrimento della graduatoria. (TAR Lazio 19/11/2008, Pres. Giovannini Rel. Caponigro, in Lav. nelle P.A. 2008, 861)
  25. Le controversie concernenti l’impugnazione di graduatorie permanenti del personale docente ed educativo della scuola sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario. (TAR Emilia Romagna 18/11/2008 n. 433, Pres. Papiano Est. Giovannini, in Lav. nelle P.A. 2008, 1136)
  26. In base all’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, la giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti le procedure concorsuali per l’assunzione è limitata a quelle procedure che iniziano con l’emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria la cui approvazione, individuando i “vincitori”, rappresenta l’atto terminale del procedimento, sicché non vi resta compresa la fattispecie dell’inserimento in apposita graduatoria di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti, anche derivanti dalla partecipazione a concorsi; graduatoria che è preordinata al conferimento dei posti di lavoro che si renderanno disponibili (come accade per le graduatorie permanenti del personale docente della scuola). In tal caso, l’assenza di un bando, di una procedura di valutazione e, soprattutto, dell’atto di approvazione, colloca l’ipotesi fuori della fattispecie concorsuale e comporta che sia il giudice ordinario a tutelare la pretesa all’inserimento e alla collocazione in graduatoria, pretesa che ha a oggetto la conformità a legge degli atti di gestione della graduatoria utile per l’eventuale assunzione. (TAR Emilia Romagna 18/11/2008 n. 433, Pres. Papiano Est. Giovannini, in Lav. nelle P.A. 2008, 1136)
  27. Si ha la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino l’acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive oppure il passaggio da una qualifica a un’altra nell’ambito della medesima area. (Cass. Sez. Un. 15/10/2008 n. 25173, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nelle P.A. 2008, 882)
  28. I provvedimenti generali emanati per il trasferimento del personale da un Ente ad altro, neo-costituito, costituiscono espressione di un potere pubblicistico e appartengono alla categoria degli atti amministrativi aventi a oggetto la fissazione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici (adottati dall’amministrazione del d.lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2, comma 1) e le controversie a essi attinenti sono devolute al giudice amministrativo. Gli atti di gestione del rapporto, tra i quali è da annoverare il trasferimento del dirigente, in quanto espressione di attività di diritto privato e incidenti in via diretta sul contratto di lavoro, sono invece soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario che può disporne la disapplicazione con i poteri riconosciutigli dal d.lgs. n. 165/2001, art. 63, comma 2. (Cass. 7/10/2008 n. 24738, Pres. Celentano Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 885)
  29. Le controversie concernentin l’impugnazione di graduatorie permanenti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario. (Corte App. Bologna 2/10/2008, Pres. Castiglione Rel. Varriale, in Lav. nelle P.A. 2008, 1134)
  30. In base all’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, la giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti le procedure concorsuali per l’assunzione è limitata a quelle procedure che iniziano con l’emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria la cui approvazione, individuando i “vincitori”, rappresenta l’atto terminale del procedimento, sicché non vi resta compresa la fattispecie delle graduatorie di cui alla l. n. 124/1999 trattandosi nel caso di attività finalizzata all’inserimento in apposita graduatoria di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti, anche derivanti dalla partecipazione a concorsi; graduatoria che è preordinata al conferimento dei posti di lavoro che si renderanno disponibili (come accade per le graduatorie permanenti del personale ATA della scuola). In tal caso, vengono in questione atti che non possono che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 1652001) di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi. (Corte App. Bologna 2/10/2008, Pres. Castiglione Rel. Varriale, in Lav. nelle P.A. 2008, 1134)
  31. In materia di rapporti di lavoro instaurati con lo Stato o altra pubblica amministrazion, il d.lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (ora d.lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 17) ha trasferito al giudice ordinario le controversie di pubblico impiego privatizzato dettando la relativa disciplina transitoria e mantenendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblico impiego relative alle questioni attinenti al periodo di lavoro antecedente al 30 giugno 1998. La suddetta disposizione deve essere interpretata nel senso che debba farsi riferimento al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, così come posti a base delle pretese avanzate (nella specie, la Corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario circa l’errato inquadramento della posizione lavorativa lamentato dal ricorrente che aveva subito tale vulnus a seguito di determinazione assunta dalla regione Calabria, alle cui dipendenze svolgeva la propria prestazione lavorativa, in data 6 luglio 1998 e, dunque, successivamente al 30 giugno 1998). (Cass. Sez. Un. 24/9/2008, n. 23982, Pres. Carbone Rel. Balletti, in Lav. nelle P.A. 2008, 881)
  32. In materia di riparto di giurisdizione, la competenza del giudice amministrativo cessa la con l’approvazione della graduatoria di merito, per cui le controversie relative allo scorrimento della graduatoria e all’assunzione attengono alla giurisdizione ordinaria. (TAR Lombardia 15/9/2008, n. 4073, Pres. Giordano Est. Simeoli Referendario, in Lav. nelle P.A. 2008, 861)
  33. Allorché si contesti la conformità alla legge del potere della pubblica amministrazione di indire un nuovo concorso di progressione per passaggio da un’area funzionale a un’altra, in presenza di una graduatoria precedente ancora efficace deve riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo; nonché deve riconoscersi illegittimo il provvedimento con cui l’amministrazione bandisce un nuovo concorso senza tener conto del risultato di una precedente e omologa selezione non corredata da adeguata motivazione in ordine al mancato previo scorrimento della graduatoria. (TAR Lombardia 15/9/2008, n. 4073, Pres. Giordano Est. Simeoli Referendario, in Lav. nelle P.A. 2008, 861)
  34. Il soggetto che, prima del passaggio della giurisdizione sul pubblico impiego al giudice ordinario, sia stato nominato ex l. 400 del 1998 con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri “esperto” in un particolare e delicato settore e chiamato a svolgere altri delicati e riservati compiti, e sia infine cessato dall’incarico di “esperto”, dopo l’insediamnto del nuovo governo (così come dispone l’art. 31 comma 4 della citata l. n. 400 del 1988) e, in forza dell’instaurato rapporto si sia inserito nella struttura organizzativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non può considerarsi un mero collaboratore esterno. Pertanto il suo rapporto deve essere qualificato come rapporto di pubblico impiego e come tale è assoggettabile alla giurisdizione del giudice amministrativo se sorto ed esaurito prima del 30 giugno 1998. Non ostano alla configurazione del rapporto di pubblico impiego né la mancanza dell’atto formale di nomina, né la mancanza di stabilità, qualora risulti il continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore, in regime di subordinazione, nell’organizzazione pubblicistica dell’ente (a nulla rilevando l’apposizione di termini alla durata della prestazione lavorativa ovvero le modalità pattuite per il compenso). (Cass. sez. Un. 16/7/2008 n. 19509, Pres. Carbone Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 647)
  35. Le assunzioni del personale previste dall’art. 4 l. n. 261 del 1989 per sopperire alle esigenze di funzionalità dell’amministrazione della giustizia e di sicurezza dei magistrati, si collocano al di fuori dell’ambito della disciplina delle assunzioni temporanee presso le amministrazioni dello Stato e avvengono mediante contratto di diritto privato, rimanendo esclusi sia il provvedimento unilaterale di nomina, essenziale per la costituzione del rapporto di pubblico impiego, sia l’applicazione della disciplina e dei principi di detto rapporto; ne consegue che le relative controversie, essendo inerenti a rapporto di lavoro di diritto privato con la pubblica amministrazione, appartengono ab origine alla giurisdizione del giudice ordinario. (Cass. Sez. Un. 8/7/2008 n. 18622, Pres. Prestipino Est. Picone, in Giust. civ. 2009, 235)
  36. Deve ravvisarsi un rapporto di pubblico impiego ogni volta che tra un ente pubblico e un soggetto privato venga costituito un rapporto non occasionale di locazione di opere, con il conseguente inserimento del secondo nell’organizzazione amministrativa del primo, per il perseguimento di finalità attribuite al medesimo dalla legge, e tale natura pubblicistica dell’impiego non è esclusa né dalla mancanza di un atto formale di nomina, né dall’assenza di stabilità o dall’apposizione di un termine (essendo sufficiente che le pretsazioni del dipendente abbiano carattere continuativo, ancorché provvisorio), né dall’assoggettamento del rapporto alla disciplina sostanziale di diritto privato; la pubblicità del rapporto deve invece escludersi non solo nal caso di inserimento del lavoratore in una struttura separata e autonoma dell’ente gestita con criteri imprenditoriali, ma anche quando sia la legge a qualificare espressamente come privato il rapporto di lavoro, in deroga ai principi sopra enunciati. (Cass. Sez. Un. 8/7/2008 n. 18622, Pres. Prestipino Est. Picone, in Giust. civ. 2009, 235)
  37. La posizione organizzativa di cui alla contrattazione collettiva degli Enti locali non determina un mutamento di profilo professionale né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico. Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione – nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva. Inoltre, il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001, e abbiano ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche. Quindi il conferimento di tali posizioni organizzative esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e si iscrive nella categoria degli atti negoziali, adottati con la capacità e i poteri del datore di lavoro. Le relative controversie sono devolute alla giurisdizione ordinaria, non ostandovi che vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, atteso che con l’instaurazione del giudizio ordinario la tutela del pubblico dipendente è pienamente assicurata mediante la disapplicazione dell’atto. (Cass. 18/6/2008 n. 16540, Pres. Vittoria Rel. Morcavallo, in Lav. nelle P.A. 2008, 646)
  38. Con riferimento al mancato pagamento dei canoni relativi alla concessione di alloggio demaniale a un pubblico dipendente, si deve affermare la sussistenza della giurisdizione ordinaria e non di quella contabile. La Corte dei Conti infatti conosce dei casi nei quali il danno al patrimonio pubblico sia esplicitamente correlato sul piano eziologico alla qualifica e/o all’espletamento delle funzioni istituzionali conferite al dipendente pubblico. Diversamente la concessione degli alloggi di servizio è connessa alla necessità di assicurare un miglior esercizio delle mansioni del pubblico dipendente, per cui il mancato adempimento dei canoni (che pur costituisce un danno ex art. 52 del r.d. 1214 del 1934) non è riconducibile all’esercizio delle funzioni, ma al rapporto di impiego che ne è il presupposto. Conseguentemente, il mancato pagamento dei canoni da parte del dipendente assegnatario integra un (grave) inadempimento contrattual, ma non realizza un’attività posta in essere nell’esercizio delle funzioni, con la conseguenza che la relativa controversia deve essere demandata al giudice del lavoro in quanto ha la giurisdizione sul rapporto di impiego. (Cass. 30/4/2008 n. 10870, Sez. Un., in Lav. nelle P.A. 2008, 396)
  39. La ripartizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo delle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici trasformati in enti pubblici economici o in società di diritto privato deve seguire i medesimi criteri elaborati dalle S.U. con riferimento alla privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, secondo cui ciò che rileva è il dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base della pretesa avanzata. Pertanto si deve ritenere sussistere la giurisdizione ordinaria sulla domanda dei dipendenti dell’ENAV relativa alle retribuzioni maturate dopo la privatizzazione dell’Ente, poiché i diritti retributivi relativi a determinati periodi, anche quando siano collegati a fatti costitutivi risalenti a fasi precedenti del rapporto, trovano i loro fatti costitutivi specifici e immediati nella prestazione lavorativa svolta nel periodo in questione. (Cass. 29/4/2008 Sez. Un. n. 10818, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nelle P.A. 2008, 395, e in Giust. civ. 2008, 1873)
  40. Il principio secondo il quale in caso di illecito permanente del datore di lavoro pubblico che sia cessato successivamente al 30 giugno 1998 la controversia viene attratta dalla giurisdizione ordinaria, si applica qualora l’illecito permanente del datore di lavoro rappresenti il fatto costitutivo dei diritti vantati dal lavorator, o almeno concorra in modo sostanziale alla delineazione della posizione soggettiva fatta valere (come nei casi di mobbing, demansionamento, lesione dell’integrità psico-fisica, assunzione); esso non si riferisce al comportamento passivo del datore di lavoro che lasci insoddisfatti i diritti di natura retributiva maturati dal lavoratore sulla base del rapporto di lavoro. In particolare, con riferimento delle prestazioni lavorative la giurisprudenza delle S.U. ha ripetutamente ribadito il criterio del frazionamento delle giurisdizioni nel caso di domande che riguardino pretese retributive maturate in parte fino al 30 giugno 1998 e in parte successivamente. (Cass. 29/4/2008 Sez. Un. n. 10818, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nelle P.A. 2008, 395)
  41. Per l’individuazione della giurisdizione in tema di mutamenti di incarichi dirigenziali nel lavoro pubblico, occorre avere riguardo al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, così come posti a base della pretesa avanzata, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia; conseguentemente, se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione, indipendentemente dalla natura dell’atto stesso e anche qualora si tratti di lesione di una situazione soggettiva connessa alla modificazione di funzioni già attribuite con atti e provvedimenti precedenti il 30 giugno 1998. E’ infatti solo con il provvedimento dannoso che sorge l’interesse della parte ad agire per il riconoscimento del proprio diritto alla conservazione dell’incarico. (Cass. 14/4/2008 n. 9738, Pres. Carbone Rel. Miani Canevari, in Lav. nelle P.A. 2008, 394)
  42. Spetta al giudice amministrativo la giurisdizione sulla controversia nella quale la legittimità della mancata apertura all’esterno di una procedura concorsuale venga contestata da un soggetto estraneo all’amministrazione, la partecipazione del quale alla selezione come candidato esterno, con esito favorevole comporterebbe l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro. Infatti l’oggetto del giudizio risulta costituito non da un rapporto di lavoro, ma dalla verifica del corretto esercizio del potere esercitato dall’amministrazione nell’ambito di un’attività lavorativa, rispetto alla quale sono configurabili soltanto interessi legittimi per tutti i partecipanti, nonché per i terzi eventualmente interessati. (Cass. 14/4/2008 n. 9737, Pres. Carbone Rel. Miani Canevari, in Lav. nelle P.A. 2008, 394)
  43. L’attività di notificazione e consegna dei certificati elettorali svolta dal messo comunale costituisce adempimento degli obblighi a lui derivanti dal rapporto di impiego intercorrente con il comune; conseguentemente, trattandosi di materia relativa a pubblico impiego privatizzato, la controversia avente a oggetto la pretesa dei compensi per dette prestazioni rientraella competenza del giudice del lavoro. (Cass. 8/4/2008 n. 9125, Pres. Ianniruberto Rel. Lamorgese, in Lav. nelle P.A. 2008, 393)
  44. La sussistenza di un rapporto di pubblico impiego – alla quale è correlata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alla controversia concernente differenze retributive pretese, ai sensi dell’art. 2126 o 2041 c.c., per prestazioni svolte, con continuità e vincolo di subordinazione, in relazione al perseguimento di finalità istituzionali dell’amministrazione in epoca antecedente al 30 giugno 1998 – non è esclusa dalla mancanza dell’atto formale di nomina, né dall’eventuale nullità del rapporto per violazione di norme imperative, atteso che, sia pure ai limitati fini della retribuzione, l’art. 2126 c.c. pone una fictio iuris di validità del rapporto nullo. (Cass. Sez. un. 2/4/2008 n. 8453, Pres. Carbone Est. Amoroso, in Giust. civ. 2009, 238)
  45. Nell’ipotesi di inquadramento in ruolo nel pubblico impiego in seguito a ricorso in giudizio dinanzi al giudice amministrativo – con retrodatazione della nomina a fini giuridici, ma non a quelli economici – la controversia instaurata nei confronti della p.a., avente a oggetto le differenze retributive spettanti per un periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo il rapporto di lavoro costituito fin dalla data stabilita giudizialmente. Lo stesso criterio vale, quindi, anche per l’individuazione del giudice cui va devoluta la giurisdizione per quanto attiene alla domanda di risarcimento per perdita di chance. (Cass. 27/3/2008 Sez. Un. n. 7943, Pres. Carbone Pres. Corona Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 392)
  46. La domanda risarcitoria, relativa alla perdita di chance, è priva di fondamento qualora il ricorrente non indichi nè le cause da cui sarebbero scaturiti i danni denunziati nè alcun elemento da cui sia consentito ricavare l’esistenza e l’entità di tali danni. Infatti, in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti da perdita di chance – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (Cass. 27/3/2008 Sez. Un. n. 7943, Pres. Carbone Pres. Corona Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 392)
  47. La richiesta risarcitoria che si connetta alla esistenza prima del 30 giugno 1998 di un rapporto di lavororientra nella giurisdizione amministrativa, in base al consolidato principio per cui la giurisdizione va determinata sulla base della domanda. Al fine del riparto di giurisdizione rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale che va individuato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati a sostegno della pretesa. Pertanto anche la richiesta di tutela aquiliana non vale a escludere la giurisdizione del giudice amministrativo qualora, in assenza di rapporto di lavoro in atto e pregresso con l’Amministrazione, nessun pregiudizio sarebbe astrattamente configurabile. (Cass. 7/3/2008 Sez. Un. n. 6177, Pres. Carbone Rel. La Terza, in Lav. nelle P.A. 2008, 391)
  48. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativ, in materia di pubblico impiego, si estendeva (prima della c.d. privatizzazione) anche alle controversie aventi contenuto meramente patrimoniale ogni qualvolta la pretesa dedotta in giudizio trovasse titolo immediato e diretto nel rapporto di lavoro, nel senso che questo, considerato nella sua costituzione, nel suo svolgimento o nella sua estinzione, funziona da momento genetico dei diritti azionati in giudizio. (Cass. 7/3/2008 Sez. Un. n. 6177, Pres. Carbone Rel. La Terza, in Lav. nelle P.A. 2008, 391)
  49. Sono devolute per regola generale alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle concernenti l’assunzione al lavoro. Tuttavia le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione sono devolut, in via eccezionale, alla giurisdizione del giudice amministrativo. La formazione e gestione della graduatorie permanenti (art. 401 d.lgs. n. 297/1994) e delle graduatorie provinciali per le supplenze del personale docente (art. 522 d.lgs. n. 297/1994) non costituiscono una procedura concorsuale ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. 165/2001, procedure queste ultime caratterizzate dall’emanazione di un bando, dalla valutazione comparativa dei candidati e dall’approvazione di una graduatoria finale che ne indica i vincitori. Le graduatorie di cui agli artt. 401 e 511 citati sono invece caratterizzate dall’inserimento in un’apposita graduatoria di tutti coloro che possiedono determinati requisiti preordinata all’assegnazione dei posti di lavoro che si renderanno disponibili. (Cass. 13/2/2008, Sez. Un., ord., Pres. Prestipino Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 404)
  50. In tema di lavoro pubblicocontrattualizzato, atteso che le procedure concorsuali ai fini dell’attribuzione alla giurisdizione amministrativ ex art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 comprendono anche quelle dirette a permettere l’accesso del personale già assunto a una fascia o area funzionale superiore, con progressione verticale che consista nel passaggio a una posizione funzionale qualitativamente diversa, e che, rispetto a tale passaggio, rilevano le previsioni della contrattazione collettiva, spetta al giudice amministrativo la controversia relativa al concorso per l’accesso a categoria superiore nell’ambito della stessa area relativamente al personale non docente del comparto Università, poiché il sistema di classificazione del relativo Ccnl 9 agosto 2000 è articolato in categorie, che si caratterizzano per il diverso grado di autonomia e responsabilità, mentre le aree contrassegnano i diversi campi di specializzazione trascversalmente alle categorie. (Cass. sez. un. 31/1/2008 n. 2288, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2008, 2109)
  51. Ai sensi dell’art. 63, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, spetta al Giudice Amministrativo la controversia avente a oggetto l’impugnazione di incarico dirigenziale presso un Comune, sebbene la norma richiamata sia chiara nel conferire tali controversie alla giurisdizione del giudice ordinario del lavoro. (TAR Puglia, Lecce, 29/1/2008, n. 300, Est. Castriota Scanderbeg, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Filippo Basile, 513)
  52. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in materia di procedure selettive per il passaggio all’interno della medesima area (nella fattispecie passaggio dalla posizione C1 e C2 alla posizione C3) sia quando la procedura sia volta all’acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia quando si tratti di vero e proprio conferimento di qualifica superiore, comportante diverse mansioni e responsabilità. (Corte app. Milano 21/1/2008, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2008, con nota di Luce Bonzano, “Ancora sulla giurisdizione del giudice ordinario in materia di procedure selettive interne alla medesima categoria”, 747)
  53. Ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001, la disapplicazione dell’atto amministrativo è consentita al giudice ordinario, anche in materia di lavoro pubblico, solo come accertamento incidentale dell’illegittimità dell’atto stesso; non esiste un potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo in via principale, poiché un simile potere equivarrebbe a quello di annullamento, che è invece riservato al giudice amministrativo. Quando un lavoratore lamenti di non aver potuto esplicare il proprio diritto al lavoro a cagione di un provvedimento amministrativo di cancellazione dall’albo, detto provvedimento si pone come causa immediata della lamentata lesione del diritto e non come mero antecedente logico di essa, sicché la questione di legittimità del provvedimento de qua non ha carattere pregiudiziale rispetto all’oggetto del giudizio, ma viene sostanzialmente a coincidere con tale oggetto. (Trib. Ravenna, in funzione di Giudice del Reclamo, 27/6/2007, ord., Pres. Cicognani Rel. Vicini, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Federico Martelloni, 287)
  54. In tema di lavoro pubblico contrattualizzat, atteso che le procedure concorsuali ai fini dell’attribuzione alla giurisdizione amministrativa ex art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001 comprendono anche quelle dirette a permettere l’accesso del personale già assunto a una fascia o area funzionale superiore, con progressione verticale che consista nel passaggio a una posizione funzionale qualitativamente diversa, e che, rispetto a tale passaggio, rilevano le previsioni della contrattazione collettiva, spetta al giudice amministrativo la controversia relativa al concorso per l’accesso a categoria superiore nell’ambito della stessa area relativamente al personale non docente del comparto Università, poiché il sistema di classificazione del relativo C.c.n.l. 9 agosto 2000 è articolato in categorie, che si caratterizzano per il diverso grado di autonomia e responsabilità, mentre le aree contrassegnano i diversi campi di specializzazione trasversalmente alle categorie. (Cass. 31/1/2008, Sez. Un., n. 2288, Pres. Carbone Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2008, 519)
  55. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere dell’atto di cessazione dell’incarico disposto nei confronti del direttore generale di un’azienda sanitaria, per effetto del meccanismo legislativo del cosiddetto spoils system, condividendo tale atto la natura di quello di nomina e implicando in ogni caso una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge a fronte della quale non sono ipotizzabili se non posizioni di interesse legittimo. (Cons St. 29/5/2007 n. 2700, ord., in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mauro Montini, “A volte ritornano”, 711)
  56. La disposizione del quarto comma dell’art. 63 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, che attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di pubblici dipendenti si riferisce solo al reclutamento basato su prove di concorso, caratterizzato da una fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione e da una successiva fase di svolgimento delle prove e di confronto delle capacità, diretta a operare la selezione in modo obiettivo e dominata da una discrezionalità (non solo tecnica, ma anche) amministrativa nella valutazione dei candidati; detta disposizione non riguarda, pertanto, le controversie nelle quali si intenda far valere il diritto al lavoro, in relazione al quale la P.A. – ai fini della formazione della graduatoria definitiva relativa a una procedura concorsuale – valutato il titolo di riserva spettante agli invalidi civili ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482 (ora L. 12 marzo 1999, n. 68), è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la relativa disciplina non lascia alla P.A. alcun criterio di discrezionalità in relazione alla posizione soggettiva dell’invalido, che si configura come diritto al posto riservato quale appartenente a categoria protetta. (Cass. Sez. Un. 28/5/2007 n. 12348, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 1242)
  57. Le procedure concorsuali che, ai sensi dell’art. 63, 4° comma, D.Lgs. 31/3/01 n. 165 radicano la giurisdizione del giudice amministrativo, sono tutte quelle volte al reclutamento del dipendente, senza che abbia rilevanza, ai fini del riparto di giurisdizione, nè la natura della procedura concorsuale (per esami, per titoli ed esami, per soli titoli), nè il fatto che l’atto della amministrazione sia adottato sulla base di riscontri vincolati in merito all’esistenza di requisiti fissati per legge, ben potendo esistere casi in cui l’attività della PA, benchè vincolata, sia comunque rivolta a perseguire primariamente l’interesse pubblico e solo in via mediata quello del privato, la cui posizione assume pertanto i connotati dell’interesse legittimo (fattispecie relativa alla graduatoria provinciale permanente dei docenti finalizzata all’accesso al ruolo). (Cons. St. 24/5/2007, Ad. Plen., Pres. Schinaia Rel. Salvatore, in D&L 2007, con nota di Luce Bonzano, “Il Consiglio di Stato insiste per la giurisdizione amministrativa sui concorsi”, 949)
  58. Lo scorrimento di una graduatoria concorsuale, invocato dal soggetto qualificatosi come idoneo ai fini dell’immissione nelle funzioni di dirigente, non appartiene alla fase della procedura concorsuale, che deve ritenersi conclusa con l’approvazione della relativa graduatoria, bensì a quella successiva connessa agli atti di gestione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, in applicazione dei criteri di riparto di giurisdizione di cui all’art. 63, D.Lgs. n. 165/2001, la controversia appartiene al giudice ordinario e non a quello amministrativo, senza rilevanza del fatto che la selezione attenesse al passaggio ad area diversa e superiore rispetto a quella posseduta dal partecipante alla selezione medesima. (Cass. 14/5/2007 n. 10940, Pres. Carbone Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Francesca Limena, 1103)
  59. Il giudice del lavoro, come giudice competente a conoscere del rapporto di lavoro con le P.A., deve essere considerato un giudice a carattere (tendenzialmente) omnicomprensivo ed esclusivo; capace cioè di conoscere ogni sorta di controversia rientrante nel perimetro dei rapporti a esso devoluti. La legge, utilizzando la formula “tutte le controversie”, impiega una previsione atta a ricomprendere qualsiasi domanda, non solo quelle vertenti su un diritto ma anche quelle vertenti su un interesse legittimo (di natura pubblica e/o privata); e ciò non solo in relazione a un rapporto di lavoro in atto oppure già estinto, ma anche in relazione a rapporti futuri, da costituire (con la sola eccezione prevista dalla legge della materia delle procedure concorsuali). Quando un lavoratore lamenti di non aver potuto esplicare il proprio diritto al lavoro a cagione di un provvedimento amministrativo di cancellazione dall’albo, egli non chiede la mera iscrizione negli elenchi, fine a se stessa; chiede invece che venga dichiarata incidentalmente l’illegittimità della cancellazione e (soprattutto e conseguentemente) affermato il proprio diritto al lavoro presso la sede nella quale, in difetto di quel provvedimento (reputato illegittimo) egli sarebbe già stato chiamato al lavoro e non lo è stato. Trattasi di un’ipotesi paradigmatica in cui l’atto amministrativo rileva incidentalmente nel quadro di una valutazione più ampia demandata al giudice ordinario secondo i tipici poteri d’intervento sull’atto amministrativo puntualmente ribaditi dal T.U. sul pubblico impiego. (Trib. Ferrara 14/5/2007, ord., Est. R. Riverso, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Federico Martelloni, 281)
  60. Ai sensi dell’art. 63, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale, ancorchè atipica. (Cons. di Giustizia amministrativa 12/4/2007 n. 324, Pres. Barbagallo Est. Teresi, in Lav. nelle P.A. 2007, con commento di Benedetto Cimino, 536)
  61. Con riferimento alle controversie in tema di lavoro pubblico privatizzato, devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in virtù dell’art. 63, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, la devoluzione all’a.g.o. della controversia concernente impugnativa di licenziamento, demansionamento o risarcimento dei danni non è esclusa dalla eventualità che la decisione possa richiedere l’esame e la valutazione, incidenter tantum, di provvedimenti amministrativi e la disapplicazione da parte del giudice ordinario. (Trib. Camerino 2/4/2007, Giud. Basilli, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Fabio Massimo Gallo, 11123)
  62. Ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001, è rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa dal partecipante, risultato primo tra gli idonei non vincitori in un concorso di selezione per una progressione verticale del personale della Regione Basilicata, il quale, a seguito dell’indizione di altro concorso per la copertura di posti dello stesso profilo professionale, lamenti la violazione della disposizione del bando che prevedeva la durata della graduatoria per dodici mesi per la copertura di eventuali ulteriori posti resisi vacanti. Infatti, il candidato che, vantando una determinata posizione nella graduatoria già approvata e il possesso dei requisiti del bando per il c.d. scorrimento della graduatoria, pretenda di essere chiamato alla stipulazione del contratto di lavoro, fa valere il proprio diritto all’assunzione senza porre in discussione le procedure concorsuali. (Cass. Sez. Un. 9/3/2007 n. 5397, in Lav. nelle P.A. 2007, 555, e in Lav. nella giur. 2007, 1147, e in Dir. e prat. lav. 2008, 65)
  63. Le giurisdizione deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del cd. “petitum” sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio e individuata dal giudice stesso; inoltre, non rileva che la pretesa sostanziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento di un atto amministrativo, poichè l’individuazione della giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, il quale deve essere inquadrato, in base al criterio del “petitum” sostanziale, all’esito dell’indagine sull’effettiva natura della controversia. (Trib. Camerino 1/3/2007, Est. Basilli, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mario Maria Nanni, 725)
  64. In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, ai fini del riparto della giurisdizione, per procedure concorsuali di assunzione (ascritte all’attività autoritativa dell’Amministrazione, con devoluzione delle relative controversie ai giudici amministrativi) si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro, ma anche i procedimenti concorsuali interni destinati a consentire l’inquadramento di dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, profilandosi in tal caso una novazione oggettiva dei rapporti di lavoro. Restano, viceversa, devolute alla giurisdizione ordinaria le controversie relative alle progressioni, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, all’interno di ciascuna area professionale o categoria, dato che la relativa procedura, estranea all’ambito delle attività amministrative autoritative, è retta dal diritto privato. (Corte app. Milano 12/2/2007, Pres. Castellini rel. De Angelis, in Lav. nella giur. 2007, 1150)
  65. In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, “per procedure concorsuali di assunzioni” ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione (alla stregua dell’art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001), si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro, ma anche le prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto a una fascia o area funzionale superiore e cioè a una progressione verticale che consiste nel passaggio a una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro; tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso. Alla stregua dell’interpretazione enunciata, assume rilevanza determinante, ai fini dell’indicato criterio di riparto della giurisdizione, il contenuto della contrattazione collettiva, sicchè in presenza di progressioni, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, che comportino una progressione verticale nel senso indicato, la cognizione delle controversie resta riservata al giudice amministrativo; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli dipendenti interni che comportino il passaggio da una qualifica all’altra, ma nell’ambito della stessa area (o categoria) sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l’amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. (Cass. 10/1/2007 n. 220, Pres. Prestipino Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2007, 828)
  66. Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie che riguardano procedure concorsuali riservate esclusivamente ai soggetti già dipendenti che non comportino un passaggio di area (nella specie si trattava di graduatoria per l’attribuzione di posizioni organizzative). (Trib. Napoli 10/1/2007, Est. Simeoli, in D&L 2007, 829)
  67. Il conferimento da parte di un Ente pubblico di un incarico a un professionista, ancorchè preordinato alla instaurazione di un rapporto di collaborazione avente carattere continuativo, costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di autonomia privata. Le relative controversie sono pertanto di esclusiva competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria. (Cass. 3/1/2007 n.4, Pres. carbone Est. Vidiri, in D&L 2007, con nota di Davide Pollastro, “Stipulazione di un rapporto Co. co. co. con la PA: i problemi di giurisdizione”, 300)
  68. La disapplicazione nel giudizio ordinario di atti amministrativi non conformi a legge, che costituisce strumento processuale apprestato a tutela del diritto soggettivo, è totalmente insensibile rispetto all’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo, che è pertinente al solo giudizio amministrativo di impugnazione di atti autoritativi e preclude una decisione nel merito della controversia; di conseguenza, gli atti amministrativi divenuti inoppugnabili possono essere disapplicati dal giudice ordinario (fattispecie in tema di lavoro alle dipendenze di pubblica amministrazione). (Cass. 9/5/2006 n. 10628, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. civ. 2007, 730)
  69. Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti concorsi interni presso le pubbliche amministrazioni che comportino passaggio del dipendente da un’area a un’altra, mentre rimangono attratte alla generale giurisdizione del giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi interni che comportino il passaggio da una qualifica a un’altra, ma nell’ambito della medesima area, ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro. (Cass. 20/4/2006 n. 9168, ord., Pres. Carbone Est. Amoroso, in Giust. civ. 2006, 1619)
  70. Nel lavoro con la pubblica amministrazione, allo stesso modo dei concorsi c.d. “misti”, ossia aperti all’esterno, sono attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo i concorsi interno c.d. “misti”, che riguardano sia la progressione nell’ambito della stessa area, che tra aree diverse, in ragione di un generale principio di economicità processuale che fa escludere che delle medesime operazioni concorsuali possano conoscere contemporaneamente il giudice ordinario e il giudice amministrativo (fattispecie in tema di progressione di personale della polizia municipale dall’area C all’area D, alla quale potevano partecipare sottufficiali già inquadrati nell’area D per la progressione alla qualifica di ufficiali. (Cass. 20/4/2006 n. 9168, ord., Pres. Carbone Est. Amoroso, in Giust. civ. 2006, 1619)
  71. Nel nuovi sistema di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, delineato dall’art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (nel testo sostituito dall’art. 29 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e ulteriormente modificato dall’art. 18 del D.Lgs. n. 387 del 1998) – nel quale, per espressa previsione normativa, rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative all’assunzione del lavoratore, ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti – l’accertamento del diritto all’assunzione del candidato utilmente classificato nelle procedure selettive compete al giudice ordinario, al quale spetta emanare l’eventuale pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro, senza che rilevi, ai fini della giurisdizione, la circostanza che la decisione di tale controversia coinvolga la verifica dei requisiti per la partecipazione al concorso. Inoltre il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria va ancorato, quando la causa petendi dell’azione giudiziaria si fondi su una situazione di fatto permanente, al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia. Pertanto rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa per ottenere il riconoscimento del diritto all’assunzione presso un comune a seguito dell’espletamento di un concorso pubblico, con richiesta di risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento, ove l’illegittimo comportamento dell’amministrazione comunale si sia protratto oltre il 30 giugno 1998. (Nella specie l’ente, con lettera dell’agosto 1998, aveva comunicato che la situazione era ancora all’esame degli organi competenti). (Cass. 11/4/2006 n. 8375, Pres. Carbone Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2006, 1021)
  72. Nel pubblico impiego privatizzato l’Amministrazione pubblica conserva il potere discrezionale nella scelta delle posizioni organizzative e il controllo del giudice non può spingersi oltre l’accertamento della non manifesta inadeguatezza o irragionevolezza della regola selettiva e del rapporto tra regola e finalità. (Trib. Pistoia 31/3/2006 Est. De Marzo, in D&L 2006, con nota di Filippo Pirelli, “Poteri del datore di lavoro nel pubblico impiego provatizzato”, 792)
  73. Poichè il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del corpo dei vigili del fuoco – esclusi il personale volontario e quello di leva – è disciplinato in regime di diritto pubblico, le relative controversie appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo. (Cons. St. 14/3/2006 n. 1349, Pres. Giovannini Est. Cafini, in Giust. civ. 2006, 1623)
  74. Nel lavoro con le pubbliche amministrazioni, l’accertamento del diritto all’assunzione dei candidati in un concorso pubblico coinvolge la verifica dei requisiti per la partecipazione al concorso stesso e, quindi, attiene alla fase antecedente a quella costitutiva del rapporto di impiego, con conseguente attrazione della relativa controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie in tema di diniego di stipulazione del contratto individuale di lavoro per asserita mancanza di un requisito per l’assunzione). (Cons. St. 14/3/2006 n. 1349, Pres. Giovannini Est. Cafini, in Giust. civ. 2006, 1623)
  75. L’autodichia deve ritenersi sussistente in relazione a tutto il personale – di ruolo e non di ruolo, con rapporto a tempo indeterminato ovvero temporaneo – in servizio a presidio dell’autonomia organizzativa costituzionalmente riconosciuta a ciascun ramo del Parlamento e, in quanto tale, in alcun modo sindacabile in sede di giurisdizione ordinaria secondo ricevuti principi. (Trib. Roma 15/2/2006, Dott. Mucci, in Lav. nella giur. 2007, 319)
  76. La soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto a una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell’Amministrazione, è strettamente subordinata all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell’ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell’azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell’art. 2087 c.c., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorché il richiamo all’una o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell’elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell’illecito. Ma una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito, ossia da una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso; mentre, ove la condotta dell’amministrazione si presenti con caratteri tale da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti a essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con riguardo alla controversia promossa da un’infermiera nei confronti della Gestione Liquidatoria di una USL per i danni, patrimoniali, biologici e morali, subiti a seguito delle lesioni cagionate da una degente dell’ospedale psichiatrico presso il quale la lavoratrice prestava servizio, sull’assunto che questa avesse indicato a sostegno della propria domanda elementi oggettivi integranti la violazione dell’obbligo contrattuale di garantire ai dipendenti una sicurezza relazionata allo specifico ambiente lavorativo). (Cass. 7/2/2006 n. 2507, Pres. Carbone Rel. Miani canevari, in Lav. Nella giur. 2006, 707)
  77. In tema di pubblico impiego privatizzato, ai sensi dell’art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, al giudice ordinario vanno attribuite tutte le controversie inerenti a ogni fase del rapporto, ivi compresa quella iniziale dell’assunzione al lavoro, mentre al giudice amministrativo devono essere devolute, a norma del quarto comma del medesimo articolo, quelle attinenti alle procedure concorsuali, che sono strumentali alla costituzione del rapporto e il cui momento finale è costituito dalla approvazione della graduatoria. Spetta pertanto alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia promossa dal privato nei confronti di un’azienda ospedaliera, in relazione a un procedimento concorsuale volto alla copertura con pubblico concorso di alcuni posti di infermiere professionale, allorché il privato (dipendente dell’azienda in quanto in precedenza assunto con contratto a tempo determinato per ricoprire un posto di eguale qualifica), abbia impugnato tutti gli atti della procedura concorsuale asserendone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento per l’erroneità dei presupposti di fatto sui quali i medesimi si fondavano, ovvero l’esistenza di un certo numero di posti di lavoro come infermiere professionale disponibili in conseguenza dell’automatica cessazione, alla scadenza, degli effetti dei contratti a tempo determinato già conclusi. (Cass. 13/12/2005 n. 27399, Pres. Carbone Rel. Coletti De Cesare, in Lav. Nella giur. 2006, 608)
  78. Poiché il contratto stipulato tra il direttore generale dell’azienda sanitaria e la regione – dal quale discende l’obbligo di eseguire la prestazione in favore dell’azienda di destinazione, con onere economico a carico delle medesima azienda – costituisce un rapporto di lavoro privato, di natura autonoma, è devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia concernente l’adeguamento del trattamento economico del direttore generale alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva nazionale per le posizioni apicali della dirigenza di ruolo, medica e amministrativa. (Cass. 3/11/2005 n. 21286, Pres. Carbone Est. La Terza, in Giust. Civ. 2006, 673)
  79. Ai sensi dell’art. 63, comma 1 e 4, D.Lgs. 165/2001, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa dal dipendente nei confronti della pubblica amministrazione in materia di procedure selettive riservate ai dipendenti di esclusiva fonte contrattuale, non apparendo persuasivo il collegamento che la giurisprudenza di legittimità fa tra la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di concorsi interni e la sussistenza, su tutte le relative controversie, della giurisdizione del giudice amministrativo. (Corte app. Milano 8/11/2005, Pres. E rel. Ruiz, in Lav. Nella giur. 2006, 715)
  80. È devoluta alla giurisdizione amministrativa la controversia concernente la cessazione dell’incarico di direttore generale di un’azienda sanitaria della regione Lazio a seguito di rinnovo del consiglio regionale, venendo in rilievo posizioni di interesse legittimo al corretto esercizio del potere straordinario attribuito alla regione in ordine all’organizzazione degli enti da essa dipendenti, sulla base di una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge. (Cons. Stato 19/10/2005, n. 5836, ord., Pres ed est. Allegretta, in Giust. Civ. 2006, 676)
  81. In materia di rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni, l’art. 45, comma 7, d.lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 69, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001), che ha trasferito al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego “privatizzato” e ha dettato la relative disciplina transitoria, utilizzando a tal fine la locuzione generica e tecnica di “questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998” ovvero “anteriore a tale data”, non collega rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria a elementi come la data del compimento, da parte dell’amministrazione, dell’atto di gestione del rapporto che abbia determinato l’insorgere della questione litigiosa, oppure l’arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto, o, infine, il momento di insorgenza della contestazione, e deve essere interpretato nel senso che deve aversi riguardo al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  82. In tema di selezioni preordinate al conferimento di inquadramenti superiori ai lavoratori pubblici, l’area della giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie è di carattere residuale, circoscritta agli inquadramenti che non comportano variazioni di area o di categoria, siccome concernenti semplici passaggi di livello nell’ambito della medesima area funzionale. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  83. L’art. 63 d.lgs. n. 165 del 2001 assume a presupposto l’opzione di lasciare, nella materia delle procedure concorsuali, inalterato l’assetto normativo che colloca il concorso per l’assunzione alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell’ambito degli attie e dei procedimenti amministrativi e, dunque, dell’attivitautoritativa; la scelta di diritto sostanziale trova il suo necessario riflesso processuale nella devoluzione alla giurisdizione amministrativa di legittimità delle controversie attinenti al procedimento amministrativo in questione. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  84. La giurisdizione amministrativa sulle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici si estende a tutte le controversie che comunque investano fasi del procedimento e il provvedimento di approvazione della graduatoria, senza che sia consentito operare distinzioni tra attività rigidamente vincolate dell’amministrazione e attività discrezionali, atteso che tutti i partecipanti restano assoggettati al potere di selezione che si esercita mediante un procedimento che prende l’avvio da un atto ampiamente discrezionale (il bando) e si svolge mediante attività tutte vincolate e preordinate all’atto terminale, il quale soltanto determina la nascita di diritti soggettivi, siccome individua il soggetto ammesso alla stipulazione del contratto di lavoro. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  85. La pretesa allo “scorrimento” della graduatoria si colloca di per sé fuori dell’ambito della procedura concorsuale ed è conosciuta dal giudice ordinario quale controversia inerente al diritto all’assunzione; tuttavia, quando viene contestata la conformità a legge del potere di indizione di nuovo concorso in presenza della graduatoria di una precedente non ancora efficace, l’interessato chiede tutela nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, con la conseguenza che la tutela deve essere accordata dal giudice amministrativo, restando escluso che possa essere concessa mediante disapplicazione della decisione di bandire il concorso nel giudizio ordinario, atteso che il potere di disapplicazione presuppone proprio che la controversia cada su un diritto soggettivo sul quale incide un atto amministrativo oggetto di cognizione incidenter tantum. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  86. È devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia concernente la decadenza automatica dalla carica di direttore generale di un’azienda sanitaria della regione Lazio a seguito di rinnovo del consiglio regionale, atteso che non si controverte della legittimità dell’esercizio di una potestà pubblica, ma della verificazione di un fatto estintivo dei diritti nascenti dal contratto di prestazione d’opera. (TAR Lazio 24/9/2005 n. 613, ord., Pres. Bianchi Est. Soricelli, in Giust. Civ. 2006, 676)
  87. Nell’ipotesi in cui il vincitore di un pubblico concorso, successivamente giudicato inidoneo all’assunzione a seguito di visita medica negativa, chieda l’accertamento giudiziale del suo diritto all’assunzione sulla base della graduatoria approvata, il giudizio non deve svolgersi in contraddittorio con gli altri partecipanti al concorso, atteso che non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 102 c.p.c., poichè la domanda non implica la riformulazione della graduatoria o contestazioni relative alla validità del concorso, che avrebbero invece determinato la necessità dell’estensione del contraddittorio agli altri candidati. (Cass. 25/8/2005 n. 17324, Pres. Mileo Est. Figurelli, in Giust. Civ. 2006, 1621)
  88. Nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni di un accertamento medico-legale, affinchè gli errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza, denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con onere della parte interessata di indicarne le fonri, non potendosi il ricorrente per cassazione limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducano in un’inammissibile critica del convincimento del giudice di merito (fondato sulla consulenza). (Cass. 25/8/2005 n. 17324, Pres. Mileo Est. Figurelli, in Giust. Civ. 2006, 1621)
  89. In tema di riparto di giurisdizione, la domanda che presupponga l’avvenuto svolgimento di prestazioni lavorative in favore di un ente pubblico non economico (nella specie, un Comune) con continuità, con vincolo di subordinazione e dietro retribuzione, integra la deduzione di un rapporto di pubblico impiego, e non di un rapporto di tipo privato con l’ente, per il quale (a parte i casi di diretta qualificazione in tal senso disposta dalla legge) si richiede, invece, che venga prospettato l’inserimento del lavoratore in una organizzazione separata ed autonoma rispetto alla struttura dell’ente, gestita con criteri di imprenditorialità. (Cass. 3/5/2005 n. 9100, Pres. Carbone Rel. Evangelista, in Dir. e prat. lav. 2005, 2152)
  90. La domanda del professore universitario rivolta ad ottenere la condanna della P.A. al risarcimento del danno, parametrato alle retribuzioni perdute nonché al pregiudizio di avere ottenuto una sede lontana e disagiata, derivante dal ritardo nell’immissione in ruolo, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, senza che rilevi l’attinenza della controversia ad un periodo successivo al 30 giugno 1998, atteso che gli artt. 3 e 63, quarto comma, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 escludono dalla cognizione del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di impiego di professori universitari, conservato al regime pubblicistico. (Cass. 5/4/2005 n. 7000, Pres. Olla Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2005, 795)
  91. Ove una P.A. (a ciò autorizzata dalla legge) scelga di richiedere al Comune la notificazione di propri atti e si avvalga, a tal fine, dei messi comunali (personale dipendente del Comune), l’attività notificatoria esplicata da costoro non è riconducibile alla nozione di pubblico servizio recepita nell’art. 33, secondo comma, lett. f), D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dovendo escludersi da tale nozione le prestazioni che rivestono un rilievo soltanto strumentale all’erogazione del servizio e che restano, comunque, interne alla struttura organizzativa del gestore del medesimo. All’opposto, i messi comunali agiscono nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto d’impiego pubblico che li lega all’ente territoriale, nella cui struttura sono inseriti, e in questo stesso rapporto trova titolo e giuridico fondamento ogni loro pretesa – comprese quelle di carattere patrimoniale – connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto d’altra Amministrazione. Ne consegue che, considerato che il rapporto di cui trattasi rientra tra quelli cosiddetti contrattualizzati, la questione di giurisdizione, in relazione a controversia avente ad oggetto il pagamento di somme reclamate come corrispettivo dell’attività di notificazione di certificati elettorali richiesto al Comune di appartenenza dal Ministero dell’interno in occasione delle lezioni del 1995, va risolta alla stregua della disciplina transitoria di cui all’art. 69, settimo comma, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (già art. 45, diciassettesimo comma, D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80), il quale , nel richiamare il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie in tale materia (art. 63 D.Lgs. n. 165/2001; già art. 68 D.Lgs. n. 29/1993, come novellato dall’art. 29 D.Lgs. n. 80/1998), conserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie che, sebbene introdotte successivamente al 30 giugno 1998, abbiano ad oggetto questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data. (Cass. 25/3/2005 n. 6409, Pres. Carbone Rel. Coletti, in Lav. nella giur. 2005, 794)
  92. Rientra nella giurisdizione amministrativa la controversia concernente la pretesa risarcitoria del pubblico dipendente per il ritardo nell’espletamento di una procedura concorsuale per l’accesso alla dirigenza, trattandosi di questione consequenziale a quelle inerenti all’espletamento del concorso. (Trib. Aquila 3/3/2005, Giud. Mostarda, in Giust. Civ. 2006, 675)
  93. In materia di impiego pubblico privatizzato, la controversia avente ad oggetto una procedura selettiva riservata ai dipendenti e di esclusiva fonte contrattuale (nella specie, procedura di selezione interna per il passaggio dalle posizioni B1, B2 e B3 alla posizione C1) rientra nella giurisdizione del Giudice ordinario, anche qualora comporti il passaggio del dipendente a un’area contrattuale diversa e superiore, trattandosi di atto privatistico di gestione del rapporto di lavoro. (Corte d’appello Milano 25/2/2005, Pres. Castellini Est. Accardo, in D&L 2005, 303)
  94. Qualora l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro pubblico di fatto svoltosi antecedentemente al 30/6/98, venga richiesto solo in via strumentale al fine di ottenere i versamenti contributivi e il risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per quanto riguarda i periodi contributivi non prescritti, poiché il mancato versamento dei contributi si configura come illecito permanente, che si consuma al momento della realizzazione del fatto dannoso e pertanto al momento in cui interviene la prescrizione del diritto dell’ente previdenziale ad agire per la riscossione dei singoli ratei. Ne segue che, per contro, la domanda relativa ai periodi contributivi antecedenti al 30/6/98 e caduti in prescrizione ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo. (Trib. Vigevano 16/2/2005, Est. Scarzella, in D&L 2005, 312)
  95. Ai sensi dell’art. 69 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (già art. 45 del D.Lgs. n. 80 del 1998), nella controversia tra il Coni ed un suo dipendente la giurisdizione amministrativa sussiste in relazione alla domanda avente ad oggetto retribuzioni arretrate sino al 30 giugno 1998, mentre invece sussiste la giurisdizione ordinaria per la domanda relativa alle retribuzioni successive a tale data e per l’intera domanda di risarcimento di danni che si affermino dovuti ad un comportamento del datore di lavoro iniziatosi prima, ma protrattosi anche dopo il 30 giugno 1998. (Cass. 27/1/2005, ord., n. 1622, Pres. Carbone Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1521)
  96. L’entrata in vigore del nuovo regime di privatizzazione del pubblico impiego ha determinato l’abrogazione implicita dell’art. 58 del RD 8/1/31 n. 148, allegato A) nella parte in cui attribuisce al Giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative all’irrogazione di sanzioni disciplinari a carico degli addetti al servizio di trasporto in concessione. (Cass. 13/1/2005 n. 460, Pres. Carbone Est. Foglia, in D&L 2005, con nota di Valentina Civitelli, “Fine di un’anomalia: le sanzioni disciplinari degli autoferrotranviari al giudice ordinario”, 293)
  97. La giurisdizione sulle controversie di lavoro pubblico appartiene al giudice ordinario. Tale giurisdizione permane anche nel caso di controversie relative ai c.d. concorsi interni, vale a dire quelli che si attuano nei confronti di personale già alle dipendenze dell’ente pubblico e che attribuiscono a detti dipendenti, attraverso meccanismi di selezione previsti e regolati dalla contrattazione collettiva, una progressione di carriera nell’ambito della stessa area professionale. (Corte d’appello Milano 13/12/2004, Pres. Castellini Rel. Togni, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Giorgio Mannacio, 455)
  98. Ai sensi dell’art. 69, comma 7, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, appartengono alla giurisdizione ordinaria del lavoro le controversie di cui all’art. 63 del medesimo decreto relativo a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre rimangono alla giurisdizione amministrativa quelle attinenti al periodo anteriore. Il chiaro contenuto della disposizione non può essere rimesso in discussione dalla parte finale della norma citata che va esaminata in collegamento con la precedente formulazione della stessa contenuta nell’art. 45, comma 17, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. (Trib. Milano 21/7/2004, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2005, 393)
  99. Una controversia avente ad oggetto il giudizio circa la legittimità di un concorso interno, ossia riservato a personale già in servizio (nella specie presso il Ministero delle Finanze) rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo alla luce della più recente interpretazione fornita dalla Suprema Corte a Sezioni Unite delle disposizioni di cui all’art. 35, comma 1, del d.lgs. 165/2001 in tema di giurisdizione del giudice amministrativo nei concorsi per l’assunzione nel rapporto di impiego alle dipendenze con la pubblica amministrazione. L’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 deve essere infatti interpretato nel senso che, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materie di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore: il termine assunzione deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale. (Tar Campania Napoli 23/12/2003 n. 15553, Pres. Monteleone Est. Ianigro, in Lav. nelle P.A. 2004, 474) Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere anche delle vicende del rapporto di lavoro iniziate in epoca anteriore al 30 giugno 1998, dovendosi avere riguardo, ai fini della discriminazione temporale imposta dal d.lgs. n. 80/1998, al momento in cui i singoli fatti si sono verificati nel loro intero svolgimento, nonché a quello degli atti amministrativi che sono stati messi in relazione a tale situazione. (Corte d’Appello di Milano 24/5/2004, Est. Castellini, in Lav. nelle P.A. 2004, 725)
  100. Solo ove il legislatore abbia scelto di equiparare l’esercizio del potere pubblicistico a quello datoriale l’interesse al rispetto delle norme d’azione può essere tutelato, per il tramite della disapplicazione, dal giudice ordinario, resistendo, in caso contrario, la sua natura di interesse legittimo che in quanto tale è di competenza del giudice amministrativo (nella specie il giudice ha ritenuto rientrasse fra gli atti di organizzazione generale, e come tali, conoscibili ai fini di un’adeguata tutela solo dal giudice amministrativo, la soppressione di un servizio che aveva contestualmente determinato la mancata conferma nel relativo incarico del dirigente di un ente locale). (Trib. Pistoia 10/5/2004, Est. De Marzo, in Lav. nelle P.A. 2005, con commento di Gabriella Nicosia, “L’incerto confine tra la macro e la micro organizzazione del datore di lavoro pubblico nell’incarico di funzione dirigenziale”, 327)
  101. Il termine del 15 settembre 2000 – relativamente alle questioni attinenti al periodo del rapporto di impiego anteriore al 30 giugno 1998 – non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma è indicato quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale. Per evitare la decadenza della proposizione del ricorso relativo ad una controversia di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 69, 7° comma, D.Lgs. n. 167/2001, non è sufficiente la sola procedura di notificazione del ricorso in quanto nel processo amministrativo il rapporto giuridico processuale viene instaurato solo con il deposito presso la segreteria del giudice amministrativo. (TAR Calabria 26/3/2004 n. 241, ord., Pres. Passanisi Est. Criscenti, in Giur. It. 2004, 1974)
  102. Il direttore dei lavori per la realizzazione di un’opera pubblica deve ritenersi funzionalmente e temporaneamente inserito nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione che gli ha conferito l’incarico, quale organo tecnico e straordinario della stessa, con la conseguenza che, con riferimento alla responsabilità per danni cagionati nell’esecuzione dell’incarico stesso, è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti; nel caso di specie detto rapporto di servizio non è invece configurabile tra la stazione appaltante ed il progettista di un’opera pubblica, il cui elaborato deve essere fatto proprio dall’amministrazione mediante specifica approvazione, versandosi in tal caso in un’ipotesi non di inserimento del soggetto nell’organizzazione dell’amministrazione, ma di contratto d’opera professionale; ne deriva che, con riferimento alla responsabilità per danni cagionati all’amministrazione comunale dal progettista, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. (Cass. 23/3/2004 n. 5781, Pres. Corona Rel. Varrone, in Giur. It. 2004, 1943)
  103. In tema di impiego pubblico privatizzato, ai sensi dell’art. 68, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 29, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (oggi art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165), sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro ed il conferimento di incarichi dirigenziali, mentre la riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa, contenuta nel quarto comma del citato art. 68 (ora art. 63), concerne esclusivamente le procedure concorsuali, strumentali alla costituzione del rapporto con la pubblica amministrazione. Pertanto appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ex art. 15, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale per il solo fatto che ad essa sono ammessi anche soggetti estranei al S.S.N., e soggetti che, seppure medici del servizio sanitario, sono legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura. Ed infatti, nella disciplina per il conferiment dell’incarico di dirigente medico del secondo livello non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad una procedura concorsuale, ancorchè atipica, atteso che la commissione si limita –dopo le modifiche apportate all’art. 15, D.Lgs. n. 502/1992 dal D.Lgs. n. 517/1993- alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell’incarico, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei curricula, senza attribuire punteggi e senza formare una graduatoria, ma semplicemente predisponendo un elenco di candidati, tutti idonei perché in possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste in relazione alla natura dell’incarico da conferire, elenco che viene sottoposto al Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria Locale, il quale, nell’ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l’incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale (art. 3, comma primo quater, D.Lgs. n. 502/1992 e successive modifiche). Né può attribuirsi rilievo, ai fini del riconoscimento della natura concorsuale della procedura di cui si tratta, la circostanza che del conferimento dell’incarico debba essere dato preventivo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, avendo detto avviso la sola funzione di ampliare il campo dei soggetti tra i quali il Direttore Sanitario deve operare la sua scelta. (Cass. 27/1/2004 n. 1478 Cass. 13/2/2004 n. 2851, Pres Sciarelli Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2004, 803)
  104. Con riferimento alla disciplina del pubblico impiego antecedente alla privatizzazione di cui al D. Lgs. N. 29 del 1993 (che, ad eccezione di alcune carriere statali nominativamente indicate, per le quali continua a sussistere il rapporto di pubblico impiego e la giurisdizione del giudice amministrativo, ha privatizzato il rapporto di lavoro di tutti i dipendenti dello Stato, delle Regioni, degli enti locali, delle Università e di tutti gli enti pubblici non economici , attribuendo la relativa giurisdizione al giudice ordinario per questioni incidenti su periodi dei rapporti in contestazione che si collochino in epoca successiva al 30 giugno 1998) caratterizzata dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sussistente per tutti i rapporti comportanti l’inserimento del prestatore di lavoro in posizione di subordinazione e con carattere di continuità nell’ambito della struttura pubblicistica dell’ente, e non in una organizzazione separata ed autonoma, gestita con criteri di imprenditorialità, la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata con riferimento all’oggetto della domanda, delineato non in base alla mera prospettazione compiutane dall’interessato, ma alla stregua del petitum sostanziale individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico posto a fondamento delle pretese. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza del giudice ordinario declinatoria della giurisdizione, in relazione alla domanda di accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica, con corresponsione della correlativa differenza di stipendio, proposta da un docente a contratto presso la scuola diretta a fini speciali di scienze ed arti del Politecnico di Torino; il difetto di giurisdizione era desunto dalla circostanza dello svolgimento di attività configurata dallo stesso ricorrente come esattamente corrispondente a quella di un docente dipendente di ruolo, inserita stabilmente nell’organizzazione dell’ente, e, quindi, riconducibile alla nozione di rapporto di lavoro subordinato configurabile come impiego pubblico, in ragione della qualità del datore di lavoro). (Cass. 23/1/2004 n. 1233, Pres. Carbone Rel. Ravagnani, in Dir. e prat. lav. 2004, 1315)
  105. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tutte quelle controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro delle P.A. e, in particolare, la revoca dell’incarico in precedenza conferito al pubblico dipendente, in considerazione normativa che ha attribuito a suddetta autorità la cognizione di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. (Trib. Caltanisetta 27/12/2003, Est. Porracciolo, in Lav. nella giur. 2004, 806)
  106. Le controversie relative al rapporto di lavoro dei segretari comunali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, giacchè gli atti di gestione di detto rapporto- sia quando vengano posti in essere dall’Amministrazione locale presso la quale il segretario opera, sia quando vengano posti in essere dall’Agenzia autonoma per la gestione dei servizi comunali e provinciali- rappresentano manifestazione dei poteri propri del privato datore di lavoro. (Trib. Voghera 15/1/2004, Est. Dossi, in D&L 2004, 98)
  107. Nel pubblico impiego privatizzato deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ad una controversia avente ad oggetto una procedura selettiva interna che non comporta novazione del rapporto di lavoro (nella specie trattavasi di un concorso per il semplice passaggio di livello senza variazione di area o categoria). (Cass. 10/12/2003, Pres. Grieco Est. Roselli, in D&L 2004, 193)
  108. Il 4° comma dell’art. 63 del D. Lgs. N. 165/2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo “le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni”, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia od area superiore; tuttavia, quando si discute dell’applicazione di un contratto collettivo che prevede la divisione del personale in aree o fasce, ma di semplice passaggio di livello, senza variazioni di area o categoria, ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro, vi è giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. (Cass. 10/12/2003 n. 18886, Pres. Greco Est. Morelli, in Giur. It. 2004, 1064)
  109. Nel nuovo sistema di riparto della giurisdizione di cui all’art.68 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 299 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (ora trasfuso nell’art. 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001), sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, “tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni incluse le assunzioni, ancorchè vengano in considerazione atti presupposti”, e a quella del giudice amministrativo “tutte le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti della pubblica amministrazione”, con la conseguenza che la vicenda modificativa del rapporto di lavoro con un’amministrazione pubblica, quale quella attinente allo svolgimento di un concorso interno, è attribuita all’Ago, non inerendo ad una procedura concorsuale, in considerazione del fatto che il bando di concorso riservato al personale interno ed il conseguente svolgimento della procedura selettiva rappresentano atti di gestione del rapporto di lavoro, espressione della capacità di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro (“ex” articolo 4 del decreto legislativo n. 29 del 1993, sostituito dall’art. 4 del decreto legislativo n. 80 del 1998; ora articolo 5, secondo comma, del decreto legislativo n. 165/2001). (Nella specie, la Suprema Corte ha rilevato che non vi era alcuna motivazione oggettiva del rapporto di lavoro, trattandosi di semplice passaggio di livello,k senza variazione di area o di categoria). (Cass. 10/12/2003 n. 18886, ord., Pres. Greco Rel. Roselli, in Lav. e prev. oggi 2004, 1070)
  110. Così come affermato dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Unite 15 ottobre 2003, n. 15403), deve ritenersi che una controversia riguardante un concorso interno al quale possono partecipare pubblici dipendenti rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo; va pertanto annullata con rinvio la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione in materia. (Cons. Stato 10/12/2003 n. 8143, Pres. Quaranta Est. Marchitiello, in Lav. nelle P.A. 2004, 472)
  111. I cosiddetti “concorsi interni” non possono essere assimilati “alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” e, conseguentemente, per le controversie riguardanti tali procedure non può ritenersi operante l’eccezione alla giurisdizione del Giudice ordinario regolata dall’art. 68 d.lgs. 29/1993, come novellato dal d.lgs. 80/1998; deve pertanto dichiararsi inammissibile un ricorso riguardante una procedura selettiva interna proposto innanzi al Giudice amministrativo, rientrando tale ricorso nell’ambito di competenza del Giudice ordinario, ai sensi dell’art. 68 d.lgs. 29/1993, come novellato dal d.lgs. 80/1998. (Tar Sicilia Palermo 11/12/2003 n. 3890, Pres. Giallombardo Est. Maisano, in Lav. nelle P.A. 2004, 473)
  112. Nel pubblico impiego privatizzato sussiste, ai sensi dell’art. 63, 1° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, la giurisdizione del giudice ordinario in caso di controversia concernente procedure concorsuali per il passaggio di livello all’interno di una medesima qualifica, finalizzata ad un mero miglioramento economico. (Trib. Milano 20/11/2003, Est. Ianniello, in D&L 2004, 193)
  113. Il 4° comma dell’art. 63 del D. Lgs. N. 165/2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le “controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni”, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia od area superiore; il termine “assunzione” deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento che, oltre tutto, l’accesso nell’area superiore di personale interno od esterno implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica. (Cass. 15/10/2003 n. 15403, Pres. Carbone Est. Prestipino, in Giur. It. 2004, 652)
  114. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al rapporto di impiego con la Banca d’Italia, in considerazione della posizione a sé stante che l’istituto assume nel panorama degli enti pubblici non economici, e della espressa eccezione contenuta nell’art. 3, 1° comma, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che include tra le categorie dei dipendenti il cui rapporto di impiego non è soggetto a privatizzazione “i dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691”, e cioè in materia valutaria, di tutela del risparmio e di esercizio della funzione creditizia. Ai fini del riparto della giurisdizione non assume rilievo la mera deduzione ad opera dell’attore, di una responsabilità extracontrattuale della p.a., atteso che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego trova applicazione anche per pretese risarcitorie di carattere patrimoniale e non, quando il rapporto di pubblico impiego funzioni da momento generico diretto e immediato dei diritti che si pretende essere stati lesi dall’ente pubblico in pregiudizio del dipendente, a nulla rilevando la prospettazione soggettiva della domanda, bensì il “petitum sostanziale”, ossia la situazione giuridica obiettiva denunciata con la domanda stessa. (Cass. 1/10/2003 n. 14667, Pres. Giustiniani Rel. Vidiri, in Giur. 2004, 864)
  115. Il significato dell’art. 45, comma 17, D.Lgs. n. 80/98, ripreso, sia pure con formulazione parzialmente diversa, dall’art. 69, D.Lgs. n. 165/01, al fine di evitare un eccessivo frazionamento del diritto azionato, con dispersione della relativa tutela processuale tra giurisdizioni diverse, deve essere inteso nel senso che, ai fini del riparto di giurisdizione, occorre valorizzare il momento in cui si sono verificati i fatti materiali in relazione alla cui rilevanza sia insorta la controversia. Per cui se la lamentata lesione di un diritto soggettivo trovi la propria origine in un atto ad effetto immediato della pubblica amministrazione, occorre avere riguardo ai fini indicati, unicamente al momento della sua produzione. Quando invece la pretesa nasca da un comportamento illecito permanente, si deve avere riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e, più precisamente, al momento della cessazione della permanenza. (Trib. Milano 19/7/2003, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2004, 190)
  116. È competente il giudice ordinario a conoscere di una controversia contro la Pubblica Amministrazione (promossa prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 31/3/98 n. 80) avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., a prescindere dal fatto che la posizione soggettiva fatta valere riguardi un diritto soggettivo o un interesse legittimo. (Cass. 16/5/2003 n. 7630, Pres. Duva Est. Mazza, in D&L 2003, 743, con nota di Giovanni Paganuzzi, “In tema di medici specializzati ed omessa attuazione delle direttive comunitarie”)
  117. In materia di rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, la giurisdizione del giudice ordinario istituita dall’art. 68 del D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, non può estendersi agli atti amministrativi riguardanti le linee ed i principi fondamentali della organizzazione degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono. (Cass. 17/4/2003 n. 6220, ord., Pres. Delli Priscoli, Rel. Napoletano, in Giur. It. 2003, 2164)
  118. Ai sensi dell’art. 7, 2° comma, lett. e), L. 21/7/2000 n. 205, che ha sostituito l’art. 33 del D. Lgs. 31/3/88 n. 80, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie di natura meramente risarcitoria riguardanti il danno a persone e cose relativamente ad attività ed a prestazioni rese nell’espletamento di pubblici servizi anche per quanto concerne l’assistenza offerta alle persone fisiche dalle strutture pubbliche e non solo quella offerta da strutture private. (Trib. Milano 31/3/2003, Est. Frattin, in D&L 2003, 812)
  119. Poiché le peculiarità che connotano la disciplina del rapporto di lavoro pubblico “contrattualizzato” sono tali da collocare lo stesso a metà tra il modello pubblicistico e quello privatistico, è devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto un rapporto di lavoro contrattualizzato-ex art. 2, secondo e terzo comma del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165-ovvero non compreso tra quelli che l’art. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001 riserva ancora al regime di diritto pubblico; opera infatti quanto disposto dall’art. 63, primo comma, d. lgs. n. 165 del 2001, ossia la regola inerente la devoluzione all’autorità giudiziaria ordinaria di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. (Cass. 6/2/2003, n. 1807, Pres. Corona, Est.Evangelista, in Giur. italiana 2003, 1244)
  120. Tutte le volte che la domanda introduttiva del giudizio-proposto da un pubblico dipendente-esibisca un petitum sostanziale che si identifichi con il rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario; non rileva in contrario che la prospettazione della parte si estenda all’impugnativa di un atto prodromico. (Cass. 6/2/2003, n. 1807, Pres. Corona, Est.Evangelista, in Giur. italiana 2003, 1244)
  121. Alle società concessionarie di pubblici servizi di trasporto locale si applica il R.D. n. 148/1931 e quindi la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie derivanti da impugnazione dei licenziamenti o sanzioni disciplinari conservative. (Corte d’appello Salerno 20/1/2003, Est. Nocca, in Lav. nella giur. 2004, 1206)
  122. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 69, 7° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, sono devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore al 30/6/98 qualora non siano state promosse avanti il Giudice amministrativo entro il 15/9/2000. (Trib. Parma 18/12/2002, Est. Vezzosi, in D&L 2003, 477)
  123. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto la mancata assegnazione, nell’ambito dell’amministrazione statale, di un incarico di funzioni dirigenziali generali ad un dirigente di prima fascia, contestualmente collocato a disposizione del ruolo unico dei dirigenti costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri. (Cass. 24/1/2003, n.1128, Pres. Corona, Rel. Evangelista, in Foro it. 2003 parte prima, 1478)
  124. Il discrimine temporale del 30/6/98 tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa non si riferisce all’atto giuridico od al giorno di instaurazione della controversia, bensì al verificarsi del fatto storico posto a base della domanda giudiziale; conseguentemente se il lavoratore lamenta la lesione derivante da condotta illecita permanente del datore di lavoro deve aversi riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente al momento di cessazione della condotta (nella specie il Consiglio, alla luce del principio di unicità ed infrazionabilità del rapporto di lavoro, ha ritenuto la competenza del giudice ordinario in ordine ad una domanda di riconoscimento di rapporto di pubblico impiego-e conseguentemente pagamento di corrispettivi-iniziato prima del 30/6/98 e cessato successivamente). (Consiglio di Stato 20/9/2002 n. 4781, Pres. Giovannini Est. Montedoro, in D&L 2003, 187)
  125. In base al nuovo criterio di ripartizione della giurisdizione si deve ritenere che la controversia relativa alla legittimità del conferimento dell’incarico di dirigente medico di secondo livello, oggi dirigente di struttura complessa, rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Difatti l’art. 63 del decreto legislativo 30/3/01, n. 165 dispone che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti (Cass. S.U. 27/2/02, n. 2954, pres. Panzaroni, est. Giannntonio, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 575)
  126. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 69, 7° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, sono devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore al 30/6/98 qualora non siano state promosse avanti il Giudice amministrativo entro il 15/9/2000. (Trib. Catanzaro 26/2/2002, Est. Santoemma, in D&L 2002, 794, con nota di Ilaria Zanesi, “Ancora in tema di passaggio di giurisdizione nel pubblico impiego”)
  127. Deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione a controversia attinente un rapporto di pubblico impiego conclusosi in epoca anteriore alla data 30 giugno 1998 ed in caso di introduzione del giudizio dinanzi al giudice ordinario entro il termine di decadenza del 15 settembre 2000. (Cass. 4/6/2002, n. 8089, Pres. Carbone, Est. Miani Canevari, in Foro it. 2003 parte prima, 46)
  128. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia relativa alla mancata assegnazione, nell’ambito dell’amministrazione statale, di un incarico di funzioni dirigenziali generali ad un dirigente di prima fascia, contestualmente collocato a disposizione del ruolo unico dei dirigenti costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri.(Cass. 24/4/2002, n.6041 , Pres. Vessia, Rel.Prestipino, (ord), in Foro it. 2003, parte prima, 316) Spetta al giudice ordinario la giurisdizione relativa alla controversia promossa da un dirigente regionale per far valere il proprio diritto al conferimento di un incarico di funzioni dirigenziali attribuito ad altro dipendente. (Cass. 18/7/2002, n.9771, Pres. Vela, Est. Prestipino, in Foro it. 2003, parte prima, 317)
  129. Nelle controversie attinenti a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998 non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario nei giudizi instaurati decorso il termine del 15 settembre 2000, stabilito a pena di decadenza dall’ art. 45, 17° comma, d. leg. 80/98, sostituito dall’ art. 69, 7° comma, d.leg. 165/01. (Corte d’ Appello 14/3/2002, Pres. Finucci, Est. Sordi, in Foro it. 2003 parte prima, 46)
  130. Ai fini del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo con riguardo ad una domanda di risarcimento danni proposta da un dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione non assoggettata alla nuova disciplina di cui al D. Lgs. n. 80/1998, assume essenziale rilevanza l’accertamento della natura contrattuale o extracontrattuale dell’azione resarcitoria in concreto proposta. Devesi ritenere, infatti, che l’azione contrattuale, fondata sulla inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi inerenti al rapporto di impiego è devoluta alla cognizione del giudice amministrativo; mentre l’azione di natura extracontrattuale fondata sul risarcimento del danno alla salute è devoluta al giudice ordinario. (Cass. 29/1/2002, n. 1147, Pres. Amirante, Rel. Varrone, in Lav. nella giur. 2003, 42, con commento di Giovanni Ferraù)
  131. Rientra tra le controversie che l’art. 68, 1° comma, d.lgs. 29/93, nel testo risultante dall’art. 29 d.leg. 80/98 e dall’art. 18, 1° comma, d.leg. 387/98, ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, quella in cui un dirigente rivendichi il diritto ad essere confermato nell’incarico che ricopriva alla data, successiva alla scadenza dell’incarico, del 30/6/98 e, cioè, alla data stabilita dall’art. 45, 17° comma, d.leg. 80/98 per l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie inerenti ai rapporti di lavoro pubblico (Cass. S.U. 15/12/00, n. 1267/SU, pres. Vessia, est. Vittoria, in Foro it. 2001, pag. 1630, con nota di D’Auria)
  132. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto il diritto di un dirigente, in sede di prima applicazione della l. 127/97,a d essere confermato nell’incarico – attribuito, invece, ad altro soggetto – di direttore amministrativo di una università (Cass. S.U. 15/12/00, n. 1267/SU, pres. Vessia, est. Vittoria, in Foro it. 2001, pag. 1630, con nota di D’Auria)
  133. Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, e non a quella del giudice ordinario, la controversia su una procedura di mobilità fra pubbliche amministrazioni, disposta in base alla l. n. 554/88 e al D.P.C.M. del 5/8/88, n. 325 (ormai abrogati), che comporta la costituzione del rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione di destinazione e in cui l’assenso delle amministrazioni interessate costituisce non un atto di diritto privato ma un provvedimento amministrativo, conclusivo di un subprocedimento, facendo sorgere posizioni di mero interesse legittimo (Trib. Trieste 19/9/00, est. Muntari, in Lavoro giur. 2001, pag. 663, con nota di Miscione, Mobilità fra P.A: effetti indiretti di sentenza di accertamento)
  134. Sugli atti di conferimento degli incarichi che hanno natura privatistica sussiste la giurisdizione per materia del giudice ordinario, senza potersi distinguere se sia possibile far valere diritti o interessi legittimi (Trib. Gorizia 2/8/00 ordinanza, est. Masiello, in Lavoro giur. 2001, pag. 565, con nota di Pizzonia, Incarichi dirigenziali e tutela giurisdizionale)
  135. A seguito della riforma di cui al d.lgs. 29/93, come modificato dai d.lgs. 80/98 e 387/98, che ha attribuito a tutti gli atti dell’amministrazione direttamente o indirettamente connessi alla gestione del rapporto di lavoro natura privatistica, rientrano nella competenza del giudice ordinario le controversie in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, ancorché vengano in considerazione atti amministrativi presupposti (Trib. S. Angelo dei Lombardi 4/7/00, ord., est. Ciafaldini, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 244, con nota di Navilli, Incarichi dirigenziali negli enti locali, motivazione dell’atto e tutela cautelare)
  136. In tema di controversie concernenti gli incarichi dirigenziali, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario del lavoro l’azione con la quale un dirigente chiede la conservazione dell’incarico dal quale è stato rimosso illegittimamente, vantando il diritto al mantenimento del suddetto incarico (Trib. Venezia 8/6/00, ordinanza, pres. Santoro, est. Marra, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 248, con nota di Montanari, Modifica unilaterale dell’incarico dirigenziale e requisiti di forma)
  137. L’art. 68, 4° comma, D. Lgs. 3/2/93 n. 29 – che sottrae alla giurisdizione ordinaria le controversie relative al rapporto di impiego degli Avvocati dello Stato, in quanto norma di carattere eccezionale – non è suscettibile di applicazione – né in via analogica, né in via estensiva – alle controversie inerenti i rapporti d’impiego degli avvocati municipali, che dunque, a norma della legge stessa, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Trib. Milano 12 maggio 2000, est. Salmeri, in D&L 2000, 771)
  138. Sussiste la giurisdizione del giudice unico de lavoro in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali, ai sensi dell’art. 68, comma 1 del d.lgs. n. 29/93 che sottrae alla giurisdizione dell’AGO solo le procedure concorsuali per l’assunzione: tale circostanza non ricorre in relazione a tutte le forme latu sensu contrattuali, come i concorsi interni ed il conferimento di incarichi dirigenziali, che si svolgono in costanza di rapporto di lavoro (Trib. Napoli 10/12/99, ordinanza, pres. e est. Papa, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 254, con nota di Talamo, Onere di motivazione e criteri per il conferimento degli incarichi dirigenziali: il controllo del giudice ordinario)
  139. Spetta al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la giurisdizione sulle controversie in materia di procedure negoziali nel pubblico impiego, incluse quelle riguardanti gli accordi collettivi, essendo questi ultimi chiamati a concludere la procedura, sì da costituirne parte integrante (Trib. Roma 5/11/99, est Cannella, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 321, con nota di Campanella, Rappresentanza e rappresentatività sindacale nel lavoro pubblico: primi interrogativi sulla costituzionalità delle nuove regole)
  140. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia di lavoro con una Ipab, la cui natura privata, pur non formalmente riconosciuta dall’amministrazione regionale, sia stata accertata dal giudice sulla base di indici di riconoscimento quali la costituzione dell’ente per esclusiva iniziativa di privati, l’origine prevalentemente privata degli apporti finanziari al suo bilancio e la sua gestione ad opera di organismi nei quali non sono rappresentati soggetti pubblici, a nulla rilevando l’esistenza di controlli pubblicistici e la successiva modificazione statutaria che ha attribuito la gestione dell’ente ad un organismo composto in prevalenza da soggetti nominati dalla regione (Cass. S.U. 25/10/99, n. 751/SU, pres. Bile, est. Ianniruberto, in Foro it. 2001, pag. 1712, con nota di Stabile)
  141. Anche dopo l’intervenuta privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e il conseguente passaggio delle relative controversie al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, deve ritenersi che per l’esecuzione delle sentenze di condanna emesse da quest’ultimo nei confronti della pubblica amministrazione, che abbiano ad oggetto un obbligo incoercibile e una prestazione infungibile, il dipendente possa adire il giudice amministrativo dell’ottemperanza, essendo, invece, dubbio il ricorso all’esecuzione forzata di fronte al giudice civile, ai sensi degli artt. 612 e ss. Del c.p.c. (T.A.R. Marche 19/9/2003 n. 997, Pres. Amoroso Est. Giambartolomei, in Lav. nelle P.A. 2004, 246, con nota di Francesca Maria Macioce)

 

 

Dipendenti di società privatizzate

  1. In regime di pubblico impiego privatizzato, in base all’art. 63 D.Lgs. 30/3/01 n. 165, sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti a ogni fase del rapporto di lavoro, incluse quelle concernenti l’assunzione al lavoro e il conferimento degli incarichi dirigenziali, giacché la riserva residuale alla giurisdizione amministrativa, di cui al 4° comma dell’art. 63 citato, concerne esclusivamente le procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro che si concludono con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione. (Cass. Sez. Un. 26/2/2010 n. 4648, est. La Terza, in D&L 2010, con nota di Patrizio Montagna, “In merito al riparto di giurisdizione nel pubblico impiego”, 466)
  2. Le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate, incluse quelle esercenti il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, in considerazione della natura privatistica del rapporto stesso con tali aziende, che integrano strutture con connotati di impresa, autonome rispetto all’organizzazione pubblicistica del Comune. Appartiene, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione della domanda con cui un soggetto faccia valere (come nella specie) il suo diritto all’assunzione alle dipendenze di un’azienda municipalizzata, in virtù proprio della natura privatistica dell’attività svolta, anche con riferimento all’espletamento delle procedure concorsuali. (Cass. 28/6/2006 n. 14852, Pres. Carbone Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2006, 1129)
  3. Le controversie concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni-privatizzato a seguito della trasformazione dell’Amministrazione postale in ente pubblico economico ex art. 1, D.L. n. 487/1993, convertito con modificazioni nella L. n. 71/1994, con effetto dalla data di efficacia dei decreti di nomina degli organi dell’ente, emanati il 23 dicembre 1993 e pubblicati nella G.U. del 31 dicembre 1993-sono devolute alla cognizione della autorità giudiziaria ordinaria, in considerazione della natura privatistica di detto rapporto (art. 6, comma secondo, D.L. n. 487, cit.), che non è esclusa dalla disposizione del sesto comma dell’art. 6, ult. cit., la quale, disponendo che, sino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo di lavoro, ai dipendenti dell’ente continuano ad applicarsi i trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, stabilisce un assetto transitorio della normativa sostanziale. Inoltre, sull’attribuzione delle controversie all’autorità giudiziaria ordinaria derivante da dette norme, e sulla data dalla quale si é verificata detta devoluzione, non hanno inciso né ulteriore trasformazione dell’ente in società per azioni (art. 1, comma secondo, D.L. n. 487/1993, modificato dall’art. 2, comma ventisettesimo, L. n. 662/1996), in quanto al tempo in cui questa è stata perfezionata il rapporto di lavoro era stato già privatizzato, né l’art. 1, D.L. n. 269/1994, il quale, in riferimento agli enti pubblici trasformati in enti pubblici economici o in società di diritto privato, prevede che continuino ad essere attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro svoltosi anteriormente alla trasformazione, poiché detta norma reca una disciplina transitoria concernente esclusivamente le trasformazioni effettuate in data successiva alla sua entrata in vigore e, conseguentemente, non è applicabile alle controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti già trasformati. (Cass. 3/3/2003, n. 3152, ordinanza, Pres. Carbone, Rel. Evangelista, in Lav. nella giur. 2003, 683)
  4. Nelle controversie riguardanti i soggetti privatizzati a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 509/1994-tra cui la Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti-non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario il relazione alle domande azionate per il riconoscimento di spettanze sorte nel periodo anteriore al 1996. (Trib. Roma 4/2/2002, Est. Mormile, in Lav. nella giur. 2003, 84)
  5. Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, e non a quella del giudice ordinario, la controversia sulla restaurazione del rapporto con le Ferrovie dello Stato a seguito di preteso annullamento di una procedura di mobilità attuata nel Ministero delle Finanze in base alla l. 29/12/88, n. 554 e al D.P.C.M. 5/8/88, n. 325 (ormai abrogati) , che richiederebbe non una valutazione incidentale della validità dell’atto amministrativo ma una dichiarazione di illegittimità dell’atto amministrativo e la successiva condanna alla restaurazione del rapporto, per cui vi è carenza di giurisdizione del giudice ordinario (Trib. Trieste 19/9/00, est. Muntari, in Lavoro giur. 2001, pag. 663, con nota di Miscione, Mobilità fra P.A: effetti indiretti di sentenza di accertamento)
  6. Poiché il DL 6/5/94 n. 269, convertito in L. 4/7/94 n. 432, è entrato in vigore successivamente alla trasformazione in ente pubblico economico dell’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, nei confronti di tale Ente il Giudice ordinario ha giurisdizione anche relativamente alle controversie attinenti al periodo di lavoro svoltosi anteriormente a detta trasformazione (Pret. Milano 5/2/99, est. Peragallo, in D&L 1999, 433)

 

 

Lavoro dei detenuti

  1. E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, l’art. 69, sesto comma, lettera a), della L. 26 luglio 1975, n. 354, che, nell’attribuire al magistrato di sorveglianza la competenza a decidere in ordine alle controversie di lavoro promosse dai detenuti, dette regole processuali inidonee – se riferite alle controversie di lavoro – ad assicurare un nucleo minimo di contraddittorio e di difesa, quale spetta a tutti i cittadini nei procedimenti giurisdizionali. (Cost. 27/10/2006 n. 341, Pres. Bile Rel. Silvestri, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Adriano Morrone, 151, e in Dir. e prat. lav. 2007, 125 e in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Monica Vitali, “La Corte Costituzionale assegna alla giurisdizione del Giudice del lavoro le controversie sul lavoro penitenziario”, 599 e in D&L 2007, con nota di Marco Peruzzi, “Configurazione giuridica e tutela processuale del lavoro penitenziario”, 651)
  2. Il lavoro prestato dai detenuti all’interno dello stabilimento in cui sono ristretti in favore dell’amministrazione penitenziaria, oppure all’esterno alle dipendenze di altri datori di lavoro, pur essendo assimilabile all’ordinario rapporto di lavoro, a seguito della entrata in vigore della L. 10 ottobre 1986, n. 663, è sottratto alla competenza giurisdizionale del giudice di lavoro, potendo essere fatte valere soltanto con reclamo avanti al magistrato di sorveglianza. (Corte d’appello Milano 31/7/2002, Pres. Mannacio, Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2003, 291)
  3. A seguito dell’entrata in vigore della L. 10/10/86 n. 663, le pretese del detenuto lavoratore concernenti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali possono essere fatte valere soltanto con reclamo davanti al magistrato di sorveglianza e non più con ricorso davanti al giudice del lavoro (in motivazione, la Cassazione ha precisato che la precedente competenza del pretore del lavoro doveva ritenersi coerente con la mancanza della previsione di un procedimento di natura giurisdizionale sui reclami dei detenuti lavoratori, posto che il magistrato di sorveglianza provvedeva sugli stessi con un ordine di servizio, e cioè con un atto amministrativo non impugnabile, ma che detta competenza era venuta meno con l’introduzione – ad opera della legge citata – di uno speciale procedimento giurisdizionale all’esito del quale il magistrato decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione) (Cass. S.U. 14/12/99 n. 899, in Foro it. 2000, pag. 434, con nota di Iozzo e in Dir. lav. 2000, pag. 449, con nota di Fabozzi, Lavoro carcerario e competenza del magistrato di sorveglianza)
  4. La competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro in ordine alle controversie relative al lavoro prestato dai detenuti all’interno o all’esterno dello stabilimento penitenziario presso il quale è applicata la pena restrittiva della libertà personale deve ritenersi sussistente – in base al principio tempus regit actum – con riferimento alle controversie introdotte anteriormente all’entrata in vigore della L. 10/10/86 n. 663 (Cass. S.U. 21/7/99, n. 490, pres. Favara, in Dir. lav. 2000, pag. 449, con nota di Fabozzi, Lavoro carcerario e competenza del magistrato di sorveglianza)

 

 

Lavoratori socialmente utili

  1. Il giudice ordinario difetta di giurisdizione nella controversia promossa da un soggetto, già occupato in un progetto di lavoro socialmente utile, avverso l’ente (nel caso, un comune) promotore del progetto – ente, che affidi tramite convenzione l’espletamento del servizio (nel caso, guardiania e pulizia degli edifici scolastici), in precedenza oggetto del progetto stesso, ad una società cooperativa – e avverso la società cooperativa affidataria del servizio in convenzione con l’ente, per vedere riconosciuto il diritto ad essere inserito da parte del Comune nella lista dei lavoratori da assumersi dalla società cooperativa quale affidataria del servizio, nonché il diritto ad essere assunto da quest’ultima (Trib. Roma 17/5/00, est. Sordi, in Dir. lav. 2001, pag. 78)

 

 

Giurisdizione in genere

  1. Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia introdotta dal dipendente di un Corpo Forestale regionale per ottenere il riconoscimento del diritto a un superiore inquadramento, previa disapplicazione del decreto del Presidente della Regione contenente un diverso criterio di classificazione del personale, atteso che gli appartenenti al Corpo forestale delle Regioni sono titolari di un rapporto di lavoro privatizzato e che, ai fini della giurisdizione, occorre avere riferimento al “petitum” sostanziale, radicandosi la giurisdizione del giudice ordinario ogni qual volta detto “petitum” abbia per oggetto non direttamente il provvedimento amministrativo di macro organizzazione, ma l’inquadramento in una diversa categoria contrattuale, con le correlative progressioni economiche “medio tempore” maturate. (SU 10/11/2020 n. 25210, Pres. Spirito Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2021, 193)
  2. Giurisdizione del Tar nel giudizio di ottemperanza a un giudicato civile sul diritto del pubblico dipendente all’equo indennizzo.
    La dipendente di un’Asl aveva ottenuto dal giudice civile il riconoscimento, con sentenza passata in giudicato, della dipendenza da causa di servizio dell’infermità appartenente a una certa categoria tabellare da cui era risultato affetto. Dopo aver richiesto inutilmente all’ASL la conseguente liquidazione dell’equo indennizzo, la dipendente aveva promosso il giudizio di ottemperanza al giudicato del giudice del lavoro avanti al TAR, che aveva declinato la propria giurisdizione e quindi alla Corte dei conti, che aveva sollevato conflitto negativo di giurisdizione. La Cassazione, ricordando che la giurisdizione della Corte dei conti riguarda unicamente la materia pensionistica ed escludendo che l’istituto dell’equo indennizzo possa qualificarsi tale, ha conseguentemente affermato la giurisdizione del TAR, quale giudice dell’ottemperanza. (Cass. SU, ord., 10/6/2020 n. 11127, Pres. Mammone Rel. Falaschi, in Wikilabour, Newsletter n. 12/2020)
  3. L’articolo 19, punto 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che, nel caso di ricorso presentato da un membro del personale di volo di una compagnia aerea o messo a sua disposizione e al fine di determinare la competenza del giudice adito, la nozione di “luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività”, ai sensi di tale disposizione, non è equiparabile a quella di “base di servizio”, ai sensi dell’allegato III del regolamento (CEE) n. 3922/91 del Consiglio, del 16 dicembre 1991, concernente l’armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative nel settore dell’aviazione civile, come modificato dal regolamento (CE) n. 1899/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006. La nozione di “base di servizio” costituisce nondimeno un indizio significativo per determinare il “luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività”. (Corte di Giustizia 14/9/2017, C-168/16 e C-169/16, Pres. Ilešič Est. Toader, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di D. Diverio, “Dalla Corte di Giustizia un’importante precisazione sulla giurisdizione nelle controversie di lavoro relative al personale di cabina”, 866)
  4. Nel caso in cui il lavoratore riferisca le proprie pretese retributive e contributive a un periodo in parte anteriore e in parte successivo alla data del 30 giugno 1998 – indicata dalla disposizione citata –, la competenza giurisdizionale va ripartita tra il giudice amministrativo in sede esclusiva e il giudice ordinario, in relazione rispettivamente alle due dette fasi temporali. (Trib. Bari 22/1/2015, Giud. Vernia, in Lav. nella giur. 2015, 647)
  5. Il lavoratore creditore di un’impresa in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria non può agire giudizialmente prima della definizione della fase amministrativa di formazione e verifica del passivo davanti agli organi della procedura, ma deve invece azionare in quella sede il suo credito, che resterà poi tutelabile davanti al giudice con lo strumento dell’opposizione avverso lo stato passivo. Possono pertanto essere proposte – o proseguite – davanti al giudice del lavoro solo le azioni non aventi a oggetto il pagamento di somme. (Cass. 11/10/2012 n. 17327, Pres. Lamorgese Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2012, 1213)
  6. In caso di fallimento del datore di lavoro nel corso di un giudizio di impugnazione del licenziamento, le domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (nullità o annullamento del licenziamento e reintegrazione nel posto di lavoro) rimangono di competenza del giudice del lavoro, mentre le domande dirette alla condanna al pagamento di di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento aventi funzione strumentale) sono attratte dal foro fallimentare. (Cass. 22/12/2011 n. 29211, Pres. Stile Rel. Mamone, in Lav. nella giur. 2012, 301)
  7. Le controversie tra datore di lavoro e lavoratore, quali sostituto di imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute Irpef alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario. (Cass. Sez. Un. 8/4/2010 n. 8312, Pres. Carbone Est. Merone, in D&L 2010, 661)
  8. Ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001, la disapplicazione dell’atto amministrativo è consentita al giudice ordinario, anche in materia di lavoro pubblico, solo come accertamento incidentale dell’illegittimità dell’atto stesso; non esiste un potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo in via principale, poiché un simile potere equivarrebbe a quello di annullamento, che è invece riservato al giudice amministrativo. Quando un lavoratore lamenti di non aver potuto esplicare il proprio diritto al lavoro a cagione di un provvedimento amministrativo di cancellazione dall’albo, detto provvedimento si pone come causa immediata della lamentata lesione del diritto e non come mero antecedente logico di essa, sicché la questione di legittimità del provvedimento de qua non ha carattere pregiudiziale rispetto all’oggetto del giudizio, ma viene sostanzialmente a coincidere con tale oggetto. (Trib. Ravenna, in funzione di Giudice del Reclamo, 27/6/2007, ord., Pres. Cicognani Rel. Vicini, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Federico Martelloni, 287)
  9. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere dell’atto di cessazione dell’incarico disposto nei confronti del direttore generale di un’azienda sanitaria, per effetto del meccanismo legislativo del cosiddetto spoils system, condividendo tale atto la natura di quello di nomina e implicando in ogni caso una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge a fronte della quale non sono ipotizzabili se non posizioni di interesse legittimo. (Cons St. 29/5/2007 n. 2700, ord., in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mauro Montini, “A volte ritornano”, 711)
  10. La disposizione del quarto comma dell’art. 63 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, che attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di pubblici dipendenti si riferisce solo al reclutamento basato su prove di concorso, caratterizzato da una fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione e da una successiva fase di svolgimento delle prove e di confronto delle capacità, diretta a operare la selezione in modo obiettivo e dominata da una discrezionalità (non solo tecnica, ma anche) amministrativa nella valutazione dei candidati; detta disposizione non riguarda, pertanto, le controversie nelle quali si intenda far valere il diritto al lavoro, in relazione al quale la P.A. – ai fini della formazione della graduatoria definitiva relativa a una procedura concorsuale – valutato il titolo di riserva spettante agli invalidi civili ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482 (ora L. 12 marzo 1999, n. 68), è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la relativa disciplina non lascia alla P.A. alcun criterio di discrezionalità in relazione alla posizione soggettiva dell’invalido, che si configura come diritto al posto riservato quale appartenente a categoria protetta. (Cass. Sez. Un. 28/5/2007 n. 12348, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 1242)
  11. Le procedure concorsuali che, ai sensi dell’art. 63, 4° comma, D.Lgs. 31/3/01 n. 165 radicano la giurisdizione del giudice amministrativo, sono tutte quelle volte al reclutamento del dipendente, senza che abbia rilevanza, ai fini del riparto di giurisdizione, nè la natura della procedura concorsuale (per esami, per titoli ed esami, per soli titoli), nè il fatto che l’atto della amministrazione sia adottato sulla base di riscontri vincolati in merito all’esistenza di requisiti fissati per legge, ben potendo esistere casi in cui l’attività della PA, benchè vincolata, sia comunque rivolta a perseguire primariamente l’interesse pubblico e solo in via mediata quello del privato, la cui posizione assume pertanto i connotati dell’interesse legittimo (fattispecie relativa alla graduatoria provinciale permanente dei docenti finalizzata all’accesso al ruolo). (Cons. St. 24/5/2007, Ad. Plen., Pres. Schinaia Rel. Salvatore, in D&L 2007, con nota di Luce Bonzano, “Il Consiglio di Stato insiste per la giurisdizione amministrativa sui concorsi”, 949)
  12. Lo scorrimento di una graduatoria concorsuale, invocato dal soggetto qualificatosi come idoneo ai fini dell’immissione nelle funzioni di dirigente, non appartiene alla fase della procedura concorsuale, che deve ritenersi conclusa con l’approvazione della relativa graduatoria, bensì a quella successiva connessa agli atti di gestione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, in applicazione dei criteri di riparto di giurisdizione di cui all’art. 63, D.Lgs. n. 165/2001, la controversia appartiene al giudice ordinario e non a quello amministrativo, senza rilevanza del fatto che la selezione attenesse al passaggio ad area diversa e superiore rispetto a quella posseduta dal partecipante alla selezione medesima. (Cass. 14/5/2007 n. 10940, Pres. Carbone Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Francesca Limena, 1103)
  13. Il giudice del lavoro, come giudice competente a conoscere del rapporto di lavoro con le P.A., deve essere considerato un giudice a carattere (tendenzialmente) omnicomprensivo ed esclusivo; capace cioè di conoscere ogni sorta di controversia rientrante nel perimetro dei rapporti a esso devoluti. La legge, utilizzando la formula “tutte le controversie”, impiega una previsione atta a ricomprendere qualsiasi domanda, non solo quelle vertenti su un diritto ma anche quelle vertenti su un interesse legittimo (di natura pubblica e/o privata); e ciò non solo in relazione a un rapporto di lavoro in atto oppure già estinto, ma anche in relazione a rapporti futuri, da costituire (con la sola eccezione prevista dalla legge della materia delle procedure concorsuali). Quando un lavoratore lamenti di non aver potuto esplicare il proprio diritto al lavoro a cagione di un provvedimento amministrativo di cancellazione dall’albo, egli non chiede la mera iscrizione negli elenchi, fine a se stessa; chiede invece che venga dichiarata incidentalmente l’illegittimità della cancellazione e (soprattutto e conseguentemente) affermato il proprio diritto al lavoro presso la sede nella quale, in difetto di quel provvedimento (reputato illegittimo) egli sarebbe già stato chiamato al lavoro e non lo è stato. Trattasi di un’ipotesi paradigmatica in cui l’atto amministrativo rileva incidentalmente nel quadro di una valutazione più ampia demandata al giudice ordinario secondo i tipici poteri d’intervento sull’atto amministrativo puntualmente ribaditi dal T.U. sul pubblico impiego. (Trib. Ferrara 14/5/2007, ord., Est. R. Riverso, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Federico Martelloni, 281)
  14. Ai sensi dell’art. 63, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale, ancorchè atipica. (Cons. di Giustizia amministrativa 12/4/2007 n. 324, Pres. Barbagallo Est. Teresi, in Lav. nelle P.A. 2007, con commento di Benedetto Cimino, 536)
  15. Con riferimento alle controversie in tema di lavoro pubblico privatizzato, devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in virtù dell’art. 63, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, la devoluzione all’a.g.o. della controversia concernente impugnativa di licenziamento, demansionamento o risarcimento dei danni non è esclusa dalla eventualità che la decisione possa richiedere l’esame e la valutazione, incidenter tantum, di provvedimenti amministrativi e la disapplicazione da parte del giudice ordinario. (Trib. Camerino 2/4/2007, Giud. Basilli, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Fabio Massimo Gallo, 11123)
  16. Ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001, è rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa dal partecipante, risultato primo tra gli idonei non vincitori in un concorso di selezione per una progressione verticale del personale della Regione Basilicata, il quale, a seguito dell’indizione di altro concorso per la copertura di posti dello stesso profilo professionale, lamenti la violazione della disposizione del bando che prevedeva la durata della graduatoria per dodici mesi per la copertura di eventuali ulteriori posti resisi vacanti. Infatti, il candidato che, vantando una determinata posizione nella graduatoria già approvata e il possesso dei requisiti del bando per il c.d. scorrimento della graduatoria, pretenda di essere chiamato alla stipulazione del contratto di lavoro, fa valere il proprio diritto all’assunzione senza porre in discussione le procedure concorsuali. (Cass. Sez. Un. 9/3/2007 n. 5397, in Lav. nelle P.A. 2007, 555)
  17. La giurisdizione deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del cd. “petitum” sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio e individuata dal giudice stesso; inoltre, non rileva che la pretesa sostanziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento di un atto amministrativo, poichè l’individuazione della giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, il quale deve essere inquadrato, in base al criterio del “petitum” sostanziale, all’esito dell’indagine sull’effettiva natura della controversia. (Trib. Camerino 1/3/2007, Est. Basilli, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mario Maria Nanni, 725)
  18. In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, “per procedure concorsuali di assunzioni” ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione (alla stregua dell’art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001), si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro, ma anche le prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto a una fascia o area funzionale superiore e cioè a una progressione verticale che consiste nel passaggio a una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro; tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso. Alla stregua dell’interpretazione enunciata, assume rilevanza determinante, ai fini dell’indicato criterio di riparto della giurisdizione, il contenuto della contrattazione collettiva, sicchè in presenza di progressioni, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, che comportino una progressione verticale nel senso indicato, la cognizione delle controversie resta riservata al giudice amministrativo; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli dipendenti interni che comportino il passaggio da una qualifica all’altra, ma nell’ambito della stessa area (o categoria) sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l’amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. (Cass. 10/1/2007 n. 220, Pres. Prestipino Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2007, 828)
  19. In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, “per procedure concorsuali di assunzioni” ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione (alla stregua dell’art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001), si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro, ma anche le prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto a una fascia o area funzionale superiore e cioè a una progressione verticale che consiste nel passaggio a una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro; tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso. Alla stregua dell’interpretazione enunciata, assume rilevanza determinante, ai fini dell’indicato criterio di riparto della giurisdizione, il contenuto della contrattazione collettiva, sicchè in presenza di progressioni, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, che comportino una progressione verticale nel senso indicato, la cognizione delle controversie resta riservata al giudice amministrativo; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie attinenti a concorsi per soli dipendenti interni che comportino il passaggio da una qualifica all’altra, ma nell’ambito della stessa area (o categoria) sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l’amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. (Cass. 10/1/2007 n. 220, Pres. Prestipino Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2007, 828)
  20. Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie che riguardano procedure concorsuali riservate esclusivamente ai soggetti già dipendenti che non comportino un passaggio di area (nella specie si trattava di graduatoria per l’attribuzione di posizioni organizzative). (Trib. Napoli 10/1/2007, Est. Simeoli, in D&L 2007, 829)
  21. Il conferimento da parte di un Ente pubblico di un incarico a un professionista, ancorchè preordinato alla instaurazione di un rapporto di collaborazione avente carattere continuativo, costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di autonomia privata. Le relative controversie sono pertanto di esclusiva competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria. (Cass. 3/1/2007 n.4, Pres. carbone Est. Vidiri, in D&L 2007, con nota di Davide Pollastro, “Stipulazione di un rapporto Co. co. co. con la PA: i problemi di giurisdizione”, 300)
  22. La disapplicazione nel giudizio ordinario di atti amministrativi non conformi a legge, che costituisce strumento processuale apprestato a tutela del diritto soggettivo, è totalmente insensibile rispetto all’inoppugnabilità del provvedimento amministrativo, che è pertinente al solo giudizio amministrativo di impugnazione di atti autoritativi e preclude una decisione nel merito della controversia; di conseguenza, gli atti amministrativi divenuti inoppugnabili possono essere disapplicati dal giudice ordinario (fattispecie in tema di lavoro alle dipendenze di pubblica amministrazione). (Cass. 9/5/2006 n. 10628, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. civ. 2007, 730)
  23. Sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti concorsi interni presso le pubbliche amministrazioni che comportino passaggio del dipendente da un’area a un’altra, mentre rimangono attratte alla generale giurisdizione del giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi interni che comportino il passaggio da una qualifica a un’altra, ma nell’ambito della medesima area, ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro. (Cass. 20/4/2006 n. 9168, ord., Pres. Carbone Est. Amoroso, in Giust. civ. 2006, 1619)
  24. Nel lavoro con la pubblica amministrazione, allo stesso modo dei concorsi c.d. “misti”, ossia aperti all’esterno, sono attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo i concorsi interno c.d. “misti”, che riguardano sia la progressione nell’ambito della stessa area, che tra aree diverse, in ragione di un generale principio di economicità processuale che fa escludere che delle medesime operazioni concorsuali possano conoscere contemporaneamente il giudice ordinario e il giudice amministrativo (fattispecie in tema di progressione di personale della polizia municipale dall’area C all’area D, alla quale potevano partecipare sottufficiali già inquadrati nell’area D per la progressione alla qualifica di ufficiali. (Cass. 20/4/2006 n. 9168, ord., Pres. Carbone Est. Amoroso, in Giust. civ. 2006, 1619)
  25. Nei nuovo sistema di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, delineato dall’art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (nel testo sostituito dall’art. 29 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e ulteriormente modificato dall’art. 18 del D.Lgs. n. 387 del 1998) – nel quale, per espressa previsione normativa, rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative all’assunzione del lavoratore, ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti – l’accertamento del diritto all’assunzione del candidato utilmente classificato nelle procedure selettive compete al giudice ordinario, al quale spetta emanare l’eventuale pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro, senza che rilevi, ai fini della giurisdizione, la circostanza che la decisione di tale controversia coinvolga la verifica dei requisiti per la partecipazione al concorso. Inoltre il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria va ancorato, quando la causa petendi dell’azione giudiziaria si fondi su una situazione di fatto permanente, al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia. Pertanto rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa per ottenere il riconoscimento del diritto all’assunzione presso un comune a seguito dell’espletamento di un concorso pubblico, con richiesta di risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento, ove l’illegittimo comportamento dell’amministrazione comunale si sia protratto oltre il 30 giugno 1998. (Nella specie l’ente, con lettera dell’agosto 1998, aveva comunicato che la situazione era ancora all’esame degli organi competenti). (Cass. 11/4/2006 n. 8375, Pres. Carbone Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2006, 1021)
  26. Nel pubblico impiego privatizzato l’Amministrazione pubblica conserva il potere discrezionale nella scelta delle posizioni organizzative e il controllo del giudice non può spingersi oltre l’accertamento della non manifesta inadeguatezza o irragionevolezza della regola selettiva e del rapporto tra regola e finalità. (Trib. Pistoia 31/3/2006 Est. De Marzo, in D&L 2006, con nota di Filippo Pirelli, “Poteri del datore di lavoro nel pubblico impiego provatizzato”, 792)
  27. Poichè il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del corpo dei vigili del fuoco – esclusi il personale volontario e quello di leva – è disciplinato in regime di diritto pubblico, le relative controversie appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo. (Cons. St. 14/3/2006 n. 1349, Pres. Giovannini Est. Cafini, in Giust. civ. 2006, 1623)
  28. Nel lavoro con le pubbliche amministrazioni, l’accertamento del diritto all’assunzione dei candidati in un concorso pubblico coinvolge la verifica dei requisiti per la partecipazione al concorso stesso e, quindi, attiene alla fase antecedente a quella costitutiva del rapporto di impiego, con conseguente attrazione della relativa controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie in tema di diniego di stipulazione del contratto individuale di lavoro per asserita mancanza di un requisito per l’assunzione). (Cons. St. 14/3/2006 n. 1349, Pres. Giovannini Est. Cafini, in Giust. civ. 2006, 1623)
  29. L’autodichia deve ritenersi sussistente in relazione a tutto il personale – di ruolo e non di ruolo, con rapporto a tempo indeterminato ovvero temporaneo – in servizio a presidio dell’autonomia organizzativa costituzionalmente riconosciuta a ciascun ramo del Parlamento e, in quanto tale, in alcun modo sindacabile in sede di giurisdizione ordinaria secondo ricevuti principi. (Trib. Roma 15/2/2006, Dott. Mucci, in Lav. nella giur. 2007, 319)
  30. La soluzione della questione del riparto della giurisdizione, rispetto a una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell’Amministrazione, è strettamente subordinata all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell’ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell’azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell’art. 2087 c.c., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorché il richiamo all’una o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell’elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell’illecito. Ma una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito, ossia da una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso; mentre, ove la condotta dell’amministrazione si presenti con caratteri tale da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti a essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con riguardo alla controversia promossa da un’infermiera nei confronti della Gestione Liquidatoria di una USL per i danni, patrimoniali, biologici e morali, subiti a seguito delle lesioni cagionate da una degente dell’ospedale psichiatrico presso il quale la lavoratrice prestava servizio, sull’assunto che questa avesse indicato a sostegno della propria domanda elementi oggettivi integranti la violazione dell’obbligo contrattuale di garantire ai dipendenti una sicurezza relazionata allo specifico ambiente lavorativo). (Cass. 7/2/2006 n. 2507, Pres. Carbone Rel. Miani canevari, in Lav. Nella giur. 2006, 707)
  31. In tema di pubblico impiego privatizzato, ai sensi dell’art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, al giudice ordinario vanno attribuite tutte le controversie inerenti a ogni fase del rapporto, ivi compresa quella iniziale dell’assunzione al lavoro, mentre al giudice amministrativo devono essere devolute, a norma del quarto comma del medesimo articolo, quelle attinenti alle procedure concorsuali, che sono strumentali alla costituzione del rapporto e il cui momento finale è costituito dalla approvazione della graduatoria. Spetta pertanto alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia promossa dal privato nei confronti di un’azienda ospedaliera, in relazione a un procedimento concorsuale volto alla copertura con pubblico concorso di alcuni posti di infermiere professionale, allorché il privato (dipendente dell’azienda in quanto in precedenza assunto con contratto a tempo determinato per ricoprire un posto di eguale qualifica), abbia impugnato tutti gli atti della procedura concorsuale asserendone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento per l’erroneità dei presupposti di fatto sui quali i medesimi si fondavano, ovvero l’esistenza di un certo numero di posti di lavoro come infermiere professionale disponibili in conseguenza dell’automatica cessazione, alla scadenza, degli effetti dei contratti a tempo determinato già conclusi. (Cass. 13/12/2005 n. 27399, Pres. Carbone Rel. Coletti De Cesare, in Lav. Nella giur. 2006, 608)
  32. Poiché il contratto stipulato tra il direttore generale dell’azienda sanitaria e la regione – dal quale discende l’obbligo di eseguire la prestazione in favore dell’azienda di destinazione, con onere economico a carico delle medesima azienda – costituisce un rapporto di lavoro privato, di natura autonoma, è devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia concernente l’adeguamento del trattamento economico del direttore generale alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva nazionale per le posizioni apicali della dirigenza di ruolo, medica e amministrativa. (Cass. 3/11/2005 n. 21286, Pres. Carbone Est. La Terza, in Giust. Civ. 2006, 673)
  33. Ai sensi dell’art. 63, comma 1 e 4, D.Lgs. 165/2001, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia promossa dal dipendente nei confronti della pubblica amministrazione in materia di procedure selettive riservate ai dipendenti di esclusiva fonte contrattuale, non apparendo persuasivo il collegamento che la giurisprudenza di legittimità fa tra la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di concorsi interni e la sussistenza, su tutte le relative controversie, della giurisdizione del giudice amministrativo. (Corte app. Milano 8/11/2005, Pres. E rel. Ruiz, in Lav. Nella giur. 2006, 715)
  34. È devoluta alla giurisdizione amministrativa la controversia concernente la cessazione dell’incarico di direttore generale di un’azienda sanitaria della regione Lazio a seguito di rinnovo del consiglio regionale, venendo in rilievo posizioni di interesse legittimo al corretto esercizio del potere straordinario attribuito alla regione in ordine all’organizzazione degli enti da essa dipendenti, sulla base di una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge. (Cons. Stato 19/10/2005, n. 5836, ord., Pres ed est. Allegretta, in Giust. Civ. 2006, 676)
  35. In materia di rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni, l’art. 45, comma 7, d.lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 69, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001), che ha trasferito al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego “privatizzato” e ha dettato la relative disciplina transitoria, utilizzando a tal fine la locuzione generica e atecnica di “questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998” ovvero “anteriore a tale data”, non collega rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria a elementi come la data del compimento, da parte dell’amministrazione, dell’atto di gestione del rapporto che abbia determinato l’insorgere della questione litigiosa, oppure l’arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto, o, infine, il momento di insorgenza della contestazione, e deve essere interpretato nel senso che deve aversi riguardo al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  36. In tema di selezioni preordinate al conferimento di inquadramenti superiori ai lavoratori pubblici, l’area della giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie è di carattere residuale, circoscritta agli inquadramenti che non comportano variazioni di area o di categoria, siccome concernenti semplici passaggi di livello nell’ambito della medesima area funzionale. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  37. L’art. 63 d.lgs. n. 165 del 2001 assume a presupposto l’opzione di lasciare, nella materia delle procedure concorsuali, inalterato l’assetto normativo che colloca il concorso per l’assunzione alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni nell’ambito degli attie e dei procedimenti amministrativi e, dunque, dell’attività autoritativa; la scelta di diritto sostanziale trova il suo necessario riflesso processuale nella devoluzione alla giurisdizione amministrativa di legittimità delle controversie attinenti al procedimento amministrativo in questione. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  38. La giurisdizione amministrativa sulle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti pubblici si estende a tutte le controversie che comunque investano fasi del procedimento e il provvedimento di approvazione della graduatoria, senza che sia consentito operare distinzioni tra attività rigidamente vincolate dell’amministrazione e attività discrezionali, atteso che tutti i partecipanti restano assoggettati al potere di selezione che si esercita mediante un procedimento che prende l’avvio da un atto ampiamente discrezionale (il bando) e si svolge mediante attività tutte vincolate e preordinate all’atto terminale, il quale soltanto determina la nascita di diritti soggettivi, siccome individua il soggetto ammesso alla stipulazione del contratto di lavoro. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  39. La pretesa allo “scorrimento” della graduatoria si colloca di per sè fuori dell’ambito della procedura concorsuale ed è conosciuta dal giudice ordinario quale controversia inerente al diritto all’assunzione; tuttavia, quando viene contestata la conformità a legge del potere di indizione di nuovo concorso in presenza della graduatoria di una precedente non ancora efficace, l’interessato chiede tutela nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, con la conseguenza che la tutela deve essere accordata dal giudice amministrativo, restando escluso che possa essere concessa mediante disapplicazione della decisione di bandire il concorso nel giudizio ordinario, atteso che il potere di disapplicazione presuppone proprio che la controversia cada su un diritto soggettivo sul quale incide un atto amministrativo oggetto di cognizione incidenter tantum. (Cass. 18/10/2005 n. 20107, Pres. Carbone Est. Picone, in Giust. Civ. 2006, 1619)
  40. È devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia concernente la decadenza automatica dalla carica di direttore generale di un’azienda sanitaria della regione Lazio a seguito di rinnovo del consiglio regionale, atteso che non si controverte della legittimità dell’esercizio di una potestà pubblica, ma della verificazione di un fatto estintivo dei diritti nascenti dal contratto di prestazione d’opera. (TAR Lazio 24/9/2005 n. 613, ord., Pres. Bianchi Est. Soricelli, in Giust. Civ. 2006, 676)
  41. Nell’ipotesi in cui il vincitore di un pubblico concorso, successivamente giudicato inidoneo all’assunzione a seguito di visita medica negativa, chieda l’accertamento giudiziale del suo diritto all’assunzione sulla base della graduatoria approvata, il giudizio non deve svolgersi in contraddittorio con gli altri partecipanti al concorso, atteso che non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 102 c.p.c., poichè la domanda non implica la riformulazione della graduatoria o contestazioni relative alla validità del concorso, che avrebbero invece determinato la necessità dell’estensione del contraddittorio agli altri candidati. (Cass. 25/8/2005 n. 17324, Pres. Mileo Est. Figurelli, in Giust. Civ. 2006, 1621)
  42. Nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni di un accertamento medico-legale, affinchè gli errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza, denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con onere della parte interessata di indicarne le fonri, non potendosi il ricorrente per cassazione limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte, che si traducano in un’inammissibile critica del convincimento del giudice di merito (fondato sulla consulenza). (Cass. 25/8/2005 n. 17324, Pres. Mileo Est. Figurelli, in Giust. Civ. 2006, 1621)
  43. In tema di riparto di giurisdizione, la domanda che presupponga l’avvenuto svolgimento di prestazioni lavorative in favore di un ente pubblico non economico (nella specie, un Comune) con continuità, con vincolo di subordinazione e dietro retribuzione, integra la deduzione di un rapporto di pubblico impiego, e non di un rapporto di tipo privato con l’ente, per il quale (a parte i casi di diretta qualificazione in tal senso disposta dalla legge) si richiede, invece, che venga prospettato l’inserimento del lavoratore in una organizzazione separata ed autonoma rispetto alla struttura dell’ente, gestita con criteri di imprenditorialità. (Cass. 3/5/2005 n. 9100, Pres. Carbone Rel. Evangelista, in Dir. e prat. lav. 2005, 2152)
  44. La domanda del professore universitario rivolta ad ottenere la condanna della P.A. al risarcimento del danno, parametrato alle retribuzioni perdute nonché al pregiudizio di avere ottenuto una sede lontana e disagiata, derivante dal ritardo nell’immissione in ruolo, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, senza che rilevi l’attinenza della controversia ad un periodo successivo al 30 giugno 1998, atteso che gli artt. 3 e 63, quarto comma, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 escludono dalla cognizione del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di impiego di professori universitari, conservato al regime pubblicistico. (Cass. 5/4/2005 n. 7000, Pres. Olla Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2005, 795)
  45. Ove una P.A. (a ciò autorizzata dalla legge) scelga di richiedere al Comune la notificazione di propri atti e si avvalga, a tal fine, dei messi comunali (personale dipendente del Comune), l’attività notificatoria esplicata da costoro non è riconducibile alla nozione di pubblico servizio recepita nell’art. 33, secondo comma, lett. f), D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dovendo escludersi da tale nozione le prestazioni che rivestono un rilievo soltanto strumentale all’erogazione del servizio e che restano, comunque, interne alla struttura organizzativa del gestore del medesimo. All’opposto, i messi comunali agiscono nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto d’impiego pubblico che li lega all’ente territoriale, nella cui struttura sono inseriti, e in questo stesso rapporto trova titolo e giuridico fondamento ogni loro pretesa – comprese quelle di carattere patrimoniale – connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto d’altra Amministrazione. Ne consegue che, considerato che il rapporto di cui trattasi rientra tra quelli cosiddetti contrattualizzati, la questione di giurisdizione, in relazione a controversia avente ad oggetto il pagamento di somme reclamate come corrispettivo dell’attività di notificazione di certificati elettorali richiesto al Comune di appartenenza dal Ministero dell’interno in occasione delle lezioni del 1995, va risolta alla stregua della disciplina transitoria di cui all’art. 69, settimo comma, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (già art. 45, diciassettesimo comma, D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80), il quale , nel richiamare il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie in tale materia (art. 63 D.Lgs. n. 165/2001; già art. 68 D.Lgs. n. 29/1993, come novellato dall’art. 29 D.Lgs. n. 80/1998), conserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie che, sebbene introdotte successivamente al 30 giugno 1998, abbiano ad oggetto questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data. (Cass. 25/3/2005 n. 6409, Pres. Carbone Rel. Coletti, in Lav. nella giur. 2005, 794)
  46. Rientra nella giurisdizione amministrativa la controversia concernente la pretesa risarcitoria del pubblico dipendente per il ritardo nell’espletamento di una procedura concorsuale per l’accesso alla dirigenza, trattandosi di questione consequenziale a quelle inerenti all’espletamento del concorso. (Trib. Aquila 3/3/2005, Giud. Mostarda, in Giust. Civ. 2006, 675)
  47. In materia di impiego pubblico privatizzato, la controversia avente ad oggetto una procedura selettiva riservata ai dipendenti e di esclusiva fonte contrattuale (nella specie, procedura di selezione interna per il passaggio dalle posizioni B1, B2 e B3 alla posizione C1) rientra nella giurisdizione del Giudice ordinario, anche qualora comporti il passaggio del dipendente a un’area contrattuale diversa e superiore, trattandosi di atto privatistico di gestione del rapporto di lavoro. (Corte d’appello Milano 25/2/2005, Pres. Castellini Est. Accardo, in D&L 2005, 303)
  48. Qualora l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro pubblico di fatto svoltosi antecedentemente al 30/6/98, venga richiesto solo in via strumentale al fine di ottenere i versamenti contributivi e il risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per quanto riguarda i periodi contributivi non prescritti, poiché il mancato versamento dei contributi si configura come illecito permanente, che si consuma al momento della realizzazione del fatto dannoso e pertanto al momento in cui interviene la prescrizione del diritto dell’ente previdenziale ad agire per la riscossione dei singoli ratei. Ne segue che, per contro, la domanda relativa ai periodi contributivi antecedenti al 30/6/98 e caduti in prescrizione ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo. (Trib. Vigevano 16/2/2005, Est. Scarzella, in D&L 2005, 312)
  49. Ai sensi dell’art. 69 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (già art. 45 del D.Lgs. n. 80 del 1998), nella controversia tra il Coni ed un suo dipendente la giurisdizione amministrativa sussiste in relazione alla domanda avente ad oggetto retribuzioni arretrate sino al 30 giugno 1998, mentre invece sussiste la giurisdizione ordinaria per la domanda relativa alle retribuzioni successive a tale data e per l’intera domanda di risarcimento di danni che si affermino dovuti ad un comportamento del datore di lavoro iniziatosi prima, ma protrattosi anche dopo il 30 giugno 1998. (Cass. 27/1/2005, ord., n. 1622, Pres. Carbone Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1521)
  50. L’entrata in vigore del nuovo regime di privatizzazione del pubblico impiego ha determinato l’abrogazione implicita dell’art. 58 del RD 8/1/31 n. 148, allegato A) nella parte in cui attribuisce al Giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative all’irrogazione di sanzioni disciplinari a carico degli addetti al servizio di trasporto in concessione. (Cass. 13/1/2005 n. 460, Pres. Carbone Est. Foglia, in D&L 2005, con nota di Valentina Civitelli, “Fine di un’anomalia: le sanzioni disciplinari degli autoferrotranviari al giudice ordinario”, 293)
  51. La giurisdizione sulle controversie di lavoro pubblico appartiene al giudice ordinario. Tale giurisdizione permane anche nel caso di controversie relative ai c.d. concorsi interni, vale a dire quelli che si attuano nei confronti di personale già alle dipendenze dell’ente pubblico e che attribuiscono a detti dipendenti, attraverso meccanismi di selezione previsti e regolati dalla contrattazione collettiva, una progressione di carriera nell’ambito della stessa area professionale. (Corte d’appello Milano 13/12/2004, Pres. Castellini Rel. Togni, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Giorgio Mannacio, 455)
  52. Ai sensi dell’art. 69, comma 7, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, appartengono alla giurisdizione ordinaria del lavoro le controversie di cui all’art. 63 del medesimo decreto relativo a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre rimangono alla giurisdizione amministrativa quelle attinenti al periodo anteriore. Il chiaro contenuto della disposizione non può essere rimesso in discussione dalla parte finale della norma citata che va esaminata in collegamento con la precedente formulazione della stessa contenuta nell’art. 45, comma 17, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. (Trib. Milano 21/7/2004, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2005, 393)
  53. Una controversia avente ad oggetto il giudizio circa la legittimità di un concorso interno, ossia riservato a personale già in servizio (nella specie presso il Ministero delle Finanze) rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo alla luce della più recente interpretazione fornita dalla Suprema Corte a Sezioni Unite delle disposizioni di cui all’art. 35, comma 1, del d.lgs. 165/2001 in tema di giurisdizione del giudice amministrativo nei concorsi per l’assunzione nel rapporto di impiego alle dipendenze con la pubblica amministrazione. L’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 deve essere infatti interpretato nel senso che, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materie di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore: il termine assunzione deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale. (Tar Campania Napoli 23/12/2003 n. 15553, Pres. Monteleone Est. Ianigro, in Lav. nelle P.A. 2004, 474) Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere anche delle vicende del rapporto di lavoro iniziate in epoca anteriore al 30 giugno 1998, dovendosi avere riguardo, ai fini della discriminazione temporale imposta dal d.lgs. n. 80/1998, al momento in cui i singoli fatti si sono verificati nel loro intero svolgimento, nonché a quello degli atti amministrativi che sono stati messi in relazione a tale situazione. (Corte d’Appello di Milano 24/5/2004, Est. Castellini, in Lav. nelle P.A. 2004, 725)
  54. Solo ove il legislatore abbia scelto di equiparare l’esercizio del potere pubblicistico a quello datoriale l’interesse al rispetto delle norme d’azione può essere tutelato, per il tramite della disapplicazione, dal giudice ordinario, resistendo, in caso contrario, la sua natura di interesse legittimo che in quanto tale è di competenza del giudice amministrativo (nella specie il giudice ha ritenuto rientrasse fra gli atti di organizzazione generale, e come tali, conoscibili ai fini di un’adeguata tutela solo dal giudice amministrativo, la soppressione di un servizio che aveva contestualmente determinato la mancata conferma nel relativo incarico del dirigente di un ente locale). (Trib. Pistoia 10/5/2004, Est. De Marzo, in Lav. nelle P.A. 2005, con commento di Gabriella Nicosia, “L’incerto confine tra la macro e la micro organizzazione del datore di lavoro pubblico nell’incarico di funzione dirigenziale”, 327)
  55. Il termine del 15 settembre 2000 – relativamente alle questioni attinenti al periodo del rapporto di impiego anteriore al 30 giugno 1998 – non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma è indicato quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale. Per evitare la decadenza della proposizione del ricorso relativo ad una controversia di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 69, 7° comma, D.Lgs. n. 167/2001, non è sufficiente la sola procedura di notificazione del ricorso in quanto nel processo amministrativo il rapporto giuridico processuale viene instaurato solo con il deposito presso la segreteria del giudice amministrativo. (TAR Calabria 26/3/2004 n. 241, ord., Pres. Passanisi Est. Criscenti, in Giur. It. 2004, 1974)
  56. Il direttore dei lavori per la realizzazione di un’opera pubblica deve ritenersi funzionalmente e temporaneamente inserito nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione che gli ha conferito l’incarico, quale organo tecnico e straordinario della stessa, con la conseguenza che, con riferimento alla responsabilità per danni cagionati nell’esecuzione dell’incarico stesso, è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti; nel caso di specie detto rapporto di servizio non è invece configurabile tra la stazione appaltante ed il progettista di un’opera pubblica, il cui elaborato deve essere fatto proprio dall’amministrazione mediante specifica approvazione, versandosi in tal caso in un’ipotesi non di inserimento del soggetto nell’organizzazione dell’amministrazione, ma di contratto d’opera professionale; ne deriva che, con riferimento alla responsabilità per danni cagionati all’amministrazione comunale dal progettista, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. (Cass. 23/3/2004 n. 5781, Pres. Corona Rel. Varrone, in Giur. It. 2004, 1943)
  57. In tema di impiego pubblico privatizzato, ai sensi dell’art. 68, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 29, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (oggi art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165), sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro ed il conferimento di incarichi dirigenziali, mentre la riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa, contenuta nel quarto comma del citato art. 68 (ora art. 63), concerne esclusivamente le procedure concorsuali, strumentali alla costituzione del rapporto con la pubblica amministrazione. Pertanto appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia concernente il provvedimento di conferimento dell’incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario ex art. 15, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, dovendosi escludere che la procedura per il conferimento di detto incarico abbia natura di procedura concorsuale per il solo fatto che ad essa sono ammessi anche soggetti estranei al S.S.N., e soggetti che, seppure medici del servizio sanitario, sono legati comunque con rapporto di lavoro ad enti diversi rispetto a quello che indice la procedura. Ed infatti, nella disciplina per il conferimento dell’incarico di dirigente medico del secondo livello non è presente alcun elemento idoneo a ricondurre la stessa ad una procedura concorsuale, ancorchè atipica, atteso che la commissione si limita –dopo le modifiche apportate all’art. 15, D.Lgs. n. 502/1992 dal D.Lgs. n. 517/1993- alla verifica dei requisiti di idoneità dei candidati alla copertura dell’incarico, in esito ad un colloquio ed alla valutazione dei curricula, senza attribuire punteggi e senza formare una graduatoria, ma semplicemente predisponendo un elenco di candidati, tutti idonei perché in possesso dei requisiti di professionalità previsti dalla legge e delle capacità manageriali richieste in relazione alla natura dell’incarico da conferire, elenco che viene sottoposto al Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria Locale, il quale, nell’ambito dei nominativi indicati dalla commissione, conferisce l’incarico sulla base di una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, affidata alla sua responsabilità manageriale (art. 3, comma primo quater, D.Lgs. n. 502/1992 e successive modifiche). Né può attribuirsi rilievo, ai fini del riconoscimento della natura concorsuale della procedura di cui si tratta, la circostanza che del conferimento dell’incarico debba essere dato preventivo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, avendo detto avviso la sola funzione di ampliare il campo dei soggetti tra i quali il Direttore Sanitario deve operare la sua scelta. (Cass. 27/1/2004 n. 1478 Cass. 13/2/2004 n. 2851, Pres Sciarelli Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2004, 803)
  58. Con riferimento alla disciplina del pubblico impiego antecedente alla privatizzazione di cui al D. Lgs. N. 29 del 1993 (che, ad eccezione di alcune carriere statali nominativamente indicate, per le quali continua a sussistere il rapporto di pubblico impiego e la giurisdizione del giudice amministrativo, ha privatizzato il rapporto di lavoro di tutti i dipendenti dello Stato, delle Regioni, degli enti locali, delle Università e di tutti gli enti pubblici non economici , attribuendo la relativa giurisdizione al giudice ordinario per questioni incidenti su periodi dei rapporti in contestazione che si collochino in epoca successiva al 30 giugno 1998) caratterizzata dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sussistente per tutti i rapporti comportanti l’inserimento del prestatore di lavoro in posizione di subordinazione e con carattere di continuità nell’ambito della struttura pubblicistica dell’ente, e non in una organizzazione separata ed autonoma, gestita con criteri di imprenditorialità, la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata con riferimento all’oggetto della domanda, delineato non in base alla mera prospettazione compiutane dall’interessato, ma alla stregua del petitum sostanziale individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico posto a fondamento delle pretese. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza del giudice ordinario declinatoria della giurisdizione, in relazione alla domanda di accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica, con corresponsione della correlativa differenza di stipendio, proposta da un docente a contratto presso la scuola diretta a fini speciali di scienze ed arti del Politecnico di Torino; il difetto di giurisdizione era desunto dalla circostanza dello svolgimento di attività configurata dallo stesso ricorrente come esattamente corrispondente a quella di un docente dipendente di ruolo, inserita stabilmente nell’organizzazione dell’ente, e, quindi, riconducibile alla nozione di rapporto di lavoro subordinato configurabile come impiego pubblico, in ragione della qualità del datore di lavoro). (Cass. 23/1/2004 n. 1233, Pres. Carbone Rel. Ravagnani, in Dir. e prat. lav. 2004, 1315)
  59. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tutte quelle controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro delle P.A. e, in particolare, la revoca dell’incarico in precedenza conferito al pubblico dipendente, in considerazione normativa che ha attribuito a suddetta autorità la cognizione di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. (Trib. Caltanisetta 27/12/2003, Est. Porracciolo, in Lav. nella giur. 2004, 806)
  60. Le controversie relative al rapporto di lavoro dei segretari comunali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, giacchè gli atti di gestione di detto rapporto- sia quando vengano posti in essere dall’Amministrazione locale presso la quale il segretario opera, sia quando vengano posti in essere dall’Agenzia autonoma per la gestione dei servizi comunali e provinciali- rappresentano manifestazione dei poteri propri del privato datore di lavoro. (Trib. Voghera 15/1/2004, Est. Dossi, in D&L 2004, 98)
  61. Nel pubblico impiego privatizzato deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ad una controversia avente ad oggetto una procedura selettiva interna che non comporta novazione del rapporto di lavoro (nella specie trattavasi di un concorso per il semplice passaggio di livello senza variazione di area o categoria). (Cass. 10/12/2003, Pres. Grieco Est. Roselli, in D&L 2004, 193)
  62. Il 4° comma dell’art. 63 del D. Lgs. N. 165/2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo “le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni”, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia od area superiore; tuttavia, quando si discute dell’applicazione di un contratto collettivo che prevede la divisione del personale in aree o fasce, ma di semplice passaggio di livello, senza variazioni di area o categoria, ossia senza novazione oggettiva del rapporto di lavoro, vi è giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. (Cass. 10/12/2003 n. 18886, Pres. Greco Est. Morelli, in Giur. It. 2004, 1064)
  63. Nel nuovo sistema di riparto della giurisdizione di cui all’art.68 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 299 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (ora trasfuso nell’art. 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001), sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, “tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni incluse le assunzioni, ancorchè vengano in considerazione atti presupposti”, e a quella del giudice amministrativo “tutte le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti della pubblica amministrazione”, con la conseguenza che la vicenda modificativa del rapporto di lavoro con un’amministrazione pubblica, quale quella attinente allo svolgimento di un concorso interno, è attribuita all’Ago, non inerendo ad una procedura concorsuale, in considerazione del fatto che il bando di concorso riservato al personale interno ed il conseguente svolgimento della procedura selettiva rappresentano atti di gestione del rapporto di lavoro, espressione della capacità di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro (“ex” articolo 4 del decreto legislativo n. 29 del 1993, sostituito dall’art. 4 del decreto legislativo n. 80 del 1998; ora articolo 5, secondo comma, del decreto legislativo n. 165/2001). (Nella specie, la Suprema Corte ha rilevato che non vi era alcuna motivazione oggettiva del rapporto di lavoro, trattandosi di semplice passaggio di livello,k senza variazione di area o di categoria). (Cass. 10/12/2003 n. 18886, ord., Pres. Greco Rel. Roselli, in Lav. e prev. oggi 2004, 1070)
  64. Così come affermato dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Unite 15 ottobre 2003, n. 15403), deve ritenersi che una controversia riguardante un concorso interno al quale possono partecipare pubblici dipendenti rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo; va pertanto annullata con rinvio la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione in materia. (Cons. Stato 10/12/2003 n. 8143, Pres. Quaranta Est. Marchitiello, in Lav. nelle P.A. 2004, 472)
  65. I cosiddetti “concorsi interni” non possono essere assimilati “alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” e, conseguentemente, per le controversie riguardanti tali procedure non può ritenersi operante l’eccezione alla giurisdizione del Giudice ordinario regolata dall’art. 68 d.lgs. 29/1993, come novellato dal d.lgs. 80/1998; deve pertanto dichiararsi inammissibile un ricorso riguardante una procedura selettiva interna proposto innanzi al Giudice amministrativo, rientrando tale ricorso nell’ambito di competenza del Giudice ordinario, ai sensi dell’art. 68 d.lgs. 29/1993, come novellato dal d.lgs. 80/1998. (Tar Sicilia Palermo 11/12/2003 n. 3890, Pres. Giallombardo Est. Maisano, in Lav. nelle P.A. 2004, 473)
  66. Nel pubblico impiego privatizzato sussiste, ai sensi dell’art. 63, 1° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, la giurisdizione del giudice ordinario in caso di controversia concernente procedure concorsuali per il passaggio di livello all’interno di una medesima qualifica, finalizzata ad un mero miglioramento economico. (Trib. Milano 20/11/2003, Est. Ianniello, in D&L 2004, 193)
  67. Il 4° comma dell’art. 63 del D. Lgs. N. 165/2001, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo le “controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle Pubbliche amministrazioni”, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia od area superiore; il termine “assunzione” deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento che, oltre tutto, l’accesso nell’area superiore di personale interno od esterno implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica. (Cass. 15/10/2003 n. 15403, Pres. Carbone Est. Prestipino, in Giur. It. 2004, 652)
  68. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al rapporto di impiego con la Banca d’Italia, in considerazione della posizione a sé stante che l’istituto assume nel panorama degli enti pubblici non economici, e della espressa eccezione contenuta nell’art. 3, 1° comma, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che include tra le categorie dei dipendenti il cui rapporto di impiego non è soggetto a privatizzazione “i dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691”, e cioè in materia valutaria, di tutela del risparmio e di esercizio della funzione creditizia. Ai fini del riparto della giurisdizione non assume rilievo la mera deduzione ad opera dell’attore, di una responsabilità extracontrattuale della p.a., atteso che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico impiego trova applicazione anche per pretese risarcitorie di carattere patrimoniale e non, quando il rapporto di pubblico impiego funzioni da momento generico diretto e immediato dei diritti che si pretende essere stati lesi dall’ente pubblico in pregiudizio del dipendente, a nulla rilevando la prospettazione soggettiva della domanda, bensì il “petitum sostanziale”, ossia la situazione giuridica obiettiva denunciata con la domanda stessa. (Cass. 1/10/2003 n. 14667, Pres. Giustiniani Rel. Vidiri, in Giur. 2004, 864)
  69. Il significato dell’art. 45, comma 17, D.Lgs. n. 80/98, ripreso, sia pure con formulazione parzialmente diversa, dall’art. 69, D.Lgs. n. 165/01, al fine di evitare un eccessivo frazionamento del diritto azionato, con dispersione della relativa tutela processuale tra giurisdizioni diverse, deve essere inteso nel senso che, ai fini del riparto di giurisdizione, occorre valorizzare il momento in cui si sono verificati i fatti materiali in relazione alla cui rilevanza sia insorta la controversia. Per cui se la lamentata lesione di un diritto soggettivo trovi la propria origine in un atto ad effetto immediato della pubblica amministrazione, occorre avere riguardo ai fini indicati, unicamente al momento della sua produzione. Quando invece la pretesa nasca da un comportamento illecito permanente, si deve avere riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e, più precisamente, al momento della cessazione della permanenza. (Trib. Milano 19/7/2003, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2004, 190)
  70. È competente il giudice ordinario a conoscere di una controversia contro la Pubblica Amministrazione (promossa prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 31/3/98 n. 80) avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., a prescindere dal fatto che la posizione soggettiva fatta valere riguardi un diritto soggettivo o un interesse legittimo. (Cass. 16/5/2003 n. 7630, Pres. Duva Est. Mazza, in D&L 2003, 743, con nota di Giovanni Paganuzzi, “In tema di medici specializzati ed omessa attuazione delle direttive comunitarie”)
  71. In materia di rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, la giurisdizione del giudice ordinario istituita dall’art. 68 del D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, non può estendersi agli atti amministrativi riguardanti le linee ed i principi fondamentali della organizzazione degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono. (Cass. 17/4/2003 n. 6220, ord., Pres. Delli Priscoli, Rel. Napoletano, in Giur. It. 2003, 2164)
  72. Ai sensi dell’art. 7, 2° comma, lett. e), L. 21/7/2000 n. 205, che ha sostituito l’art. 33 del D. Lgs. 31/3/88 n. 80, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie di natura meramente risarcitoria riguardanti il danno a persone e cose relativamente ad attività ed a prestazioni rese nell’espletamento di pubblici servizi anche per quanto concerne l’assistenza offerta alle persone fisiche dalle strutture pubbliche e non solo quella offerta da strutture private. (Trib. Milano 31/3/2003, Est. Frattin, in D&L 2003, 812)
  73. Poiché le peculiarità che connotano la disciplina del rapporto di lavoro pubblico “contrattualizzato” sono tali da collocare lo stesso a metà tra il modello pubblicistico e quello privatistico, è devoluta alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto un rapporto di lavoro contrattualizzato-ex art. 2, secondo e terzo comma del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165-ovvero non compreso tra quelli che l’art. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001 riserva ancora al regime di diritto pubblico; opera infatti quanto disposto dall’art. 63, primo comma, d. lgs. n. 165 del 2001, ossia la regola inerente la devoluzione all’autorità giudiziaria ordinaria di tutte le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. (Cass. 6/2/2003, n. 1807, Pres. Corona, Est.Evangelista, in Giur. italiana 2003, 1244)
  74. Tutte le volte che la domanda introduttiva del giudizio-proposto da un pubblico dipendente-esibisca un petitum sostanziale che si identifichi con il rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario; non rileva in contrario che la prospettazione della parte si estenda all’impugnativa di un atto prodromico. (Cass. 6/2/2003, n. 1807, Pres. Corona, Est.Evangelista, in Giur. italiana 2003, 1244)
  75. Alle società concessionarie di pubblici servizi di trasporto locale si applica il R.D. n. 148/1931 e quindi la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie derivanti da impugnazione dei licenziamenti o sanzioni disciplinari conservative. (Corte d’appello Salerno 20/1/2003, Est. Nocca, in Lav. nella giur. 2004, 1206)
  76. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 69, 7° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, sono devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore al 30/6/98 qualora non siano state promosse avanti il Giudice amministrativo entro il 15/9/2000. (Trib. Parma 18/12/2002, Est. Vezzosi, in D&L 2003, 477)
  77. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto la mancata assegnazione, nell’ambito dell’amministrazione statale, di un incarico di funzioni dirigenziali generali ad un dirigente di prima fascia, contestualmente collocato a disposizione del ruolo unico dei dirigenti costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri. (Cass. 24/1/2003, n.1128, Pres. Corona, Rel. Evangelista, in Foro it. 2003 parte prima, 1478)
  78. Il discrimine temporale del 30/6/98 tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa non si riferisce all’atto giuridico od al giorno di instaurazione della controversia, bensì al verificarsi del fatto storico posto a base della domanda giudiziale; conseguentemente se il lavoratore lamenta la lesione derivante da condotta illecita permanente del datore di lavoro deve aversi riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente al momento di cessazione della condotta (nella specie il Consiglio, alla luce del principio di unicità ed infrazionabilità del rapporto di lavoro, ha ritenuto la competenza del giudice ordinario in ordine ad una domanda di riconoscimento di rapporto di pubblico impiego-e conseguentemente pagamento di corrispettivi-iniziato prima del 30/6/98 e cessato successivamente). (Consiglio di Stato 20/9/2002 n. 4781, Pres. Giovannini Est. Montedoro, in D&L 2003, 187)
  79. In base al nuovo criterio di ripartizione della giurisdizione si deve ritenere che la controversia relativa alla legittimità del conferimento dell’incarico di dirigente medico di secondo livello, oggi dirigente di struttura complessa, rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Difatti l’art. 63 del decreto legislativo 30/3/01, n. 165 dispone che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti (Cass. S.U. 27/2/02, n. 2954, pres. Panzaroni, est. Giannntonio, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 575)
  80. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 69, 7° comma, D. Lgs. 30/3/01 n. 165, sono devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore al 30/6/98 qualora non siano state promosse avanti il Giudice amministrativo entro il 15/9/2000. (Trib. Catanzaro 26/2/2002, Est. Santoemma, in D&L 2002, 794, con nota di Ilaria Zanesi, “Ancora in tema di passaggio di giurisdizione nel pubblico impiego”)
  81. Deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione a controversia attinente un rapporto di pubblico impiego conclusosi in epoca anteriore alla data 30 giugno 1998 ed in caso di introduzione del giudizio dinanzi al giudice ordinario entro il termine di decadenza del 15 settembre 2000. (Cass. 4/6/2002, n. 8089, Pres. Carbone, Est. Miani Canevari, in Foro it. 2003 parte prima, 46)
  82. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia relativa alla mancata assegnazione, nell’ambito dell’amministrazione statale, di un incarico di funzioni dirigenziali generali ad un dirigente di prima fascia, contestualmente collocato a disposizione del ruolo unico dei dirigenti costituito presso la presidenza del consiglio dei ministri.(Cass. 24/4/2002, n.6041 , Pres. Vessia, Rel.Prestipino, (ord), in Foro it. 2003, parte prima, 316) Spetta al giudice ordinario la giurisdizione relativa alla controversia promossa da un dirigente regionale per far valere il proprio diritto al conferimento di un incarico di funzioni dirigenziali attribuito ad altro dipendente. (Cass. 18/7/2002, n.9771, Pres. Vela, Est. Prestipino, in Foro it. 2003, parte prima, 317)
  83. Nelle controversie attinenti a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998 non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario nei giudizi instaurati decorso il termine del 15 settembre 2000, stabilito a pena di decadenza dall’ art. 45, 17° comma, d. leg. 80/98, sostituito dall’ art. 69, 7° comma, d.leg. 165/01. (Corte d’ Appello 14/3/2002, Pres. Finucci, Est. Sordi, in Foro it. 2003 parte prima, 46)
  84. Ai fini del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo con riguardo ad una domanda di risarcimento danni proposta da un dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione non assoggettata alla nuova disciplina di cui al D. Lgs. n. 80/1998, assume essenziale rilevanza l’accertamento della natura contrattuale o extracontrattuale dell’azione resarcitoria in concreto proposta. Devesi ritenere, infatti, che l’azione contrattuale, fondata sulla inosservanza da parte del datore di lavoro degli obblighi inerenti al rapporto di impiego è devoluta alla cognizione del giudice amministrativo; mentre l’azione di natura extracontrattuale fondata sul risarcimento del danno alla salute è devoluta al giudice ordinario. (Cass. 29/1/2002, n. 1147, Pres. Amirante, Rel. Varrone, in Lav. nella giur. 2003, 42, con commento di Giovanni Ferraù)
  85. Rientra tra le controversie che l’art. 68, 1° comma, d.lgs. 29/93, nel testo risultante dall’art. 29 d.leg. 80/98 e dall’art. 18, 1° comma, d.leg. 387/98, ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, quella in cui un dirigente rivendichi il diritto ad essere confermato nell’incarico che ricopriva alla data, successiva alla scadenza dell’incarico, del 30/6/98 e, cioè, alla data stabilita dall’art. 45, 17° comma, d.leg. 80/98 per l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie inerenti ai rapporti di lavoro pubblico (Cass. S.U. 15/12/00, n. 1267/SU, pres. Vessia, est. Vittoria, in Foro it. 2001, pag. 1630, con nota di D’Auria)
  86. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto il diritto di un dirigente, in sede di prima applicazione della l. 127/97,a d essere confermato nell’incarico – attribuito, invece, ad altro soggetto – di direttore amministrativo di una università (Cass. S.U. 15/12/00, n. 1267/SU, pres. Vessia, est. Vittoria, in Foro it. 2001, pag. 1630, con nota di D’Auria)
  87. Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, e non a quella del giudice ordinario, la controversia su una procedura di mobilità fra pubbliche amministrazioni, disposta in base alla l. n. 554/88 e al D.P.C.M. del 5/8/88, n. 325 (ormai abrogati), che comporta la costituzione del rapporto di pubblico impiego con l’amministrazione di destinazione e in cui l’assenso delle amministrazioni interessate costituisce non un atto di diritto privato ma un provvedimento amministrativo, conclusivo di un subprocedimento, facendo sorgere posizioni di mero interesse legittimo (Trib. Trieste 19/9/00, est. Muntari, in Lavoro giur. 2001, pag. 663, con nota di Miscione, Mobilità fra P.A: effetti indiretti di sentenza di accertamento)
  88. Sugli atti di conferimento degli incarichi che hanno natura privatistica sussiste la giurisdizione per materia del giudice ordinario, senza potersi distinguere se sia possibile far valere diritti o interessi legittimi (Trib. Gorizia 2/8/00 ordinanza, est. Masiello, in Lavoro giur. 2001, pag. 565, con nota di Pizzonia, Incarichi dirigenziali e tutela giurisdizionale)
  89. A seguito della riforma di cui al d.lgs. 29/93, come modificato dai d.lgs. 80/98 e 387/98, che ha attribuito a tutti gli atti dell’amministrazione direttamente o indirettamente connessi alla gestione del rapporto di lavoro natura privatistica, rientrano nella competenza del giudice ordinario le controversie in materia di conferimento degli incarichi dirigenziali, ancorché vengano in considerazione atti amministrativi presupposti (Trib. S. Angelo dei Lombardi 4/7/00, ord., est. Ciafaldini, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 244, con nota di Navilli, Incarichi dirigenziali negli enti locali, motivazione dell’atto e tutela cautelare)
  90. In tema di controversie concernenti gli incarichi dirigenziali, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario del lavoro l’azione con la quale un dirigente chiede la conservazione dell’incarico dal quale è stato rimosso illegittimamente, vantando il diritto al mantenimento del suddetto incarico (Trib. Venezia 8/6/00, ordinanza, pres. Santoro, est. Marra, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 248, con nota di Montanari, Modifica unilaterale dell’incarico dirigenziale e requisiti di forma)
  91. L’art. 68, 4° comma, D. Lgs. 3/2/93 n. 29 – che sottrae alla giurisdizione ordinaria le controversie relative al rapporto di impiego degli Avvocati dello Stato, in quanto norma di carattere eccezionale – non è suscettibile di applicazione – né in via analogica, né in via estensiva – alle controversie inerenti i rapporti d’impiego degli avvocati municipali, che dunque, a norma della legge stessa, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Trib. Milano 12 maggio 2000, est. Salmeri, in D&L 2000, 771)
  92. Sussiste la giurisdizione del giudice unico de lavoro in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali, ai sensi dell’art. 68, comma 1 del d.lgs. n. 29/93 che sottrae alla giurisdizione dell’AGO solo le procedure concorsuali per l’assunzione: tale circostanza non ricorre in relazione a tutte le forme latu sensu contrattuali, come i concorsi interni ed il conferimento di incarichi dirigenziali, che si svolgono in costanza di rapporto di lavoro (Trib. Napoli 10/12/99, ordinanza, pres. e est. Papa, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 254, con nota di Talamo, Onere di motivazione e criteri per il conferimento degli incarichi dirigenziali: il controllo del giudice ordinario)
  93. Spetta al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la giurisdizione sulle controversie in materia di procedure negoziali nel pubblico impiego, incluse quelle riguardanti gli accordi collettivi, essendo questi ultimi chiamati a concludere la procedura, sì da costituirne parte integrante (Trib. Roma 5/11/99, est Cannella, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 321, con nota di Campanella, Rappresentanza e rappresentatività sindacale nel lavoro pubblico: primi interrogativi sulla costituzionalità delle nuove regole)
  94. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia di lavoro con una Ipab, la cui natura privata, pur non formalmente riconosciuta dall’amministrazione regionale, sia stata accertata dal giudice sulla base di indici di riconoscimento quali la costituzione dell’ente per esclusiva iniziativa di privati, l’origine prevalentemente privata degli apporti finanziari al suo bilancio e la sua gestione ad opera di organismi nei quali non sono rappresentati soggetti pubblici, a nulla rilevando l’esistenza di controlli pubblicistici e la successiva modificazione statutaria che ha attribuito la gestione dell’ente ad un organismo composto in prevalenza da soggetti nominati dalla regione (Cass. S.U. 25/10/99, n. 751/SU, pres. Bile, est. Ianniruberto, in Foro it. 2001, pag. 1712, con nota di Stabile)
  95. Anche dopo l’intervenuta privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e il conseguente passaggio delle relative controversie al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, deve ritenersi che per l’esecuzione delle sentenze di condanna emesse da quest’ultimo nei confronti della pubblica amministrazione, che abbiano ad oggetto un obbligo incoercibile e una prestazione infungibile, il dipendente possa adire il giudice amministrativo dell’ottemperanza, essendo, invece, dubbio il ricorso all’esecuzione forzata di fronte al giudice civile, ai sensi degli artt. 612 e ss. Del c.p.c. (T.A.R. Marche 19/9/2003 n. 997, Pres. Amoroso Est. Giambartolomei, in Lav. nelle P.A. 2004, 246, con nota di Francesca Maria Macioce)

 

 

Competenza

 

 

Competenza per materia

  1. È competente il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro per i crediti dei lavoratori verso il datore di lavoro sottoposto alle misure di prevenzione di cui al Codice Antimafia (D. Lgs n. 159/2011).
    La Corte d’Appello di Roma chiarisce che i creditori di società sottoposte a misure di prevenzione non sono tenuti ad attivare lo speciale procedimento incidentale di verifica dei crediti previsto dagli artt. 52 e ss, del Codice Antimafia, ma devono agire in sede civile laddove la Società continui ad operare con i propri organi statutari (anche se sotto il controllo dell’amministratore giudiziario). Nel caso di specie, infatti, era stata posta sotto sequestro la maggioranza delle quote societarie. (Corte app. Roma 26/6/2020, Pres. e Rel. Franchini, in Wikilabour, Newsletter n. 16/2020)
  2. L’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso tra quelli previsti dall’art. 409, n. 3, c.p.c.; tuttavia, la natura societaria del rapporto intercorrente tra amministratore e società non preclude l’instaurazione tra i medesimi soggetti di un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o d’opera. Pertanto, in tema di competenza, allorché la responsabilità del direttore generale di una società per azioni sia stata prospettata sotto il profilo delle inadempienze poste in essere nello svolgimento delle sue mansioni, ossia nell’ambito del rapporto di lavoro, l’azione, dovendosi effettuare una valutazione alla stregua della domanda e dei fatti costitutivi come in essa allegati, non va proposta alla sezione specializzata del Tribunale delle imprese, di cui al D.Lgs. n. 168 del 2003, ma al giudice del lavoro, attesa l’espressa salvezza stabilita dall’art. 2396 c.c. (Cass. 13/01/2020 n. 235, ord., Pres. Frasca Est. Scrima, in Lav. nella giur. 2021, con nota di S. Rossi, La natura del contratto con il direttore generale e l’azione di responsabilità, 267)
  3. Ove concorrano da un lato la risoluzione del rapporto associativo a seguito di delibera di esclusione e dall’altro la risoluzione del rapporto di lavoro per concorrente licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, opera la vis attractiva di cui all’art. 40 comma 3 c.p.c. e quindi entrambe le relative controversie fra il socio lavoratore e la società cooperativa rientrano nella competenza del Tribunale in funzione di giudice del lavoro. (Cass. 21/11/2014 n. 24917, ord., Pres. Curzio Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Luigi Andrea Cosattini, 243)
  4. La disposizione normativa di cui all’art. 428, comma 1, c.p.c., a seguito del nuovo assetto attribuito dal riformato art. 38 c.p.c. al rilievo della incompetenza, va intesa nel senso che detta incompetenza può essere rilevata non oltre il termine dell’udienza fissata con il decreto giudiziale disciplinato dall’art. 415 c.p.c. La ratio della citata disposizione è da individuarsi nella esigenza che la questione relativa alla competenza sia definita, nel modo più sollecito possibile, prima della emanazione di qualsiasi altro provvedimento, anche di carattere istruttorio, attinente al merito della causa. Ne consegue la tardività dell’incompetenza rilevata dal giudice, su eccezione di parte, in un’udienza successiva a quella nella quale è avvenuto il compimento di quelle attività afferenti al merito della causa che segnano il radicamento dei poteri istruttori del giudice. (Cass. 21/7/2014 n. 16953, Pres. Curzio Rel. Marotta, in Lav. nella giur. 2014, 1021)
  5. La richiesta di danni iure proprio degli eredi di un lavoratore deceduto sul lavoro rientra nella competenza del giudice del lavoro in quanto tale domanda è intesa a far valere non già la lesione del generale precetto del “neminem laedere”, bensì la violazione dei doveri di tutela delle condizioni di lavoro specificatamente incombenti sul convenuto come datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. Invero, nella sfera dell’art. 409, n. 1, c.p.c. non rientrano solo le domande relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la “causa petendi” di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l’eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro. (Trib. Ravenna 21/12/2010, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Maria Cristina Vanz, 811)
  6. Ai fini dell’individuazione del giudice competente ratione materiae, la determinazione della materia va compiuta alla stregua del contenuto della domanda, e cioè in base alla sostanza della pretesa e ai fatti dedotti a fondamento di questa. (Cass. 31/5/2010 n. 13263, Pres. Vidiri Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2010, 837)
  7. Competente a decidere sul reclamo avverso le ordinanze in materia di azione civile contro la discriminazione proposto ai sensi dell’art. 44 TU immigrazione, è il Tribunale in composizione collegiale e non la Corte d’Appello (nella specie, posto che il Tribunale aveva già declinato la sua competenza in favore di quella della Corte d’Appello, la Corte ha sollevato regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c.). (Trib. Roma 12/1/2010, ord., pres. Sorace Est. Palladini, in D&L 2010, con nota di Alberto Guariso e Daniele Bergonzi, “Sulla competenza per il reclamo nell’azione antidiscriminatoria, la parola passa alla Cassazione”, 671)
  8. La competenza del giudice del lavoro si estende a tutte le pretese che hanno fondamento nel rapporto di lavoro, anche se relative a fatti verificatisi dopo la sua cessazione, quali i comportamenti del lavoratore che integrino la violazione di un patto di non concorrenza. (Cass. 10/7/2008 n. 19001, Pres. Mercurio Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2009, 81, e in Dir. e prat. lav. 2009, 457)
  9. Ai sensi dell’art. 38 c.p.c., sost. dall’art. 4, L. 26 novembre 1990, n. 353, l’incompetenza per materia, al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 del codice di rito, è rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione, la quale, nel rito ordinario, si identifica con l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e, nel processo del lavoro, corrisponde alla (prima) udienza di discussione fissata con il decreto giudiziale disciplinato dall’art. 415 c.p.c.; pertanto, alla stregua del nuovo assetto attribuito dal riformato art. 38 c.p.c. al rilievo dell’incompetenza, anche la disposizione del primo comma dell’art. 428 c.p.c. (secondo la quale nei processi davanti al giudice del lavoro l’incompetenza territoriale può essere rilevata d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c.) va intesa nel significato che detta incompetenza può essere rilevata non oltre il termine dell’udienza fissata con il predetto decreto contemplato dal citato art. 415, con la conseguente inammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio che dovesse essere sollevato superandosi tale preclusione. (Cass. 19/1/2007 n. 1167, Pres. Mercurio Est. Figurelli, in Lav. nella giur. 2007, 1024)
  10. Nell’espressione “controversie relative a rapporti di lavoro subordinato” contenuta nell’art. 409 c.p.c. è compresa ogni controversia comunque collegata ad un rapporto di lavoro, in atto, estinto o ancora da costituirsi. Pertanto, sono devolute alla competenza del giudice del lavoro anche le cause nelle quali si fanno valere diritti all’assunzione nel posto di lavoro privato (nella specie, nascenti dall’obbligo, previsto dalla contrattazione collettiva, di assunzione di dipendenti di società svolgente servizio di pulizia cui succeda altra società nel contratto di appalto) o altri diritti nascenti dalla mancata assunzione in violazione di obblighi contrattuali o di legge. (Cass. 21/5/2003 n. 8022, Pres. Sciarelli, Rel. Guglielmucci, in Lav. nella giur. 2004, 180)
  11. In ipotesi di atti di libidine violenti e violenza carnale commessi in danno di lavoratrice subordinata, qualora il rapporto di lavoro costituisca presupposto necessario e non occasionale della situazione di fatto in ordine alla quale sia stata invocata la tutela giudiziaria in sede civile mediante la proposizione di domande risarcitorie, sussiste la competenza del Giudice del lavoro ai sensi dell’art. 409 n. 1 c.p.c. (Trib. Milano 9/5/2003, Est. Ianniello, in D&L 2003, 649, con nota di Franco Bernini, “Le voci di danno alla persona e la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro”)
  12. Tra i rapporti di lavoro c.d. parasubordinati, le cui controversie sono attribuite dall’art. 403, n. 3, c.p.c. alla competenza del giudice del lavoro, sono inclusi-purché si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata-tutti quei rapporti aventi ad oggetto prestazioni di facere riconducibili allo schema generale di lavoro autonomo, ancorché rientranti in figure contrattuali tipiche, non ostandovi il fatto che il prestatore d’opera svolga la sua attività in autonomia e con responsabilità e rischi propri, purché caratterizzati dalla continuità, dal loro collegamento funzionale con gli scopi perseguiti dal committente e dall’esecuzione prevalentemente personale. (Nella specie, è stata affermata la competenza del giudice del lavoro per la controversia relativa alle prestazioni di un soggetto impegnato con continuità e con mezzi propri al trasporto ed alla consegna di prodotti di una impresa secondo termini e modalità dalla stessa indicati). (Cass. 25/11/2002, n. 16582, Pres. Trezza, Rel. Foglia, in Lav. nella giur. 2003, 379)
  13. Perché sia configurabile un rapporto di collaborazione ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., con conseguente devoluzione della controversia alla competenza per materia del tribunale quale giudice del lavoro, devono sussistere i seguenti tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sull’utilizzazione di una struttura di natura materiale. Pertanto, la promozione giornalistica dell’immagine e del prodotto della società committente, qualora sia stato svolto direttamente dal preposto per un apprezzabile periodo di tempo (oltre un anno e mezzo) e con assoggettamento alle direttive ed all’ingerenza della società stessa (consistenti in stretti contatti con il cliente al fine di verificare, passo passo, i tipi di comunicazione da fornire ai giornalisti), configura un rapporto di collaborazione con quest’ultima, rientrante nella competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro. (Cass. 9/3/01, n. 3485, pres. Giustiniani, est. Manzo, in Dir. informazione e informatica 2002, pag. 382)
  14. L’azione diretta degli ausiliari dell’appaltatore nei confronti del committente ex art. 1676 c.c. non determina una situazione processuale di litisconsorzio necessario tra lo stesso committente e l’appaltatore, con la conseguenza che i lavoratori, quando agiscono nei confronti del solo committente, non sono obbligati a chiamare in causa anche l’appaltatore ai sensi dell’art. 102 c.p.c.; tale azione appartiene alla competenza funzionale del giudice del lavoro ed è esperibile anche in pendenza di fallimento o di altra procedura concorsuale a carico dell’appaltatore o del committente (Cass. 4/9/00, n. 1607, pres. Santojanni, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 382, con nota di Cattani, Sulla competenza e il litisconsorzio necessario nell’azione promossa dal lavoratore contro il committente ex art. 1676 c.c.)
  15. Il giudice ordinario difetta di giurisdizione nella controversia promossa da un soggetto, già occupato in un progetto di lavoro socialmente utile, avverso l’ente (nel caso, un comune) promotore del progetto – ente, che affidi tramite convenzione l’espletamento del servizio (nel caso, guardiania e pulizia degli edifici scolastici), in precedenza oggetto del progetto stesso, ad una società cooperativa – e avverso la società cooperativa affidataria del servizio in convenzione con l’ente, per vedere riconosciuto il diritto ad essere inserito da parte del Comune nella lista dei lavoratori da assumersi dalla società cooperativa quale affidataria del servizio, nonché il diritto ad essere assunto da quest’ultima (Trib. Roma 17/5/00, pres. e est. Sordi, in Dir. lav. 2001, pag. 78)
  16. Il giovane che partecipa alla realizzazione delle iniziative, consistenti nello svolgimento di attività di utilità collettiva, prefigurate dall’art. 23, 1° comma e ss., L. 11/3/88, n. 67, è destinato ad essere inquadrato in una struttura aziendale ed è chiamato a svolgere un’attività lavorativa con modalità che prevedono orari di lavoro e modalità di compenso a carattere retributivo, nonché l’applicazione di alcune garanzie tipiche del rapporto di lavoro subordinato. La situazione in esame dà luogo, dunque, a un rapporto di lavoro, che, in ragione della esclusione di legge, è solo assimilabile a quello subordinato e per il quale, però, parimenti deve essere riconosciuta la competenza del giudice del lavoro, atteso che nei confronti della fattispecie in esame si ravvisano gli stessi presupposti che, ai sensi dell’art. 409 c.p.c., sottopongono al rito speciale i rapporti di lavoro subordinato (Cass. 21/12/99, n. 14409, pres. Sommella, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 797, con nota di Lassandari, Il giudice del lavoro di fronte a rapporti di “non lavoro” subordinati)
  17. La giurisdizione e la competenza per materia del giudice del lavoro si determinano in base alla prospettazione della domanda; le eccezioni di carenza di giurisdizione ovvero di incompetenza per materia, fondate sull’applicabilità di clausola arbitrale ovvero sull’allegazione di un rapporto societario, devono pertanto essere rigettate ove la domanda prospetti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (comportante le limitazioni all’ammissibilità dell’arbitrato di cui all’art. 5 L. 11/8/73 n. 553) e il carattere fittizio del rapporto societario (Pret. Milano 17/2/99, est. Vitali, in D&L 1999, 345)
  18. Il giudice del lavoro è competente a decidere sulla domanda di risarcimento del danno biologico derivante da molestie sessuali avanzata da una lavoratrice subordinata contro il suo superiore gerarchico in quanto la dizione “controversie relative a” contenuta nell’art. 409 n.1 c.p.c. ricomprende le domande in cui i rapporti ivi indicati, pur non costituendo la causa petendi della pretesa, sono presupposti necessari e non occasionali della situazione di fatto in ordine alla quale sia invocata la tutela giudiziale (Trib. Milano 21/4/98, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1998, 957)
  19. La competenza del Pretore del lavoro, stabilita in ragione della natura della causa, si determina sulla base della prospettazione della domanda, mentre sono irrilevanti le eccezioni formulate dal convenuto, salvo che questo deduca che la natura del rapporto sia stata dedotta dall’attore in maniera pretestuosa al fine di sottrarre la causa al giudice precostituito per legge (Pret. Milano 20/4/98 (ord.), est. Cincotti, in D&L 1998, 1095; in senso conforme, v. Pret. Milano, sez. Rho, 25/3/98, est. Ferrari da Passano, in D&L 1998, 1095)
  20. La competenza del Pretore del lavoro, stabilita in ragione della natura della causa, si determina, secondo la regola generale, sulla base della prospettazione della domanda (Pret. Milano, sez. Rho, 10/1/98, est. Ferrari da Passano, in D&L 1998, 1094)

 

 

Competenza territoriale

  1. Lo smart working non radica la competenza territoriale del giudice del lavoro.
    Nel giudizio in cui un lavoratore rivendicava differenze retributive per la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro originariamente intermittente a termine, il Tribunale di Roma aveva declinato la propria competenza territoriale, in favore, alternativamente, tra gli altri, del tribunale di Civitavecchia, luogo in cui il dipendente svolgeva la propria attività lavorativa in smart working. In sede di regolamento necessario di competenza, la Corte di cassazione, pur ricordando l’ampiezza che la propria giurisprudenza attribuisce alla nozione di unità produttiva aziendale (al fine dell’individuazione del foro della dipendenza cui è addetto il lavoratore, uno dei tre possibili fori in materia), ribadisce peraltro che essa presuppone comunque un collegamento oggettivo e soggettivo del luogo della prestazione con l’organizzazione aziendale, collegamento che non è rinvenibile nel caso in esame, in cui l’abitazione del dipendente fungeva da mero luogo della prestazione (tra l’altro temporaneo e non unico), senza ulteriori elementi che ne connotassero in qualche modo l’inserimento nell’organizzazione aziendale. (Cass. 5/7/2023 n. 19023, Pres. Raimondi Rel. Cinque, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2023)
  2. Il foro speciale costituito dal luogo in cui si trova l’azienda ex art. 413, comma 2, c.p.c., va determinato, per le imprese gestite in forma societaria, in riferimento al luogo in cui si accentrano di fatto i poteri di direzione ed amministrazione dell’azienda medesima (di norma coincidente con la sede sociale), indipendentemente da quello in cui si trovano i beni aziendali e nel quale si svolge l’attività imprenditoriale. (Cass. 3/9/2020 n. 18266, Pres. Doronzo Rel. Leone, in Lav. nella giur. 2020, 1205)
  3. In tema di competenza per territorio, qualora la legge preveda più criteri concorrenti, grava sul convenuto, che eccepisca l’incompetenza del giudice adito, sia l’onere di contestare l’applicabilità di ciascuno di tali criteri, fornendo anche la prova delle circostanze dedotte a sostegno della sua contestazione, sia l’onere di indicare il giudice che sarebbe invece competente, allegando, e provando, i fatti relativi alla sussistenza della sua competenza. (Cass. 3/9/2020 n. 18266, Pres. Doronzo Rel. Leone, in Lav. nella giur. 2020, 1205)
  4. Ai sensi dell’art. 413 c.p.c. deve ritenersi corretta l’individuazione del foro alternativo territoriale della dipendenza, a cui era addetto il lavoratore o presso cui prestava la sua opera alla fine del rapporto, nei locali dell’ufficio postale dove aveva inizio l’attività lavorativa del dipendente e presso cui prevaleva la corrispondenza da distribuire e riceveva le istruzioni sul lavoro e la retribuzione. (Cass. 16/9/2014 n. 19495, Pres. Roselli Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2015, 88)
  5. Il cosiddetto criterio della sede aziendale è da intendersi, per le imprese gestite in forma societaria, in riferimento al luogo in cui si accentrano di fatto i poteri di direzione ed amministrazione dell’azienda medesima (di norma, ma non necessariamente, coincidente con la sede sociale) indipendentemente da quello in cui si trovano i beni aziendali e si svolge l’attività imprenditoriale. (Trib. Milano 4/4/2014, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2014, 823)
  6. In tema di competenza territoriale, nelle controversie di lavoro, il foro speciale costituito dal luogo in cui si trova l’azienda ex art. 413, secondo comma, c.p.c., va determinato, per le imprese gestite in forma societaria, con riferimento al luogo in cui si accentrano di fatto i poteri di direzione e amministrazione dell’azienda medesima (di norma coincidente con la sede sociale), indipendentemente da quello in cui si trovano i beni aziendali e nel quale si svolge l’attività imprenditoriale. (Cass. 26/11/2013 n. 26379, Pres. La Terza Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2014, 178)
  7. Qualora vengano proposte contro più convenuti più cause non solo connesse tra loro, bensì addirittura inscindibili, anche se ex art. 413 c.p.c., secondo comma, c.p.c., rientrerebbero nella competenza per territorio di diversi giudici del lavoro, possono essere comunque trattare tutte congiuntamente davanti a un unico giudice del lavoro, che sia territorialmente competente relativamente a una o alcune di esse. (Cass. 6/11/2013 n. 26379, Pres. La Terza Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2014, 178)
  8. Quando il convenuto eccepisca l’incompetenza per territorio e l’attore aderisca all’eccezione, il giudice non è vincolato dall’indicazione del giudice ritenuto competente dalle parti (e quindi non può, ex art. 38, terzo comma, c.p.c., cancellare la causa dal ruolo), ma deve delibare l’eccezione e, se ritiene la sua incompetenza territoriale, deve pronunciare sentenza statuendo anche sulle spese processuali. (Trib. L’Aquila 21/10/2013, Giud. Tracanna, in Lav. nella giur. 2014, 187)
  9. Il concetto di dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore deve essere interpretato in senso estensivo, come articolazione dell’organizzazione aziendale (dipendenza) nella quale il dipendente lavora (addetto), che può anche coincidere con la sua abitazione, se dotata di strumenti di supporto dell’attività lavorativa; tuttavia, tale interpretazione estensiva non può spingersi sino a identificare la dipendenza con un luogo in ragione del fatto che al lavoratore siano stati assegnati un’autovettura aziendale, un cellulare e un fax. Infatti l’autovettura e il cellulare aziendale prescindono da un collegamento con un dato luogo, mentre il fax, da solo, costituisce una dotazione troppo esigua per radicare la competenza nel luogo di installazione dello stesso. (Cass. 20/7/2012 n. 13594, Pres. La Terza Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2012, 1107)
  10. Ai fini della competenza territoriale nelle controversie di lavoro, la nozione di dipendenza aziendale di cui all’art. 413 c.p.c. (non coincidente con quella di unità produttiva quale si desume da altre norme di legge) deve intendersi in senso lato, in armonia con la “mens legis”, mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro (avente carattere strumentale) del luogo della prestazione lavorativa, alla condizione però che l’imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa. Pertanto, costituisce dipendenza aziendale anche l’abitazione del dipendente che si configuri come una elementare terminazione dell’impresa costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa. (Trib. Salerno 21/7/2011, ord., Giud. Viva, in Lav. nella giur. 2011, 1059)
  11. Il concetto di dipendenza aziendale non coincide con quello di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis, mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro nel luogo della prestazione lavorativa. Condizione essenziale, però, è che l’imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, di modo che costituisce dipendenza aziendale ogni complesso decentrato di beni dell’azienda, per quanto di esigue dimensioni, che sia munito di propria individualità tecnico-economica e destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali, non rilevando in contrario che a quel nucleo sia addetto un solo lavoratore né che i relativi locali o attrezzature, utilizzati dall’imprenditore, siano di un terzo anziché dell’imprenditore stesso (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha accolto il ricorso di un’informatrice scientifica di prodotti medicinali contro la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio. A detta della Corte, infatti, le risultanze processuali avevano evidenziato che il datore aveva fornito e collocato in un locale messo a disposizione della dipendente armadi e frigoriferi per la conservazione dei campioni di medicinai da sottoporre ai medici; il che dava corpo a quella minima organizzazione che integrava gli estremi della dipendenza aziendale). (Cass. 16/11/2010 n. 23110, Pres. Battimiello Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 209)
  12. Nelle controversie relative a rapporti di lavoro non ancora instaurati nelle quali si faccia valere il diritto all’assunzione, ai fini della determinazione della competenza territoriale non può applicarsi alcuno dei fori individuati dall’art. 413, comma 2, c.p.c., dovendosi, invece, fare riferimento al foro generale del convenuto di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. richiamati dall’art. 413 comma 7, c.p.c., né può trovare applicazione l’art. 413, comma 3, c.p.c., in quanto lo stesso presuppone che la competenza possa essere determinata in ragione del foro dell’azienda o della dipendenza. (Trib. Milano 17/7/2009, Pres. Sala Est. Pattumelli, in Riv. it. dir. lav. 2010, con commento di Martino Zulberti, “Competenza territoriale e controversie relative a rapporti di lavoro non instaurati”, 420)
  13. In tema di competenza territoriale, nel rito del lavoro il riferimento al foro della dipendenza aziendale attiene a una nozione che non coincide con quella di unità produttiva, ma si identifica col luogo in cui l’imprenditore disponga di un nucleo anche modesto di beni organizzati. (Trib. Firenze 27/5/2009, Est. Bazzoffi, in D&L 2009, 715)
  14. Ai della determinazione della competenza territoriale nelle controversie di lavoro, non può trovare applicazione l’art. 20 c.p.c., che indica quale foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione “il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”, dovendo detta competenza essere accertata, anzitutto, in base ai criteri specificatamente dettati dall’art. 413 c.p.c. e, ove questi non trovino applicazione, in forza del solo art. 18 c.p.c. sul foro generale delle persone fisiche, siccome reso applicabile in via residuale dal comma settimo dello stesso art. 413. (Cass. 9/2/2009 n. 3117, Pres. Ravagnani Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2009, 623)
  15. I criteri per la determinazione della competenza territoriale nelle controversie individuali di lavoro sono fissati dall’art. 413, comma 2, il quale prevede solo due fori speciali, esclusivi e alternativamente concorrenti: il foro in cui è sorto il rapporto di lavoro e il foro nel quale in concreto il lavoratore presta (o prestava al tempo della cessazione del rapporto) la propria attività. E’ da escludere la sussistenza di un terzo foro competente, cioè quello dell’azienda, in quanto questo sarebbe in contrasto con i principi generali dell’ordinamento in materia processuale e con i principi di economicità e favor laboratoris che caratterizzano il processo del lavoro. (Trib. Torino 28/11/2008, D.ssa Lanza, in Lav. nella giur. 2009, 305)
  16. Nelle controversie del lavoratore subordinato, nelle quali ai sensi dell’art. 413 comma quarto c.p.c. la competenza territoriale si determina in modo esclusivo in relazione al foro del domicilio del lavoratore, il domicilio stesso deve intendersi fissato nel luogo in cui il lavoratore ha il centro dei propri affari e interessi, intendendosi per interessi non solo quelli economici e materiali, ma anche quelli affettivi, spirituali e sociali atteso che la nozione di domicilio è unitaria e impone che vengano considerati, assieme agli affari e agli interessi economici dell’individuo, anche gli interessi affettivi, personali e sociali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che il domicilio del lavoratore parasubordinato si trovasse in Padova, sede, oltre che della residenza anagrafica, della generalità dei rapporti pubblici e privati del lavoratore come desumibili dall’iscrizione al servizio sanitario, dal certificato elettorale, dal passaporto, dalla patente di guida, nonché dall’assicurazione Rca, restando irrilevante che egli avesse una sede operativa anche negli Usa, a San Francisco). (Cass. 9/6/2008 n. 15264, Pres. Mercurio Est. Di Nubila, in Dir. e prat. lav. 2009, 121, e in Lav. nella giur. 2008, 1162)
  17. Nelle controversie relative a rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A., la competenza per territorio va determinata, secondo quanto previsto dall’art. 413 c.p.c., in relazione al luogo in cui si trovava l’azienda o la sua dipendenza ove il dipendente prestava servizio al momento della fine dell’incarico, intendendosi per tale la sede di effettivo servizio e non la sede in cui è effettuata la gestione amministrativa del rapporto secondo le regole interne delle singole amministrazioni. (Nella specie si trattava del rapporto di lavoro di un insegnante che era gestito dal centro servizi amministrativi di città diversa da quella in cui il dipendente aveva prestato servizio; la S.C. in sede di regolamento di competenza ha affermato il principio su esteso). (Cass. 15/10/2007 n. 21562, Pres. Ravagnani, Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2008, 304, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1601)
  18. Nell’ipotesi in cui un procedimento d’urgenza venga depositato successivamente al deposito, d’iniziativa dell’altra parte, del ricorso ex art. 414 c.p.c. dinanzi ad altro Ufficio, sussiste litispendenza tra il secondo procedimento e quello precedente, con conseguente incompetenza per territorio del giudice successivamente adito. (Trib. Roma 7/7/2007, ord., Giud. Coluccio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Alessandro Gallo, 413)
  19. Nelle controversie aventi a oggetto la domanda di lavoratori volta a ottenere il riconoscimento del computo nel loro trattamento di fine rapporto anche delle quote di detto trattamento in relazione ai periodi in cui è stata riconosciuta la cassa integrazione con le consequenziali integrazioni salariali, il giudice territorialmente competente va individuato, non essendosi in presenza di prestazioni previdenziali e assistenziali, ai sensi dell’art. 413 c.p.c. e non invece ai sensi dell’art. 444, primo comma, c.p.c. che, per dette prestazioni, prevede invece la competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha residenza l’attore. (Cass. 25/5/2007 n. 12226, Pres. Sciarelli est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 1243)
  20. Il giudice del lavoro territorialmente competente a conoscere delle opposizioni a cartella esattoriale per crediti previdenziali – ai sensi dell’art. 444, terzo comma, c.p.c. -, attinenti a questioni di rito e di merito, è il giudice del lavoro del luogo ove ha sede l’ufficio dell’ente preposto a esaminare la posizione assicurativa dei lavoratori, non potendo affermarsi la competenza di giudici diversi, ove l’opposizione sia proposta per motivi non di merito, sulla scorta del tenore letterale dell’art. 24, comma 6, del D.Lgs. n. 46 del 1999, sia per l’insussistenza di alcuna disposizione normativa che preveda una procedura di opposizione a cartella esattoriale, per ragioni non di merito, avanti a diverso giudice, sia in considerazione dell’unitarietà del giudizio di opposizione, quale emerge dalla previsione della chiamata in causa dell’ente impositore da parte del concessionario nei casi di opposizione proposta per ragioni anche di merito (art. 39, D.Lgs. n. 112 del 1999). (La SC, regolando la competenza in controversia in cui il ricorrente aveva dedotto un vizio di notifica della cartella esattoriale, ha affermato, in applicazione del principio di cui in massima, la competenza per territorio del tribunale di Matera, sul presupposto che la cartella di pagamento opposta era stata emessa dall’ufficio INPS della città lucana e che a nulla rilevava che l’opposizione concernesse questioni non di merito). (Cass. 14/12/2006 n. 26745, Pres. Sciarelli Est. Stile, in Lav. nella giur. 2007, 625, e in Dir. e prat. lav. 2007, 1937)
  21. Ai sensi dell’art. 444, terzo comma, c.p.c., al quale rinvia l’art. 24, sesto comma, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, giudice del lavoro territorialmente competente a conoscere delle opposizioni a cartella esattoriale per crediti previdenziali è il giudice del luogo ove ha sede l’ufficio dell’ente preposto ad esaminare la posizione assicurativa e previdenziale dei lavoratori. (Cass. 19/8/2005 n. 17038, Pres. Mattone Rel. De Renzis, in Dir. e prat. lav. 2006, 472)
  22. La competenza territoriale a decidere l’opposizione all’esecuzione, nelle materie indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c., proposta prima dell’inizio della medesima (art. 615, comma 1, cp,c.), è determinabile in base alle regole dettate dall’art. 413, comma 2, c.p.c., perché l’art. 618-bis, comma 1, c.p.c., rinvia alle norme previste per le controversie individuali di lavoro, e non prevede una “riserva di competenza” a favore del giudice dell’esecuzione, come invece dispone il secondo comma dello stesso art. 618-bis per l’opposizione all’esecuzione già iniziata e per l’opposizione agli atti esecutivi. (Cass. 18/1/2005, ord., n. 841, Pres. Carbone Rel. Foglia, in Dir. e prat. lav. 2005, 1520)
  23. Per ufficio dell’ente, il quale, ai sensi dell’art. 444 terzo comma, c.p.c. (la cui questione di legittimità costituzionale è stata dichiarata infondata con sentenza Corte Cost. n. 477 del 1991), rileva ai fini della determinazione della competenza territoriale nelle controversie concernenti gli obblighi contributivi del datore di lavoro, deve intendersi quello (da individuare in correlazione alla sede dell’impresa o ad una sua dipendenza) che, in quanto investito del potere di gestione esterna, sia in generale legittimato, per legge o per statuto, a ricevere i contributi ed a pretenderne il pagamento o a restituirne l’eccedenza, rimanendo ininfluentI eventuali provvedimenti derogatori con cui si attribuiscano tutti o parte dei rapporti assicurativi e previdenziali ad uffici aventi competenza territoriale su ambiti non ricomprendenti la sede dell’impresa ed essendo altresì priva di rilievo la previsione di centri operativi non dotati, in concreto, del potere di gestione esterna dei rapporti contributivi con i soggetti aventi sede nella corrispondente circoscrizione territoriale. (Cass. 23/12/2004, ord., n. 23893, Pres. Mercurio Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2005, 1360)
  24. La controversia inerente agli obblighi contributivi facenti capo ad un lavoratore autonomo (nella specie, lavoratore autonomo agricolo) rientra nella competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione risiede l’attore, ai sensi dell’art. 444, primo comma, c.p.c. (come modificato dall’art. 86 del D.Lgs. 19 febbraio 1998 n. 51), atteso che il disposto del terzo comma della stessa norma (come modificato dall’art. 86 cit.), il quale, per le controversie relative agli obblighi “dei datori di lavoro”, prevede la competenza territoriale del tribunale della sede dell’ufficio dell’ente creditore, non è suscettibile di applicazione estensiva o analogica all’infuori dei casi espressamente contemplati, introducendo un’eccezione al principio generale di cui al primo comma. (Cass. 9/11/2004 n. 21317, Pres. Mattone Est. Stile, in Dir. e prat. lav. 2005, 1064)
  25. Ai sensi dell’art. 413 c.p.c., sussiste la competenza territoriale del giudice del luogo ove ha avuto inizio l’esecuzione della prestazione lavorativa qualora il contratto di lavoro non sia stato stipulato per iscritto e non sia possibile identificare con esattezza il luogo in cui il rapporto è sorto. (Nel caso di specie, la S.C ., in sede di regolamento di competenza, ha ritenuto che il giudice di merito adito, facendo corretta applicazione del principio sopra indicato, avesse ritenuto la propria competenza territoriale quale foro del luogo in cui aveva avuto inizio la prestazione, a fronte della prospettazione della domanda attorea, che fondava il rapporto su una richiesta scritta di collaborazione, non seguita da accettazione scritta, e sul fatto che la resistente non avesse provato l’esistenza di una controproposta scritta firmata per accettazione). (Cass. 23/3/2004 n. 5837, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2004, 903)
  26. Ai fini della determinazione della competenza per territorio, il reato di omesso versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi e delle relative ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti di cui all’art. 2 legge 11 novembre 1983 n. 638 si consuma nel luogo in cui ha sede l’ufficio Inps che ha competenza sul territorio ove si trova la sede effettiva dell’impresa ed al quale si omesso di versare i contributi previdenziali ed assicurativi di cui alle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori. (Cass. 30/1/2004 n. 3883, Pres. Teresi Est. Canzio, in Dir. e prat. lav. 2004, 967)
  27. Per le controversie di lavoro relative al pubblico impiego è competente il giudice del luogo in cui il dipendente è stabilmente ed organicamente assegnato, non potendo, invece, influire sull’individuazione del foro competente gli eventuali spostamenti temporanei e contingenti, come appunto il distacco o l’applicazione temporanea, presso uffici diversi da quello di ordinaria assegnazione. (Trib. Roma 11/12/2003, Pres. Cortesani Rel. Perra, in Lav. nella giur. 2004. 407)
  28. In tema di competenza territoriale in ordine alle controversie soggette al nuovo rito del lavoro, il secondo comma dell’art. 143 (nuovo testo) c.p.c. – di cui è manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalità in riferimento agli artt. 3, 24 e 35 Cost., per il fatto che consente anche al datore di lavoro di instaurare la controversia con il lavoratore nel Foro della conclusione del contratto o nel Foro dell’azienda ancorchè il lavoratore presti servizio in un luogo diverso (vedi Corte Cost. ord. Nn. 341/1993 e 177/1994) – prevede, contemperando il contrapposto interesse delle parti, tre Fori speciali (quello in cui è sorto il rapporto, quello dell’azienda e quello della dipendenza in cui il lavoratore è addetto o prestava la sua opera al momento della fine del rapporto) di carattere alternativo senza attribuire valore determinante esclusivo al luogo di prestazione dell’attività lavorativa. (Cass. 23/8/2003, ord. n. 12418, Pres. Mileo, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2004, 183)
  29. La dipendenza dell’azienda, rilevante ai sensi dell’art. 413, 2° e 3° comma, c.p.c., per la determinazione della competenza territoriale è costituita da ogni complesso di beni decentrati munito di propria individualità tecnico-economica, che risulti direttamente e strutturalmente collegato con l’azienda medesima in quanto destinato al perseguimento degli scopi imprenditoriali, a nulla rilevando che si tratti di beni di modesta entità. Ai fini dell’individuazione del forum contractus, in mancanza di elementi idonei ad identificare un autonomo atto negoziale come fonte del rapporto, deve farsi riferimento al luogo in cui ha avuto inizio la prestazione lavorativa. (Trib. Milano 1/4/2003, ord., Est. Marasco, in D&L 2003, con nota di Andrea Bordone, “Sull’identificazione del forum contractus con il luogo di inizio delle prestazioni lavorative”)
  30. Nel caso di fusione (anche per incorporazione) fra società (a seguito della quale si verifica una situazione del tutto analoga a quella della successione universale), qualora l’attività imprenditoriale continui a svolgersi nel medesimo luogo in cui veniva esercita precedentemente, si determina soltanto una modificazione soggettiva nella titolarità dei beni aziendali, senza alcuna cessazione o trasferimento dell’azienda o della dipendenza di questa, onde ai fini della competenza in controversia di lavoro non opera lo speciale criterio di collegamento di cui al comma terzo dell’art. 413 c.p.c., ma deve farsi riferimento al criterio di cui al secondo comma del medesimo articolo, a nulla rilevando che la sede della società incorporante non si trovi in uno dei luoghi ivi indicati. (Cass. 14/12/2002, n. 17974, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 481)
  31. In tema di competenza territoriale per le controversie relative a dipendenti pubblici, il quinto comma dell’art. 413 c.p.c. (introdotto dall’art. 40, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80), nel prevedere la competenza territoriale del giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto, deve essere inteso nesenso che la individuazione del foro speciale per le controversie dei dipendenti pubblici ha carattere esclusivo e non concorrente. (Cass. 6/8/2002, n. 11831, ordinanza, Pres. Dell’Anno, Rel. Dell’Anno, in Lav. nella giur. 2003, 81)
  32. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 28 e 413 c.p.c. non è derogabile per accordo delle parti la competenza territoriale in relazione ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. per i quali è territorialmente competente il Giudice della circoscrizione ove si trova il domicilio del collaboratore. (Trib. Forlì 18/6/2002, ord, Pres. Belotti Est. Giuliano, in D&L 2002, 657)
  33. Nelle controversie individuali di lavoro, i fori speciali esclusivi, alternativamente concorrenti tra loro, sono quello ove è sorto il rapporto, quello ove si trova l’azienda e quello della dipendenza ove il lavoratore è addetto, senza che gli ultimi due possano intendersi compendiati unitariamente in quello di svolgimento della prestazione (Cass. 1/3/01, n. 2971, pres. Trezza, est. Amoroso, in Foro it. 2001, pag. 1547. In senso conforme, v. Cass. 5/6/00, n. 7489, pres. Grieco, est. Amoroso, in Foro it. 2001, pag. 1548)
  34. Costituisce dipendenza aziendale, come tale idonea ad individuare la competenza territoriale del giudice del lavoro, il deposito di automezzi del datore di lavoro (nella specie, società di trasporto rifiuti) dove i dipendenti prendono servizio registrando la loro presenza con l’orologio marcatempo, da dove partono per lo svolgimento della loro attività di raccolta rifiuti e dove infine rientrano per ricoverare gli automezzi (Cass. 1/3/01, n. 2971, pres. Trezza, est. Amoroso, in Foro it. 2001, pag. 1547, con nota di Farnararo)
  35. Per le controversie relative a rapporti di lavoro subordinato, il secondo comma dell’art. 413 c.p.c. prevede soltanto due fori alternativi tra loro: il foro del luogo dove è sorto il rapporto, ed il foro del luogo (azienda o dipendenza), dove il lavoratore effettivamente presti, o abbia prestato, la sua opera. L’esclusione del foro dell’azienda, qualora il lavoratore sia (o sia stato) addetto ad una dipendenza, è confermata dal terzo comma dell’art. 423 c.p.c.: in questo caso non avrebbe infatti alcuna giustificazione la permanenza del foro dell’azienda, per sei mesi dopo il trasferimento, o la cessazione, della stessa, con riferimento ad un foro ormai privo di qualsiasi collegamento con il rapporto di lavoro (Trib Milano 11/11/00, est. Di Ruocco, in Lavoro giur. 2001, pag. 866, con nota di De Carlo, Art. 413 c.p.c. e alternatività dei fori: una storia infinita)
  36. Nelle controversie individuali di lavoro, il foro della dipendenza può identificarsi nel luogo ove si trova l’abitazione del lavoratore, qualora presso la stessa sia rinvenibile quel minimo di beni aziendali necessari alla prestazione lavorativa (nella specie, la S.C. ha ritenuto coincidere la dipendenza aziendale con l’abitazione del ricorrente – piazzista – presso la quale si trovavano l’autovettura, la modulistica ed il computer aziendali, ed ha osservato in motivazione che tale coincidenza potrebbe sussistere anche in situazione di c.d. telelavoro) (Cass. 5/6/00, n. 7489, pres. Grieco, est. Amoroso, in Foro it. 2001, pag. 1548, con nota di Farnararo)
  37. In caso di controversie relative all’assegnazione del dirigente ad una sede di lavoro diversa da quella presso la quale presta servizio, ai sensi dell’art. 413, c. 5 c.p.c., territorialmente competente a decidere è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto al momento dell’assegnazione e non il giudice competente in relazione alla sede di destinazione (Trib. Brindisi, 26/5/00, ord., pres. Sinisi, est. Brocca, in Lavoro nelle p.a. 2001, 240, con nota di Di Rollo, Sull’assegnazione della sede ai dirigenti di prima nomina: problemi di competenza territoriale del giudice e diritti sindacali)
  38. Ai fini dell’individuazione del giudice del lavoro competente per territorio, costituisce dipendenza dell’azienda anche un modesto nucleo di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, al quale può essere addetto anche un solo dipendente dell’imprenditore (nella specie, la S.C. ha ravvisato la dipendenza aziendale nell’abitazione del capoarea, titolare del potere di concludere contratti, nella quale erano ubicate apparecchiature telematiche necessarie per mantenere i contatti aziendali e i cui costi erano sostenuti dal datore di lavoro, nonché tutta la documentazione relativa alle vendite ed alle pratiche amministrative dell’area) (Cass. 1/4/00, n. 3974, pres. Amirante, est. De Matteis, in Foro it. 2001, pag. 1549, con nota di Farnararo)
  39. La questione relativa alla ripartizione delle cause tra Pretura circondariale e relativa sezione distaccata non involge un problema di competenza territoriale, ma unicamente di distribuzione interna a un unico ufficio giudiziario (Trib. Milano 12 novembre 1999, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 2000, 226)
  40. Non costituisce questione di competenza l’eccezione con cui venga indicata territorialmente competente la sezione distaccata della pretura adita (Trib. Milano 17/4/98, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 1998, 640, n. QUADRIO, Rsu tra collegialità e antagonismo)
  41. Qualora, in relazione ad un rapporto di lavoro eseguito secondo le modalità del telelavoro domiciliare, il domicilio del lavoratore e la sede dell’azienda appartengano a fori diversi, la competenza territoriale del giudice chiamato a conoscere delle controversie relative a tale rapporto si determina con riferimento alla sede dell’impresa e non al domicilio del lavoratore (Cass. 14/10/99 n. 11586, pres. Sciarelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 597)
  42. Il lavoratore che abbia proposto ricorso d’urgenza avanti a uno dei tre fori alternativamente previsti dall’art. 669 ter c.p.c., attraverso il richiamo al giudice competente a conoscere del merito, in occasione della successiva proposizione del giudizio di merito è necessariamente condizionato, nell’individuazione del giudice, alla scelta effettuata nella fase d’urgenza (Trib. Milano 7 ottobre 1999, est. Vitali, in D&L 2000, 257)

 

 

Regolamento di competenza

  1. In tema di sospensione del processo, il giudice deve valutare la compatibilità del regolamento di competenza, secondo lo schema dell’art. 295 c.p.c., con la specifica fattispecie di sospensione su cui tale istituto viene a incidere, tenendo conto sia della natura eccezionale dell’impugnazione di provvedimenti meramente ordinatori, sia della necessità di evitare ingiustificate stasi procedimentali che contraddicano i principi del giusto processo. Ne deriva l’inammissibilità del regolamento di competenza avente a oggetto l’ordinanza di ammissione della proposizione dell’incidente di falso ai sensi dell’art. 355 c.p.c., di cui la sospensione costituisce un effetto legale, poiché trattasi di decisione interlocutoria, priva del carattere della decisività, e poiché non si è in presenza, come invece richiede l’art. 295 c.p.c., di due cause, contemporaneamente pendenti, collegate da un nesso di pregiudizialità o di dipendenza giuridica in senso proprio. (Cass. 22/11/2011 n. 24621, Pres. Stile Rel. Meliadò, in Lav. nella giur. 2012, 303)
  2. Il n. 2 dell’art. 360 c.p.c., nel prevedere che le sentenze pronunciate in appello, o in unico grado, possono essere impugnate con ricorso per Cassazione, “per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza”, intende riaffermare la specificità del regolamento ma non distinguerlo dal ricorso ordinario per quanto riguarda il regime processuale del mezzo di impugnazione. Pertanto anche il ricorso per regolamento di competenza deve possedere i requisiti di contenuto previsti dagli artt. 366 e 366 bis c.p.c., e in particolare deve contenere la formulazione del quesito di diritto. (Cass. 6/12/2007 n. 25408, Pres. Ravagnani Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2008, 417, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1692)
  3. Ai sensi dell’art. 38 c.p.c., sost. dall’art. 4 legge 26 novembre 1990, n. 353, l’incompetenza per materia, al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 del codice di rito, è rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione, la quale, nel rito ordinario, si identifica con l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., e, nel processo del lavoro, corrisponde alla (prima) udienza di discussione fissata con il decreto giudiziale disciplinato dall’art. 415 c.p.c.; pertanto alla stregua del nuovo assetto attribuito dal riformato art. 38 c.p.c. al rilievo dell’incompetenza, anche la disposizione del primo comma dell’art. 428 c.p.c. (secondo la quale nei processi davanti al giudice del lavoro l’incompetenza territoriale può essere rilevata d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c.) va intesa nel significato che detta incompetenza può essere rilevata non oltre il termine dell’udienza fissata con il predetto decreto contemplato dal citato art. 415, con la conseguente inammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio che dovesse essere sollevato superandosi tale preclusione. (Cass. 19/1/2007 n. 1167, Pres. Mercurio Est. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2007, 2454)
  4. E’ inammissibile il regolamento necessario di competenza proposto avverso l’ordinanza che dichiara la sospensione del processo del lavoro per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto detto regolamento è esperibile solamente in caso di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. (Cass. 1/6/2001 n. 7435, Pres. Prestipino Est. Mammone, in Foro it. 2003, parte prima, 3136)

 

 

Tentativo obbligatorio di conciliazione

 

 

Questioni di legittimità costituzionale

  1. E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 410 bis, comma secondo, del codice di procedura civile, sollevata, con riferimento, all’art. 111, comma secondo, della Costituzione, dal Giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso, con ordinanza del 27 aprile 2006. (Corte Cost. 26/10/2007 n. 355, Pres. Bile Rel. Napolitano, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Guerino Guarnieri, 265)
  2. E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 410 bis c.p.c. sollevata in riferimento all’art. 111 Cost., nella parte in cui consente di ritenere espletato il tentativo obbligatorio di conciliazione anche nel caso di omessa partecipazione della parte promotrice convocata dalla Direzione Provinciale del Lavoro dopo il decorso dei 60 giorni dall’invio della relativa richiesta, poichè le condizioni all’esercizio del diritto di azione poste dal legislatore ordinario sono legittime solamente se il ritardo che da queste derivi all’interessato sia limitato. (Cost. 6/12/2006 n. 436, ord., Pres. Bile Rel. Vaccarella, in D&L 2007, con nota di Carmen Schettini, “Tentativo di conciliazione: legittimo non presentarsi alla convocazione tardiva”, 363)
  3. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 410, 410 bis e 412 bis c.p.c., come modificati, aggiunti o sostituiti dagli artt. 36, 37, 39 d.leg. 31/3/98 n. 80, e dall’art. 19 d.leg. 29/10/98 n. 387, per essere, la previsione dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., rispettosa della delega di cui all’ art. 11, 4° comma, lett. g), L. 15/3/97 n. 59, in riferimento all’art. 76 Cost.; parimenti, è infondata la medesima questione, sollevata in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. limita il diritto d’azione e ne ritarda l’esercizio facendo sorgere questioni processuali inutili e contrarie alla finalità deflativa perseguita dal legislatore, in riferimento all’art. 24 Cost. (Corte Cost. 13/7/00, n. 276, pres. Mirabelli, in Foro it. 2000, I, pag. 2752, con nota di De Angelis; in D&L 2000, 884, n. Paganuzzi;in Orient. giur. lav. 2000, pag. 864)
  4. E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 410, 410 bis e 412 bis c.p.c., come modificati, aggiunti o sostituiti dagli artt. 36, 37, 39 d.leg. 31/3/98 n. 80, e dall’art. 19 d.leg. 29/10/98 n. 387, per non avere il giudice rimettente verificato la possibilità di interpretare l’art. 410 considerando in esso implicita la previsione che la richiesta del tentativo di conciliazione relativo alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. debba indicare i termini della controversia in modo non dissimile da quanto previsto nell’art. 69 bis d.leg. 3/2/93 n. 29, nel testo inserito dall’art.32 d.leg. 80/98, e modificato dall’art. 19 d.leg. 387/98, in riferimento all art. 3 Cost. (Corte Cost. 13/7/00, n. 276, pres. Mirabelli, in Foro it. 2000, I, pag. 2754, con nota di De Angelis; in D&L 2000, 884, n. Paganuzzi)
  5. E’ infondata, per erroneità dell’assunto presupposto interpretativo per il quale il procedimento monitorio non sarebbe inserito nell’elenco dei procedimenti sottratti al tentativo obbligatorio di conciliazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 412 bis, ultimo comma, c.p.c., introdotto dall’art. 39 d.leg. 80/98, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (Corte Cost. 13/7/00, n. 276, pres. Mirabelli, in Foro it. 2000, I, pag. 2753, con nota di De Angelis; in D&L 2000, 884, n. Paganuzzi)
  6. E’ manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 410, 410 bis e 412 bis c.p.c., come modificati, aggiunti o sostituiti dagli artt. 36, 37, 39 d.leg. 31/3/98 n. 80, e dall’art. 19 d.leg. 29/10/98 n. 387, per essere inapplicabile al tentativo di conciliazione l’istituto del patrocinio legale a spesse dello Stato, non avendo il lavoratore giustificato nel giudizio a quo l’omesso espletamento del tentativo con l’argomento di non avere potuto beneficiare del patrocinio gratuito, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (Corte Cost. 13/7/00, n. 276, pres. Mirabelli, in Foro it. 2000, I, pag. 2754, con nota di De Angelis; in D&L 2000, 884, n. Paganuzzi)
  7. Non è manifestamente infondata l’eccezione d’illegittimità costituzionale degli artt. 36, 37 e 39 D. Lgs. 31/3/98 n. 80 che hanno modificato rispettivamente gli artt. 410, 410 bis e 412 bis c.p.c. sotto il profilo: a) della violazione dell’art. 76 Cost., non avendo la legge delega (art. 11, 4° comma, L. 15/3/97 n. 59) previsto alcuna forma di tentativo obbligatorio di conciliazione; b) della violazione dell’art. 24 Cost. perché dette norme incidono sul diritto sostanziale d’azione; c) dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento con l’analoga procedura prevista per il pubblico impiego (Trib. Parma 23/7/99 (ord.), est. Ferraù, in D&L 1999, 800)
  8. E’ manifestamente infondata la questione di incostituzionalità degli artt. da 410 a 412 bis c.p.c., nella parte in cui stabiliscono l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, prescrivendo, in mancanza, l’improcedibilità della domanda, poiché non sono eccessivi i sacrifici al diritto alla tutela giurisdizionale e alla libertà di non voler percorrere la via della conciliazione (Trib. Milano 20/7/99 (ord.), est. Ianniello, in D&L 1999, 948)
  9. Non è manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 36, 37 e 39 del D. Lgs. 31/3/98 n. 80, che impongono il tentativo obbligatorio di conciliazione, quale condizione di procedibilità del ricorso per decreto ingiuntivo fondato su credito di lavoro, per contrasto con l’art. 76 Cost., che impone a ogni legge delega la predeterminazione di principi e criteri direttivi univoci, mentre, nel caso di specie, l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione non era prevista dall’art. 11, 4° comma, della legge di delega (L. 15/3/97 n. 58) (Pret. Lecce 25/11/98 (ord.), est. Cavuoto, in D&L 1999, 275)

 

 

In genere

  1. È consentito al lavoratore richiedere il tentativo di conciliazione o arbitrato a norma degli artt. 410 ss. c.p.c. con valenza impeditiva della decadenza a norma dell’art. 6 della l. n. 604/1966. (Trib. Napoli 23/5/2017, Est. Armato, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di F. Aiello, “Decadenza: ‘cambio appalto’ e tentativo di conciliazione”, 74)
  2. Per la validità della richiesta del tentativo di conciliazione non è indispensabile l’esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità, e comunque ogni invalidità deve essere esclusa qualora, come nella fattispecie, l’indicazione erronea del datore sia stata di fatto priva di conseguenze pratiche, una volta che l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo, in quanto il datore effettivo è stato poi convocato ritualmente dalla Direzione Provinciale del Lavoro (che ha corretto l’errore del lavoratore) e ha anche partecipato concretamente al tentativo, senza sollevare eccezioni sul punto. (Cass. 23/1/2015 n. 1244, Pres. Macioce Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2015, 409)
  3. # Le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo. Pertanto, ai fini dell’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, il quale ai sensi dell’abrogato art. 412 bis, co. 1, c.p.c., costituiva condizione di procedibilità della domanda, era sufficiente, secondo quanto disponeva l’art. 410 bis, co. 1, c.p.c., la presentazione della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall’avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte. (Cass. 1/7/2013 n. 16452, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Antonio Maria Marzocco, “Sugli effetti dell’istanza ex art. 410 c.p.c. nel sistema dell’obbligatorietà e in quello della facoltatività del tentativo di conciliazione”, 123))
  4. È da escludere la validità del verbale di conciliazione se non risulta sottoscritto in sede sindacale e se non firmato dal rappresentante sindacale alla presenza e in contestualità con il lavoratore. (Cass. 10/2/2011 n. 3237, Pres. Foglia Est. Napoletano, in Orient. Giur. Lav. 2011, 246)
  5. Ai fini del tentativo di conciliazione è sufficiente che il lavoratore abbia esposto la sua domanda in senso sostanziale, ma non ne discende alcuna preclusione quanto alla possibilità di prospettare nuove causae petendi, oppure nuovi profili. (Cass. 15/7/2010 n. 16579, Pres. Sciarelli Est. Monaci, in Orient. Giur. Lav. 2011, 182)
  6. Qualora il contenuto di un verbale di conciliazione giudiziale sia controverso, esso va interpretato sulla base della volontà espressa dalle parti. In particolare, le regole ermeneutiche da seguire sono quelle indicate dagli artt. 1362 ss. c.c. In particolare nell’interpretare il verbale di conciliazione si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e si deve effettuare un’interpretazione complessiva delle clausole, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. (Trib. Taranto 27/1/2009, dott. Magazzino, in Lav. nella giur. 2009, 415)
  7. Il fatto estintivo costituito dall’esistenza di una conciliazione tra le parti integra una eccezione in senso lato, ma la relativa circostanza, per essere presa in esame dal giudice, deve essere tempestivamente dedotta dalla parte nel rispetto dei tempi processuali fissati dalla legge e, quindi, nella prima difesa utile rispetto al momento in cui la conciliazione è venuta ad esistenza. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito relativa a controversa avente ad oggetto l’inclusione dei compensi riscossi per lavoro straordinario nella base del calcolo delle mensilità aggiuntive). (Cass. 12/2/2008 n. 3322, Pres. Ianniruberto Rel. Ianniruberto, in Dir. & prat. lav. 2008, 2157)
  8. Qualora il ricorso introduttivo debba essere notificato anche a un controinteressato, il giudizio è comunque procedibile anche qualora il precedente tentativo di conciliazione sia stato esperito solo nei confronti del convenuto principale, giacchè il controinteressato non potrebbe comunque disporre, in sede conciliativa, della controversia. (Trib. Napoli 10/1/2007, Est. Simeoli, in D&L 2007, 829)
  9. L’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 410 c.p.c. non deve precedere la domanda che, pur inerente ad uno dei rapporti indicati dall’art. 409 c.p.c., sia proposta non in via principale bensì come riconvenzionale. (Trib. Ivrea 22/12/2004, ord., Giud. Morlini, in Giur. It 2005, 1684)
  10. Nel rito del lavoro l’espletamento del libero interrogatorio delle parti e del tentativo di conciliazione, pur essendo obbligatorio, non è previsto a pena di nullità, restando affidato al potere discrezionale del giudice di merito di valutare, anche in relazione agli assunti delle parti, se tale espletamento si configuri di qualche potenziale utilità, o sotto il profilo del buon esito del tentativo o al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione; ne consegue che l’omissione di uno di tali adempimenti da parte del giudice non incide sulla validità dello svolgimento del rapporto processuale, restando ininfluente – e di conseguenza non denunciabile in sede di legittimità – la mancata considerazione dell’omissione stessa, ove lamentata in sede di appello, da parte del giudice del gravame. (Cass. 18/8/2004 n. 16141, Pres. Mattone Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2005, 180)
  11. Nelle controversie di lavoro, la questione della procedibilità della domanda giudiziaria il relazione al preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione è sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere – dovere del giudice di merito, da esercitarsi, ai sensi del secondo comma dell’art. 443 c.p.c., solo nella prima udienza di discussione, sicchè ove la improcedibilità, ancorchè segnalata, non venga rilevata dal giudice entro detto termine e non sia stato fissato il termine perentorio per la richiesta del tentativo, l’azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost., e la questione stessa non può essere riproposta nei successivi gradi del giudizio. (Cass. 19/7/2004 n. 13394, Pres. Senese Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Gianluigi Girardi, 135)
  12. Ai fini del compimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall’art. 410 c.p.c., è sufficiente l’inoltro della relativa richiesta alla competente commissione di conciliazione. (Cass. 21/1/2004 n. 967, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in D&L 2004, 453)
  13. L’obbligo di proporre il tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità vale solo per il processo celebrato davanti all’autorità giudiziaria, ma non per il procedimento di conciliazione dinanzi al collegio arbitrale. (Trib. Firenze 21/10/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 458)
  14. È invalido ed inidoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 2113 c.c. il verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto in assenza del conciliatore e senza il rispetto dei requisiti e delle procedure stabiliti dal contratto collettivo in forza del quale il conciliatore trae i suoi poteri per il rinvio dell’art. 410 c.p.c. (nel caso di specie che mancavano tra le altre cose la presenza e l’assistenza dell’associazione datoriale, nonché l’assistenza del sindacato d’appartenenza della lavoratrice, così come previsti dal Ccnl commercio). L’associazione non riconosciuta non si estingue fino a quando vi siano rapporti giuridici pendenti di cui la stessa sia titolare. A definire tali rapporti restano in carica, eventualmente in regime di prorogatio, gli organi ordinari. (Trib. Milano 26/9/2002, Est. Frattin, in D&L 2003, 192, con nota di Monica Rota, “Le associazioni non riconosciute: un particolare caso di immortalità giuridica” e nota di Silvia Bochese, “Inerenza al ciclo produttivo del servizio di trasporto ex art. 3 L. 1369/1960”)
  15. L’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione prescritto dall’art. 410 c.p.c. non deve precedere la domanda che, pur inerente a uno dei rapporti indicati nell’art. 409 c.p.c., sia proposta non in via principale bensì come riconvenzionale o mediante chiamata di terzo in causa: in questi casi va perciò respinta l’eccezione di improcedibilità proposta ai sensi dell’art. 412 bis c.p.c. (Trib. Taranto 18/4/2002, ordinanza, Giud. Cavallone, in Giur. italiana 2003, 78)
  16. In ipotesi di chiamata in causa di terzo, lo svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione si pone come condizione di procedibilità solo quando la domanda svolta nei suoi confronti attiene ai rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. e non anche quando tale domanda viene trattata con il rito del lavoro per mere ragioni di connessione (nel caso, in controversia promossa dal lavoratore infortunato per il ristoro del danno biologico e morale, è stata esclusa la necessità del tentativo di conciliazione relativamente alle domande di manleva svolte dal datore di lavoro e dal committente nei confronti delle rispettive assicurazioni chiamate in causa) (Trib. Pordenone 13/2/01, pres. e est. Costa, in Dir. lav. 2001, pag. 271, con nota di Pamio, Limiti alla necessità del tentativo obbligatorio di conciliazione anche nei confronti del terzo)
  17. Il giudizio instaurato dal datore di lavoro per accertare la legittimità della disdetta di una serie di contratti collettivi aziendali, con contestuale condanna dei lavoratori alla restituzione di quanto percepito successivamente alla scadenza del termine di preavviso, deve essere preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione nei confronti delle organizzazioni sindacali interessate che hanno contestato la validità della disdetta medesima; l’omissione del tentativo viola gli artt. 410 e 412 bis c.p.c. e determina l’improcedibilità della domanda (Trib. Potenza 1/2/00, est. Colucci, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 186, con nota di Cattani, Sul tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie collettive di lavoro e sulla legittimazione attiva e passiva delle organizzazioni sindacali)
  18. Il provvedimento di estinzione del processo, emesso dal giudice che opera come giudice unico nel caso in cui il processo non sia stato riassunto nel termine assegnato per l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, avendo carattere definitorio della controversia ha natura sostanziale di sentenza; di conseguenza non è ammissibile l’impugnazione di tale provvedimento mediante reclamo ex art. 178 c.p.c., dovendo lo stesso ritenersi impugnabile con l’atto di appello (Trib. Parma 17 gennaio 2000, pres. Federico, est. Brusati, in D&L 2000, 525, n. Manassero, Ricorso per decreto ingiuntivo e tentativo obbligatorio di conciliazione)
  19. Qualora il mancato esperimento del tentativo di conciliazione sia ascrivibile al rifiuto dei componenti della Commissione di tentare la conciliazione della controversia (nella fattispecie, per asserita incompetenza per materia) e sia decorso il termine di cui all’art. 410 bis c.p.c., il tentativo è da ritenersi espletato e la domanda giudiziale non può ritenersi improcedibile (Trib. Milano 14 dicembre 1999 (ord.), est. Marasco, in D&L 2000, 526, n. Manassero, Ricorso per decreto ingiuntivo e tentativo obbligatorio di conciliazione)
  20. La mancata comunicazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. al datore di lavoro non determina l’improcedibilità della domanda (Trib. Milano 27 ottobre 1999 (ord.), est. Porcelli, in D&L 2000, 254)
  21. La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. può essere effettuata anche personalmente dal difensore che sia munito di procura conferita anche solo verbalmente (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)
  22. La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. non costituisce impugnazione del licenziamento ex art. 6 L. 15/7/66 n. 604, se non sia sottoscritta personalmente dal lavoratore e non sia comunicata anche al datore di lavoro (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)
  23. E’ procedibile la domanda proposta mediante ricorso in riassunzione prima della decorrenza del termine di 60 giorni dalla richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal D.Lgs. 31/3/98 n. 80, nel caso in cui il rispetto di tale termine comporti la decadenza dal termine di 30 giorni per la riassunzione in giudizio previsto dall’art. 669 octies c.p.c., con la conseguente perdita di efficacia del provvedimento cautelare (Pret. Milano 30/4/99, est. Vitali, in D&L 1999, 716)

 

 

Rapporto con ricorso per decreto ingiuntivo

  1. Non costituisce condizione di procedibilità della domanda proposta con ricorso per decreto ingiuntivo, l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. (Trib. Milano 6 maggio 2000, est. Ianniello, in D&L 2000, 805)
  2. Non è applicabile all’ipotesi del diritto azionato con ricorso per decreto ingiuntivo il regime stabilito dagli artt. 410 e ss. c.p.c. che prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione. (Trib. Milano 6/5/00, est. Ianniello, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 875)
  3. Va dichiarato improcedibile ai sensi dell’art. 410 c.p.c. come modificato dall’art. 36 D. Lgs. 31/3/98 n. 80, il ricorso per decreto ingiuntivo non preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione, non essendo il procedimento di ingiunzione ricompreso fra i procedimenti esclusi dall’applicabilità della normativa, ai sensi dell’art. 39 D. Lgs. 31/3/98 n. 80 (Pret. Milano 5/2/99 (decr.), est. Peragallo, in D&L 1999, 365, n. TAGLIAGAMBE, A mali estremi, rimedi d’urgenza. In senso conforme, v. Trib. Parma 17 gennaio 2000, pres. Federico, est. Brusati, in D&L 2000, 525, n. Manassero, Ricorso per decreto ingiuntivo e tentativo obbligatorio di conciliazione)
  4. Il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 412 bis, c.p.c., è incompatibile con la domanda di concessione di decreto ingiuntivo ex art. 634 c.p.c., presupponendo l’instaurazione del contraddittorio; nel procedimento di opposizione, la verifica della condizione di procedibilità della domanda, di cui al citato art. 421 bis, c.p.c., deve essere effettuata, nel caso di eccezione sollevata dall’opponente, non oltre l’udienza di discussione (Trib. Busto Arsizio 29/10/99, est. Guadagnino, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 585, con nota di De Carlo, Tentativo obbligatorio di conciliazione e procedimento monitorio)
  5. Ove il ricorso per decreto ingiuntivo non possa assicurare una rapida tutela del credito retributivo, essendone stata dichiarata l’improcedibilità per mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, può ordinarsi al datore di lavoro il pagamento in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c. sussistendo il periculum in mora nell’irreparabilità del danno che al lavoratore deriverebbe, in relazione ai propri obblighi alimentari, da un tardivo incasso del proprio credito retributivo (Pret. Milano 11/3/99 (ord.), est. Sala, in D&L 1999, 365, n. TAGLIAGAMBE, A mali estremi, rimedi d’urgenza)

 

 

Effetti

  1. Affinché il tentativo di conciliazione produca gli effetti tipici di sospensione e impedimento della decadenza, la comunicazione alla controparte della relativa richiesta deve contenere i requisiti di forma, di sostanza, di contenuto e procedurali di cui all’art. 410 c.p.c. (Trib. Napoli 23/5/2017, Est. Armato, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di F. Aiello, “Decadenza: ‘cambio appalto’ e tentativo di conciliazione”, 74)
  2. L’attuale art. 410, co. 2, c.p.c., dispone, come già il testo previgente, che la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Attesa la natura recettizia degli atti interruttivi della prestazione, deve ritenersi che la comunicazione che interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza sia quella fatta al datore di lavoro. (Cass. 1/7/2013 n. 16452, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Antonio Maria Marzocco, “Sugli effetti dell’istanza ex art. 410 c.p.c. nel sistema dell’obbligatorietà e in quello della facoltatività del tentativo di conciliazione”, 123)
  3. La convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all’esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate, costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943 c. 4 c.c., idoena a interrompere la prescrizione. (Cass. 16/3/2009 n. 6336, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Orient. Giur. Lav. 2009, 84)
  4. Ai fini di impedire la decadenza dall’impugnazione del recesso datoriale, è sufficiente che entro il termine dei 60 giorni il lavoratore depositi la richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione presso l’Ufficio del lavoro, non rilevando a tal fine la data diversa e successiva, incontrollabile per il lavoratore, alla quale la richiesta sarà trasmessa d’ufficio al datore di lavoro. (Cass. 19/6/2006 n. 14087, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Andrea Pardini, “Osservazioni darwiniane sulle mutazioni giurisprudenziali in tema di tentativo di conciliazione e termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento”, 188)
  5. La mera presentazione della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro, in assenza della sua comunicazione al datore di lavoro, non può avere gli effetti interruttivi della prescrizione indicati dall’art. 410 c.p.c., poichè quest’ultimo riconnette esplicitamente detti effetti alla “comunicazione” dell’atto alla controparte, e non già alla sua “presentazione” alla Commissione di conciliazione. Per lo stesso motivo il lavoratore che abbia interesse a ottenere una pronta efficacia sospensiva della sua richiesta del tentativo di conciliazione sul termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento ha l’onere di provvedere a notificare tale richiesta al datore di lavoro, senza attendere la comunicazione dell’ufficio. (Cass. 15/5/2006 n. 11116, Pres. Mileo Est. D’Agostino, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Andrea Pardini, “Osservazioni darwiniane sulle mutazioni giurisprudenziali in tema di tentativo di conciliazione e termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento”, 188)
  6. L’art. 410, secondo comma, c.p.c. intende distinguere e chiaramente – come si evince dal suo inequivoco tenore letterale – gli effetti prodotti dal tentativo obbligatorio di conciliazione ai fini dell’interruzione della prescrizione dalle conseguenze dallo stesso scaturenti in riferimento ai termini decadenziali. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo produce un effetto interruttivo istantaneo della prescrizione e non anche un effetto interruttivo-sospensivo, cioè perdurante per tutto il termine indicato dal secondo comma, ultima parte, dell’art. 410 c.p.c. Quest’ultimo effetto è ricollegato dal legislatore, attraverso il combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., solo all’atto introduttivo del giudizio ordinario e del giudizio arbitrale. (Cass. 4/4/2006 n. 13046, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Elmelinda Mercuro, “Gli effetti della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sulla prescrizione”, 200)
  7. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli presentati al capo III del titolo I del libro IV, tra cui appunto l’ordinanza ex art. 700 c.p.c., a prescindere dal fatto che si tratti di provvedimenti richiesti ante causam o nel corso della causa, in quanto tali provvedimenti possono comunque essere adottati, anche se il giudizio di merito, eventualmente pendente, debba essere sospeso a causa del mancato preventivo espletamento del tentativo di conciliazione. (Trib. Roma 9/6/2004, Pres. Cortesani Est. Luna, in Lav. nella giur. 2005, 93)
  8. La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. produce gli effetti interruttivi della prescrizione e sospensivi di ogni decadenza anche se la relativa comunicazione viene portata a conoscenza della sola direzione del lavoro e non anche del datore di lavoro (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)
  9. La richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. comporta la sospensione del termine ex art. 6 L. 15/7/66 n. 604 per l’impugnazione del licenziamento (Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in D&L 2000, 255)

 

 

Rapporti con i procedimenti cautelari

  1. Ai sensi dell’art. 412 bis, ult. comma, c.p.c., nei procedimenti cautelari non è previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione e ciò anche nel caso in cui l’istanza di provvedimento cautelare sia proposta al di fuori di un giudizio ordinario pendente (Trib. Milano 7/8/00, est. Atanasio, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 879)

 

 

Procedimento di primo grado

 

 

In genere

  1. La domanda proposta da più lavoratori nei confronti dello stesso datore di lavoro dà luogo a un litisconsorzio facoltativo improprio, nel quale permane l’autonomia dei titoli e la sentenza, formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, per loro natura scindibili, con la conseguenza che l’impugnazione proposta solo da alcune delle parti non coinvolge la posizione delle parti non impugnanti e rende inapplicabile l’art. 331 c.p.c. (Cass. 6/11/2020 n. 24928, Pres. Berrino Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2021, 194)
  2. Nell’ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio, qualora una parte chieda in giudizio un bene della vita la cui attribuzione non può aver luogo senza che al giudizio partecipi un terzo, non si verifica un’ipotesi di inammissibilità della domanda, bensì un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.: e ciò a prescindere da ogni considerazione riguardante le condizioni dell’azione o la fondatezza nel merito della domanda, che sono questioni che possono essere delibate soltanto nel contraddittorio fra tutti gli interessati. (Nel caso di specie, considerato che il giudizio, promosso dal lavoratore solo contro il datore di lavoro, per ottenere il ricalcolo della retribuzione, ai fini della determinazione delle maggiori somme da versare all’I.N.P.S. a titolo di contributi previdenziali, si era svolto, sia in primo, sia in secondo grado, in assenza dell’I.N.P.S., la Corte ha rimesso le parti avanti al primo giudice affinché provvedesse alla instaurazione ex novo del giudizio, previa integrazione del contraddittorio). (Cass. 21/9/2020, n. 19679, Pres. Manna Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2021, 82)
  3. La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti. (Cass. 2/9/2020 n. 18250, Pres. Raimondi Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2020, 1206)
  4. Non incorre nel vizio di ultrapetizione la pronuncia che accordi al lavoratore la tutela deteriore pur a fronte della domanda di una tutela “maggiore”. (Corte app. Brescia 12/6/2020, Pres. Matano Rel. Greco, in Lav. nella giur. 2020, 1105)
  5. L’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni ulteriori rispetto a quelle tipizzate. (Corte Cost. 19/4/2018 n. 77, Pres. Lattanzi Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Spinelli, “La Corte Costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano”, 702)
  6. La condizione soggettiva di “lavoratore” non costituisce, di per sé, ragione sufficiente per esonerare dall’obbligo di rifusione delle spese processuali in caso di soccombenza totale nelle controversie promosse nei confronti del datore di lavoro. (Corte Cost. 19/4/2018 n. 77, Pres. Lattanzi Rel. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Spinelli, “La Corte Costituzionale estende l’ambito oggettivo della compensazione delle spese di lite, ma i limiti restano”, 702)
  7. Nel rito del lavoro, la proposizione in giudizio di una domanda relativa a un contratto già impugnato con un precedente ricorso, fondata tuttavia su una diversa “causa petendi”, non costituisce abuso del processo per ingiustificato e arbitrario frazionamento della domanda, in quanto non mira a realizzare una esclusiva utilità dell’attore e non determina un inutile aggravamento della posizione della controparte. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato inammissibile la domanda di nullità di un contratto a termine con Poste italiane s.p.a., per violazione della clausola di contingentamento di cui all’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, sul presupposto che il ricorrente aveva già impugnato lo stesso contratto per contrarietà della medesima disposizione alla direttiva 1999/70/CE). Cass. 9/2/2018 n. 3226, Pres. Manna Est. Patti, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di L. Di Paola, “Giudicato implicito ‘deducibile’ e frazionamento della tutela giurisdizionale con riferimento alle azioni di impugnativa negoziale nell’ambito del rapporto di lavoro”, 963)
  8. Nel rito del lavoro non è precluso alla parte che ha già presentato un ricorso con determinate domande, di riproporre un successivo e separato ricorso, per ulteriori domande nei confronti del medesimo convenuto. (Cass. 21/7/2017 n. 18018, Pres. Napoletano Est. Curcio, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di O. La Tegola, “L’eterodirezione della prestazione come criterio selettivo della subordinazione”, 10)
  9. Il principio di non contestazione dev’essere dedotto dalla complessiva strategia difensiva della parte. Di conseguenza, se l’attore fornisce prova dei fatti costitutivi a fondamento della propria domanda e nega l’esistenza di un fatto impeditivo che dovrebbe invece essere provato dalla controparte, non ha uno specifico onere di contestazione quando la controparte lo allega. (Corte app. Roma 14/2/2017, Pres. Gallo Est. Bonanni, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di M. G. Greco, “Ancora sul riparto degli oneri probatori e sul principio di non contestazione nel processo del lavoro”, 86)
  10. Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, c.p.c. non si applica alle mere difese, fra cui rientra anche l’assunto del datore di lavoro di aver stabilito una data turnazione fra i propri dipendenti per venire incontro a una loro richiesta. (Cass. 13/9/2016 n. 17966, Pres. Bronzini Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2017, 90)
  11. Nel rito del lavoro la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è circoscritta alle ipotesi in cui vi è contrasto tra le due parti della pronuncia, mentre, ove l’incompatibilità manchi, la portata precettiva della pronuncia va individuata integrando il dispositivo con la motivazione. (Cass. 21/6/2016 n. 12841, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2016, 922)
  12. Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere. (Cass. 11/12/2014 n. 26107, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 303)
  13. Non costituisce violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. un’autonoma ricostruzione dei fatti rispetto a quelli allegati dalle parti, né una diversa qualificazione dei medesimi da parte del giudice. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152)
  14. Nel rito del lavoro, mentre è consentita, sia pure previa autorizzazione del giudice, la modificazione della domanda (emendatio libelli), non è ammissibile la proposizione di una domanda nuova – per la valutazione della sussistenza della quale occorre fare riferimento sia al “petitum” che alla sua “causa petendi” – neppure con il consenso della controparte manifestato espressamente con l’esplicita accettazione del contraddittorio o implicitamente con la difesa nel merito (la Cassazione ha così confermato la decisione dei giudici del merito, che avevano dichiarato inammissibile la domanda nuova avente a oggetto la concessione dell’indennità per ciechi assoluti non ritualmente proposta nel giudizio nel quale era stata richiesta e poi riconosciuta l’indennità di accompagnamento per invalidi civili assoluti, essendo le due provvidenze distinte). (Cass. 1/7/2014 n. 14950, Pres. Stile Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2014, 1022)
  15. Ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato è irrilevante la mancanza di un’espressa menzione del procedimento per il quale essa sia stata rilasciata, qualora essa sia stata notificata unitamente all’atto cui accede, in quanto la collocazione della procura, anche se rilasciata su foglio separato, è idonea a conferire la certezza circa la provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura al giudizio cui l’atto stesso fa riferimento. L’unico limite cronologico posto dalla legge al rilascio della procura al difensore si rinviene nella disposizione di cui all’art. 125, comma 2, del codice di procedura civile, da cui si desume che tale requisito deve essere integrato quanto meno al momento della costituzione della parte. (Trib. Bari 4/6/2014, Giud. Pazienza, in Lav. nella giur. 2014, 1030)
  16. La mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perché siffatta omissione o incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o un’omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati dalle parti medesime. (Cass. 24/4/2014 n. 9311, Pres. Stile Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2014, 705)
  17. Non sussiste litispendenza (e pertanto, una volta conclusa la prima causa, neppure preclusione da giudicato), qualora il lavoratore agisca in giudizio prima di far accertare la nullità del contratto a termine, con conseguente conversione del rapporto lavorativo a tempo indeterminato, e poi, con successiva azione autonoma, per ottenere la condanna del datore di lavoro all’ammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data accertata di inizio del rapporto lavorativo all’effettiva ammissione: si tratta infatti di due azioni aventi petitum e causa petendi diversi e distinti. (Cass. 19/12/2012 n. 23405, Pres. Vidiri Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013)
  18. È incostituzionale l’art. 5 comma 1 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nella parte in cui, in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale l’obbligo del procedimento di mediazione, obbligo non prefigurato dalla legge delega. (Corte Cost. 6/12/2012 n. 272, Pres. Quaranta Rel. Criscuolo, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Cosima Ilaria Buonocore, 483)
  19. La motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, atteso che l’art. 118 disp. Att. C.p.c., nel testo novellato dalla l. n. 69/2009, consente di rendere i motivi della decisione attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi. In particolare, è consentita la motivazione della sentenza mediante rinvio a un precedente del medesimo ufficio, sempre che, al fine di rendere comunque possibile e agevole il controllo della motivazione, si dia conto dell’identità contenutistica della situazione di fatto e di diritto tra il caso deciso dal precedente e quello oggetto di decisione. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio, ne ha fatto diretta e immediata applicazione con riferimento a proprio precedente, con il quale aveva deciso una controversia analoga). (Cass. 22/5/2012 n. 8053, Pres. Lamorgese Est. Curzio, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Carlo Rasia, “Sull’uso della motivazione per relationem in caso di rinvio a un precedente conforme del medesimo ufficio”, 436)
  20. Si ha mutamento della “causa petendi” della domanda originaria non solo allorché esso involga una trasformazione obiettiva della domanda stessa, ma anche quando determini solo un ampliamento del tema di indagine; integra tale ipotesi la condotta del lavoratore-ricorrente che, in corso di causa, dopo aver dedotto una generica violazione della normativa dettata in tema di sicurezza dei lavoratori e della circolazione aeroportuale interna a sostegno del rifiuto opposto a prestare la propria attività durante le operazioni di rifornimento, lamenti successivamente ulteriori specifiche circostanze, costituite dalla peculiarità delle mansioni svolte che lo avrebbero esonerato dall’adempimento. (Cass. 20/1/2011 n. 1237, Pres. Roselli Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2011, 409)
  21. Nel rito del lavoro, i documenti vanno equiparati alle prove costituende per quanto riguarda i termini e le modalità di acquisizione al processo. (Cass. 12/7/2010 n. 16295, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in Orient. giur. lav. 2011, 25)
  22. Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritiene più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (SU 13/4/2010 n. 8737, Pres. Vidiri Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 688)
  23. Nel procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis c.p.c., la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto o accordo sul quale il ricorso si fonda, in quanto l’indicato adempimento ha carattere strumentale rispetto all’adeguato esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di cassazione. (Cass. 17/4/2009 n. 9246, Pres. Sciarelli Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 829)
  24. Ove il termine a ritroso previsto nel processo del lavoro per la costituzione della parte resistente scada nella giornata di sabato, non trova applicazione l’art. 155, 5° comma, c.p.c. e, conseguentemente, deve ritenersi tempestiva la costituzione effettuata in tale giornata. (Trib. Lodi 20/1/2009, ord., est. Giuppi, in D&L 2009, con nota di Ilaria Mazzurana, “I termini processuali a ritroso: il problema della scadenza del termine nella giornata di sabato”, 1083)
  25. L’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti medesimi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso. (Trib. Taranto 20/1/2009, Est. Palma, in Lav. nella giur. 2009, 415)
  26. In materia di pubblico impiego privatizzato, nelle controversie relative all’espletamento di procedure concorsuali interne per il riconoscimento del diritto all’assegnazione del posto messo a concorso, sono contraddittori necessari i partecipanti nei cui confronti la decisione è destinata a produrre effetti diretti, dovendosi escludere il litisconsorzio necessario ove sia chiesto solo il risarcimento del danno. (Cass. 5/6/2008 n. 14914, Pres. Miani Canevari Est. Picone, con nota di Buoncristiani, “Concorsi privati. Tecniche di tutela e litisconsorzio”, 120)
  27. Nel rito del lavoro l’originale della memoria difensiva della parte convenuta (di cui all’art. 416 c.p.c.) – al pari degli scritti difensivi successivi – fa parte del fascicolo d’ufficio e non di quello della parte convenuta. Lo stesso, pertanto, può (deve) essere esaminato dal giudice anche nella eventualità che per sua libera scelta la parte, dopo ar ritirato il proprio fascicolo di parte, abbia ritenuto di non depositarlo nuovamente in occasione della discussione. (Cass. 11/4/2008 . 9697, Pres. Vittoria Est. Finocchiaro, in Lav. nella giur. 2008, 837)
  28. La lettura del disposto dell’art. 420 bis c.p.c., operata alla luce della ratio a esso sottesa, mostra che il presupposto per l’operatività dell’iter procedurale regolato dalla suddetta norma del codice di rito – e per la consequenziale pronunzia di un dictum giurisprudenziale di forza vincolante superiore a quella delle altre pronunzie emesse in materia giuslavoristica dalla Corte di Cassazione – è la decisione di una singola controversia, caratterizzantesi per la sua tipicità anticipatoria di un contenzioso spesso imponente, sicché l’accertamento pregiudiziale sulla efficacia, validità e interpretazione del contratto collettivo deve in ogni caso porsi come antecedente logico-giuridico della sentenza del giudice di merito e, poi, della decisione conclusiva dell’intero processo; ne consegue che, dovendo nel rito del lavoro ogni domanda contenere, ai sensi dell’art. 414 nn. 3 e 4 c.p.c., la determinazione dell’oggetto della domanda stessa e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui essa si fonda, l’accertamento pregiudiziale ex art. 420 bis c.p.c., in quanto destinato a incidere con rilevanza decisoria sull’esito della intrapresa controversia, non può che riguardare le clausole contrattuali sulle quali poggiano la causa petendi e il petitum della domanda attrice, non potendo invece investire in via prioritaria ed esclusiva, e senza alcun riferimento alle suddette clausole, disposizioni contrattuali richiamate dal contenuto per eccepire l’infondatezza o la non azionabilità del diritto di controparte (nella specie, la suprema corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di merito che, in sede interpretativa, aveva ritenuto applicabile l’art. 24 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende commerciali del 27 maggio 2004 al caso delle dimissioni del dirigente motivate con l’allegazione di un demansionamento disposto in relazione all’art. 2103 c.c.). (Cass. 8/2/2008 n. 3098, Pres. De Luca Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, 135)
  29. In base all’art. 416 c.p.c., nel processo del lavoro, il convenuto ha l’onere di contestare specificatamente i fatti affermati dagli attori. L’onere di contestazione tempestiva riguarda però anche il ricorrente, perché tale onere è desumibile non solo dagli artt. 167 e 416 c.p.c., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost. (giusto processo). Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata. (Cass. 4/12/2007 n. 25269, Pres. Ciciretti Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Daniele Iarussi, 270)
  30. Nelle controversie di lavoro, la spedizione dell’atto introduttivo a mezzo del servizio postale, pur se pervenuto nella cancelleria del giudice del lavoro nei termini di legge, integra una modalità non prevista in via generale (salva l’espressa eccezione rappresentata dall’art. 134 disp. att. c.p.c. per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso) ed è carente del requisito formale indispensabile (il deposito in cancelleria ex art. 415 c.p.c.) per il raggiungimento dello scopo, cui è destinato dalla legge, conseguendone la nullità della prescelta modalità di proposizione del ricorso, nella specie in opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 156, secondo comma, c.p.c. e la rilevabilità d’ufficio e l’insanabilità del relativo vizio, ancorché il ragioniere abbia erroneamente proceduto all’iscrizione a ruiolo della causa relativa (v. Corte Cost. n. 34 del 2007). (Cass. 12/10/2007 n. 21447, Pres. Senese Est. Stile, in Lav. nella giur. 2008, 305)
  31. Nel rito del lavoro, l’inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., domanda riconvenzionale, del disposto di cui al primo comma dell’art. 418 c.p.c. – il quale impone, a penda di decadenza della domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza – non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l’attore ricorrente compaia all’udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c. ovvero alla nuova udienza di cui all’art. 418 c.p.c. eventualmente fissata d’ufficio dal giudice, senza eccepire l’irritualità degli atti successivi alla riconvenzione e accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale. Infatti, osta a una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., alla realizzazione della funzione dell’atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell’art. 157, secondo comma, c.p.c., sarebbe legittimata a far valere il vizio, essendo appunto quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l’istanza di fissazione dell’udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale (tale che in suo difetto non possa neppure reputarsi proposta la domanda stessa), giacché l’istanza di fissazione concerne la vocatio in ius ed è, perciò, “esterna” rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell’art. 416, secondo comma, c.p.c., si realizza con la editio actionis. (Cass. 1/8/2007 n. 16955, Pres. Senese Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2008, 186)
  32. Nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati (per il convenuto in primo grado ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e per l’appellato in virtù dell’art. 436 c.p.c.) con riferimento alla “udienza di discussione”, non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d’ufficio, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima. (Cass. Sez. Un. 20/6/2007 n. 14288, Pres. Prestipino Est. Picone, in Lav. nella giur. 2008, 82 e in Dir. e prat. lav. 2008, 913)
  33. Nel rito del lavoro ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata alla discussione orale e, quindi, alla pronunzia della sentenza e alla lettura del dispositivo sulle conclusioni proposte in ricorso, per l’attore, e nella memoria di costituzione per il convenuto, di modo che il giudice non è tenuto a invitare le parti alla precisazione delle conclusioni prima della pronunzia delle sentenze. Ne consegue che la disposizione dell’art. 281 sexies c.p.c. che prevede la possibilità per il giudice di esporre a verbale, subito dopo la lettura del dispositivo di sentenza, le ragioni di diritto e di fatto poste a base della decisione, è applicabile al rito del lavoro a condizione del suo adattamento al rito speciale, nel quale non è prevista l’udienza di precisazione delle conclusioni. (Cass. 12/6/2007 n. 13708, Pres. senese Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2008, 83 e in Dir. e prat. lav. 2008, 912)
  34. Con riferimento al rispetto dei termini che si computano “a ritroso” fissati per gli adempimenti che le parti devono svolgere fuori udienza e scadenti nella giornata del sabato, non opera la proroga di cui all’art. 155, 5° comma, c.p.c. e la scedenza deve intendersi anticipata al giorno precedente non festivo (Cass. 4/5/2007, Est. Beccarini Crescenzi, in D&L 2007, 610)
  35. La non contestazione della domanda, che ha per oggetto i fatti costitutivi della domanda e non quelli dedotti in esclusiva funzione probatoria, scaturisce dalla non negazione fondata sulla volontà della parte oggettivamente risultante e deve essere pertanto inequivocabile, di talchè non può ravvisarsi nè in caso di contumacia del convenuto, nè in ipotesi di contestazione meramente generica e formale. Peraltro la non contestazione del fatto, che è tendenzialmente irreversibile, non determina di per sé la decisione della controversia, dovendo il giudice di merito valutare se il fatto non contestato sia inquadrabile nell’astratto parametro normativo e, prima ancora, stabilire la sussistenza o l’insussistenza di una non contestazione. A tal fine ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla non contestazione e, in assenza di ogni deduzione sulla stessa, abbia proceduto all’espletamento incontestato di un mezzo istruttorio in ordine all’altrui pregressa contestazione diventa inammissibile. (Nella specie, relativa all’inquadramento di un dipendente delle Ferrovie dello Stato nell’ottavo livello professionale, la S.C. ha rilevato che non si era formata non contestazione in ordine all’espletamento delle mansioni superiori, come tardivamente dedotto in grado di appello, perché in primo grado era stata espletata prova testimoniale in ordine alle mansioni effettivamente svolte). (Cass. 2/5/2007 n. 10098, Pres. Mattone Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2007, 1245)
  36. Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione dell’utilità connessa all’esperimento dell’azione proposta, indipendentemente dalla natura del provvedimento richiesto, non essendo di per sé solo rilevante il fatto che la parte istante abbia richiesto una sentenza costitutiva, di condanna o meramente dichiarativa. Conseguentemente, in controversia concernente il diritto alla ricostituzione della posizione assicurativa-previdenziale con il computo dei contributi da trasferirsi dall’Inpdap all’Inps e relativa condanna dell’Inps al pagamento dei ratei di pensione maturati e non riscossi, non sussiste una situazione strutturalmente comune a una pluralità di soggetti, nè ricorre un litisconsorzio necessario, per cui la decisione può conseguire il proprio scopo anche se non resa nei confronti dell’Inpdap, che si atteggia solo quale soggetto-mezzo per il mero trasferimento dei contributi previdenziali. (Nella specie la S.C. ha respinto, per il principio di cui in massima, le censure concernenti l’inammissibilità dell’appello, sollevate per il duplice profilo della violazione del contraddittorio in cause inscindibili e per la pretesa sussistenza di un giudicato). (Cass. 12/4/2007 n. 8788, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Lav. nella giur. 2007, 1245)
  37. Il rapporto di pregiudizialità che, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. impone al giudice la sospensione del processo, non può configurarsi nell’ipotesi di cause pendenti tra soggetti diversi, perché la pronuncia di ciascun giudizio, non potendo far stato nei confronti delle parti di altro giudizio, non può per ciò stesso costituire il necessario antecedente logico – giuridico della relativa decisione. (Cass. 11/4/2007 n. 8701, Pres. Mercurio Est. La Morgese, in Lav. nella giur. 2007, 1246)
  38. La procedura prevista dall’art. 420 bis c.p.c. è destinata al solo giudizio di primo grado e si applica quando la clausola contrattuale appaia di contenuto oggettivamente oscuro e possa prestarsi a diverse e contrastanti letture interpretative. (Cass. 26/3/2007 n. 7306, Pres. Ianniruberto Est. Miani canevari, in D&L 2007, con nota di Davide Pollastro, “La Cassazione interpreta l’art. 420 bis c.p.c.”, 598, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, “Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrets della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c.”, 132)
  39. La mutatio libelli, nel processo ordinario di cognizione così come in quello del lavoro, si concretizza nella formulazione di una pretesa nuova, diversa da quella originaria, nel senso che di quest’ultima deve innovare l’oggetto e introdurre nel giudizio nuovi temi di indagine. Pertanto, il ricorrente, che in un suo atto difensivo nell’ambito del processo del lavoro, limitandosi a meglio definire giuridicamente la domanda contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, senza alterarne l’oggetto originario, si proponga almeno un parziale soddisfacimento della pretesa azionata formulando una richiesta subordinata, attua una mera riduzione del petitum originario, che non richiede – ai sensi dell’art. 420, comma primo, c.p.c. – alcuna autorizzazione del giudice. (Nella specie, la S.C., rigettando il relativo motivo proposto, ha ritenuto legittima la riduzione della domanda operata dal ricorrente originario che, senza modificare la causa petendi, si era nel corso del giudizio limitato a chiedere la mera declaratoria del diritto alla chance di diventare titolare del diritto a percepire il credito riconducibile alla posizione economica differenziata, in luogo dell’accertamento del diritto stesso, riduzione, peraltro, che il giudice avrebbe avuto il potere di effettuare direttamente, anche in difetto di esplicita richiesta in tal senso da parte del lavoratore). (Cass. 21/2/2007 n. 4003, Pres. Senese Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 1141)
  40. Nel caso in cui una domanda (nella specie relativa alla verifica dell’esistenza di un rapporto di lavoro con l’uno o l’altro dei Comuni evocati in giudizio) sia proposta alternativamente nei confronti di due soggetti e tra gli stessi vi sia contestazione circa l’individuazione dell’unico obbligato, i rapporti processuali relativi ai due convenuti sono legati dal nesso di dipendenza reciproca delle cause (la decisione di ciascuna causa comportando quella anche dell’altra) che dà luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in virtù del quale le cause medesime devono essere decise da un unico giudice e rimanere riunite anche in fase di impugnazione, ove sia ancora in discussione la questione dell’individuazione dell’effetto obbligato. (Cass. Sez. Un. 12/12/2006 n. 16420, Pres. Nicastro Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 522)
  41. La preventiva proposizione della domanda amministrativa costituisce – nelle controversie previdenziali richiedenti il previo esperimento del procedimento amministrativo – un presupposto dell’azione giudiziaria, la mancanza del quale determina non già la mera improcedibilità, contemplata dall’art. 443 c.p.c., ma la radicale “improponibilità” della domanda giudiziale. Questo vizio rende nulli tutti gli atti del processo, in quanto presuppone una temporanea carenza di giurisdizione, ed è rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio, e quindi anche in appello, indipendentemente dal comportamento difensivo della controparte, salvo che sulla questione si sia formato il giudicato interno espresso. (Cass. 29/12/2004 n. 24103, Pres. Senese Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2005, 586)
  42. Nel rito del lavoro, la mancata specifica contestazione dei fatti costitutivi del diritto dedotti dal ricorrente –che può essere effettuata entro il limite temporale previsto dall’art. 420, comma 1, c.p.c., per la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni- rende i fatti stessi incontroversi e, conseguentemente, essi non possono essere contestati nell’ulteriore corso del giudizio, sono sottratti al controllo probatorio del giudice e devono essere ritenuti sussistenti senza necessità di un apposito accertamento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in un giudizio di opposizione ad ordinanza- ingiunzione emessa dall’Inps, accogliendo il gravame dell’Istituto previdenziale, aveva riformato la sentenza di primo grado, che aveva annullato l’ordinanza- ingiunzione per essere la stessa stata emanata senza la richiesta audizione dell’interessata, anche se solo in grado di appello, l’Inps aveva eccepito che la destinataria del provvedimento sanzionatorio non aveva chiesto di essere sentita in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 18, L. 24 novembre 1981, n. 689). (Cass. 5/3/2004 n. 4556, Pres. Sciarelli Rel. Guglielmucci, in Lav. nella giur. 2004, 902)
  43. Nell’ordinamento processuale vigente, in forza del principio di cui all’art. 116 c.p.c. il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione. (Fattispecie relativa ad un elenco dei dipendenti di un’azienda, privo di attestazione della provenienza, utilizzato per valutare il requisito dimensionale di una controversia in tema di licenziamento). (Cass. 27/3/2003, n. 4666, Pres. Prestipino, Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2003, 1929)
  44. La mancata contestazione dei fatti secondari comporta l’espunzione degli stessi dal thema probandum, di tal che il giudice, una volta ritenuti accertati per mancanza di contestazione, può desumere dagli stessi, in via presuntiva, l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda. (Cass. 17/4/2002, n. 5526, Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 599)
  45. La cancellazione della società dal registro delle imprese non determina automaticamente l’estinzione della società stessa in difetto di liquidazione di tutti i rapporti pendenti. Nella fattispecie permaneva, pertanto, la legittimazione passiva della società convenuta, in relazione al ricorso proposto dal dipendente per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento. (Corte Appello Milano 4/5/01, pres. Mannaccio, est. Accardo, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 433)
  46. Non può essere attivato il procedimento incidentale di cui all’art. 68 bis D. Lgs. 3/2/93 n. 29 introdotto dall’art. 30 D. Lgs. 31/3/98 n. 80, quando vi sia la possibilità di decidere la controversia con un’ordinaria attività interpretativa per il chiaro tenore delle previsioni contrattuali da interpretare (Trib. Milano 27 marzo 2000, est. Martello, in D&L 2000, 679)

 

 

Nullità del ricorso

  1. Non si comprende come (La ricorrente N.d.R) sia pervenuta alla quantificazione della somma rivendicata, non essendo presenti nel corpo dell’atto, né allegati allo stesso, i relativi conteggi, né infine, per quanto detto, è possibile individuare l’esatta pretesa della lavoratrice dall’esame complessivo dell’atto. Ne discende che il ricorso, in parte de qua, è affetto da nullità poiché l’onere previsto dall’art. 414, c. 4, c.p.c. a carico del ricorrente ha il duplice scopo di consentire al convenuto di difendersi compiutamente nella memoria di costituzione in cui il medesimo, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., deve, a pena di decadenza, prendere posizione (in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione) circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda (nonché proporre eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio), ma anche di consentire al giudice di pervenire all’udienza edotto degli esatti termini della controversia al fine di: effettuare proficuamente l’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione (ancorché non più obbligatorio), ammettere le prove nella coscienza della loro rilevanza o, eventualmente, di esercitare i poteri istruttori di ufficio. (Trib. Velletri 28/1/2021, Giud. Falcione, in Lav. nella giur. 2021, 558)
  2. Per aversi nullità dell’atto introduttivo per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancanza dell’esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l’esame dell’atto sia impossibile l’individuazione esatta della pretessa dell’attore ed il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa. (Trib. Milano 26/1/2012, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, 410)
  3. Nel rito del lavoro, la nullità del ricorso ex art. 414 c.p.c. deve ritenersi sanata ove non venga ritualmente eccepita e il resistente si difenda nel merito, dimostrando con ciò di avere compreso il thema decidendum ed il tenore delle pretese del ricorrente. (Cass. 12/7/2010 n. 16295, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in Orient. giur. lav. 2011, 25)
  4. In merito alla richiesta di pagamento di somme a vario titolo, rivendicate dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, è irrilevante la mancata notificazione dei conteggi analitici, a condizione che siano specificati, oltre che i presupposti di fatto della domanda, la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze. Nel rito del lavoro ai fini del giudizio sulla fondatezza della pretesa creditoria e quindi della decisione immediata sulle istanze istruttorie delle parti, è necessaria una adeguata esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fondano le stesse domande. (Trib. Milano 17/6/2009, Giud. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2009, 957)
  5. Nel rito del lavoro il ricorso introduttivo del giudizio è affetto da nullità solo ove sia del tutto privo delle ragioni di fatto e in diritto della pretesa azionata o presenti assoluta incertezza in ordine all’oggetto della domanda, mentre è osservato l’obbligo di specificazione anche quando siano indicati solo i titoli delle varie pretese, senza un’originaria quantificazione. (Trib. Bari 18/11/2008, Est. Spagnoletti, in Lav. nella giur. 2009, 307)
  6. Nel rito del lavoro la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per omessa determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui essa si fonda, ravvisabile solo quando attraverso l’esame complessivo dell’atto risulti impossibile l’individuazione esatta del ricorrente e il resistente non possa apprestare una compiuta difesa, implica un’interpretazione dell’atto introduttivo della controversia riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, il che comporta l’esame non del ricorso introduttivo ma delle ragioni esposte nella sentenza impugnata per affermare che il ricorso stesso sia o meno affetto dal vizio denunciato. (Nella specie, la S.C. ha confermato, rilevandone l’adeguatezza e la logicità della motivazione, la sentenza impugnata con la quale era stato respinto l’appello avverso la decisione di primo grado affermativa della nullità del ricorso introduttivo, il quale conteneva una domanda di pagamento di retribuzione fondata sul presupposto della sussistenza di un’intermediazione di manodopera, senza che, però, di essa fossero stati specificati gli elementi costitutivi e, in particolare, allegata la presenza di una subordinazione in senso tecnico coincidente con la cosiddetta condizione di una “doppia alienità”). (Cass. 16/1/2007 n. 820, Pres. Mercurio Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2007, 941)
  7. L’omessa indicazione, nel ricorso introduttivo di una controversia da trattarsi con il rito del lavoro, delle generalità delle persone da interrogare sui capitoli di prova concreta mera irregolarità e non comporta decadenza dalla prova. (Cass. 27/4/2004 n. 8054, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in Dir. e prat. lav. 2004, 2581)
  8. Nella controversia di lavoro il ricorso è nullo per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda quando non è possibile la sua individuazione neppure attraverso un esame complessivo dell’atto. (Trib. Nocera Inferiore 13/2/2003, Est. Viva, in Lav. nella giur. 2003, 691)
  9. Ai fini dell’adeguata esposizione dei motivi del ricorso ex art. 366, n. 4, c.p.c., non è indispensabile il richiamo espresso alla norma che si assume violata, essendo, al contrario, sufficiente che l’individuazione di tale norma sia consentita, in concreto, dalla sommaria esposizione dei fatti di causa e dallo scioglimento dei motivi di ricorso. (Cass. 11/11/2002, n. 15822, Pres. Senese, Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 663, con nota di Carlo Fossati, La stabilità del rapporto di lavoro, ma non la regola della reintegrazione automatica, costituisce espressione dell’ordine pubblico internazionale)
  10. Nel rito del lavoro, il ricorso privo dell’esatta determinazione dell’oggetto della domanda o dell’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto è affetto da nullità ai sensi degli artt. 414, 164 e 156 c.p.c., sempre che non si tratti di un’omissione formale, ma si verifichi la sostanziale impossibilità di individuare i suddetti elementi attraverso l’esame complessivo dell’atto; tale nullità opera pregiudizialmente, dovendo essere dichiarata prima di ogni valutazione di merito anche nell’ipotesi di costituzione del convenuto, senza che, ai fini dell’integrazione del ricorso, possa essere utilizzata la documentazione allegata allo stesso ma non offerta in comunicazione, e senza che, nella valutazione in ordine alla completezza del ricorso, possa attribuirsi rilievo alla natura ed organizzazione della parte convenuta in giudizio (nella specie, ente previdenziale dotato di sistema informatico), posto che ciascun convenuto, allo stesso modo, deve poter fruire di tutti gli elementi che consentano di individuare la preteda in modo certo in base a quanto risulta dalla domanda giudiziale, e ciò specie nel rito del lavoro, nel quale incombe sullo stesso convenuto, ai sensi dell’art. 416, terzo comma, c.p.c., l’onere di contestare specificatamente i fatti costitutivi della domanda. (Cass. 18/10/2002, n. 14817, Pres. Senese, Rel. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2003, 181)
  11. Perché possa ritenersi la nullità del ricorso introduttivo non è sufficiente l’omessa indicazione in modo formale degli elementi della domanda, ma occorre anche che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto (nella specie il giudice ha riconosciuto che i motivi dell’impugnazione erano invalidamente posti con il richiamo ad una normativa che ipotizza molteplici cause di invalidità, ma ha ritenuto sufficiente l’indicazione di alcuni fatti materiali che consentivano di dedurre le ragioni poste a base del ricorso). (Cass. 15/5/2002 n. 7075, Pres. Prestipino Est. Cuoco, in D&L 2002, 779, con nota di Roberto Muggia, “Fallimento e competenza funzionale del giudice del lavoro”)
  12. E’ nullo il ricorso che manchi dell’indicazione analitica dei fatti essenziali che consentono di ricostruire la realtà di un rapporto di lavoro subordinato, in contestazione tra le parti. (Trib. Firenze 26/5/2001, Est. Muntoni, in D&L 2002, 491, con nota di Marco Orsenigo, “Ancora in tema di nullità del ricorso nel processo del lavoro”)
  13. E’ nullo, per violazione dell’art. 414 n. 4 c.p.c., il ricorso con il quale si rivendica un inquadramento superiore a quello rivestito qualora contenga una descrizione delle mansioni svolte generica, in quanto priva di riscontri fattuali oggettivi, e quindi inidonea a consentire la valutazione del merito della domanda, attraverso l’esame comparato tra le mansioni svolte e quelle descritte nel CCNL (Trib. Milano 25/1/01, pres. e est. Porcelli, in Dir. lav. 2001, pag. 283, con nota di Spadafora, Domanda di inquadramento superiore e requisiti di validità del ricorso: criteri metodologici a confronto)
  14. Il ricorso con cui è impugnato un licenziamento per giusta causa non può ritenersi nullo nella parte in cui è fatta valere la violazione dell’art. 7, 1° comma, L. 330/70, per vizio relativo alla esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fonda la domanda, in quanto, dato il preciso contenuto di tale disposizione, tale censura implica il chiaro riferimento alle relative garanzie in materia di pubblicità del codice disciplinare (Nella specie, peraltro, la S.C. ha escluso la rilevanza della mancata affissione del codice disciplinare, dato il carattere indiscutibilmente antigiuridico dei comportamenti contestati al lavoratore – falsi in scrittura privata -, a prescindere dalla loro gravità o rilevanza penale) (Cass. 22/4/00, n. 5299, pres. Santojanni, in Lavoro giur. 2000, pag. 989)
  15. E’ infondata l’eccezione di nullità dei ricorso qualora il ricorrente abbia analiticamente specificato il tipo di attività posta in essere e rapportato detta attività alla descrizione contrattuale del livello superiore richiesto (Trib. Roma 14/2/00, pres. e est. Monterosso, in Dir. lav. 2001, pag. 283, con nota di Spadafora, Domanda di inquadramento superiore e requisiti di validità del ricorso: criteri metodologici a confronto)
  16. E’ nulla per assoluta indeterminatezza dell’oggetto la domanda tendente a ottenere differenze retributive, qualora i fatti costitutivi dei diritti vantati siano indicati solo genericamente (nel caso di specie il Giudice ha ritenuto nulla la domanda volta a rivendicare crediti derivanti da prestazioni lavorative notturne, in assenza di specificazione del numero di ore prestate nonché della natura continuativa delle stesse) (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)

 

 

Comparsa di costituzione

  1. L’art. 164, terzo comma, c.p.c., nella parte in cui prevede che la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione, è applicabile anche nel rito del lavoro. (Cass. 2/5/2013 n. 10264, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013, 736)
  2. Il non prendere puntuale posizione in sede di costituzione in giudizio in ordine a circostanze che comunque per il principio di prossimità della prova sono nella disponibilità di parte resistente, semplicemente opponendo una mera contestazione generica, equivale a mancata contestazione delle stesse. (Cass. 15/4/2009 n. 8933, Pres. Sciarelli Rel. Meliadò, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Marco Frediani, 797)
  3. Nel rito del lavoro, il convenuto ha l’obbligo, sancito a pena di decadenza dall’art. 416, terzo comma, c.p.c., di indicare specificatamente nella comparsa di costituzione i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e, in particolare, i documenti che deve contestualmente depositare, dovendosi ritenere possibile una successiva produzione, anche in appello, solo se giustificata dal tempo della formazione dell’atto ovvero dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso e alla memoria di costituzione. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto inammissibile, in quanto tardiva, la produzione del contratto collettivo del 1995, restando irrilevante, attesa la natura formale della decadenza, che nella comparsa di costituzione fosse stato precisato che la fonte collettiva del 1° giugno 2001 fosse solo l’ultima redazione del contratto medesimo). (Cass. 23/3/2009 n. 6969, Pres. Mattone Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2009, 830)
  4. Nelle controversie assoggettate al rito del lavoro, al fine di verificare il rispetto dei termini fissati (per il convenuto in primo grado ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e per l’appellato in virtù dell’art. 436 c.p.c.) con riferimento alla “udienza di discussione”, non si deve avere riguardo a quella originariamente stabilita dal provvedimento del giudice, ma a quella fissata – ove, eventualmente, sopravvenga – in dipendenza del rinvio d’ufficio, che concreta una modifica del precedente provvedimento di fissazione, e che venga effettivamente tenuta in sostituzione della prima. (Cass. Sez. Un. 20/6/2007 n. 14288, Pres. Prestipino Est. Picone, in Lav. nella giur. 2008, 82 e in Dir. e prat. lav. 2008, 913)
  5. Nel rito del lavoro, la contestazione dei fatti costitutivi della domanda effettuata dal convenuto soltanto nelle note difensive depositate in giudizio prima della discussione e della pronuncia della sentenza di primo grado, deve considerarsi tardiva. (Cass. 3/2/2003, n. 1562, Pres. Mercurio, Est. Amoroso, in Foro it. 2003 parte prima 1453, con osservazione di D. Dalfino)
  6. Nel rito del lavoro, la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda da parte del convenuto vincola il giudice a ritenere sussistenti i fatti stessi (nell’enunciare il principio di diritto la corte ha precisato che, pur in mancanza di un’espressa previsione di decadenza relativa all’onere di specifica contestazione, l’effetto indicato deriva dalla preclusione conseguente allimite per la modificazione di domande, eccezioni e conclusioni già formulate, di cui all’art. 420, 1° comma c.p.c.) (Cass. 15/1/2003, n. 535, Pres. Ianniruberto, Est. Amoroso, in Foro it. 2003 parte prima, 1453 con osservazione di D. Dalfino)
  7. Nel rito del lavoro la contestazione dei conteggi su cui si fonda la domanda attrice deve essere effettuate nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c., ed assume rilievo solo quando non sia generica, ma involga specifiche circostanze di fatto suscettibili di dimostrare la non congruità e la non rispondenza al vero di tali conteggi, circostanze che devono risultare dagli atti o essere successivamente provati. (Cass. 8/1/2003, n. 85, Pres. Mercurio, Rel. Vidiri, in Lav. nella giur. 2003, 544, con commento di Giorgio Mannacio)

 

 

Azione di accertamento

  1. L’art. 420 bis c.p.c. trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e conseguentemente deve essere dichiarato inammissibile il ricorso immediato proposto contro una sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo emessa in grado di appello. Tale sentenza rientra peraltro a pieno titolo nella categoria delle sentenze che decidono su questioni, senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, e pertanto, ai sensi del terzo comma dell’art. 360 c.p.c., contro di esa può essere successivamente proposto ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. (Cass. 20/3/2008 n. 7599, Pres. Mercurio Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 726)
  2. In tema di procedura di accertamento della validità efficacia e interpretazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dall’ARAN, di cui all’art. 64 del D.Lgs. n. 165 del 2001, la instaurazione del subprocedimento sulla questione pregiudiziale è subordinata dalla legge alla condizione che la risoluzione delle questioni – ne formano l’oggetto – risulti “necessaria” al fine della definizione della controversia, nel senso che tali questioni devono essere conosciute o decise dal giudice al fine della definizione della controversia e non costituire semplicemente dei punti pregiudiziali, ossia antecedenti logici del merito della causa, incontroversi tra le parti. Ne consegue che è inammissibile la questione pregiudiziale relativa all’interpretazione di un contratto collettivo, integrativo di contratto collettivo nazionale, prospettata al fine di desumere l’invalidità del primo per contrasto con quest’ultimo ovvero con contratto di altro comparto, poiché nel primo caso si tratta di fonti equiordinate entrambe di carattere nazionale e, nel secondo caso, perché dal contratto collettivo non possono derivare vincoli per i contratti di altro comparto. (Nella specie, la S.C. affermando il su esteso principio, ha confermato la sentenza interpretativa impugnata, che aveva ritenuto che il contratto integrativo del c.c.n.l. del comparto aziende e amministrazioni autonome dello Stato, in quanto contratto a sua volta nazionale, non incontrava il limite né del contratto integrato né del contratto collettivo del comparto ministeri). (Cass. 5/3/2008 n. 5950, Pres. De Luca Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2008, 726)
  3. Poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza. Parimenti non sono ammissibili questioni di interpretazioni di norme o di atti contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto. (In applicazione del principio sopra riportato, la SC ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che aveva affermato la giurisdizione del giudice ordinario su questioni interpretative relative a clausole contrattuali attinenti alla base di calcolo della pensione di ex dipendenti delle Ferrovie dello Stato, spettando tale interpretazione alla Corte dei Conti, giudice fornito di giurisdizione sulla domanda). (Cass. Sez. Un. 20/12/2006 n. 27187, Pres. Carbone Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 626)
  4. L’azione di accertamento non può avere ad oggetto una mera situazione di fatto (salvi i casi espressamente previsti dalla legge), ma deve tendere all’accertamento di un diritto che possa in astratto competere all’attore, sempre che sussista un pregiudizio attuale, e non meramente potenziale, che non possa essere eliminato senza una pronuncia giudiziale (nella fattispecie è stato conseguentemente escluso l’interesse a veder accertata la retribuzione spettante per le prestazioni lavorative effettuate nelle festività infrasettimanali, giacchè il lavoratore non aveva dedotto né provato lo svolgimento di tali prestazioni, sussistendo invece una semplice contrapposizione con il datore di lavoro in ordine all’interpretazione di una clausola contrattuale circa le modalità di determinazione della detta retribuzione) (Cass. 13/7/00, n. 9289, pres. Mercurio, in Orient. giur. lav. 2000, pag.730)

 

 

Sentenza costitutiva

  1. Una sentenza costitutiva del contratto di lavoro, non può essere pronunciata dal giudice in difetto di specificità degli elementi essenziali del contratto (in particolare: durata dell’incarico, obiettivi, responsabilità e trattamento retributivo accessorio) (Trib. Roma 28/4/00, ordinanza, est. Cocchia, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 233, con nota di Pasqua, Accordo per incarico dirigenziale ed esecuzione in forma specifica)

 

 

Impugnazioni

 

 

In genere

  1. Nel regime introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma della L. n. 742 del 1969, art. 3, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c. Ne consegue che, ai fini della tempestività dell’impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione. (Cass. SU 29/1/2021 n. 2145, Pres. Tirelli Rel. D’Oronzo, in Lav. nella giur. 2021, 413)
  2. L’art. 395, n. 2, c.p.c., su cui è fondata la domanda di revocazione, impone che le prove siano accertate come false con sentenza passata in giudicato; il decreto di archiviazione, invece, non comportando alcun accertamento con efficacia di giudicato, è inidoneo a fondare la domanda di revocazione (nella fattispecie, è stata respinta la richiesta di un lavoratore, licenziato per aver compiuto delle indebite operazioni sui conti correnti e sui libretti di risparmio dei clienti, il quale aveva avanzato domanda di revocazione della sentenza, in quanto era sopravvenuto un decreto di archiviazione, emesso dal GIP per intervenuta prescrizione). (Cass. 9/1/2015 n. 156, Pres. Macioce Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2015, 410)
  3. L’impugnazione del licenziamento può essere fatta anche da un rappresentante del lavoratore a condizione che la procura o la ratifica dell’operato del rappresentante, a opera del lavoratore, avvenga per atto scritto avente data certa anteriore alla scadenza del termine di decadenza. Non può valere quale ratifica la procura ad litem conferita dal lavoratore in vista del giudizio, qualora sia stata rilasciata successivamente alla scadenza del termine di impugnazione del recesso. (Cass. 8/4/2014 n. 8197, Pres. Lamorgese Est. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 709)
  4. L’interesse all’impugnazione, manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la quale l’impugnazione è inammissibile. Conseguentemente deve escludersi l’interesse della parte integralmente vittoriosa a impugnare la sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, salvo il caso che da quest’ultima possa dedursi un’implicita statuizione contraria all’interesse della parte medesima, nel senso che a questa possa derivare pregiudizio da motivi che, quale premessa necessaria dalla decisione, siano suscettibili di formare giudicato. (Nella specie, la S.C., ribadendo l’enunziato principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale, in relazione a un giudizio per repressione di condotta antisindacale, si censurava la decisione della Corte territoriale per avere accolto la domanda in base all’argomentazione, formulata in via subordinata nel giudizio, che la procedura di mobilità condotta a termine dalla società, ai sensi della legge n. 223 del 1991, dissimulava un trasferimento d’azienda, trattandosi di mera subordinazione logica rispetto all’altra, con cui si deduceva l’occultamento di un’illecita operazione di intermediazione di manodopera, e attesa l’assenza di una pronunzia di rigetto del diverso percorso motivazionale. (Cass. 10/11/2008 n. 26921, Pres. Sciarelli Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2009, 294)
  5. Non è fondata, in ragione della congruità del termine e del dovere di vigilanza dell’interessato, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento alla presunta violazione del diritto di difesa, dell’art. 327 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede la decorrenza del termine annuale per l’impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla sua comunicazione a cura della cancelleria. (Corte Cost. 9/7/2008 n. 297, Pres. Bile Rel. Finocchiaro, in Dir. e prat. lav. 2008, 2309)
  6. La doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del rito non deve essere considerata fine a sé stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa e apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale. (Cass. 13/5/2008, n. 11093, Pres. Finocchiaro Est. Talevi, in Lav. nella giur. 2008, 1057)
  7. Il canone costituzionale della ragionevole durata del process, coniugato con quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420 bis c.p.c. nel senso, confortato anche da argomenti di interpretazione letterale, che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d’appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40 del 2006) che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado d’appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, che non è quello del ricorso immediato per cassazione, il quale ove proposto deve essere dichiarato inammissibile, ma trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, è quello generale risultante dal combinato disposto dell’art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c. Pertanto non viene in rilievo l’affidamento che le parti possono avere riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell’art. 420 bis c.p.c., atteso che l’interesse a un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dall’applicabilità del secondo periodo del terzo comma dell’art. 360 c.p.c., come novellato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 40 del 2006, che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per cassazione, può essere successivamente proposto il ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. (Cass. 7/5/2008 n. 11135, Pres. Mercurio Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 953)
  8. In caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza – in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335n c.p.c. – alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati. (Cass. 4/3/2008 n. 5846, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in dir. e prat. lav. 2008, 2249)
  9. La caducazione del titolo esecutivo costituito da una sentenza di appello a seguito del suo annullamento da parte della Corte di Cassazione, pur comportando, ai sensi dell’art. 336, secondo comma, c.p.c., la perdita di efficacia degli atti della relativa procedura di esecuzione, non fa venir meno – in difetto della rinuncia delle parti – l’interesse alla definizione in sede di cassazione del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, che con riguardo a quel titolo sia stata proposta, tenuto conto dell’autonoma rilevanza di tale ultimo giudizio e delle necessità di verifica della fondatezza o meno dell’opposizione anche ai fini del regolamento delle spese processuali. (Cass. 11/10/2007 n. 21323, Pres. Ciciretti Est. Figurelli, in Lav. nella giur. 2008, 306)
  10. L’appellante non può invocare a giustificazione della tardività della proposizione del gravame (avvenuta pacificamente oltre il termine di cui all’art. 327, c. 1, c.p.c.), la previsione dell’art. 327, comma 2, c.p.c., in quanto tale norma espressamente prevede quale condizione per la proposizione tardiva dell’impugnazione la mancata conoscenza del processo per effetto non solo della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche della “nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292”, tra i quali è espressamente prevista l’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale, sul presupposto implicito, ma evidente, che in caso di regolare notificazione di tali atti la parte viene comunque a conoscenza dell’esistenza del processo nei suoi confronti anche se per ipotesi non lo fosse in precedenza per il vizio della notificazione degli atti introduttivi. (Corte app. Roma 9/6/2005, Rel. Conte, in Lav. Nella giur. 2006, 715)
  11. L’acquiescenza prevista dall’art. 329 c.p.c. è fondata sul rapporto di incompatibilità (quale reciproca esclusione) fra la volontà che è alla base di un atto- che può essere anche anteriore alla stessa sentenza – e la volontà che è alla base dell’impugnazione; conseguentemente, la predisposizione di un conteggio nel corso del giudizio di primo grado, per l’eventuale affermazione giudiziale del diritto controverso del quale si contesta la sussistenza, integrando solo un condizionato riconoscimento del “quantum”, non è incompatibile con l’impugnazione dell’”an”, né con l’impugnazione del riconoscimento delle spettanze fondato sulla negazione del diritto. Essendo l’accertamento della compatibilità giudizio di fatto, la valutazione di tali atti da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se assistita da congrua motivazione. (Cass. 19/4/2005 n. 8137, Pres. Mattone Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2005, 2061)
  12. La specificità dei motivi di appello richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. -riscontrabile direttamente anche dal giudice di legittimità, il quale può a tal fine interpretare autonomamente l’atto di appello, vertendosi in tema di “error in procedendo”- impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza impugnata, in modo che sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata. Detta individuazione non deve peraltro necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame -che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale, sia delle ragioni della doglianza, che possono essere integrate anche con il rinvio ad atti del processo già ritualmente acquisiti, i quali si presumono noti. (Cass. 27/1/2004 n. 1456, Pres. Sciarelli Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2004, 1636)
  13. La motivazione per relationem ad altre decisioni deve considerarsi carente o meramente apparente – e come tale censurabile in sede di legittimità – quando il decisum si fondi, come nella specie, esclusivamente sul mero rinvio a precedenti o a massime giurisprudenziali richiamati in modo acritico e non ricollegati espressamente alla fattispecie controversa, di talchè sia impedito un controllo sul procedimento logico seguito dal giudice proprio per l’impossibilità di individuare la ratio decidendi della sentenza. Nel caso di specie, il rinvio ha esaurito la motivazione della sentenza, poiché i giudici di appello hanno fatto riferimento solo ad una propria precedente decisione, relativa ad una controversia simile a quella sub iudice. Non può costituire, infatti, integrazione della motivazione la semplice considerazione, non motivata, secondo la quale la indennità di trasferta, come la indennità speciale ed i compensi per lavoro straordinario, in quanto aventi natura continuativa, fanno parte della retribuzione e devono considerarsi come “retribuzione globale di fatto” e, quindi, anche come base di calcolo della tredicesima, ferie e trattamento di fine rapporto. (Cass. 17/1/2004 n. 662, Pres. Ciciretti Rel. Filadoro, in Lav. e prev. oggi 2004, 708)
  14. Nel rito del lavoro, la norma relativa al decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione del giudizio d’appello non prescrive che l’atto debba contenere l’avvertimento al convenuto, previsto per il procedimento innanzi al tribunale dall’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., circa le conseguenze di una tardiva costituzione, né tale previsione è desumibile da un principio generale proprio dell’ordinamento processuale, atteso che, oltre alla diversità della forma dell’introduzione del giudizio con ricorso, nel giudizio d’appello, destinato a svolgersi nell’ambito degli accertamenti di fatto già acquisiti in primo grado, non opera lo stesso sistema di preclusioni e decadenze che caratterizza la prima istanza, sicché non si può neppure prospettare un’analoga esigenza di salvaguardia del diritto di difesa. (Cass. 18/10/2002, Pres. Ciciretti, Rel. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2003, 182)
  15. Allorché sono convenute in giudizio più parti e le cause siano inscindibili o tra loro dipendenti, la notificazione al ricorrente della sentenza ad iniziativa di una sola delle parti convenute fa decorrere il termine breve per l’impugnazione anche nei confronti dell’altra parte con conseguente inammissibilità dell’appello proposto fuori termine. (Corte d’appello Milano 25/9/2002, Pres. e rel. Mannacio, in Lav. nella giur. 2003, 390)
  16. Nel caso in cui la sentenza sia fondata su una pluralità di ragioni tra loro distinte e autonome, ciascuna logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, l’omessa specifica impugnazione di tutte tali ragioni rende inammissibile la censura su alcuna di esse, la quale non potrebbe mai condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre ragioni non impugnate, all’annullamento della decisione (Cass. 24/5/99 n. 5048, pres. Buccarelli, est. Mercurio, in D&L 1999, 921)

 

 

Appello

  1. Il giudice, fin dal primo grado e dunque anche in appello, deve esercitare il proprio potere-dovere di integrazione probatoria, ex officio, con l’acquisizione della documentazione offerta contestualmente con l’atto di impugnazione sulla base di allegazione effettuata già in primo grado, laddove tale documentazione sia indispensabile per provare i fatti costitutivi, motivando sulla decisività delle produzioni; con applicazione dell’affermato principio anche in riferimento alle prove orali. (Cass. 23/4/2021 n. 10878, Pres. Manna Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2021, 761)
  2. Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra tuttavia l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la propria diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (Cass. 4/11/2020 n. 24604, Pres. Manna Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2021, 195)
  3. Nel processo del lavoro in grado di appello il termine che il giudice (qualora constati la nullità della notifica del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza) deve assegnare all’appellante per rinnovare la notifica ha carattere perentorio, pertanto, qualora non sia rispettato, l’appello deve essere dichiarato improcedibile, anche qualora l’appellato, per effetto della notifica, si sia comunque costituito in giudizio. (Cass. 5/10/2020 n. 21298, Pres. Berrino Rel. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 81)
  4. L’ordinanza di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., deve essere pronunciata dal giudice competente prima di procedere alla trattazione della causa, sicché la stessa, ove emessa successivamente, risultando viziata per violazione della legge processuale, è affetta da nullità. Tale principio si applica anche nel rito del lavoro – nel quale la pronuncia dell’ordinanza in questione deve collocarsi prima di ogni altra attività, immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti nel giudizio di appello – giacché, da un lato, l’art. 436-bis c.p.c., nell’estendere all’udienza di discussione la disciplina degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., non contiene alcuna proposizione che faccia riferimento ad una misura di compatibilità di detta disciplina con i tratti peculiari del rito speciale e, dall’altro, l’udienza di discussione, pur nella sua formale unicità, può scindersi in frazioni o segmenti successivi ordinatamente volti a configurare momenti distinti, ciascuno connotato da una specifica funzione processuale, con l’effetto di definire il luogo del compimento, da parte del giudice, di singole attività. (Cass. 1/6/2020 n. 10409, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2020, 990, e in Lav. nella giur. 2021, con nota di A. Casalino, Il filtro dell’appello nel rito del lavoro: ultimo atto, 235)
  5. La notifica del ricorso in appello in riassunzione effettivamente intervenuta, ma senza il rispetto dei termini di cui all’art. 435 c.p.c., co. 3, è sempre sanabile con l’assegnazione all’attore di nuovo termine per la rinotifica. (Cass. 6/2/2019 n. 3482, Pres. Di Cerbo Rel. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G.S. Vigorita, “È sempre sanabile la notifica nulla del ricorso in appello”, 704)
  6. Nel rito del lavoro l’inosservanza, in sede di appello, del termine dilatorio a comparire non è configurabile come vizio di forma e di contenuto dell’atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l’impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell’udienza di comparizione è fissato dalla parte, considerato altresì, che tale giorno è fissato, nel rito del lavoro, dal giudice con il suo provvedimento. Pertanto, tale inosservanza non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione di un principio generale dell’ordinamento, riferibile a ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili “ex tunc”, con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall’art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all’atto di raggiungere lo scopo cui è destinato, ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all’ufficiale giudiziario o alla parte istante. (Cass. 10/10/2016 n. 20335, Pres. Macioce Rel. Torrice, in Lav. nella giur. 2017, 194)
  7. In tema di motivazione per relationem, è meramente apparente la motivazione che non permetta di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato, sì che ne riesce integrata una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto al giudice dall’art. 132 c.p.c., n. 4, di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione (nella specie, è stata cassata la sentenza di appello che, nel condividere l’opzione interpretativa operata dal giudice di primo grado in tema di liquidazione della disoccupazione agricola, oltre a contenere un richiamo meramente assertivo alla giurisprudenza, non aveva esplicitato la normativa esaminata dal tribunale in tema di liquidazione della disoccupazione agricola, gli elementi fattuali accertati e presi in esame, i motivi di doglianza sollevati dall’appellante e le ragioni del dissenso dell’altra parte, la narrativa dello svolgimento del processo). (Cass. 3/6/2016 n. 11508, Pres. Bronzini Est. Doronzo, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di D. Girardi, “Sui motivi per relationem, fra motivazione apparente e apparente scomparsa del vizio logico ex art. 360, n. 5, c.p.c.”)
  8. In tema di ammissibilità della motivazione per relationem, ove la stessa richiami un orientamento giurisprudenziale, vi deve essere un esplicito riferimento al precedente che, anche se non ritrascritto nelle sue parti significative, sia tale da consentire di enucleare, attraverso la sua lettura, il percorso logico-giuridico seguito ad una certa decisione. (Cass. 3/6/2016 n. 11508, Pres. Bronzini Est. Doronzo, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di D. Girardi, “Sui motivi per relationem, fra motivazione apparente e apparente scomparsa del vizio logico ex art. 360, n. 5, c.p.c.”)
  9. L’art. 434, co. 1, c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54, co. 1, lett. c-bis del d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni dell’appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impongono di circoscrivere l’ambito del gravame in modo chiaro ed esauriente non solo con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono, nonché di individuare le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice e di esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte. (Cass. 2/2/2015 n. 2143, Pres. Macioce Est. Ghinoy, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota Silvia Izzo, “Forma e contenuto dell’atto di appello del rito del lavoro secondo la (primissima) giurisprudenza di legittimità”, 503)
  10. Allorché la Corte di merito abbia accertato, per la prima volta in quella sede, che, nella fattispecie, non era emersa la prova dell’avvenuta ricezione, da parte del lavoratore, della missiva contenente la contestazione disciplinare propedeutica al successivo licenziamento, non è ravvisabile alcuna violazione dello ius novorum in appello, e neppure alcuna ultra-petizione o alcuna violazione del principio del contraddittorio, qualora il lavoratore abbia comunque, anche genericamente, già affermato in primo grado di non avere ricevuto la comunicazione, e in sede di appello abbia poi svolto, per la prima volta, semplici ulteriori deduzioni su elementi di fatto già acquisiti e già oggetto di contraddittorio tra le parti. (Cass. 21/11/2014 n. 24886, Pres. Macioce Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2015, 195)
  11. In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice. (Cass. 10/6/2014 n. 13054, Pres. Miani Canevari Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, 921)
  12. L’interesse all’impugnazione, quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla contraddizione della stessa, dall’art. 100 c.p.c., deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame. Occorre quindi valutare la sussistenza di un interesse identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, mediante la rimozione della statuizione censurata e non già di un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica. Inoltre, tale interesse deve sussistere non solo al momento in cui è proposta l’azione, o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione. (Cass. 11/3/2014 n. 5581, Pres. Miani Canevari Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2014, 603)
  13. In ipotesi di responsabilità solidale tra coobbligati, si verte in causa scindibile (art. 332 c.p.c.), cosicché, l’appello proposto da uno soltanto dei condannati in solido non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del coobbligato non appellante, qualora, nei suoi confronti, siano decorsi i termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. (Cass. 20/12/2013 n. 28564, Pres. Stile Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2014, 279)
  14. La morte del procuratore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche qualora il giudice e le altre parti non ne hanno avuto conoscenza, con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza. Ne consegue che, nel processo del lavoro, se l’evento interviene dopo il deposito in cancelleria del ricorso in appello, ma antecedentemente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione ex art. 435 cod. proc. civ., e sebbene si tratti di una fase dinamica del processo, scandita da adempimenti assoggettati a preclusioni, la notifica di ricorso e decreto al difensore deceduto dell’appellato non è idonea all’instaurazione di un regolare contraddittorio, risultando altrimenti vulnerato il diritto di difesa dell’appellato, essendo impossibile l’adempimento del dovere di informazione gravante sul procuratore, ai fini della valutazione dell’opportunità di costituirsi in giudizio proponendo, eventualmente, un’impugnazione incidentale. (Cass. 28/10/2013 n. 24271, Pres. Roselli Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2014, 80, e in Lav. nella giur. 2014, con commento di Antonio Scarpa, 572)
  15. Nel rito del lavoro, in deroga al generale di vieto di nuove prove in appello, è possibile l’ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d’ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa o siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per “indispensabilità” delle nuove prove a una loro “influenza causale più incisiva” rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto “rilevanti”, ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano a un esito “necessario” della controversia. (Cass. 9/9/2013 n. 20614, Pres. Lamorgese Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2013, 1121)
  16. Il requisito per l’ammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello a norma dell’art. 345 comma 3 c.p.c., e cioè la verifica da parte del giudice dell’indispensabilità dello stesso – requisito posto dalla legge per escludere che il potere del giudice venga esercitato in modo arbitrario – non richiede necessariamente un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione dell’ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di appello, dalla quale risulti, anche per implicito, la ragione per la quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio (nella fattispecie è stata cassata la sentenza impugnata, atteso che mancava del tutto la valutazione di indispensabilità, avendo la Corte di merito esplicitamente ritenuto soltanto “opportuna per motivi di completezza” l’ammissione della documentazione prodotta per la prima volta in appello). (Cass. 22/11/2012 n. 21117, Pres. Oddo Rel. San Giorgio, in Lav. nella giur. 2013, 194)
  17. Nelle ipotesi in cui il vizio di rito denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c., è necessario, in virtù di una loro lettura costituzionalmente orientata, stante l’art. 111 Cost., così come interpretato in modo concorde da dottrina e giurisprudenza, che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tale ipotesi, l’appello fondato esclusivamente sui vizi di rito è inammissibile oltre che per carenza di interesse anche per mancata corrispondenza al modello legale di impugnazione. (Cass. 25/9/2012 n. 16272, Pres. Trifone Rel. Uccella, in Lav. nella giur. 2012, 1214)
  18. L’appellante, che abbia richiesto ai fini della notifica, e poi anche ritirato, copia autentica del ricorso depositato, recante in calce il decreto presidenziale di fissazione del’udienza, acquisisce in tal modo una conoscenza legale del decreto stesso, in tutto equipollente alla conoscenza che gli sarebbe derivata dalla comunicazione del decreto mediante biglietto di cancelleria, caratterizzata dagli stessi requisiti di certezza di avvenuta consegna della copia e di individuazione del destinatario. (Cass. 11/6/2012 n. 9421, Pres. Vidiri Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2012, 816)
  19. Qualora il lavoratore abbia dedotto, con il ricorso introduttivo di primo grado, l’illegittimità del licenziamento disciplinare, sostenendo l’insussistenza o l’irrilevanza dei fatti addebitatigli, costituisce inammissibile mutamento della domanda, la richiesta in appello di accertamento della illegittimità del medesimo licenziamento anche per consumazione del potere disciplinare, in quanto gli stessi fatti posti a fondamento del licenziamento sarebbero già stati oggetto di una precedente contestazione disciplinare, già seguita dalla irrogazione di una meno grave sanzione disciplinare. Quando un medesimo danno sia stato provocato da più lavoratori, per inadempimenti contrattuali diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il datore di lavoro danneggiato, questi lavoratori non possono essere considerati corresponsabili in solido ai sensi dell’art. 2055 c.c., norma dettata solo per la responsabilità extracontrattuale: occorrerà invece accertare per ciascuno di essi il nesso di causalità con l’evento dannoso complessivo e quindi la concreta incidenza dell’inadempimento di ciascuno (la Corte si è così pronunciata nella controversia fra un direttore di filiale e l’Istituto di credito, relativamente alle richieste risarcitorie avanzate dalla banca per i danni subiti dalle perdite conseguenti alle incaute aperture di credito autorizzate dal direttore). (Cass. 28/5/2012 n. 8293, Pres. Roselli Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2012, 818)
  20. Il provvedimento (nella specie un’ordinanza) mediante il quale il giudice decide sulla questione concernente la richiesta di chiamata in giudizio di un terzo, da cui la parte richiedente intende essere manlevata, ha comunque natura sostanziale di sentenza. Ne consegue che avverso tale provvedimento, ai sensi dell’art. 340 c.p.c., occorre proporre gravame immediato o fare riserva di appello differito. Qualora non si ottemperi a tale onere, l’appello sul punto deve ritenersi precluso. (Cass. 11/7/2011 n. 15156, Pres. Vidiri Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2011, 949)
  21. L’art. 345, comma 3, c.p.c. deve essere interpretato nel senso che, fermo restando, sul piano generale, il principio dell’inammissibilità dei nuovi mezzi di prova e quindi anche delle produzioni documentali, il giudice di appello è abilitato ad ammettere, in sede di gravame, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non aver potuto proporre per causa a esse non imputabile, solo quelle prove che ritenga nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite indispensabili in quanto suscettibili di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia; l’indispensabilità, in definitiva, deve essere intesa come capacità di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo, talvolta, per giungere a un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il primo. (Cass. 21/6/2011 n. 13606, Pres. Amatucci Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2011, 841)
  22. Poiché nel rito del lavoro la tempestività dell’appello va riscontrata con riguardo alla data di deposito del ricorso introduttivo presso la cancelleria del giudice, quando il suddetto deposito sia avvenuto entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata, la successiva notificazione va fatta al procuratore costituito e non alla parte personalmente. (Cass. 26/4/2011 n. 9344, Pres. Miani Canevari Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2011, 736)
  23. Nel rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi degli art. 167, comma 1, e 416, comma 3, c.p.c., e tale onere opera anche quando il convenuto contesti “in radice” la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardive e inammissibile. (Cass. 18/2/2011 n. 4051, Pres. Vidiri Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2011, 518)
  24. Nel rito del lavoro, l’appellante che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per l’accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quanto detta riproduzione è insita nella istanza di accoglimento delle domande, mentre la parte vittoriosa in primo grado, non riproponendo alcuna richiesta di riesame della sentenza, a essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificatamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova. (Cass. 11/2/2011 n. 3376, Pres. La Terza Rel. Nobili, in Lav. nella giur. 2011, 519)
  25. L’art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010 non trova applicazione ai giudizi in grado di appello, in considerazione del testo normativo, che appare compatibile solo con i procedimenti in primo grado. (Corte d’app. Roma 11/1/2011, Pres. Cortesani Rel. Delle Donne, in Lav. nella giur. 2011, 418)
  26. Nel giudizio d’appello è onere della parte produrre in giudizio il proprio fascicolo di primo grado, essendo esclusa la trasmissione al secondo giudice, unitamente al fascicolo d’ufficio, anche dei fascicoli di parte, con la conseguenza che la sua mancata acquisizione non vizia né il procedimento di secondo grado, né la relativa sentenza. (Corte app. Bologna, 8/6/2010, Pres. Molinaro, in Lav. Nella giur. 2010, 1051)
  27. Nel regime precedente alla modifica dell’art. 2504 bis c.c. a opera del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, la fusione di società determina una situazione giuridica corrispondente alla successione universale e produce l’estinzione delle società partecipanti alla fusione o della società incorporata, nonché la contestuale sostituzione nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti a esse capo; ne consegue che la società risultante dalla fusione, con altre società, della società originariamente convenuta in giudizio è legittimata, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., a costituirsi nel giudizio di primo grado e a proporre appello avverso la sentenza di quel grado a sé sfavorevole, a nulla rilevando che contestualmente alla fusione vi sia stato anche il trasferimento di un ramo d’azienda della società originariamente convenuta, in quanto tale trasferimento non determina il venir meno della legittimazione della società risultante dalla fusione, ma comporta soltanto che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., si aggiunge a essa la legittimazione della società cessionaria, quale successore a titolo particolare (fattispecie relativa al licenziamento di un funzionario di banca dipendente da una società che, nel corso del giudizio di primo grado, si era fusa con altre società e la cui attività, contestualmente alla fusione, era stata trasferita a terzi, con atto di cessione d’azienda). (Cass. 22/3/2010 n. 6845, Pres. Roselli Est. Amoroso, in Orient. giur. lav. 2010, 507)
  28. Ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuto ritiro del fascicolo di una parte – che, come il successivo ri-deposito, deve necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l’incartamento processuale – il giudice non può rigettare una domanda, o un’eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve ritenere che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e quindi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l’avvenuto deposito. Conseguentemente il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento. Soltanto all’esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice protrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione. (Nella specie, relativa alla mancanza dell’intero fascicolo processuale delle parti e, in correttamente, il giudice d’appello avesse – da un lato – dichiarato la nullità del ricorso introduttivo del giudizio per mancanza della prova della valida formulazione della domanda, a nulla rilevando che la stessa fosse stata accolta dal giudice di primo grado, non potendo, detta circostanza, esentare la parte a fornire la relativa prova ove la validità sia oggetto di espressa contestazione, e – dall’altro – rigettato il motivo di appello formulato dalla controparte relativo al rigetto, nel merito, della domanda riconvenzionale attesa l’assenza del presupposto per l’accoglimento). (Cass. 12/12/2008 n. 29262, Pres. Cuoco Est. Napoletano, in Lav. nella giur. 2009, 405)
  29. Nel rito del lavoro, la denuncia con motivo di appello dell’omesso esame di circostanze di fatto attinenti alla domanda, originariamente non conosciute dal datore di lavoro e legittimamente emerse nel corso dell’istruttoria, non costituisce eccezione o domanda nuova ai sensi dell’art. 437 c.p.c., né è preclusa da decadenze realizzatesi ai sensi degli artt. 414, 416 e 420 c.p.c. (Cass. 5/11/2008 n. 26592, Pres. Ravagnani Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2009, 295, e in Giur. it. 2009, 2253)
  30. Laddove si introduca nel giudizio di primo grado una domanda avente come unico oggetto la tutela accordata dall’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori e, quindi, volta a sentir dichiarare la nullità di uno (o più) atti discriminatori per motivi sindacali, non è poi possibile in appello domandare (pur per gli stessi fatti) la condanna datoriale per mobbing. (Cass. 11/9/2008 n. 22893, Pres. Mattone Est. Stile, in Lav. nella giur. 2009, 76)
  31. Nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo ex art. 111, comma, 2, cost. – al giudice di assegnare, ex art. 421 c.p.c., all’appellante un termine perentorio per provvedere a una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c. (Cass. Sez. Un. 30/7/2008 n. 20604, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Guerino Guarnieri, “Notifica del ricorso in appello: svolta rigorosa delle S.U. e della Sezione lavoro”, 33), e in Orient. giur. lav. 2008, 815)
  32. Nel rito del lavoro la tardività dell’istanza di chiamata in causa del terzo, non formulata nella memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c., ma nella prima udienza, deve essere rilevata d’ufficio, onde il giudice di appello, al quale sia stata proposta dal chiamato, rimasto contumace in primo grado, la relativa eccezione di irritualità della propria chiamata, non può ritenere preclusa tale eccezione perché non sollevata dalla parte o non rilevata dal giudice nel grado precedente. (Cass. 15/7/2008 n. 19480, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Lav. nella giur. 2009, 80, e in Dir. e prat. lav. 2009, 457)
  33. Qualora la sentenza di primo grado si fondi su due distinte rationes decidendi ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, l’appellante ha l’onere di impugnare espressamente entrambe le statuizioni, giacché in mancanza la motivazione non censurata deve ritenersi passata in giudicato (nella specie il Giudice di primo grado aveva annullato il licenziamento sia per violazione dell’art. 7 SL, sia per insussistenza della giusta causa, ma la Corte d’Appello – rilevato che la prima argomentazione non era oggetto di impugnazione – ha ritenuto non necessario esaminare la seconda). (Corte app. Potenza 28/5/2008, Pres. Ferrone Est. Stassano, in D&L 2008, 1061)
  34. Il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, coniugato con quello della immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420-bis c.p.c. nel senso, confortato anche da argomenti di interpretazione letterale, che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello di appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40/2006) che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado di appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado di appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420-bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, che non è quello del ricorso immediato per cassazione, il quale ove proposto deve essere dichiarato inammissibile, ma, trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, è quello generale risultante dal combinato disposto dell’art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c. Pertanto non viene in rilievo l’affidamento che le parti possono avere riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell’art. 420-bis c.p.c., atteso che l’interesse a un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dall’applicabilità del secondo periodo del terzo comma dell’0art. 360 c.p.c., come novellato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 40/2006, che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili per cassazione, può essere successivamente proposto il ricorso per cassaziobne, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. (Cass. 7/5/2008 n. 11135, Pres. Mercurio Est. Amoroso, in Dir. e prat. lav. 2008, 2658)
  35. L’art. 420 bis c.p.c. trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e conseguentemente deve essere dichiarato inammissibile il ricorso immediato proposto contro una sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo emessa in grado di appello. Tale sentenza rientra peraltro a pieno titolo nella categoria delle sentenze che decidono su questioni, senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, e pertanto, ai sensi del terzo comma dell’art. 360 c.p.c., contro di esa può essere successivamente proposto ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio. (Cass. 20/3/2008 n. 7599, Pres. Mercurio Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 726)
  36. In caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza – in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335 c.p.c. – alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati. (Cass. 4/3/2008 n. 5846, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2008, 728)
  37. Poiché la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridich, devolute al giudice, dei fatti che il datore di lavoro ha posto a base del recesso, la impugnazione della sentenza di primo grado che ha dichiarato la legittimità o illegittimità del licenziamento per sussistenza o insussistenza della giusta causa comprende la minor domanda relativa alla declaratoria della legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, e abilita il giudice di appello a pronunciarsi in tal senso anche in mancanza di espressa richiesta della parte, senza che vi sia lesione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 17/1/2008 n. 837, Pres. Mercurio Rel. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 1880)
  38. In applicazione del principio della ragionevole durata del processo, nel caso di omessa notifica del ricorso in appello in materia di lavoro (così come quello in opposizione a decreto ingiuntivo), il giudice non può applicare l’art. 291, 1° comma, c.p.c. e assegnare un nuovo termine per la notifica, ma deve dichiarare l’improcedibilità del giudizio, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata o del decreto ingiuntivo opposto; trattandosi tuttavia di questione altamente controvertibile è opportuna la rimessione alle Sezioni Unite. (Cass. 3/10/2007 n. 20721, ord. interlocutoria, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Ilaria Cappelli, “Appello e opposizione a decreto ingiuntivo: si riapre la questione del termine perentorio per la notifica”, 341)
  39. Il termine acceleratorio che impone all’appellante di notificare il ricorso entro dieci giorni dal deposito del decreto di fissazione dell’udienza di discussione deve considerarsi perentorio, sicché in caso di nullità della notifica per violazione del termine minimo a comparire il giudice deve dichiarare l’improcedibilità dell’appello; trattandosi comunque di questione altamente controvertibile è opportuna la rimessione alle Sezioni Unite. (Cass. 3/10/2007 n. 20721, ord. interlocutoria, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Ilaria Cappelli, “Appello e opposizione a decreto ingiuntivo: si riapre la questione del termine perentorio per la notifica”, 341)
  40. Nel caso che il rapporto giuridico sia sottoposto a nuova regolazione legislativa nell’intervallo tra il giudizio di primo e secondo grado, non costituisce nuova eccezione in appello (vietata dall’art. 437 c.p.c.) ma mera difesa la deduzione di infondatezza della domanda alla stregua del nuovo contesto normativo. Peraltro, la valutazione dello “ius superveniens” e della sua incidenza sulla controversia è operabile dal giudice d’ufficio, costituendo detta valutazione un suo preciso dovere, e a prescindere dall’eccezione del convenuto. (Cass. 27/7/2008 n. 16673, Pres. Sciarelli Est. Morcavallo, in Dir. e prat. lav. 2008, 1304)
  41. Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione dell’appello si perfeziona, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., con il deposito del ricorso, che determina la litispendenza del gravame, cui segue il decreto di fissazione dell’udienza e, nei termini, la notifica, che, ove sia richiesta da difensore che non risulta officiato, potrà essere nulla, ma non elimina gli effetti della litispendenza. Pertanto la costituzione dell’appellato sana la irrituale notifica dell’atto di appello e del decreto mediante il raggiungimento dello scopo dell’atto. (Cass. 12/3/2007 n. 5699, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in Lav. nella giur. 2007, 1139)
  42. Nel caso che il rapporto giuridico sia sottoposto a nuova regolazione legislativa nell’intervallo tra il giudizio di primo e secondo grado, non costituisce nuova eccezione in appello (vietata dall’art. 437 c.p.c.) ma mera difesa la deduzione di infondatezza della domanda alla stregua del nuovo contesto normativo. Peraltro, la valutazione dello ius superveniens e della sua incidenza sulla controversia è operabile dal giudice d’ufficio, costituendo detta valutazione un suo preciso dovere, e a prescindere dall’eccezione del convenuto. (Cass. 27/7/2007 n. 16673, Pres. Sciarelli est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2008, 187)
  43. Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione dell’appello si perfeziona, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., con il deposito del ricorso, che determina la litispendenza del gravame, cui segue il decreto di fissazione dell’udienza e, nei termini, la notifica, che, ove sia richiesta da difensore che non risulta officiato, potrà essere nulla, ma non elimina gli effetti della litispendenza. Pertanto la costituzione dell’appellato sana la irrituale notifica dell’atto di appello e del decreto mediante il raggiungimento dello scopo dell’atto. (Cass. 12/3/2007 n. 5699, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in Lav. nella giur. 2007, 1139)
  44. Il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, coniugato con quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420-bis c.p.c. nel senso, confortato anche da argomenti di interpretazione letterale, che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d’appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.Lgs. n. 40 del 2006) che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, ove resa in grado di appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, che non è quello del ricorso immediato per cassazione, il quale ove proposto deve essere dichiarato inammissibile, ma, trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, è quello generale risultante dal combinato disposto dell’art. 360, comma 3, e 361, comma 1, c.p.c. Pertanto non viene in rilievo l’affidamento che le parti possono aver riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell’art. 420 bis c.p.c., atteso che l’interesse a un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dall’applicabilità del secondo periodo del comma 3 dell’art. 360 c.p.c., come novellato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 40 del 2006, che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per cassazione, non può essere successivamente proposto il ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorchè sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio. (Cass. 7/3/2007 n. 5230, Pres. Ianniruberto Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Guerino Guarnieri, 913)
  45. L’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, con l’effetto che tale definizione della suddetta eccezione, pur comportando conseguenze in ordine alla rilevabilità ex officio e alla diversa configurabilità dell’onere di proposizione, non determina tuttavia la facoltà di produrre per la prima volta in appello il documento attestante l’avvenuta interruzione, ove una qualche prova in merito non sia stata acquisita nè il fatto interruttivo sia stato allegato in primo grado (principio affermato in controversia concernente opposizione avverso cartella esattoriale per il pagamento di contributi previdenziali nella gestione commercianti dei quali era stato omesso il versamento per un periodo asseritamente prescritto, ex art. 3, L. n. 335 del 1995, in assenza di validi atti interruttivi). (Cass. 22/2/2007 n. 4135, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2007, 1140)
  46. La parte vittoriosa nel merito, la quale, in caso di gravame del soccombente, chieda la conferma della decisione impugnata, eventualmente anche in base a una diversa soluzione delle questioni proposte nel precedente grado di giudizio, difetta di interesse alla proposizione dell’impugnazione incidentale e ha soltanto l’onere di riproporre dette questioni – ivi compresa quella nascente da eccezione di difetto di giurisdizione, che sia stata espressamente esaminata e respinta dal giudice del precedente grado -, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., per superare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo. (Cass. 19/2/2007 n. 3717, Pres. Prestipino Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2007, 1141)
  47. In tema di produzione di nuovi documenti in grado di appello nel rito del lavoro, ove sia in discussione una condotta permanente, quale, nella specie, il rifiuto del datore di lavoro di adibire il lavoratore già sospeso, alle mansioni di guardia particolare giurata, il mancato raggiungimento della prova, in primo grado, della mancanza nel dipendente delle necessarie autorizzazioni di polizia, dedotta dal datore di lavoro, non può essere superata da una tardiva produzione documentale in appello; pur tuttavia la natura permanente della condotta del datore di lavoro (e le conseguenze retributive o risarcitorie dalla stessa derivanti) deve indurre il giudice di secondo grado a valutare se un documento, formato successivamente al maturarsi delle preclusioni, sia o meno indispensabile ai fini della decisione della causa, limitando la responsabilità del convenuto alla data della decisione di primo grado, in applicazione dell’art. 437, 2° comma, c.p.c. (La S.C., in applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 8202 del 2005, ha ritenuto la decisione della Corte territoriale, secondo cui non era stata fornita in primo grado la prova della permanente sospensione delle autorizzazioni di polizia per l’esercizio dell’attività di guardia giurata all’epoca in cui il dipendente aveva offerto la ripresa della prestazione, congruamente motivata per avere escluso che una prova, tardivamente offerta in appello, potesse ovviare alla decadenza verificatasi in primo grado, ed errata, invece, nel non aver consentito la produzione di un documento formato successivamente alla sentenza di primo grado, attestante la mancanza delle autorizzazioni di polizia, al solo fine di limitare la responsabilità datoriale, per la mancata adibizione del lavoratore alle sue mansioni di guardia giurata, al momento della decisione di primo grado. La S.C. ha, inoltre, cassato la decisione della Corte territoriale per aver ritenuto tardiva la prova richiesta dal datore di lavoro, in appello, sull’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni diverse da quelle di guardia giurata, ma alle stesse equivalenti, questione insorta solo a seguito della sentenza di primo grado, che aveva introdotto d’ufficio la diversa utilizzazione del lavoratore, da questi mai prospettata giacchè limitatosi a chiedere di essere adibito alle sue mansioni). (Artt. 345, 416 e 437 c.p.c.; art. 2697 c.c.). (Cass. 17/11/2006 n. 24459, Pres. Ciciretti Rel. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2007, 1597) e in Lav. nella giur. 2007, 520)
  48. Nel rito del lavoro, il rigoroso sistema delle preclusioni che regola in eguale modo sia l’ammissione delle prove costituite che di quelle costituende trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (nella specie, in applicazione del principio soprariportato, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo l’operato del giudice d’appello, che aveva acquisito agli atti la documentazione degli uffici postali necessaria al fine di accertare la veridicità delle deduzioni del lavoratore circa la tempestività dell’impugnativa del licenziamento, in replica all’eccepita decadenza per intempestività dell’atto di impugnazione). (Cass. 9/11/2006 n. 23882, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Giust. civ. 2007, 388)
  49. Il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domende ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità – senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, una posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni) risolte in senso a essi sfavorevole; tuttavia, mentre il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l’appello, la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione, mancanza che ben può essere imputata anche alla parte contumace. (Artt. 343, 346, 436 c.p.c.). (Cass. 13/9/2006 n. 19555, Pres. Mercurio Est. Battimiello, in Dir. e prat. lav. 2007, 1049)
  50. Ai sensi degli artt. 276, 420 e 437 c.p.c., il principio della immodificabilità del collegio giudicante trova applicazione anche nel rito del lavoro, ma solo dal momento in cui inizia la discussione vera e propria, sicchè solo la decisione della causa da parte di un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione può dare luogo a nullità della sentenza, non rilevando, invece, una diversa composizione del collegio che abbia assistito a precedenti udienze di trattazione; entro questi limiti, l’eventuale mancanza di un formale decreto che designa presidente o componenti del collegio costituisce una semplice irregolarità formale, relativa a un atto interno, e non determina alcun vizio della sentenza, anche a voler prescindere dal principio di tassatività delle nullità, secondo cui l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge. (Artt. 174, 276, 420 e 437 c.p.c.). (Cass. 10/8/2006 n. 18156, Pres. de Luca Est. de Luca, in Dir. e prat. lav. 2007, 1010)
  51. Il requisito della specificità dei motivi di appello implica la necessità che la esposizione dell’appellante consenta di individuare con chiarezza le statuizioni investite del gravame e le specifiche critiche a esse indirizzate; ne consegue che, se non è sufficiente un generico richiamo alle difese svolte nel giudizio di primo grado, può risultare la specifica riproposizione delle stesse difese. (Cass. 7/6/2005 n. 11781, Pres. Mercurio Est. De Luca, in Giust. Civ. 2006, 873)
  52. Non configura una nuova eccezione ma un’ulteriore difesa, come tale esclusa dal divieto di cui all’art. 437 cod. proc. Civ., la deduzione in appello da parte del datore di lavoro – nell’ambito di una controversia relativa alla legittimità dell’apposizione dei termini nel contratto di lavoro – della legittimità del contratto sulla base dell’art. 1, lett.c), della L. n. 230 del 1962, laddove in primo grado aveva invocato l’art. 23 della L. n. 56 del 1987, atteso che la disciplina del contratto a termine delineata dalle due suddette leggi, in cui la seconda opera sul medesimo piano di quella generale dettata dalla prima, costituisce un sistema unico. (Cass. 11/5/2005 n. 9899, Pres. Sciarelli Est. Vigolo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 485)
  53. Il divieto di proporre in sede d’appello nel rito ordinario nuovi mezzi di prova sancito dall’art. 345, comma 3, c.p.c., si applica anche ai documenti. In conformità del disposto degli artt. 163 e 166 c.p.c., richiamati dagli art. 342 e 347 c.p.c., la produzione nel giudizio d’appello dei documenti ammissibili, in base all’art. 345, comma 3, c.p.c., deve essere effettuata dalle parti, a pena di decadenza, mediante la specifica indicazione dei documenti stessi nei rispettivi atti introduttivi. (Cass. 20/4/2005 n. 8203, Pres. Carbone Est. Vidiri, Giust. Civ. 2006, 143)
  54. Nel rito del lavoro, richiamato per le controversie in materia di locazione dall’art. 477-bis c.p.c., il divieto di nuove eccezioni in appello stabilito dal secondo comma dell’art. 437 c.p.c. concerne soltanto le eccezioni in senso proprio relative a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatto valere in giudizio, non rilevabili d’ufficio, e non anche le cosiddette eccezioni improprie o mere difese, dirette soltanto a negare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda o a contestare il valore probatorio dei mezzi istruttori esperiti in primo grado su istanza di parte o d’ufficio dal giudice. Il predetto divieto non incide quindi sul potere-dovere del giudice d’appello di riesaminare e di valutare autonomamente, nei limiti segnati dai motivi di impugnazione, le risultanze istruttorie ai fini del riesame della controversia alla stregua delle censure prospettate dall’appellante. (Cass. 14/7/2004 n. 13076, Pres. Vittoria Rel. Purcaro, in Lav. e prev. oggi 2004, 2037)
  55. Il provvedimento pronunciato in forma di ordinanza con il quale il giudice di appello (in controversia soggetta al rito del lavoro) dichiari l’improcedibilità dello stesso per la mancata comparizione dell’appellante, ha natura di sentenza, definendo una questione pregiudiziale attinente al processo, con conseguente ricorribilità in Cassazione ed obbligo della pronunzia sulle spese processuali a norma dell’ar. 91 c.p.c. (ord., Preas. Ianniruberto Rel. Lo Piano, in Lav. nella giur. 2004, 801)
  56. Nel rito del lavoro, ove l’inattività delle parti in appello si verifichi all’udienza prevista dall’art. 437 c.p.c., si deve fare riferimento, rispettivamente, agli artt. 181 (richiamato nel giudizio di secondo grado dall’art. 359 c.p.c.) e 348 c.p.c., a seconda che nell’udienza in questione non siano presenti entrambe le parti o sia presente il solo appellato, fermo restando che in entrambe le ipotesi non è consentita l’immediata decisione della causa, dato che questa deve essere rinviata ad una nuova udienza, da comunicarsi nei modi previsti dalla legge. (Cass. 10/12/2003 n. 18877, Pres. Mercurio Rel. Amoroso, in Dir. e prat. lav. 2004, 978)
  57. L’eccezione di aliunde perceptum (da considerarsi eccezione c.d. in senso lato) può essere formulata anche in grado di appello qualora il fatto della nuova occupazione sia allegato al processo ad opera di una delle parti e sia sopravvenuto rispetto alla prima udienza, oppure qualora, se non sopravvenuto, la parte dimostri di non averlo potuto tempestivamente dedurre. (Corte d’appello Potenza 4/12/2003, Pres. Scermino Est. Di Nicola, in D&L 2004, 197)
  58. Il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non avvenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo; a tal fine occorre peraltro che questa seconda impugnazione risulti tempestiva , e tale requisito deve essere verificato con riferimento non solo al termine annuale, ma anche al termine breve, il quale decorre, in mancanza di anteriore notifica della sentenza appellata, dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. (Cass. 25/8/2003 n. 12460, Pres. Ciciretti Rel. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2004, 287)
  59. Costituisce domanda nuova ai sensi dell’art. 437 c.p.c. quella che si fonda su una prospettazione della responsabilità della convenuta non già, come sostenuto in primo grado, in via principale, ma in via solidale, in forza di una diversa interpretazione delle norme di legge e di contratto collettivo già invocate in primo grado. (Corte d’appello Milano 31/7/2003, Pres. Mannacio Est. Sala, in D&L 2004, con nota di Vincenzo Ferrante “Sulla nozione di distacco e sulle novità delle domande in grado d’appello”, 138)
  60. Nel rito del lavoro, ove l’appellante non compaia all’udienza di discussione della causa, il collegio deve decidere nel merito l’impugnazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato cessata la materia del contendere in considerazione della comparizione delle parti all’udienza di discussione, ritenuta sintomo del disinteresse delle parti stesse alla prosecuzione del giudizio). (Cass. 19/5/2003 n. 7837, Pres. Mileo Rel. Vigolo, in Lav. nella giur. 2003, 1165)
  61. L’indicazione dei motivi di impugnazione, richiesta nel rito del lavoro dall’art. 434 c.p.c., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, ma deve pur sempre concretarsi, anche quando essa comprenda il riesame dell’intera controversia, in un’esposizione non generica né equivoca del contenuto e della portata delle censure rivolte alla pronunzia di primo grado, soprattutto quando la sentenza impugnata contenga la soluzione di più questioni. (Cass. 3/4/2003, n. 5210, Pres. Ciciretti, Rel. Celentano, in Dir.e prat. lav. 2003, 2052)
  62. La parte rimasta vittoriosa che, nell’ipotesi di gravame proposto dal soccombente, chieda la conferma della decisione impugnata, eventualmente anche in base ad una diversa soluzione delle questioni da essa avanzate nel precedente grado di giudizio, non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande, eccezioni o questioni respinte o ritenute assorbite o comunque non esaminate con la sentenza impugnata, essendo sufficiente che la riproponga in una delle sue difese nel giudizio di secondo grado. (Sulla base dell’enunciato principio di diritto, la S.C ha escluso che la parte, totalmente vittoriosa in prime cure, fosse tenuta a proposizione di appello incidentale per riproporre la questione della collocazione temporale del licenziamento, che essa aveva sostenuto essere stato comunicato al dipendente quando il rapporto era soggetto al regime di recesso libero a seguito del conseguimento da parte del dipendente del diritto alla pensione di vecchiaia, mentre il primo giudice aveva ritenuto che il rapporto fosse ancora soggetto al regime recedibilità causale, pur superando la questione per avere comunque ritenuto legittimo il licenziamento, benché efficace solo dal momento del subentro del regime di recedibilità ad nutum). (Cass. 21/3/2003, n. 4184, Pres. Ianniruberto, Rel. Mercurio, in Lav. nella giur. 2003, 686)
  63. Il credito dell’Inail verso il terzo autore del danno per il rimborso delle prestazioni eseguite a favore dell’infortunato costituisce credito di valore, perciò da qualificarsi con riferimento al momento della liquidazione definitiva, con la conseguenza che, se per effetto di rivalutazione della rendita imposta da un provvedimento sopravvenuto, l’ammontare del credito sia superiore a quello dedotto dall’Inail in primo grado, la maggior somma risultante può essere domandata dall’istituto senza necessità di proporre appello incidentale, anche in sede di discussione del gravame imposto da controparte, costituendo tale richiesta semplice precisazione del petitum relativo alla domanda già posta. (Cass. 21/3/2003, n. 4193, Pres. Mercurio, Rel. Putaturo Donati, in Lav. nella giur. 2003, 683)
  64. Nel caso in cui l’Inail, sul presupposto del sopravvenuto avvenuto miglioramento delle condizioni fisiche del titolare di una rendita per infortunio sul lavoro, abbia disposto, ai sensi dell’art. 83, D.P.R. n. 1124/1965, la riduzione della misura della rendita, nel successivo giudizio instaurato dal titolare della stessa al fine di ottenerne la ricostituzione nella misura originaria, l’eccezione con la quale l’Istituto ne chieda la riduzione, adducendo l’ingiustificato rifiuto dell’assicurato di sottoporsi a cure in grado di ridurre i postumi invalidanti (art. 87 D.P.R. cit.), configura una domanda riconvenzionale, in quanto è diretta ad ottenere l’accertamento di un fatto diverso da quello che costituiva oggetto del giudizio e, conseguentemente, non può essere proposta per la prima volta in grado d’appello. (Cass. 7/3/2003, n. 3482, Pres. Sciarelli, Rel. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2003, 681)
  65. Nei processi soggetti al rito del lavoro, la disposizione di cui all’art. 437, secondo comma, c.p.c.-in base alla quale l’ammissione in grado d’appello di nuovi mezzi di prova è subordinata alla tassativa condizione che essi siano ritenuti dal Collegio, anche d’ufficio, indispensabili ai fini della decisione della causa-deve essere interpretata nel senso che la suddetta ammissione non è consentita relativamente ai mezzi di prova rispetto ai quali le parti siano già incorse nella decadenza nel pregresso grado del giudizio, con la precisazione che è sufficiente, a tal fine, che la decadenza vi sia stata, senza che sia necessario un espresso provvedimento in tal senso del giudice. (Cass. 23/1/2003, n. 1014, Pres. Senese, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 578)
  66. Nel diritto del lavoro, una parte non può produrre in appello nuovi documenti sui quali il giudice abbia già emesso pronuncia di inammissibilità, con contestuale dichiarazione di decadenza della parte stessa dalla facoltà di produrli. Pur essendo tali documenti prove precostituite e documentali, infatti, il produrli vanificherebbe la sanzione di decadenza già pronunciata dal primo giudice (Cass. 23/1/2003, n. 775, Pres. Ciciretti, Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 673)
  67. L’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (ricorso o comparsa di costituzione), dei documenti (eventualmente anche attinenti ad eccezioni rilevabili d’ufficio), o l’omesso deposito contestualmente a tale atto, dei medesimi, anche se indicati in quest’ultimo, determinano la decadenza dal diritto processuale di produrre detti documenti, ove non si tratti di documenti formatisi dopo l’inizio del giudizio o la cui produzione sia giustificata dallo sviluppo assunto dal giudizio stesso (ex art. 420, quinto comma c.p.c.). Poichè tale decadenza esclude che la parte produca i documenti in appello, e poiché questi sono compresi nei “nuovi mezzi di prova” indicati dall’art. 437, secondo comma, c.p.c., la loro produzione in secondo grado può avvenire solo ove (nella stessa logica dell’art. 420, quinto e settimo comma c.p.c.) essa sia giustificata dal tempo della loro formazione o dallo sviluppo del processo e sia ritenuta dal Collegio indispensabile per la decisione (Cass. 20/1/2003, n. 775, Pres. Ciciretti, Est, Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 673, con nota di Marco Cattani, Sulla produzione di documenti in appello)
  68. Nel rito del lavoro non è consentito in appello il mutamento della causa petendi della domanda originaria, neppure qualora esso non determini una trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda stessa, essendo in questa fase precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantificative) che comportino anche solo una emendatio libelli, permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e nella ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha giudicato inammissibili le deduzioni con le quali il ricorrente aveva sostenuto, per la prima volta, in appello, che il contratto d’agenzia ed il patto che prevede l’obbligo di raggiungere un minimo di fatturazione avrebbero dovuto essere stipulati per iscritto). (Cass.13/11/2002, n. 15886, Pres. Mercurio, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2003, 378)
  69. Il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., circa l’onere di espressa riproposizione in appello delle domande non accolte o rimaste assorbite, opera anche nel rito del lavoro, in quanto l’art. 436, secondo comma, stesso codice fa obbligo all’appellato di costituirsi mediante deposito di memoria contenente dettagliata esposizione di tutte le difese. (Cass. 9/11/2002, n. 15764, Pres. Senese, Rel. Putaturo Donati, in Lav. nella giur. 2003, 282)
  70. La richiesta, introdotta per la prima volta in appello, di valutazione complessiva dell’inabilità derivante sia dall’infortunio dedotto in giudizio di primo grado, sia da altro infortunio che abbia già comportato l’attribuzione di una rendita, non riferibile a successive modificazioni delle condizioni fisiche dell’assicurato, dà luogo ad una radicale trasformazione della causa petendi, poiché il fatto costitutivo viene modificato nei suoi elementi materiali e non interviene semplicemente una diversa prospettazione giuridica del medesimo petitum, ovvero una diversa qualificazione originaria della pretesa; ne consegue la inammissibilità della formulazione solo in sede d’appello della domanda in siffatti diversi termini, comportanti l’alterazione dell’oggetto sostanziale dell’azione e richiedenti accertamenti e valutazioni estranei a quelli prima necessari, con conseguente violazione della ratio del diveto di ius novorum in appello. (Cass. 30/5/2002, n. 11198, Pres. Ianniruberto, Est. Miani Canevari, in Giur. italiana 2003, 1369, con nota di Francasca Marchesan, Richiesta di rendita complessiva per inabilità derivante da infortuni sul lavoro e divieto di ius novorum in appello)
  71. Nel rito del lavoro, la notificazione della memoria difensiva, contenente appello incidentale, avvenuta prima del deposito effettuato a norma dell’art. 436, comma 3, c.p.c., non pregiudica l’instaurazione del contraddittorio, non determina nullità né improcedibilità dell’impugnazione incidentale, e non impone al giudice di ordinare la rinnovazione della stessa notifica. (Cass. 26/1/2002, n. 963, Pres. Ianniruberto, Rel. Vigolo, in Lav. nella giur. 2003, 49, con commento di Elisa Bottelli)
  72. Nelle controversie soggette al rito del lavoro, il giudice d’appello che rilevi la nullità dell’introduzione del giudizio, determinata dall’inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall’art. 415, 5° comma, c.p.c., non può dichiarare la nullità e rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi né la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, 1° comma, c.p.c.), ma deve trattenere la causa e, previa ammissione dell’appellante ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito (Cass. SU 21/3/2001, n. 122, pres. Vela, est. Preden, in Lavoro giur. 2001, pag. 1035, con nota di Guarnirei, Violazione del termine a difesa e rimessione della causa al primo giudice)
  73. Nel rito del lavoro, il principio secondo cui, in caso di morte della parte successivamente al deposito della sentenza di primo grado, l’atto di impugnazione deve essere diretto e notificato nei confronti dei soggetti che siano reali parti del rapporto, attualmente interessate alla controversia, va integrato con il principio secondo cui, in detto rito, l’atto di appello si realizza, quale “edito actionis”, con il tempestivo deposito del relativo ricorso introduttivo, che impedisce il verificarsi di ogni decadenza dell’impugnazione stessa; ne consegue che, se il decesso si sia verificato dopo il deposito del ricorso e prima della sua notificazione (caso in cui non è configurabile l’ipotesi interruttiva disciplinata dall’art. 328 c.p.c.), e tuttavia la notificazione sia avvenuta presso il procuratore domiciliatario del soggetto deceduto, invece che alle attuali parti del processo, il relativo vizio deve essere segnalato all’appellante affinché possa procedere ad una corretta notificazione nel termine perentorio a tale scopo assegnatogli. (Cass. 3/3/01, n. 3122, pres. Ianniruberto, est. Dell’Anno, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 440)
  74. I documenti si considerano ritualmente prodotti in giudizio quando siano posti nella reale disponibilità dell’ufficio per essere inseriti nel fascicolo di parte, con l’adempimento delle formalità previste dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.; in particolare, gli atti ed i documenti di parte, prodotti dopo la costituzione in giudizio, vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti; qualora, nel giudizio di appello, non risulti alcuna attestazione dell’avvenuto ritiro del proprio fascicolo da parte dell’appellante, il giudice che non rinvenga il fascicolo stesso, non può dichiarare l’improcedibilità del gravame ai sensi dell’art. 348 c.p.c. ma deve concedere all’appellante un termine per la ricostruzione del proprio fascicolo; è poi onere della parte controllare, prima del passaggio in decisione della causa, l’inserimento nel fascicolo d’ufficio del proprio fascicolo di parte depositato nel termine concessogli per la ricostruzione (Cass. 14/2/01, n. 2128, pres. Annunziata, est. Celentano, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 211)
  75. Le parti contro le quali è stata proposta impugnazione possono proporre, a loro volta, impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza (Corte Appello Bologna 17/7/00, pres. e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 757, con nota di Zavalloni, Un “cocktail” d’eccezione: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per successivo superamento del comporto)
  76. Poiché nel processo del lavoro la produzione di nuovi documenti in appello ricade nell’ambito degli articoli 434, 436 e 437 c.p.c., la produzione della copia notificata del decreto ingiuntivo opposto da parte dell’opponente (non effettuata in primo grado) , effettuata dall’opponente appellato, costituito tardivamente nel giudizio di gravame, comporta la decadenza ai fini dell’art. 437 c.p.c. e di conseguenza l’improcedibilità dell’opposizione, avente come effetto la inoppugnabilità del decreto ingiuntivo opposto (Cass. 10/6/00, n. 7948, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 457, con nota di Gallo, Produzione tardiva della copia notificata del decreto ingiuntivo in grado d’appello)
  77. L’eccezione di prescrizione, così come l’eccezione di interruzione della prescrizione hanno natura di eccezioni in senso stretto, e pertanto non possono essere proposte per la prima volta in appello (Corte Appello Roma 8/5/00, pres. Sorace, in Lavoro giur. 2001, pag. 358, con nota di Guarnieri, Interruzione della prescrizione, onere di allegazione e produzione di documenti nuovi in appello)
  78. Nel rito del lavoro la produzione di nuovi documenti in appello deve ritenersi in generale sempre ammissibile, ma deve essere esclusa quando in primo grado non siano stati dedotti i fatti cui si riferiscono i nuovi mezzi di prova (Corte Appello Roma 8/5/00, pres. Sorace, in Lavoro giur. 2001, pag. 358, con nota di Guarnieri, Interruzione della prescrizione, onere di allegazione e produzione di documenti nuovi in appello)
  79. Il giudice, nell’attribuire ai rapporti dedotti in giudizio la qualificazione giuridica più appropriata, deve valutare le domande dei ricorrenti con una interpretazione complessiva degli atti che tenga conto di tutte le deduzioni in esse contenute, applicando, in via analogica, i criteri dettati dagli art. 1362 e 1363 c.c., senza che possa costituire ostacolo la qualificazione, anche concorde, assegnata dalle parti. Ne deriva che il giudice d’appello è tenuto a pronunciarsi sulla richiesta del ricorrente di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale – pur avendo egli in precedenza dedotto un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno – non costituendo tale richiesta una domanda nuova, ma una semplice riduzione della prima (Cass. 3/4/00, n. 4038, pres. De Musis, est. Celentano, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 591, con nota di Cattani, Interpretazione della domanda giudiziale, possibili vizi e onere della prova nell’impugnazione del licenziamento)
  80. In caso di mancato esercizio della facoltà di riserva dell’impugnazione differita, la sentenza non definitiva può essere impugnata entro i termini per appellare previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., e perciò, in caso di mancata comunicazione o notificazione di essa, entro un anno dalla sua pubblicazione, a nulla rilevando che l’art. 340 c.p.c. preveda la possibilità di esercitare la facoltà di impugnazione differita fino alla prima udienza successiva alla comunicazione, giacché tale articolo prevede che detta facoltà vada esercitata a pena di decadenza entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione, col chiaro intento non di dilatare i termini di impugnazione previsti dai citati artt. 325 e 327 c.p.c., bensì di restringerli, nel caso in cui la prima udienza successiva alla comunicazione intervenga prima dello scadere di essi, senza che tale interpretazione della citata norma possa ritenersi pregiudizievole per i diritti di difesa della parte (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva impugnata dopo il decorso di un anno dal deposito, ancorché detta sentenza non risultasse comunicata) (Cass. 6/4/00 n. 4285, in Dir e pratica lav., pag. 2159)
  81. La proposizione dell’appello nel rito del lavoro si perfeziona con il deposito del ricorso, mentre la mancata o tardiva notificazione, anche del decreto, impone esclusivamente l’assegnazione da parte del giudice che la rileva, previa fissazione di una nuova udienza di discussione, di un termine perentorio per la regolarizzazione della notificazione (Cass. 23/9/98 n. 9541, pres. Lanni, est. Lupi, in D&L 1999, 85)

 

 

Ricorso per cassazione

  1. Ancora sull’autosufficienza del ricorso per cassazione nell’indicazione di un atto processuale a sostegno.
    La Corte ribadisce il principio, desunto in maniera rigida dal combinato disposto degli artt. 366, primo comma n. 6) e 369, secondo comma n. 4) c.p.c., secondo cui l’indicazione, nel ricorso per cassazione, di un atto del processo (documento, testimonianza etc.) a sostegno di una censura di violazione di legge, di vizio di motivazione o di error in procedendum comporta l’onere, a pena di inammissibilità, di specificarne il contenuto, riproducendone altresì le parti rilevanti e di indicare specificatamente l’esatta collocazione dell’atto all’interno del fascicolo di cassazione (fascicoli di parte o verbali di udienza del giudizio di merito). (Cass. 9/6/2020, ord., n. 10992, Pres. Napoletano Rel. Marotta, in Wikilabour, Newsletter n. 12/2020)
  2. Il controllo previsto dalla nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo perché, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, seppure questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti. (Cass. 23/8/2016 n. 17251, Pres. Nobile Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2016, 1117)
  3. Il potere del giudice di applicare alla fattispecie ricostruita la esatta regola di diritto, e quindi anche la normativa sul sindacato giurisdizionale sui licenziamenti, deve misurarsi con le preclusioni che derivano, per l’appello, dagli artt. 329 e 346 c.p.c. e, per il ricorso per cassazione, dalla natura del giudizio di legittimità, con oggetto delimitato dalle censure sollevate con i singoli motivi. (Cass. 9/6/2016 n. 11868, Pres. Macioce Est. Di Paoloantonio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di A. Allamprese, “Il licenziamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni davanti alla Corte di Cassazione”, 78)
  4. Nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti. (Cass. 4/3/2015 n. 4350, Pres. Lamorgese Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2015, 632)
  5. Nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza o un suo capo che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a fondare la decisione, ai fini dell’accoglimento del ricorso è necessario che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, essendo in caso contrario il ricorso inammissibile per carenza di interesse. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152)
  6. Il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per Cassazione al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente a una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma secondo, Cost., e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui. (Cass. 30/9/2014 n. 20589, Pres. Lamorgese Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 87)
  7. Il principio di strumentalità degli atti processuali, da leggersi alla luce del combinato disposto degli artt. 111, comma 2, della Costituzione e 6 della CEDU, impone che, ai fini dell’adempimento dell’onere di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 del c.p.c. (ovvero il deposito, a pena di improcedibilità, degli accordi o contratti collettivi su cui si fonda il ricorso), sia sufficiente riportare nel corpo del ricorso per cassazione la sola norma contrattuale collettiva sulla quale si fondano le doglianze principali, purché il testo integrale del contratto collettivo stesso sia stato depositato nei precedenti gradi di giudizio e, dall’elenco dei documenti depositati con il ricorso per cassazione, risulti che la parte ha formulato la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene alla Cancelleria del giudice a quo. (Cass. 7/7/2014 n. 15437, Pres. Lamorgese Est. Tria, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 1077)
  8. In ordine al rito del lavoro, il giudizio di opportunità riguardante l’esercizio di poteri istruttori di ufficio, rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale del giudice del merito, da effettuare nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quella della ricerca della verità, può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, commi 1, n. 5, c.p.c., allorché la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (Cass. 15/5/2014 n. 10662, Pres. Roselli Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 813)
  9. Il ricorso per saltum di cui all’art. 360, secondo comma, c.p.c., è proponibile, e solo se vi sia accordo tra le parti, esclusivamente in relazione ad una sentenza di primo grado appellabile, e pertanto non può avere ad oggetto l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 1, comma 49, della legge n. 92 del 2012, nei cui confronti è previsto come unico, specifico, rimedio l’opposizione innanzi allo stesso giudice. (Cass. 9/5/2014 n. 10133, Pres. Lamorgese Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2014, 814)
  10. In ogni grado del processo il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice (anche ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue, perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” inammissibile, o infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che ciò si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione, senza alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. (Cass. 6/3/2014 n. 5294, Pres. Vidiri Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2014, 605)
  11. L’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella parte in cui onera il ricorrente (principale o incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che tale deposito deve avere a oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive indicate nel ricorso, bensì l’integrale testo del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni. Tale onere sussiste sia in caso di ricorso ordinario, proposto per violazione o falsa applicazione di contratti o accordi collettivi nazionali, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sia in caso di ricorso immediato per cassazione, ai sensi dell’art. 420 bis, comma, c.p.c. (Cass. 1/10/2013 n. 22398, Pres. Stile Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 81)
  12. In applicazione del comma 3 dell’art. 360 c.p.c., come modificato dall’art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione la sentenza d’appello che abbia affermato la giurisdizione del giudice ordinario, negata dal giudice di primo grado, e rimesso la causa a quest’ultimo, trattandosi di pronuncia che, decidendo sulla questione pregiudiziale insorta, non è idonea a definire, neppure parzialmente, il giudizio. (Cass. Sez. Un. 2/9/2013 n. 20073, Pres. Adamo Rel. Massera, in Lav. nella giur. 2014, 1123)
  13. L’interventore adesivo non ha una autonoma legittimazione a impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificatamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile. (Cass. 8/7/2013 n. 16930, Pres. De Renzis Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2013, 950)
  14. È inammissibile il ricorso per cassazione proposto sulla base della procura rilasciata dal ricorrente nell’atto di appello, in quanto inidoena allo scopo perché conferita con atto separato in data anteriore alla sentenza da impugnare in sede di legittimità e, dunque, in contrasto con l’obbligo di rilasciare la procura successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e con specifico riferimento al giudizio di legittimità. (Cass. 4/6/2013 n. 14016, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2013, 841)
  15. Nel caso in cui sia certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicché il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell’art. 432 c.p.c., l’esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. (Nella specie, la S.C., in applicazione del su esposto principio, ha confermato la sentenza impugnata che, nella liquidazione equitativa dei compensi percentuali spettanti per gli anni 2001, 2002 e 2003 agli ufficiali giudiziari sui crediti recuperati dall’Erario sul campione, aveva fatto riferimento agli importi percepiti dagli stessi in un anno precedente, richiamati peraltro dal legislatore per la determinazione forfetaria dei compensi negli anni 1998 e 1999). (Cass. 19/2/2013 n. 4047, Pres. Stile Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2013, 516)
  16. Il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attiente a vizi del processo logico formale traducemdosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (respinto il ricorso proposto dai parenti di un macchinista delle FS, deceduto per un tumore, relativamente all’esclusione della causa di servizio, atteso che gli stessi avevano opposto alle considerazioni del C.T.U. un mero dissenso sulla valutazione delle patologie). (Cass. 15/2/2013 n. 3816, Pres. Stile Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013, 517)
  17. L’art. 366 n. 6 c.p.c., oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 comma 2 n. 4 c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. (Nella specie, la Corte ha respinto il ricorso di una lavoratrice che lamentava di essere stata costretta a rassegnare le dimissioni a seguito di una molestia subita dal proprio responsabile. Nello specifico, la ricorrente non aveva adempiuto agli oneri di produzione documentale, poiché non aveva fornito nel ricorso la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento della documentazione sanitaria su cui si fondava il motivo e della quale, peraltro, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, neppure era stato ivi riprodotto il contenuto). (Cass. 15/1/2013 n. 822, Pres. Miani Canevari Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2013, 305)
  18. È inammissibile, perché privo di autosufficienza, il motivo di ricorso volto a chiedere l’applicazione di un Ccnl al posto di un altro, qualora entrambi i contratti non siano stati allegati al ricorso per cassazione. (Cass. 12/12/2012 n. 22797, Pres. Vidiri Rel. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 191)
  19. La domanda di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., può, in linea di principio, essere proposta anche in sede di legittimità, per i danni che si assumono derivanti dal giudizio di cassazione. In particolare, se tale domanda si riferisce ai danni conseguenti alla proposizione del ricorso, deve essere formulata, a pena di inammissibilità, con il controricorso. Tuttavia, l’accoglimento della domanda, per avere la controparte processuale agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo dell’illecito (mala fede o colpa grave), sia dell’elemento oggettivo (entità del danno sofferto), con la conseguenza che, ove dagli atti del processo non risultino elementi obiettivi dai quali desumere la concreta esistenza del danno, nulla può essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo a criteri equitativi. (Cass. 11/12/2012 n. 22659, Pres. Roselli Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 193)
  20. Il vizio di omessa pronuncia su alcuni motivi di appello deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo, la quale soltanto consente alla parte di chiedere al Giudice di legittimità di effettuare l’esame degli atti del giudizio di merito e di conseguenza anche dell’atto di appello. (Cass. 25/6/2012 n. 10508, Pres. De Renzis Est. Mancino, in Orient. Giur. Lav. 2012, 494)
  21. Lo ius superveniens che abbia introdotto con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso si applica nel giudizio di legittimità a condizione che essa sia pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso – in ragione del controllo di legittimità il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso – e sia ammissibile secondo la disciplina sua propria (nella fattispecie è stata riconosciuta l’applicabilità dell’art. 32, co. 5, 6 e 7, l. n. 183/2010 in quanto la S.C. è stata investita al riguardo nei motivi del ricorso incidentale, sorretti da idonei e specifici quesiti di diritto e dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assumeva omesa). (Cass. 31/1/2012 n. 1411, Pres. De Luca Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M.L. Vallauri, “Brevi note sul nuovo regime sanzionatorio del contratto a termine illegittimo: la quantificazione dell’indennità e le condizioni di applicabilità delle nuove regole alle cause pendenti nel giudizio di legittimità”, 400)
  22. Non vi è spazio per la decisione delle sezioni unite e gli atti devono essere restituiti alla sezione lavoro laddove la questione sia tale da potersi presentare solo davanti a quest’ultima. (Fattispecie in tema di applicabilità della lettera a) (“omissione contributiva”) oppure della lettera b) (“evasione contributiva”) dell’art. 16, comma 18, l. n. 388/2000, in caso di omessa o infedele denuncia mensile all’Inps di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri obbligatori). (Cass. 27/12/2011 n. 28966, Pres. Roselli Est. Bandini, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Michele Fornaciari, “C’era una volta la nomofilachia: niente sezioni unite per le questioni specificatamente lavoristiche (o tributarie)”, 890)
  23. Se la notifica a mezzo posta del ricorso in cassazione non si perfeziona, perché la parte lo invia al vecchio domicilio del procuratore della controparte, non può essere ammessa alcuna rimessione in termini e il ricorso è pertanto inammissibile. Gli indirizzi aggiornati dagli avvocati sono infatti di facile reperibilità, perché gli ordini li pubblicano anche online, e ciò preclude la possibilità di sanare l’omessa notifica, non essendo qui configurabile alcuna condizione di causa di forza maggiore o di caso fortuito. (Cass. 26/11/2011 n. 22329, Pres. Rovelli Canevari Rel. Campanile, in Lav. nella giur. 2012, 88)
  24. La censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente non provvede a trascrivere i capitoli di prova e a indicare i testi e le ragioni per le quali gli stessi dovrebbero essere qualificati a testimoniare, trattandosi di elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto; e ciò in quanto, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di cassazione deve essere posta in grado di compiere tale valutazione in base alle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (nella specie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso atteso che il ricorrente, pur avendo trascritto il contenuto dei capitoli di prova articolati nel giudizio di merito, aveva omesso di indicare i nominativi dei testi da escutere, non ponendo, quindi, la Corte nelle condizioni di valutare la decisività o meno delle prove non ammesse). (Cass. 9/11/2011 n. 23348, Pres. Schettino Rel Matera, in Lav. nella giur. 2012, 87)
  25. Ai sensi del comma 3 dell’art. 360 c.p. è inammissibile il ricorso immediato in cassazione proposto contro la sentenza della Corte d’appello di conferma della sentenza non definitiva di primo grado, con la quale il Tribunale aveva riconosciuto la propria giurisdizione. (Cass. Sez. Un. 21/7/2011 n. 15975, Pres. Vittoria Rel. Spirito, in Lav. nella giur. 2011, 1053)
  26. La declaratoria di estinzione del giudizio di cassazione relativo al ricorso principale, conseguente all’atto di rinuncia del ricorrente, non determina l’inefficacia del ricorso incidentale tardivo. (Cass. Sez. Un. 19/4/2011 n. 8925, Pres. Proto Rel. Piccininni, in Lav. nella giur. 2011, 626)
  27. Il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito che investa questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. (Cass. 16/3/2011 n. 6252, Pres. ed est. Lamorgese, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Cattani, “Nullità del termine apposto al contratto e risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro”, 163)
  28. In tema di legittimazione attiva, incombe alla parte che ricorre per cassazione, nella qualità di erede della persona che fece parte del giudizio di merito, l’onere di dimostrare, per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c.p.c., il decesso della parte originaria e la propria qualità di erede; in difetto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione a impugnare, nessun rilievo assumendo la mancata contestazione di tale legittimazione a opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto sussistente la legittimazione del ricorrente che aveva prodotto atti notarili della Repubblica Croata, con traduzione giurata, attestanti il decesso del “de cuius”, l’apertura della successione e la delazione dell’eredità a suo favore). (Cass. 27/1/2011 n. 1943, Pres. Lamorgese Est. Tricomi, in Orient. Giur. Lav. 2011, 250)
  29. L’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella parte in cui onera il ricorrente (principale o incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis, comma 2, c.p.c., la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo sostituito dall’art. 2 del D.lg. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio a un’interpretazione complessiva ex art. 1363 c.c. non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, l’art. 384, comma 3, c.p.c. (nel testo sostituito dall’art. 12 del D.lg. n. 40 del 2006), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione. (Cass. Sez. Un. 23/9/2010 n. 20075, Pres. Carbone Est. Amoroso, in Orient. giur. lav. 2011, 7, e in Lav. nella giur. 2011, con commento di Francesco Barracca, 378)
  30. In base alla regola dell’autosufficienza del ricorso, qualora si tratti di prova testimoniale, costituisce onere della parte ricorrente indicare specificatamente le circostanze che formavano oggetto della stessa e quale ne fosse la rilevanza sul piano del giudizio. Ne consegue che la mancata allegazione di un verbale impedisce al ricorrente di dimostrare il collegamento funzionale trab le sue dimensioni e l’assunzione di suo genero. (Cass. 2/7/2010 n. 15794, Pres. Vidiri Rel. De Ianniello, in Lav. nella giur. 2010, 941)
  31. Spetta in via esclusiva al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute idonee a dimostrare la veridicità dei fatti sottesi dandone liberamente una prevalenza. (Cass. 15/6/2010 n. 14348, Pres. Sciarelli Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2010, 942)
  32. Ove con il ricorso per cassazione venga dedotta l’incongruità o illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o non sufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di deliberare la decisività della risultanza stessa. (SU 13/4/2010 n. 8737, Pres. Vidiri Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 688)
  33. L’inosservanza del termine stabilito dall’art. 369 c.p.c. per il deposito in cancelleria del ricorso per cassazione ne comporta l’improcedibilità, non assumendo alcun rilievo la causa del mancato tempestivo adempimento di tale onere, in quanto nel giudizio di cassazione non trova applicazione l’istituto della rimessione in termini (nell’enunciare tale principio, la Suprema Corte ha peraltro escluso che nella specie potesse configurare una causa di non imputabilità del ritardo l’avvenuta sottrazione del plico contenente il ricorso al vettore incaricato del recapito al collega del difensore in Roma, che ne avrebbe dovuto curare il deposito, dipendendo l’impossibilità di tale adempimento dal mezzo a tal fine prescelto dal difensore, in luogo dell’invio per posta direttamente al cancelliere della corte di cassazione). (Cass. 23/2/2010 n. 4356, ord., Pres. Battimiello Rel. Lamorgese, in Orient. Giur. Lav. 2010, 553)
  34. Il disposto dell’art. 366 bis c.p.c. – che richiede, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la formulazione dei quesiti di diritto e, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – non è applicabile al ricorso ex art. 420 bis c.p.c. per l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi; e infatti, in tale speciale procedura, la formulazione dei quesiti da parte del ricorrente non risulta supportata dalla ratio a essa sottesa, non essendo il giudice di legittimità, in sede di risoluzione della pregiudiziale, vincolato all’opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata e potendo autonomamente pervenire – anche tramite la libera ricerca all’interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile – a una statuizione diversa da quella del primo giudice. (Cass. 25/6/2009 n. 14919, Pres. Mattone Est. Vidiri, in D&L 2009, 693)
  35. Nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori. (Cass. 12/3/2009 n. 6023, Pres. Ianniruberto Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2009, 831)
  36. Qualora, in sede di giudizio di legittimità, vengano denunciati vizi della sentenza impugnata per mancata considerazione della portata di clausole di contratto collettivo, il ricorrente ha l’onere – in forza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e a pena di inammissibilità dello stesso – di riprodurre le clausole del contratto collettivo solo ove le parti controvertano sul testo letterale delle clausole medesime, laddove, ove la controversia riguardi unicamente le conseguenze di diritto che da esse derivano e che il giudice di merito ne ha tratto, la lro riproduzione non è necessaria sempreché le censure delle parti sulle conseguenze delle clausole siano per altro verso autosufficienti. (Cass. 3/2/2009 n. 2602, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Orient. giur. lav. 2009, 44)
  37. Il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di litisconsorti necessari può essere rilevato d’ufficio, per la prima volta, anche dal giudice di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato. (La S.C. ha affermato il principio – in un giudizio avente a oggetto la richiesta del lavoratore a essere riassunto alle dipendenze della AD.IM. Spa, originaria datrice di lavoro, in forza dell’accordo con il quale la società si era impegnata a ricollocare il medesimo, direttamente ovvero alle dipendenze di altra impresa del gruppo avente sede nel Comune di Ascoli Piceno o in comuni limitrofi, entro ventiquattro mesi dal collocamento in mobilità – in relazione all’integrazione del contraddittorio rispetto alle altre imprese del gruppo, che pure avevano aderito direttamente all’impegno, atteso che la pronuncia sulla fondatezza e accoglibilità della domanda formulata con l’atto introduttivo presupponeva che solamente la AD.IM. avesse sedi di lavoro in Ascoli Piceno o comuni limitrofi). (Cass. 3/11/2008 n. 26388, Pres. De Luca Est. Celentano, in Lav. nella giur. 2009, 295)
  38. Ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata secondo cui rientrava nella comune esperienza, senza bisogno di prove, il fatto che per l’attività di chirurgo fosse essenziale un’adeguata manualità, e che la relativa professionalità decadesse in mancanza di esercizio. (Cass. 9/9/2008 n. 22880, Pres. Senese Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2009, 77)
  39. In tema di denuncia del vizio di violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi del settore pubblico, posto che lo scopo precipuo dell’impianto normativo di cui agli art. 63 e 64 del D.Lgs. n. 165 del 2001 è quello di giungere, nel minor tempo possibile, a una interpretazione unificata delle disposizioni contrattuali accentrando l’attività ermeneutica presso la Corte di legittimità, che diviene l’unica interprete del contratto, rafforzandone la funzione nomofilattica, in tutti i casi in cui la controversia si esaurisca nell’interpretazione resa dal giudice di legittimità e non sussista un residuo ambito di intervento da affidare al giudice del rinvio, è consentito alla stessa Corte di Cassazione, in base all’art. 384 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, di decidere nel merito allorquando, ai sensi dell’art. 63, comma 5, del citato D.Lgs. 165, la sentenza impugnata venga cassata per violazione e falsa applicazione delle norme dei contratti collettivi e non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto. (Cass. 8/9/2008 n. 22586, Pres. Mercurio Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, 78)
  40. La procura per il ricorso per cassazione ha, ex art. 365 c.p.c., carattere necessariamente speciale, dovendo riguardare il particolare giudizio di legittimità sulla base di una specifica valutazione della sentenza da impugnare, per cui tale procura è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata; né può ritenersi sufficiente, con riguardo alle controversie soggette al rito del lavoro, la mera lettura in udienza, in epoca anteriore al rilascio della procura, del dispositivo della sentenza, dovendosi ritenere la previsione di cui all’art. 433 c.p.c. – in base al quale può essere proposto l’appello contro le sentenze di primo grado ove l’esecuzione sia iniziata prima della notificazione della sentenza – norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica. (Nella specie, la S.C. nel dichiarare inammissibile il ricorso incidentale in applicazione del principio su enunciato, ha ulteriormente rilevato che il testo della procura – la cui validità era temporalmente circoscritta – era assolutamente generico in quanto riferito a ogni possibile controversia). (Cass. 24/6/2008 n. 17145, Pres. Mattone Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2008, 1270, e in Dir. e prat. lav. 2009, 392)
  41. Nel processo civile l’invalidità della costituzione di una delle parti non integra una nullità rilevabile d’ufficio, senza alcun limite, in ogni stato o grado del giudizio. È da ritenersi, pertanto, preclusa, in sede di giudizio di cassazione, la questione dell’irregolarità della costituzione di una delle parti in primo grado che non sia stata già correttamente sollevata dinanzi al giudice di secondo grado. (Nella specie, la S.C. ha confermato l’impugnata sentenza che aveva ritenuto l’inammissibilità dell’eccezione relativa alla regolarità del mandato difensivo, conferito da una USL senza la necessaria delibera del comitato di gestione avente a oggetto la ratifica dell’operato del presidente, eccezione prospettata senza la precisazione del quadro normativo di riferimento a suo sostegno). (Cass. 4/4/2008 n. 8806, Pres. Sciarelli Est. Toffoli, in Lav. Nella giur. 2008, 838)
  42. Ai sensi del primo comma dell’art. 366 bis c.p.c. il quesito di diritto (e il discorso vale simmetricamente per la ‘chiara indicazione del fatto controverso’ di cui al secondo comma della stessa norma) non può desumersi implicitamente da una formulazione generica, perché una siffatta interpretazione si risolve nell’abrogazione tacita della norma, che ha preteso, a pena d’inammissibilità del ricorso, il rispetto di un requisito formale, che si deve esprimere nella formulazione di un esplicito idoneo a giustificare il correlato principio di diritto. (Cass. 20/3/2008 n. 7527, Pres. Ravagnani Est. Cellerino, in Lav. nella giur. 2008, 840)
  43. Nel ricorso per cassazione il contratto collettivo nazionale deve essere depositato nel suo testo integrale e non nella sola parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocaa nel ricorso per cassazione. La mancata produzione comporta l’improcedibilità del ricorso. (Cass. 11/3/2008 n. 6432, Pres. Ianniruberto Rel. Di Cerbo, in D&L 2008, con nota di Marco Maffuccini, 699)
  44. Lo speciale procedimento ex art. 420 bis c.p.c. di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi, è finalizzato ad assicurare l’uniforme applicazione delle relative clausole e presuppone perciò un’idonea istruttoria al fine della soluzione della questione pregiudiziale con portata generale ed esaustiva, capace cioè di definire in termini chiari e univoci ogni possibile questione in materia; ove la necessaria istruttoria da parte del giudice di merito sia mancata, non essendo tale lacuna rimediabile in sede di legittimità, ne deriva l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto ai sensi del 3° comma della norma, con cassazione dell’impugnata sentenza e rimessione degli atti al giudice di merito (fattispecie in tema di disciplina delle sostituzioni per assenza nel periodo feriale contenuta nel c.c.n.l. del personale dipendente di società concessionarie di autostrade e trafori). (Cass. 24/1/2008 n. 1578, Pres. Ciciretti Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, “Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrêts della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c.”, 135)
  45. In tema di giudizio di cassazione e di procedimento per la decisione in camera di consiglio, il difetto di coordinamento tra la disposizione dell’art. 390, primo comma, c.p.c., secondo cui la parte può rinunciare al ricorso per cassazione “finché non sia cominciata la relazione all’udienza o sia notificata la richiesta del pubblico ministero” e il nuovo procedimento per la decisione in camera di consiglio di cui agli artt. 375, 380 bis e, nella specie, 380 ter c.p.c., va risolto nel senso che la rinunzia risulterà consentita solo se proposta prima della notifica ai difensori delle parti della relazione del consigliere relatore, non potendo la rinunzia al ricorso interrompere il procedimento decisorio attivato con il deposito della relazione, al pari di quanto avviene nella pubblica udienza, ove l’obbligo della decisione non può essere frustrato dopo l’inizio della relazione (principio affermato in procedimento per regolamento di competenza rimesso all’adunanza della S.C. in camera di consiglio, in cui il ricorrente aveva notificato alla controparte l’atto di rinunzia all’istanza di regolamento di competenza successivamente alla notifica della relazione del consigliere relatore). (Cass. 19/10/2007, n. 21876, Pres. Ravagnani Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2008, 304, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1643)
  46. Nella interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali prevista dagli artt. 360 n. 3 e 420 bis c.p.c. la cassazione fornisce la propria interpretazione del testo contrattuale, decidendo sul necessario quesito di diritto e senza possibilità di qualsiasi istruttoria, neppure documentale, rispetto a quella svolta dal giudice di merito. (Cass. 25/9/2007 n. 19710, Pres. Mattone Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, “Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrêts della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c.”, 133)
  47. Il procedimento per la nomofilachia accelerata dalla cassazione previsto dall’art. 420 bis c.p.c. non è impedito dalla esistenza di precedenti della cassazione sulla medesima questione, stante l’autorità rafforzata che, in termini di vincolatività per gli altri giudici, spiega la sentenza pronunciata all’esito del procedimento ex art. 420 bis c.p.c. (Cass. 25/9/2007 n. 19710, Pres. Mattone Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, “Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrêts della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c.”, 133)
  48. Nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini; l’individuazione dei criteri generali e astratti caratteristici delle singole categorie alla stregua della disciplina collettiva del rapporto non è censurabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione e per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione della disciplina collettiva (nel regime antecedente alla riforma processuale del giudizio di cassazione introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40). (Cass. 22/8/2007 n. 17896, Pres. Mattone Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 186)
  49. La mancanza di conferenza del quesito di diritto rispetto al deciso – che si verifica allorché, da una parte, la risposta allo stesso pur positiva per il richiedente, è priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto il deciso attiene a diversa questione, sicché il ricorrente non ha interesse a proporre quel quesito dal quale non può trarre alcuna conseguenza concreta utile ai fini della causa – è assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo, in applicazione del principio in tema di motivi non attinenti al decisum, nel senso che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio. (Cass. Sez. Un. 21/6/2007 n. 14385, Pres. carbone Est. Segreto, in Lav. nella giur. 2008, 81)
  50. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico. (Cass. 5/1/2007 n.m 36, Pres. Prestipino Est. Finocchiaro, in Lav. nella giur. 2007, 829)
  51. L’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, rilevando la correttezza dell’interpretazione del giudicato riconducibile a una precedente sentenza che, nel definire un procedimento di impugnazione del licenziamento, non aveva confermato integralmente il provvedimento cautelare con il quale era stata ordinata la reintegrazione e condannata la società datrice di lavoro alla corresponsione della normale retribuzione mensile, limitandosi a disporre la reintegra e accordare un risarcimento nella misura di cinque mensilità, con la conseguente caducazione dello stesso provvedimento cautelare per la parte non confermata, il quale, perciò, non avrebbe potuto fondare la successiva richiesta del decreto ingiuntivo da parte del lavoratore per le retribuzioni relative al periodo successivo all’emissione del menzionato provvedimento cautelare). (Cass. 13/12/2006 n. 26627, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2007, 1936)
  52. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllare l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti a esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contradditorietà della medesima, può legittimamente ritenersi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. (Cass. 13/9/2006 n. 19554, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in D&L 2007, con nota di Roberto Murgia, “Licenziamento per giusta causala difficile ricerca di una nozione unitaria”, 197)
  53. Nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. possono essere sollevate questioni nuove rilevabili d’ufficio a condizione che il rilievo ex officio sia già possibile sulla base degli atti interni del processo, quali la sentenza o le specifiche autosufficienti deduzioni contenute nel ricorso o controricorso (sulla base del suddetto principio, nella specie, la S.C. ha ritenuto non ammissibile la deduzione, con memoria, del giudicato esterno in ordine alla sussistenza di un trasferimento d’azeinda ex art. 2112 c.c.). (Cass. 26/6/2006 n. 14710, Pres. senese Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2007, 91 e in Dir. e prat. lav. 2007, 492)
  54. Quando sia denunciato un vizio di motivazione, consistente nell’omessa utilizzazione di elementi da porre a base del giudizio, il ricorso per cassazione deve dimostrare la decisività di queste circostanze, nel senso che il vizio, una volta riconosciuto esistente, deve essere tale che, in sua assenza, si avrebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa. (Cass. 21/6/2006 n. 14305, Pres. Mercurio Est. Miani Canevari, in D&L 2007, con nota di Robarto Muggia, “Licenziamento per giusta causa: la difficile ricerca di una nozione unitaria”, 195)
  55. Il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perché l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’analisi e la valutazione fatte dal giudice di merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito impugnata, con la quale – avuto riguardo a una controversia inerente un contratto di collaborazione giornalistica – era stato correttamente deciso in merito alle concrete modalità di svolgimento del rapporto lavorativo con riferimento non solo al criterio della subordinazione ma anche a quelli sussidiari della quotidianità, dell’orario e dell’inserimento nell’organizzazione aziendale). (Cass. 6/3/2006 n. 4770, Pres. Mileo Rel. Balletti, in Lav. Nella giur. 2006, 821)
  56. Nel giudizio di Cassazione, dominato dall’impulso di ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 ss. C.p.c., onde, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte dell’intimato non produce l’interruzione del processo neppure nel caso in cui sia intervenuta prima della notifica del ricorso presso il difensore costituito nel giudizio di merito e dalla cui relata non emerga il decesso del patrocinato. Conseguentemente, l’intervento processuale del difensore che depositi gli atti del giudizio il certificato di morte della patrocinata in data antecedente alla notifica del ricorso, va considerato del tutto anomalo e irritale, e giudicato tamquam non esset, non avendo alcun titolo per partecipare al giudizio di cassazione. (Cass. 23/1/2006 n. 1257, Pres. Mercurio Rel. Celerino, in Lav. Nella giur. 2006, 705)
  57. Nel procedimento davanti alla Corte di Cassazione il dispositivo deliberato in camera di consiglio – anche nelle controversie in materia di lavoro – non assume rilevanza esterna, ma è un atto avente valore meramente interno; conseguentemente, atteso che le sentenze hanno valore di atto giurisdizionale solo con la pubblicazione, alla Corte è consentito modificare l’originale dispositivo sino a quel momento. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima la rinnovazione della notificazione nulla del ricorso incidentale, disposta con dispositivo diverso rispetto a uno precedente che aveva dichiarato l’inammissibilità dello stesso ricorso incidentale. (Cass. 11/5/2005 n. 9892, Pres. Mileo Est. Vigolo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 492)
  58. È inammissibile nel giudizio di cassazione l’intervento di terzi che non hanno partecipato alle pregresse fasi di merito. (Nella specie la Corte Cass. ha dichiarato inammissibile l’intervento della società incorporante quella intimata, effettuato mediante deposito dell’atto di costituzione all’udienza). (Cass. 18/4/2005 n. 7930, Pres. Miani Canevari Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2005, 2059)
  59. Anche per gli errores in procedendo, pur potendo i giudici di legittimità prendere cognizione degli atti di causa, è necessario per il principio di autosufficienza che nel ricorso siano indicati tutti gli elementi di fatto che consentano alla Corte di controllare l’esistenza dei vizi dedotti, senza che si debba procedere ad un esame dei fascicoli ove tali atti siano contenuti. (Cass. 23/3/2005 n. 6225, Pres. Mercurio Rel. Guglielmucci, in Giur. It. 2005, con nota di Silvia Rusciano, “In tema di autosufficienza del ricorso per cassazione”, 1670)
  60. La mancata riunione di case in materia di lavoro e previdenza non è prevista dalla legge come causa di nullità processuale estesa agli atti successivi, fino alla sentenza, e pertanto non può essere dedotta come motivo di ricorso per Cassazione; la relativa facoltà figura comunque un potere discrezionale del giudice di merito, il cui mancato uso, implicante una valutazione di fatto circa la gravosità della riunione, o l’eccessivo ritardo del processo che ne conseguirebbe, non è censurabile in sede di legittimità. (Cass. 11/2/2004 n. 2649, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2004, 802)
  61. Nel procedimento per cassazione, che non consente alcuna forma di istruzione probatoria, è preclusa la produzione di documenti ovvero di altre cose materiali che servano come mezzi di prova di fatti posti a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti miranti ad introdurre nuove circostanze che non siano quelle riguardanti la nullità della sentenza o l’inammissibilità del ricorso o del controricorso. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha ritenuto inammissibile la produzione delle sentenze di assoluzione dei ricorrenti da reati connessi all’illegittima assunzione di lavoratori, prodotte al fine di dimostrare la fondatezza della proposta opposizione a sanzione amministrativa). (Cass. 5/12/2003 n. 18595, Pres. Senese Rel. Maiorano, in Dir. e prat. lav. 2004, 976)
  62. Deve essere sospeso, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il giudizio per la restituzione della prestazione effettuata dalla parte condannata in primo grado, quando la sentenza di riforma emessa in appello sia impugnata con ricorso per cassazione. Nel caso di specie, essendo stata esperita l’azione di risarcimento del danno da fatto illecito dalla parte civile costituitasi nel processo penale (ex artt. 74, 76 c.p.p.), l’istanza di restituzione si riferisce alla somma pagata a titolo di risarcimento dall’imputato, condannato in primo grado ed assolto in appello. (Trib. Bergamo 22/10/2003, ord., Giud. Gnani, in Giur. It. 2004, 252)
  63. Non deve essere sospeso, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il giudizio per la restituzione della prestazione effettuata dalla parte condannata in primo grado, quando la sentenza di riforma emessa in appello sia impugnata con ricorso per cassazione. (Cass. 23/7/2003 n. 10766, Pres. Genghini Est. Vidiri, in Giur. It. 2004, 252)
  64. La domanda formulata nei gradi di merito in linea subordinata, rimasta assorbita per l’accoglimento della domanda principale, riproposta con controricorso, non può formare oggetto di ricorso incidentale e non può essere presa in considerazione nel caso di accoglimento del ricorso principale, restando salva la facoltà di riproporla nel giudizio di rinvio. (Cass. 30/10/2002, n. 15344, Pres. Trezza, Rel. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2003, 280)
  65. Quando sia denunciato, con il ricorso per cassazione, un vizio di motivazione della sentenza sotto il profili della mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è necessario che il ricorrente non si limiti a censure apodittiche d’erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione, ma precisi e specifichi, svolgendo critiche concrete e puntuali seppure sintetiche, le risultanze e gli elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione, evidenziando, in particolare, in cosa consistessero e con quali finalità ed in quali termini la richiesta fosse stata formulata. Più in particolare, ove trattisi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a qual titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza. (Cass. 8/3/01, n. 3380, pres. Ghenghini, est. Lamorgese, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 313)
  66. Le memorie illustrative consentite dall’art. 378 c.p.c. non hanno altra funzione che quella di chiarire le ragioni a sostegno dei motivi enunciati in ricorso. Conseguentemente non è consentito proporre in esse motivi nuovi o nuovi profili di diritto che richiedano accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità, né specificare censure che nel ricorso siano state accennate in maniera vaga ed indeterminata. (Cass. 8/3/01, n. 3380, pres. Ghenghini, est. Lamorgese, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 313)
  67. Il ricorso “per saltum“ in cassazione, sull’accordo delle parti per omettere l’appello, ai sensi dell’art. 360, 2° comma c.p.c., è ammissibile anche avverso sentenza appellabile emessa dal pretore, ancorché la suddetta norma si riferisca letteralmente alle sole sentenze del tribunale. Ed infatti l’esclusione dei provvedimenti pretorili dal novero delle sentenze ricorribili “per saltum”, che nel codice di rito del 1942 assolveva alla funzione di garantire che il merito della controversia venisse deciso – almeno in sede di gravame – da un organo collegiale, non trova più giustificazione nel mutato assetto ordinamentale e processuale, dacché, da un lato, ex art. 88 della legge n. 353 del 1990, il tribunale decide normalmente in veste monocratica e, dall’altro, il pretore (ancor prima della riforme del giudice unico, che lo ha ribattezzato come “ tribunale”), non soltanto per il processo del lavoro, ha finito con l’identificarsi con il giudice di primo grado (Cass. 22/11/99, n. 12935, pres. Santojanni, in Dir. Lav. 2000, pag. 346, con nota di Bozzi, La Corte di Cassazione anticipa la riforma del giudice unico in materia di ricorso “ per saltum”: il problema è definitivamente superato?)
  68. E’ inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso i provvedimenti posti in essere dai due rami del parlamento per la risoluzione di controversie di impiego con i propri dipendenti, stante l’esistenza di una specifica norma primaria istitutiva dell’ autodichia non suscettibile di disapplicazione da parte del giudice ordinario e sottratta altresì al sindacato di legittimità costituzionale, e la necessità di configurarli come atti di esercizio di detta prerogativa, strettamente inerenti all’organizzazione ed al funzionamento delle camere e con uguali connotati di insindacabilità esterna ( Cass. 27/5/99, n. 317/SU, pres. Vessia, in Foro it. 2000, I, pag. 2673)

 

 

Giudizio di rinvio

  1. L’eccezione di estinzione del processo per tardiva riassunzione davanti al giudice di rinvio va proposta in sede di costituzione prima dell’udienza di discussione ex art. 416 c.p.c., dovendosi interpretare la locuzione “prima di ogni difesa” conformemente alla “ratio” di garantire il tempestivo e ordinato svolgimento del giudizio, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (Cass. 12/3/2015 n. 4979, Pres. Vidiri Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2015, 631)
  2. In caso di cassazione con rinvio per vizi di motivazione, il principio secondo cui il giudice del rinvio conserva tutti i poteri di indagine e di valutazione della prova e può compiere anche ulteriori accertamenti, purchè trovino giustificazione nella sentenza di annullamento e nell’esigenza di colmare le lacune e le insufficienze da questa riscontrate, non opera in ordina ai fatti che la sentenza di cassazione ha considerato come definitivamente accertati, per non essere investiti dall’impugnazione, nè in via principale nè in via incidentale, e sui quali la pronuncia di annullamento è stata fondata; conseguentemente, in tal caso è precluso un nuovo e diverso accertamento dei fatti. (Nella fattispecie, relativa al licenziamento di un funzionario di banca, la Corte ha confermato la impugnata sentenza, resistendo la stessa a tutte le censure del ricorrente, le quali o attenevano a circostanze estranee all’ambito del giudizio di rinvio, come segnato dalla sentenza rescindente, o riguardavano questioni ormai già decise nelle precedenti fasi di merito e non suscettibili di riesame da parte del giudice di rinvio). (Cass. 23/6/2006 n. 14635, Pres. Mercurio Est. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2006, 1226 e in Dir. e prat. lav. 2007, 437)
  3. La denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione concreta denuncia di error in procedendo (art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c.), per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnato dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente. Questa sentenza, infatti, pur non avendo efficacia di giudicato in senso tecnico (stante la sensibilità allo ius superveniens), al giudicato va però equiparato siccome partecipa della qualità dei comandi giuridici, di guisa che la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche. (Cass. 25/3/2005 n. 6461, Pres. Sciarelli Est. Picone, in Orient. Giur. Lav. 2005, 210)
  4. Il mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione non può essere considerato alla stregua dello ius superveniens, che consente alle parti di modificare le conclusioni nel giudizio di rinvio; pertanto, in tale sede non sono ammissibili nuove allegazioni di fatto, nuove deduzioni istruttorie, né la produzione di nuovi documenti, ancorchè tale esigenza derivi proprio dal mutamento di giurisprudenza del SC (nella specie la Corte di legittimità aveva cassato con rinvio la sentenza di secondo grado con la quale si era confermata l’illegittimità del licenziamento effettuato da organizzazione di tendenza, senza indagare se l’attività del datore di lavoro era diretta a fornire un servizio rivolto unicamente agli iscritti, in forma di assistenza o comunque di sostegno professionale della categoria rappresentata, con esclusione di ogni attività, anche analoga, a favore di terzi clienti, questione di fatto su cui nei precedenti gradi di merito nessuna prova era stata dedotta dal lavoratore). (Corte d’Appello Firenze 30/9/2003, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2003, 1034, con nota di Marco Orsenigo, “Inammissibilità dei nova nel giudizio di rinvio”)
  5. A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 51/98, in caso di cassazione con rinvio di sentenza pronunciata in una controversia di lavoro dal tribunale, quale giudice d’appello della sentenza pretorile, il giudice di rinvio deve individuarsi nel tribunale in composizione collegiale, e non nella corte d’appello. (Cass. 13/6/00, n. 8069, pres. Ravagnani, in Foro it. 2000, I, pag. 2477. In senso conforme, v. Cass. 28/2/00, n. 2231, pres. Genghini, in Foro it. 2000, I, pag. 2550; in D&L 2000, 523)

 

 

Impugnazioni incidentali

  1. La declaratoria di estinzione del giudizio di cassazione relativo al ricorso principale, conseguente all’atto di rinuncia del ricorrente, non determina l’inefficacia del ricorso incidentale tardivo. (Cass. Sez. Un. 19/4/2011 n. 8925, Pres. Proto Rel. Piccininni, in Lav. nella giur. 2011, 626)
  2. L’art. 334 secondo comma c.p.c., che ricollega all’inammissibilità dell’impugnazione principale l’inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione principale sia dichiarata improcedibile. (Corte app. Roma 1/10/2007, Pres. Marasco Rel. Poscia, in Lav. nella giur. 2008, 317)
  3. Nel caso in cui in primo grado una questione di giurisdizione sia stata espressamente risolta in senso sfavorevole alla parte rimasta, sia pure parzialmente, soccombente nel merito, quest’ultima, ove la controparte abbia proposto appello (in relazione alle parti della sentenza che l’hanno vista soccombente), deve proporre appello incidentale ove intenda impugnare la decisione relativa alla giurisdizione, rispetto alla quale si è verificata nei suoi confronti una soccombenza “pratica” e non “teorica”, non essendo sufficiente, pertanto, la mera riproposizione della medesima questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. 2/7/2004 n. 12138, Pres. Carbone Rel. Evangelista, in Dir. e prat. lav. 2004, 3024)
  4. Nel caso in cui in primo grado una questione di giurisdizione sia stata espressamente risolta in senso sfavorevole alla parte rimasta, sia pure parzialmente, soccombente nel merito, quest’ultima, ove la controparte abbia proposto appello (in relazione alle parti della sentenza che l’hanno vista soccombente), deve proporre appello incidentale ove intenda impugnare la decisione relativa alla giurisdizione, rispetto alla quale si è verificata nei suoi confronti una soccombenza “pratica” e non “teorica”, non essendo sufficiente, pertanto, la mera riproposizione della medesima questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. 2/7/2004 n. 12138, Pres. Carbone Rel. Evangelista, in Lav. nella giur. 2004, 1298)
  5. Nelle cause scindibili è inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva quando essa sia proposta contro parte diversa dall’impugnante principale. Tale regola subisce tuttavia eccezione nel caso che la causa nella quale sia proposta l’impugnazione tardiva sia collegata in rapporto di dipendenza con la causa in cui sia stata proposta l’impugnazione principale. In questo caso, poiché l’interesse ad impugnare sorge dalla impugnazione principale, deve ritenersi ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva. (Cass. 9/9/2003 n. 13189, Pres. Ciciretti Rel. Lupi, in Dir. e prat. lav. 2004, 553)

 

 

Processo cautelare

 

 

In genere

  1. Costituisce ius receptum quello secondo cui il periculum in mora, quale autonomo presupposto dal fumus boni iuris per la concessione del rimedio cautelare d’urgenza, non possa ritenersi sussistente in re ipsa, ma debba fondarsi su elementi concreti che incombe alla parte ricorrente allegare e provare. Ne discende la necessità di allegazioni puntuali che consentano alle parti processuali ed al giudice di operare una verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente e non teoricamente irrimediabile. Soddisfatto l’onere di allegazione, parimenti graverà sull’istante in cautelare l’onere di fornire elementi di prova in ordine ai fatti dedotti reclamanti un indifferibile provvedimento d’urgenza. (Trib. Mantova 26/6/2020, Giud. Pavoni, in Lav. nella giur. 2021, con nota di I. C. Maggio, L’accesso alla tutela d’urgenza in periodo di emergenza sanitaria da Covid-19 per lo svolgimento della mansione in smart working, 294)
  2. Il pregiudizio imminente e irreparabile alla propria salute, all’assistenza e alla cura dei familiari disabili deve essere puntualmente e specificamente allegato dal ricorrente. (Trib. Roma 20/6/2020, Giud. De Ioris, in Lav. nella giur. 2021, con nota di I. C. Maggio, L’accesso alla tutela d’urgenza in periodo di emergenza sanitaria da Covid-19 per lo svolgimento della mansione in smart working, 297)
  3. Il ricorso alla tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. è in linea generale compatibile con il ricorso ex art. 1, commi 47 e ss. L. n. 92 del 2012. Pur tuttavia, deve ritenersi che il lamentato rischio di pregiudizio grave e irreparabile dovuto ai tempi occorrenti per far valere in via ordinaria si è fortemente attenuato con l’introduzione del rito c.d. Fornero, applicabile nel caso dei licenziamenti rientranti nell’ambito della tutela reale. Il legislatore, infatti, in quest’ultimo caso, ha previsto e imposto tempi di trattazione piuttosto brevi per poter pervenire il più rapidamente possibile a una pronuncia sull’impugnativa di licenziamento. Ne consegue che tale rapidità, propria del nuovo rito, riduce lo spazio di operatività della tutela di cui all’art. 700 c.p.c., ai casi nel quale il periculum in mora presenti i caratteri di un pregiudizio irreparabile e imminente da non poter essere evitato dal provvedimento emesso all’esito del procedimento di cui alla legge n. 92 del 2012. (Trib. Catania 3/5/2014, Giud. Cupri, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Simone Caponetti, 1102)
  4. Al giudice dell’esecuzione, per intendere il significato e l’estensione dell’accertamento compiuto dal giudice con la sentenza e in genere per decidere della sua autorità, è dato integrare il pensiero consegnato alla sentenza con quanto risulta dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice, che siano stati introdotti nel processo in cui la sentenza che ha definito quel giudizio è stata pronunziata. (Cass. Sez. Un. 2/7/2012 n. 11067, Pres. ed Est. Vittoria, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Marco Cattani, “Non sempre la forma è sostanza: la Sezioni Unite si pronunciano sulla legittimità della integrazione del titolo esecutivo giudiziale mediante le risultanze processuali”, 143)
  5. Anche a non voler negare in senso assoluto la tutela cautelare ai crediti pecuniari, ancorché di regola l’estremo dell’irreparabilità della lesione non ricorra con riferimento ai diritti derivanti da rapporti obbligatori, in considerazione della fungibilità del denaro, essa deve ritenersi pur sempre subordinata alla prova rigorosa di un pregiudizio imminente e irreparabile derivante dalla mancata percezione di somme dovute nelle more del giudizio di merito; questo può verificarsi nel caso in cui la privazione di elementi retributivi, quali mezzi di sostentamento del lavoratore, volti ad assicurare il diritto garantito dall’art. 36 Cost., è talmente rilevante da determinare una “lesione alimentare” ovvero a beni di rilevanza costituzionale. (Trib. Messina 28/5/2012, Giud. Romeo, in Lav. nella giur. 2012, 728)
  6. Perché si giustifichi la tutela cautelare è necessario che sussistano elementi tali da cui risultino già almeno atti preparatori, che oggettivamente conducano, sia pure in termini di probabilità, a un evento idoneo a determinare entro un termine ragionevolmente breve un pregiudizio irreparabile. (Trib. Firenze 31/10/2011, ord., Giud. Rizzo, in Lav. nella giur. 2012, 198)
  7. Qualora vi sia piena evidenza dell’illegittimità del licenziamento, la lesione di diritti sia patrimoniali che extrapatrimoniali del lavoratore giustifica di per sé l’emanazione di un provvedimento d’urgenza, non essendovi ragioni per differire nel tempo una reintegrazione nel posto comunque dovuta. (Trib. Busto Arsizio 29/10/2010, Est. Molinari, in D&L 2010, 1203)
  8. Sussiste il periculum in mora quando il licenziamento intimato mini la professionalità del lavoratore e il diritto dello stesso allo svolgimento della personalità mediante l’attività lavorativa. (Trib. Milano 14/6/2010, Pres. Atanasio Est. Colosimo, in D&L 2010, 1148)
  9. Nell’ambito del procedimento cautelare non è proponibile la questione di legittimità costituzionale (nella specie il Giudice ha comunque ritenuto che la stessa sarebbe stata infondata, potendosi operare un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma contestata). (Trib. Roma 5/1/2010, ord., Est. Capaccioli, in D&L 2009, 1108)
  10. La privazione della retribuzione (peraltro parziale in caso di sospensione cautelare dal servizio) non è sufficiente di per sé a integrare l’irreparabilità del pregiudizio nelle more della tutela ordinaria, salvo che il lavoratore alleghi e provi che il venir meno di una parte del trattamento retributivo determina una situazione economica complessiva particolarmente pregiudizievole o così precaria da risultare inadeguata a fronteggiare i bisogni suoi e della sua famiglia per il tempo necessario a ottenere un giudizio di merito. (Trib. Rimini 12/12/2008, ord., Est. Cetro, in Lav. nelle P.A. 2008, 1131)
  11. Vi è incompatibilità fra la speciale procedura prevista dall’art. 4 del D.Lgs. n. 216/2003, che si conclude con ordinanza reclamabile e non postula alcuna successiva fase di merito, e l’ordinario rito del lavoro (anche ove eventualmente introdotto contestaulmente a ricorso ex art. 700 c.p.c. in presenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora). Trib. Roma 14/11/2008, ord., Giud. Trementozzi, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Elena Pasqualetto, 269)
  12. Ai fini dell’irreparabilità del pregiudizio di carattere economico, quale requisito per l’esperimento della procedura ex art. 700 c.p.c. in sede di impugnazione di licenziamento, il lavoratore deve dimostrare il proprio stato di bisogno in relazione a sé e alla sua famiglia. (Trib. di S. Maria Capua Vetere 14/4/2008, Est. Gaudiano, in Lav. nella giur. 2008, 849)
  13. Nel particolare ambito del pregiudizio derivante dal licenziamento del lavoratore non possono ravvisarsi deroghe all’impianto tecnico della tutela ai sensi dell’art. 700 c.p.c. come normativamente tipizzata, nel senso che, nonostante per legge costituisca onere del datore di lavoro dimostrare la giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, nel procedimento ex art. 700 c.p.c. è il lavoratore che intende ottenere la tutela anticipata e urgente a dovere fornire elementi di fumus in ordine, appunto alla legittimità della condotta datoriale, oltre che in ordine al periculum in mora. (Trib. Forlì 13/2/2008, Est. Allegra, in Lav. nella giur. 2008, 740)
  14. E’ inammissibile il ricorso cautelare proposto nelle forme dell’art. 700 c.p.c. per far valere una pretesa violazione dell’art. 2 del d.lgs. 216 del 2003: tale decreto prevede infatti (attraverso il rinvio al procedimento previsto dall’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998) una cautela tipica dei diritti del lavoratore, che non consente il ricorso alla tutela residuale prevista dall’art. 700 c.p.c. (Trib. Modena 18/1/2008, ord., Est. Bisi, in Lav. nelle P.A. 2008, 409)
  15. Ai fini dell’art. 669 septies c.p.c. non costituisce circostanza nuova la produzione di ulteriore certificazione medica che nulla aggiunge allo stato patologico già posto a base del primo ricorso ex art. 700 c.p.c. (accolto con ordinanza annullata in sede di reclamo) nè sotto il profilo delle patologie lamentate nè sotto il profilo della gravità delle stesse. (Trib. Roma 12/12/2007, Est. D.ssa Pangia, in Lav. nella giur. 2007, 530)
  16. Le caratteristiche del procedimento cautelare, singolare per tempi di attuazione, ridotte possibilità di contraddittorio e sommarietà degli accertamenti, sono incompatibili con approfondite indagini circa una concreta valutazione dei comportamenti, i quali possono essere valutati solo in tale sede solo in astratto. (Trib. Milano 5/11/2007, ord., Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Emanuele Menegatti, 406)
  17. La perdita improvvisa delle retribuzioni e dell’attività lavoratva conseguente al licenziamento comminato sono fatti idonei a recare pregiudizio non solo economico, con ripercussioni negative nella sfera personale e familiare del lavoratore e come tali giustificano una tutela immediata. (Trib. Milano 29/10/2007, ord., Est. Scudieri, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Emanuele Menegatti, 405)
  18. Rispetto al licenziamento del lavoratore, ai fini della sussistenza dell’indefettibile requisito del periculum in mora, vengono in rilievo valori extrapatrimoniali, come quello fondamentale della personalità e della salute del lavoratore, il cui pregiudizio non è ristorabile per equivalente (nel caso di specie si è ritenuto sussistente il requisito a fronte del licenziamento di un soggetto invalido affetto da un grave deficit visivo e in cura per problemi di carattere psichico). (Trib. Milano 15/10/2007, ord., Est. Cincotti, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Emanuele Menegatti, 404)
  19. In tema di esecuzione di provvedimenti cautelari, quando la natura personale delle prestazioni imposte ovvero la natura interdittiva del provvedimento esiga per l’esecuzione il contributo dell’obbligato, il rifiuto di ottemperare a detti provvedimenti costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante ai sensi dell’art. 388, 2° comma, c.p. Infatti l’interesse tutelato dalla predetta norma non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione. (Cass. sez. un. pe. 5/10/2007 n. 36692 Pres. Lupo Est. Nappi, in D&L 2008, con nota di Luigi Zezza, “Inottemperanza a provvedimento giudiziale incoercibile: è reato secondo le Sezioni Unite penali”, 767)
  20. Il periculum in mora non deve ritenersi in re ipsa neppure di fronte a vicende tanto rilevanti quale è un licenziamento (nel caso di specie si è ritenuto il requisito sussistente nel caso del licenziamento del lavoratore unico sostegno della famiglia, il quale ha altresì contratto un mutuo per l’acquisto della prima casa). (Trib. Milano 25/9/2007, ord., Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Emanuele Menegatti, 403)
  21. Ai sensi dell’art. 669 octies, 6° e 7° comma, c.p.c. (così come modificati in ultimo dal DL 30/12/05 n. 273 convertito con modificazioni dalla L. 23/02/2006 n. 51) non è previsto un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito dopo l’emissione dell’ordinanza di accoglimento ex art. 700 c.p.c. e pertanto tale ordinanza sopravvive nella sua efficacia all’eventuale estinzione del giudizio stesso. (Trib. Genova 11/5/2007, ord., Est. Basilico, in D&L 2007, con nota di Alvise Moro, “Brevi note in materia di part-time e tutela della maternità”, 806)
  22. In base all’art. 669-duodecies c.p.c. è competente per l’attuazione delle misure cautelari il giudice che ha emanato il provvedimento e non il giudice del reclamo, con unità della giurisdizione cautelare intesa come concentrazione della cognizione e dell’esecuzione in capo allo stesso giudice (fattispecie di ricorso al giudice per dare piena esecuzione a un provvedimento cautelare, non ottemperato, di nullità di licenziamento con reintegrazione). (Trib. Ravenna 25/7/2006, ord., Est. riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 998)
  23. Nel procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. non è ammessa la pronuncia sulle spese legali, ammessa solo in caso di incompetenza e di rigetto prima del merito. (Trib. Ravenna 21/7/2006, ord., Pres. G.G. Lacentra, Est. M. Parisi, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 996)
  24. In caso di licenziamento sussiste il pericolo di danno grave e irreparabile, che legittima un provvedimento d’urgenza in base all’art. 700 c.p.c., in quanto il licenziamento lede il diritto al lavoro, che ha natura costituzionale e connotati non solo patrimoniali, ma anzitutto di natura personalistica (sotto il profilo dell’impoverimento della professionalità), morale (in relazione all’offesa della dignità) e sociale (in relazione all’impoverimento nell’insieme di relazioni umane). (Trib. Ravenna 12/6/2006, ord., Est. R. Riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 993)
  25. L’interesse ad agire in attuazione dell’ottenuto provvedimento cautelare di reintegrazione nelle mansioni contrattualmente previste ed in precedenza svolte, si identifica tout court con l’interesse ad agire in sede cautelare. (Trib. Parma 2/4/2005, Est. Brusati, in Lav. nella giur. 2005, 589)
  26. Qualora nel corso della fase cautelare del giudizio emerga una questione interpretativa di accordo collettivo sottoscritto dall’Aran, il Giudice, ove ritenga sussistente il requisito del fumus, può comunque adottare il provvedimento cautelare richiesto, rinviando alla fase di merito la rimessione all’Aran ai sensi dell’art. 64 D. Lgs. 30/3/01 n. 165. (Trib. Pavia 17/11/2003, ord., Est. Trogni, in D&L 2003, 925)
  27. Anche nel quadro del processo civile riformato dalla novella 26 novembre 1990, n. 353 e successive modificazioni, il provvedimento d’urgenza, adottato secondo il rito cautelare uniforme previsto dagli artt. 669 ss. c.p.c. continua ad essere caratterizzato, oltre che dalla sua strumentalità, dalla provvisorietà e dal difetto di decisorietà, essendo destinato, data la sua natura interinale, ad essere assorbito o superato dagli altri provvedimenti che possano essere adottati nel corso del giudizio, essendo inidoneo a produrre effetti sostanziali o processuali sulla vicenda sottoposta all’esame del giudice (in applicazione di tale principio di diritto , la Suprema Corte ha ritenuto affetta da vizio di motivazione la sentenza del giudice di merito che aveva tratto, dal rigetto di un ricorso ex art. 700 non reclamato, chiesto dalla lavoratrice nei confronti del datore di lavoro che aveva unilateralmente modificato l’orario di lavoro concordato, la conseguenza dell’implicita valutazione di legittimità dell’operato dell’azienda e della malafede del comportamento della lavoratrice, che aveva rifiutato di adeguarsi al nuovo orario lavorativo). (Cass. 17/3/2003, n. 3898, Pres. Dell’Anno, Rel. Cellerino, in Lav. nella giur. 2003, 684)
  28. Il giudice investito del procedimento cautelare, ove ritenga non manifestamente infondato il sospetto di illegittimità costituzionale di una norma, non può rimettere gli atti alla Corte Costituzionale-essendo tale remissione incompatibile con i requisiti d’urgenza del procedimento cautelare-ma può decidere sull’istanza cautelare disapplicando la norma sospettata di incostituzionalità. (Trib. Milano 3/3/2003, ord., Est. Ianniello, in D&L 2003, 807)
  29. Il Giudice del lavoro-adito in via cautelare dal socio lavoratore che sia stato oggetto di esclusione dalla cooperativa e di contestuale licenziamento fondato su un unico motivo-è competente a decidere anche in ordine al provvedimento di esclusione ed alla domanda di sospensione dello stesso ai sensi degli artt. 2527 e 2287 c.c.(Trib. Milano 12/12/2002, Est. Salmeri, in D&L 2003, 198)
  30. L’onere di indicare, in sede di ricorso cautelare ante causam, le domande che si intendono azionare nel merito, deve ritenersi soddisfatto anche qualora, pur mancando l’indicazione specifica delle conclusioni di merito, sia possibile ricavare dal contenuto complessivo del ricorso l’ambito dell’azione di merito alla quale si ricollega l’azione cautelare. (Trib. Milano 28/1/2002, ord., Est. Marasco, in D&L 2002, 365)
  31. Ai fini della concessione di una tutela cautelare atipica ex art. 700, in funzione anticipatoria rispetto ad una futura sentenza di mero accertamento, è pur sempre necessario che ricorrano, in primo luogo, i presupposti generali di ammissibilità della tutela di mero accertamento, ed in secondo luogo, come in ogni altro caso gli indispensabili requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora (Trib. Gorizia 25/6/2001 ordinanza, pres. e est. Masiello, in Lavoro giur. 2002, pag. 67, con nota di Navilli, I provvedimenti cautelari d’urgenza e la tutela meramente dichiarativa nel pubblico impiego privatizzato)
  32. Il regime della riproponibilità della domanda cautelare posto dall’art. 669 septies c.p.c. non preclude la riproposizione della domanda che sia fondata non soltanto su prove nuove ovvero su fatti nuovi, ma anche su diverse argomentazioni o prospettive giuridiche (Trib. Roma 7/12/00, est. Lostorto, in Lavoro giur. 2001, pag. 774, con nota di Menegatti, I provvedimenti d’urgenza nel processo del lavoro: limiti, contenuto e presupposti)
  33. Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale poste al giudice investito della domanda cautelare ante causam (Trib. Milano 31/7/00, est. Marasco, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 887)
  34. Sussiste il fumus boni iuris, ravvisabile nella stessa affermazione del Comune, che ha basato la valutazione comparativa, sulla circostanza che il comandante dei vigili urbani è l’unica persona capace di valutare “lo spessore culturale, la capacità di comando, la prontezza nella predisposizione ai problemi contingenti e, da ultimo, la capacità progettuale dei comandanti nominati”. Tale affermazione è la riprova che la scelta da parte del comandante si è basata su di un criterio del tutto soggettivo. Alla sussistenza del fumus si accompagna la sussistenza del periculum in mora, giacché il tempo occorrente per far valere il proprio diritto in via ordinaria determinerebbe un irreparabile pregiudizio del diritto medesimo, atteso che è imminente il pensionamento del ricorrente (Pret. Roma 9/4/00, Sannite, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 107, con nota di Guerra, Natura, funzioni e limiti della tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nel processo del lavoro)
  35. Le misure cautelari urgenti sono, in particolare in materia di lavoro, per la maggior parte “anticipatorie” degli effetti della sentenza di merito, potendo, così, essere utilizzate per assicurare gli effetti di una sentenza di accertamento (Trib. Roma 2/3/00, est. Delle Donne, in Lavoro giur. 2001, pag. 773, con nota di Menegatti, I provvedimenti d’urgenza nel processo del lavoro: limiti, contenuto e presupposti)
  36. E’ ammissibile, in sede cautelare, l’ordine di pagamento al datore di lavoro di somme di denaro (nella specie, indennità di maternità) che questi debba pagare solo come “delegato di pagamento” da parte dell’Inps (Trib. Milano 12/2/99 (ord.), pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 709)
  37. La tutela cautelare in forma di provvedimento anticipatorio d’urgenza è ammissibile anche rispetto a una pretesa risarcitoria, ogni qual volta questa attenga a un danno futuro dipendente dalla violazione di diritti a contenuto patrimoniale, ma finalizzati, come la retribuzione, a soddisfare esigenze non patrimoniali (Pret. Milano 9/4/98, est. Marasco, in D&L 1998, 669)
  38. Ai fini di quanto dispone l’art. 669 quater c.p.c., perché possa parlarsi di causa pendente per il merito e, quindi, di competenza del giudice della stessa a pronunciare sulla domanda di provvedimento d’urgenza, occorre che sussista un rapporto di inerenza attuale tra tale domanda e la lite in corso, nel senso che questa deve comprendere l’accertamento del diritto per la cui tutela pende, in via provvisoria, il provvedimento d’urgenza. Tale rapporto è ravvisabile tra la causa avente per oggetto la legittimità di un precedente trasferimento del lavoratore e la richiesta del lavoratore stesso rivolta a ottenere la sospensione del nuovo trasferimento disposto dal datore di lavoro (Pret. Nocera Inferiore 20/1/98, est.Viva, in D&L 1998, 718)

 

 

Reclamo

  1. L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio di cui all’art. 445 bis c.p.c. non ha natura cautelare ma costituisce mera condizione di procedibilità finalizzata all’accertamento del requisito sanitario che la parte deve esperire prima di dare corso al giudizio di merito sicché, attraverso la declaratoria di inammissibilità del ricorso, non è proponibile il reclamo. (Trib. Roma 17/12/2012, Pres. Sordi Rel. Capaccioli, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Agostino Di Feo, 1104)
  2. Benché la decisione cautelare non acquisti mai la stabilità del giudicato, ciò nondimeno l’ordinamento non può consentire situazioni in cui nessun giudice risulti obbligato a conoscere della domanda cautelare. Ne segue che in ipotesi in cui entrambi i giudici aditi in via cautelare si ritengano incompetenti, il secondo giudice adito deve sollevare regolamento di competenza ai sensi dell’art. 45 c.p.c. (Trib. Roma 12/1/2010, ord., pres. Sorace Est. Palladini, in D&L 2010, con nota di Alberto Guariso e Daniele Bergonzi, “Sulla competenza per il reclamo nell’azione antidiscriminatoria, la parola passa alla Cassazione”, 671)
  3. Nelle controversie in materia di lavoro pubblico, il tribunale in composizione collegiale è competente all’esame del reclamo avverso i provvedimenti cautelari dello stesso tribunale in composizione monocratica (Trib. Venezia 8/6/00 ordinanza, pres. Santoro, est. Blatti, in Foro it. 2001, pag. 719, con nota di Nicosia, I nuovi meccanismi di responsabilizzazione della dirigenza pubblica: gli incarichi di funzione dirigenziale)
  4. I reclami ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso le ordinanze emesse in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., anche successivi al 1 gennaio 2000, vanno proposti non in Corte D’appello ma davanti al Tribunale del lavoro, in composizione collegiale, nonostante sia venuta meno la competenza del Tribunale a decidere in composizione collegiale sulle impugnazioni contro le sentenze di primo grado emesse nelle controversie di lavoro: pertanto sarà necessario mantenere un assetto organizzativo all’interno del Tribunale che garantisca la presenza di un apposito collegio, destinato a decidere sui reclami ex art. 669-terdecies c.p.c. (Trib. Udine 26/5/00, pres. Formaio, in Lavoro giur. 2000, pag.1063, con nota di Menghini, La competenza sul reclamo contro il provvedimento cautelare del giudice unico del lavoro)
  5. A seguito della riforma degli uffici giudiziari prevista dal d.lgs. 19/2/98, n. 51, con cui si è disposta la soppressione del pretore e l’istituzione del giudice monocratico presso i tribunali, e la modifica dell’art. 669-terdecies, prevista dall’art. 108 dello stesso d.lgs., i reclami avverso i provvedimenti cautelari e d’urgenza emessi dal giudice monocratico in materia di lavoro e in precedenza ascritti alla competenza del pretore, sono decisi dal tribunale in composizione collegiale (Trib. Brindisi, 26/5/00, ord., pres. Sinisi, est. Brocca, in Lavoro nelle p.a. 2001, 240, con nota di Di Rollo, Sull’assegnazione della sede ai dirigenti di prima nomina: problemi di competenza territoriale del giudice e diritti sindacali)
  6. Nelle controversie in materia di lavoro pubblico, spetta al tribunale in composizione collegiale la competenza a decidere sui reclami avverso i provvedimenti emessi dal tribunale in composizione monocratica, salva l’esclusione, dalla sede collegiale, del giudice che abbia emesso il provvedimento reclamato (Trib. Brindisi 26/5/00 ordinanza, pres. Sinisi, est. Brocca, in Foro it. 2001, pag. 719, con nota di Nicosia, I nuovi meccanismi di responsabilizzazione della dirigenza pubblica: gli incarichi di funzione dirigenziale)
  7. In materia di procedimento cautelare, la parte rimasta soccombente avanti il primo giudice non può, in sede di reclamo, produrre documentazione o allegare prospettazioni nuove; il giudice del reclamo è infatti strettamente vincolato al riesame della congruità del provvedimento impugnato sulla base degli elementi acquisiti nella prima fase del procedimento (Trib. Verbania 8/4/99 (ord.), pres. ed est. Laub, in D&L 1999, 709)
  8. In materia di provvedimenti cautelari, il termine di dieci giorni di cui all’art. 669 terdecies e 739, 2° comma, c.p.c. per la proposizione del reclamo decorre dalla data della notifica del provvedimento impugnato, a iniziativa di parte, al procuratore costituito e non dalla data della comunicazione di cancelleria effettuata ai sensi dell’art. 134 c.p.c. (Trib. Milano 12/2/99 (ord.), pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 709)

 

 

Processo esecutivo

  1. Nell’ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l’appello ha carattere sostitutivo e pertanto la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto della sentenza di primo grado; tuttavia, nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello sia a sua volta cassata con rinvio, non si ha una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarà mai più possibile procedere in “executivis” sulla base della sentenza di primo grado (riformata dalla sentenza d’appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio. (Cass. 8/7/2013 n. 16934, Pres. Roselli Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2013, 949)
  2. La sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione ovvero di quanto dovuto al lavoratore a seguito dell’illegittimità del licenziamento costituisce valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l’omessa indicazione del preciso ammontare della somma oggetto dell’obbligazione, la somma stessa sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico; necessario però che i dati per acquisire tale necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni seppure presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna. (Trib. Milano 21/2/2013, Giud. Atanasio, in Lav. nella giur. 2013, 525)
  3. Non costituisce titolo esecutivo la sentenza di appello che si limiti a riformare la sentenza di primo grado senza contenere una statuizione di condanna alla restituzione degli importi pagati in esecuzione della sentenza riformata. (Cass. 8/6/2012 n. 9287, Pres. Uccella Est. Amendola, in D&L 2012, con nota di Paolo Provenzali, “Riforma in appello e obblighi risarcitori”, 843)
  4. Ai sensi dell’art. 618 bis c.p.c., nelle esecuzioni forzate promosse in base a provvedimenti giurisdizionali emessi dal giudice del lavoro in materia previdenziale le opposizioni all’esecuzione rientrano nella competenza per materia dello stesso giudice, in considerazione della natura previdenziale del credito, con conseguente attrazione della competenza del medesimo giudice, ai sensi dell’art. 40 c.p.c., delle richieste del procuratore distrattario delle somme esposte in precetto, stante la loro stretta correlazione con le spettanze di natura previdenziale. (Cass. 3/10/2008 n. 24584, Presc. Sciarelli Est. Stile, in Lav. nella giur. 2009, 195)
  5. La sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto dovuto al lavoratore a seguito dell’accertamento dell’illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito. sicché, a seguito della reintegrazione e della condanna al pagamento di un determinato numero di mensilità oppure delle retribuzioni dovute in virtù del rapporto, il lavoratore non può chiedere in separato giudizio che tale condanna sia espressa in termini monetari più precisi. Ne consegue che, in tal caso, a integrare il requisito della liquidità, richiamato nell’art. 474 c.p.c., è sufficiente che alla determinazione del credito possa pervenirsi per mezzo di un mero calcolo aritmetico sulla base di elementi certi e posititivi contenuti tutti nel titolo fatto valere, i quali sono da identificarsi nei dati che, pur se non menzionati in sentenza, sono stati assunti dal giudice come certi e oggettivamente già determinati, anche nel loro assetto quantitativo, perché così presupposti dalle parti e pertanto acquisibili al processo, sia pure per implicito. (Cass. 15/6/2007 n. 14000, Pres. ed Est. Ianniruberto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Giuseppe Maria Monda, “Licenziamento illegittimo e condanna al risarcimento del danno: i presupposti per l’attivazione della tutela esecutiva”, 702)
  6. La sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione costituisce valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l’omessa indicazione del preciso ammontare complessivo della somma oggetto dell’obbligazione, la somma stessa sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico, semprechè, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l’oggetto, i dati per acquisire la necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni, non desumibili da esso, ancorchè presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna, in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo. (Nella specie, la S.C., in controversia in cui il titolo esecutivo era rappresentato dal semplice dispositivo della sentenza, ha ritenuto che ciò impedisse in radice la più ampia possibilità ermeneutica estesa alla motivazione della sentenza). (Cass. 21/11/2006 n. 24649, Pres. Vidiri Rel. Stile, in Dir. e prat. lav. 2007, 1733 e in Lav. nella giur. 2007, 521)
  7. È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. l’art. 22 L. n. 24/11/81 n. 689, che disciplina il ricorso in opposizione all’ordinanza-ingiunzione che commina una sanzione amministrativa, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione dell’opposizione. (Corte Cost. 18/3/2004 n. 98, Pres. Zagrebelsky, Rel. Marini, in D&L 2004, 289)
  8. Nell’ipotesi di opposizione all’esecuzione proposta dopo che questa sia iniziata, ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, se la causa non rientra nella competenza per valore del’ufficio giudiziario al quale appartiene, è competente limitatamente alla prima fase, e cioè per l’esercizio dei poteri ordinatori di direzione del processo, dovendo invece rimettere la cognizione del merito al giudice competente, e, ove si tratti di rapporto la cui cognizione sia riservata al giudice del lavoro, a quest’ultimo giudice. (Cass. 8/8/2002, n. 11995, Pres. Ciciretti, Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2003, 78)
  9. E’ dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 c.p.c., nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, sollevata, in relazione all’art. 32, comma 1, Cost., dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con l’ordinanza di cui in epigrafe.(Corte Cost. ordinanza 22/5/02, n. 225, pres. Ruperto,est. Chiappa, in Lavoro giur. 2002, pag. 627)
  10. Nelle cause di opposizione agli atti esecutivi, quando il titolo di formazione giudiziale è stato emesso dal giudice del lavoro, la competenza a decidere il merito spetta al giudice del lavoro del luogo ove si svolge l’esecuzione, per il richiamo operato dall’art. 618 c.p.c. (Trib. Salerno ordinanza 8/3/02, pres. e est. De Stefano, in Lavoro giur. 2002, pag. 642, con nota di Rossi, Riflessioni sui procedimenti in materia esecutiva su sentenza in tema di licenziamento)
  11. La sentenza di condanna alla riammissione in servizio di lavoratori illegittimamente sospesi costituisce in capo al datore di lavoro, nei cui confronti è emessa, un’obbligazione di pati consistente nel consentire il rientro in azienda dei lavoratori estromessi; essa è, dunque, coattivamente eseguibile, ove non spontaneamente adempiuta, a mezzo di ausiliari del giudice e/o della forza pubblica (nel caso di specie il Pretore ha disposto l’accompagnamento dei lavoratori nei locali della società datrice di lavoro a opera di un ufficiale giudiziario adiuvato, ove necessario e a sua richiesta, dalla forza pubblica) (Pret. Milano 25/6/98 (ord.), est. Chiavassa, in D&L 1998, 1093)

 

 

Decreto ingiuntivo

  1. I verbali redatti dall’Ispettorato del Lavoro o dai funzionari degli enti di previdenza ed assistenza, in tema di omesso versamento di contributi, costituiscono prova idonea a legittimare il ricorso al procedimento ingiuntivo e fanno fede sino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti ed i fatti che quest’ultimo attesta che siano avvenuti in sua presenza o che siano stati da lui compiuti; mentre in ordine alle altre circostanze di fatto che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese o de relato o in seguito ad ispezione di documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito. In tale ultima ipotesi, il materiale raccolto dal verbalizzante deve passare al vaglio del giudice, il quale, nel suo libero apprezzamento, può valutarne l’importanza e determinare quale sia il conto da farne ai fini della prova; al proposito, la Suprema Corte, anche di recente, ha ribadito che i verbali ispettivi predetti non hanno alcun valore probatorio precostituito, ma che costituiscono “materiale istruttorio che può essere utilizzato in sede giudiziale per fondare il convincimento del giudicante”, poiché le dichiarazioni raccolte dagli ispettori e trasferite negli stessi, anche se non sono munite di efficacia fino a querela di falso, costituiscono oggetto di libera valutazione del giudice e, in concorso con altri elementi di prova, possono essere utilizzati per corroborare la decisione assunta. (Cass. 14/5/2020 n. 8946, Pres. D’Antonio Rel. Leo, in Lav. nella giur. 2020, 1103)
  2. La notificazione a una società in nome collettivo di un decreto ingiuntivo, relativo a crediti contributivi dell’Inps, deve intendersi regolarmente effettuata se avviene presso la sede legale risultante da una visura camerale. Fino a prova contraria, anche per le società prive di personalità giuridica (ma comunque iscritte nel registro delle imprese) si deve infatti presumere la coincidenza tra sede legale e luogo di svolgimento continuativo dell’attività sociale. (Cass. 25/9/2012 n. 16245, Pres. Roselli Est. Esposito, in Lav. nella giur. 2012, 1215)
  3. Nel rito del lavoro al ricorso per ingiunzione è applicabile l’onere per il creditore procedente di indicare gli elementi essenziali dell’azione, ossia il fondamento o titolo (“causa petendi”) e l’oggetto (“petitum”) della pretesa azionata giudizialmente, essendo detto ricorso l’atto introduttivo del giudizio, salva restando, una volta che dall’opponente (il quale ha veste sostanziale di convenuto) sia stata proposta opposizione a decreto ingiuntivo, la possibilità per il creditore opposto di specificare o di meglio chiarire detti elementi nell’atto di costituzione, al quale va riconosciuta natura di atto integrativo del precedente ricorso per ingiunzione rispondente, tra l’altro, al fine di adeguare al carattere e ai principi della cognizione ordinaria la pretesa azionata in sede monitoria. (Trib. Taranto 7/6/2010, Giud. Pazienza, in Lav. Nella giur. 2010, 1054
  4. Nel rito del lavoro, il principio secondo il quale l’appello, pur tempestivamente proposto entro nel termine, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, è applicabile al procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro – per identità di ratio di regolamentazione e ancorché detto procedimento debba considerarsi un ordinario processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione – sicché, anche in tale procedimento, la mancata notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione dell’udienza determina l’improcedibilità dell’opposizione e con essa l’esecutività del decreto ingiuntivo opposto. (Cass. Sez. Un. 30/7/2008 n. 20604, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Guerino Guarnieri, “Notifica del ricorso in appello: svolta rigorosa delle S.U. e della Sezione lavoro”, 33)
  5. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile la domanda riconvenzionale dell’opposto, il quale, mantenendo la veste di attore sostanzial, non può estendere l’ambito del giudizio oltre i limiti da lui stesso prefissati mediante il ricorso alla procedura monitoria. (Trib. Reggio Emilia 30/1/2008, Est. Strozzi, in D&L 2008, 595)
  6. Nelle controversie di lavoro, la spedizione dell’atto introduttivo del giudizio a mezzo del servizio postale, pur se pervenuto nella cancelleria del giudice del lavoro nei termini di legge, integra una modalità non prevista in via generale (salva l’espressa eccezione rappresentata dall’art. 134 disp. att. c.p.c. per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso) ed è carente del requisito formale indispensabile (il deposito in cancelleria ex art. 415 c.p.c.) per il raggiungimento dello scopo, cui è destinato dalla legge, conseguendone la nullità della prescelta modalità di proposizione del ricorso, nella specie in opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 156, secondo comma, c.p.c. e la rilevabilità d’ufficio e l’insanabilità del relativo vizio, ancorché il cancelliere abbia erroneamente proceduto all’iscrizione a ruolo della causa relativa (v. Corte Cost. n. 34 del 2007). (Cass. 12/10/2007, sentenza n. 21447, Pres. Senese Est. Stile, in Lav. nella giur. 2008, 1600)
  7. In applicazione del principio della ragionevole durata del processo, nel caso di omessa notifica del ricorso in appello in materia di lavoro (così come quello in opposizione a decreto ingiuntivo), il giudice non può applicare l’art. 291, 1° comma, c.p.c. e assegnare un nuovo termine per la notifica, ma deve dichiarare l’improcedibilità del giudizio, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata o del decreto ingiuntivo opposto; trattandosi tuttavia di questione altamente controvertibile è opportuna la rimessione alle Sezioni Unite. (Cass. 3/10/2007 n. 20721, ord. interlocutoria, Pres. Ciciretti Est. De Matteis, in D&L 2008, con nota di Ilaria Cappelli, “Appello e opposizione a decreto ingiuntivo: si riapre la questione del termine perentorio per la notifica”, 341, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Comastri, “La disciplina del rito del lavoro al vaglio del principio della ragionevole durata del processo”, 689)
  8. Con riferimento ai crediti portati da decreto ingiuntivo o ordinanza ingiunzione non divenuti definitivi prima della dichiarazione di fallimento ovvero notificati dopo la dichiarazione di fallimento (purchè si tratti di crediti soggetto al concorso in quanto sorti prima della dichiarazione di fallimento), il decreto ingiuntivo o l’ordinanza ingiunzione non possono considerarsi efficaci nei confronti della massa dei creditori stante il disposto dell’art. 52 L.F. (Trib. Grosseto 31/12/2005, Est. Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2006, 1032)
  9. Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 637, primo comma, c.p.c., “nella parte in cui – secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione – esclude la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per territorio oltre i casi dell’art. 28 c.p.c.” nella fase senza contraddittorio del procedimento per decreto ingiuntivo, così pregiudicando il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa. Si deve infatti ritenere, sulla base di un’interpretazione conforme a Costituzione, che il giudice adito per l’emissione del decreto ingiuntivo possa rilevare d’ufficio la propria incompetenza per territorio. (Cost. 24/10/2005 n. 410, Pres. Capotosti Rel. Vaccarella, in Dir. e prat. lav. 2006, 65)
  10. Al ricorso per ingiunzione per crediti inerenti a rapporti di lavoro o di previdenza e assistenza obbligatorie non si applicano le prescrizioni dell’art. 414 c.p.c. sul contenuto del ricorso introduttivo, nel senso che, fermo restando che il creditore che agisce in via monitoria deve indicare gli elementi essenziali dell’azione e cioè la causa petendi e il petitum, nella memoria di costituzione a seguito di opposizione egli può specificare l’una e l’altro e formulare ulteriori prove, costituende o costituite, a sostegno della pretesa azionata con il ricorso per ingiunzione, nonché modificare la domanda introdotta nel ricorso per ingiunzione, senza tuttavia poter formulare domande nuove; in ogni caso eventuali nullità del ricorso per decreto ingiuntivo non possono determinare automaticamente la nullità della memoria di costituzione in giudizio, potendo rilevare solo ai fini del regolamento delle spese della fase monitoria. (Cass. 4/8/2004 n. 14962, Pres. Ciciretti Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2005, 83 e in Dir. e prat. lav. 2005, 127)
  11. Il decreto ingiuntivo reso esecutivo per mancata opposizione ha efficacia di giudicato sostanziale. (Corte d’appello Venezia 26/1/2004, Pres. Pivotti Est. Lendaro, in D&L 2004, 463, con nota di Marco Orsenigo, “Decreto ingiuntivo ed effetti del giudicato”)
  12. E’ possibile proporre un secondo ricorso per ingiunzione se il decreto già concesso è divenuto inefficace per mancata notificazione, ancorchè tale inefficacia non sia stata dichiarata dal giudice. (Cass. 6/6/2003 n. 9132, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Foro it. 2003, parte prima, 2997)
  13. Allorquando dinanzi al pretore, giudice del lavoro, venga proposta opposizione a decreto ingiuntivo per un credito di lavoro e l’opponente formuli domanda riconvenzionale, non rientrante per materia nella competenza del pretore giudice del lavoro e comunque eccedente per valore la competenza del pretore, e non venga eccepita dalle parti l’incompetenza per valore sulla domanda riconvenzionale, né questa venga rilevata d’ufficio dal giudice nei termini stabiliti dall’art. 38, secondo comma c.p.c. (nel testo precedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 353/1990, trattandosi, nella specie, di causa iniziata prima del 30 aprile 1995) e non si proceda quindi alla separazione delle cause e alla rimessione al tribunale della domanda riconvenzionale, anche quest’ultima va trattata con il rito del lavoro, ai sensi dell’art. 40, terzo comma, c.p.c., come modificato dall’art. 5 della citata L. n. 353/1990 (applicabile nel caso di specie per essere stato il giudice iniziato dopo il primo gennaio 1993), e l’eccezione di incompetenza non può essere formulata per la prima volta in sede di legittimità. (Cass. 14/3/2002, n. 3753, Pres. Trezza, Est. Prestipino, in Lav. nella giur. 2003, 36, con commento di Guarino Guarnieri)
  14. Le somme dovute al lavoratore in virtù della sentenza del giudice del lavoro, che ordinando la reintegrazione, condanni il datore di lavoro al pagamento della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento annullato alla data della sentenza, se non precisamente quantificate, possono essere liquidate in separato procedimento monitorio – senza che si incorra nel divieto del bis in idem – non aprendo, la predetta sentenza, direttamente la via dell’esecuzione forzata, per mancanza dei requisiti di liquidità e certezza di cui all’art. 474 c.p.c. (Trib. Salerno ordinanza 8/3/02, pres. e est. De Stefano, in Lavoro giur. 2002, pag. 642, con nota di Rossi, Riflessioni sui procedimenti in materia esecutiva su sentenza in tema di licenziamento)
  15. Nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento non è ammissibile una domanda riconvenzionale proposta dal creditore opposto. (Trib. Parma 6/11/2001, Est. Brusati, in D&L 2002, 222)
  16. Al ricorso per decreto ingiuntivo in materia di lavoro e previdenza non si applicano le prescrizioni dell’art. 414 c.p.c. sul contenuto del ricorso introduttivo, ma la disciplina dettata per queste controversie trova applicazione a seguito dell’opposizione al decreto ingiuntivo (in conformità alla precisazione dell’art. 645, comma 2, c.p.c.) e di conseguenza il convenuto opposto, che riveste la posizione di attore sostanziale, nella memoria di costituzione deve articolare la domanda secondo le specificazioni di cui all’art. 414 c.p.c. (Trib. Modena 2/2/01, est. Cervelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 469, con nota di Miscione, Nessun contributo di mobilità per i non aventi diritto all’indennità)

 

 

Questioni varie

 

 

Notifiche

  1. La previsione di cui all’art. 417 bis c.p.c., secondo cui le P.A., nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, possono stare in giudizio, in primo grado, mediante loro dipendenti, si differenzia da quella di cui all’art. 2 del R.D. n. 1611 del 1933, che consente all’Avvocatura dello Stato di delegare per la rappresentanza dell’Amministrazione un funzionario o procuratore, in quanto in un caso l’amministrazione assume direttamente la difesa, nell’altro la delega concerne la sola rappresentanza in giudizio, restando l’attività defensionale affidata all’ufficio dell’Avvocatura competente per territorio. Ne consegue che nel primo caso la notifica della sentenza di primo grado, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, va effettuata allo stesso dipendente, mentre nel secondo la notifica della sentenza al delegato è radicalmente nulla, dovendosi effettuare presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato, ex art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933. (Cass. 5/9/2016 n. 17596, Pres. Macioce Rel. Boghetic, in Lav. nella giur. 2017, 91)
  2. L’art. 155, comma 5, c.p.c. (introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. f, L. n. 263 del 2005), diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva e non anche per quelli che si computano “a ritroso”, con l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio con le esigenze garantite con previsione del termine medesimo. (Nella specie, la S.C., premesso che la disposizione invocata non assumeva comunque rilievo, applicandosi solo ai giudizi instaurati successivamente al 1° gennaio 2006, mentre la notifica del ricorso per cassazione risaliva al 2004, ha escluso, in applicazione del principio enunciato in massima, la tempestività della produzione di una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. (Cass. 7/5/2008 n. 11163, Pres. Mattone Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2008, 1058)
  3. Nelle controversie di lavoro, quando l’amministrazione statale sia stata in giudizio avvalendosi del proprio dipendente secondo lo schema dell’art. 417-bis c.p.c., la notifica della sentenza di primo grado ai fini del decorso del termine breve di impugnazione va effettuata presso lo stesso dipendente a norma dell’art. 285 c.p.c., che rinvia a tal fine all’art. 170, primo e terzo comma, c.p.c. e non presso “l’ufficio della Avvocatura dello Stato nel cui distretto pende la causa o che ha pronunciato la sentenza” a norma dell’art. 11, secondo comma, del r.d. n. 1611/1933. (Cass. 22/2/2008 n. 4690, Pres. Ianniruberto Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 407)
  4. Nell’ipotesi di cancellazione dall’Albo professionale, nella specie disposta con sanzione disciplinare, si determina la cessazione dell’avvocato dallo “ius postulandi” e perciò di ogni collegamento con la parte. Ne consegue che la notificazione dell’atto di appello presso il suddetto difensore è affetta da inesistenza, rilevabile a prescindere dalla “denuntiatio” o dalla certificazione contenuta nella relata della notificazione. Tuttavia l’evento da cui scaturisce tale inesistenza deve essere dimostrato dalla parte interessata, eventualmente anche mediante produzione documentale ai sensi dell’art. 372 c.p.c. della notifica. (Cass. 4/8/2006 n. 17763, Pres. Mercurio Est. Morcavallo, in Lav. nella giur. 2007, 205)
  5. Nel prevedere che, in caso di omesso versamento di ritenute previdenziali, il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione e che la denuncia di reato deve essere trasmessa dopo il versamento tardivo o dopo l’inutile decorso dei tre mesi, l’art. 2, legge 11 novembre 1983, n. 638, commi 1-bis e 1-ter, non richiede particolari formalità di notifica, né la notifica a mezzo di ufficiale giudiziario, bensì solo una comunicazione che può avvenire anche a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. (Cass. sez. III pen. 10/3/2005 n. 9528, Pres. Vitalone Est. Grillo, in Dir. e prat. lav. 2005, 1122)
  6. Ai fini della decorrenza del termine breve per l’appello ex art. 434, 2° comma, c.p.c., la notificazione della sentenza a un’amministrazione centrale dello Stato deve essere effettuata presso l’Avvocatura dello Stato, a nulla rilevando il fatto che nel giudizio di primo grado l’Amministrazione avesse delegato un funzionario per la rappresentanza e difesa processuale. (Corte d’appello Milano 25/2/2005, Pres. Castellini Est. Accardo, in D&L 2005, 303)
  7. Poiché nel rito del lavoro la tempestività dell’appello va riscontrata con riguardo alla data di deposito del ricorso introduttivo presso la cancelleria del giudice, quando il suddetto deposito sia avvenuto entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata, la successiva notificazione, benchè eseguita oltre l’anno del deposito della sentenza, va fatta al procuratore costituito e non alla parte personalmente. (Cass. 29/9/2004 n. 19576, Pres. Mattone Rel. Di Iasi, in Lav. nella giur. 2005, 288)
  8. Nelle controversie soggette al rito del lavoro e proposte in opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice d’appello che rilevi l’inesistenza della notificazione del ricorso in opposizione e sia già stata perfezionata la fase dell’editio actionis con il tempestivo deposito del ricorso nel termine di legge, deve dichiarare la nullità della sentenza impugnata, non essendosi in quella fase instaurato il contraddittorio per mancata attuazione della vocatio in ius e, in applicazione analogica dell’art. 354 c.p.c., rimettere la causa al primo giudice il quale provvederà ad assegnare termine perentorio per la notificazione, da eseguire o da rinnovare, onde consentire il realizzarsi del contraddittorio con la controparte, non rilevando che l’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo non sia (a differenza della nullità della notificazione) contemplata dall’art. 354 c.p.c., atteso che tale ultimo articolo fa riferimento ai procedimenti introdotti con citazione, nei quali non può verificarsi l’inesistenza della notificazione, dal momento che l’iscrizione della causa a ruolo presuppone che sia intervenuta la notifica della citazione, e non tiene conto della scissione tra editio actionis e vocatio in ius che si verifica nei procedimenti, come quelle del lavoro, introdotti con ricorso. (Cass. 8/9/2004 n. 1808, Pres. Mercurio Rel. Mercurio, in Lav. nella giur. 2005, 287)
  9. La notificazione dell’atto di impugnazione a più parti presso un unico procuratore, eseguita mediante consegna di una sola copia o di un numero di copie inferiori rispetto alle parti cui l’atto è destinato, non è inesistente, ma nulla; il relativo vizio può essere sanato, con efficacia ex tunc, o con la costituzione in giudizio di tutte le parti cui l’impugnazione è diretta, ovvero con la rinnovazione della notificazione da eseguire in un termine perentorio assegnato dal giudice a norma dell’art. 291 c.p.c., con la consegna di un numero di copie pari a quello dei destinatari, tenuto conto di quella o di quelle già consegnate. (Cass. 17/4/2004 n. 7347, Pres. Sciarelli Rel. Amoroso, in Lav. e prev. oggi 2004, 922)
  10. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 139 e 148 c.p.c. -sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.- nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfezioni, per il notificante, alla data di compimento delle formalità di notifica poste in essere dall’ufficiale giudiziario e da questi attestate, anziché alla data, antecedente, di consegna dell’atto ufficiale giudiziario poiché deve ritenersi esistente nell’ordinamento processuale civile -per effetto delle sentenze della Corte Cost. 358/96, 69/94 e 477/02- un principio di scissione del momento di perfezionamento della notifica tra notificante e destinatario in applicazione del quale la notifica si perfeziona- per il notificante- al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. (Corte Cost. 23/1/2004 n. 28, Pres. Zagrebelsky, Rel. Bile, in D&L 2004, con nota di Silvia Balestro “La doppia personalità della qualifica”, 43)
  11. È incostituzionale l’art. 8, 2° comma, L.20/11/82 n. 890, nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego (Corte Costituzionale 23/9/98 n. 346, pres. Granata, rel. Marini, in D&L 1998, 883, n. Guariso, Anche per le notifiche, il postino suona sempre due volte)
  12. È incostituzionale l’art. 8, 3° comma, L.20/11/82 n.890, nella parte in cui prevede che, in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, il piego sia restituito al mittente dopo dieci giorni dal deposito presso l’ufficio postale (Corte Costituzionale 23/9/98 n. 346, pres. Granata, rel. Marini, in D&L 1998, 883, n. Guariso, Anche per le notifiche, il postino suona sempre due volte)
  13. In caso di notificazione a mezzo posta del ricorso introduttivo di una causa di lavoro, la restituzione al mittente da parte dell’ufficiale postale del plico contenente l’atto “per compiuta giacenza” non è sufficiente a fondare la conoscenza legale di quest’ultimo da parte del destinatario ove l’avviso di ricevimento che costituisce la documentazione della notificazione non rechi, ai sensi dell’art. 8 della L. 20/11/82 n. 890, l’indicazione del deposito del piego presso l’ufficio postale e l’avviso di tale giacenza al destinatario (Trib. Milano 30/12/97, pres. Mannacio, est. Sbordone, in D&L 1998, 498)

 

 

Giudicato

  1. In tema di nullità del termine apposto a un contratto di lavoro subordinato, non può dirsi formato il giudicato implicito sulla questione della validità del termine per il solo fatto che, in un precedente giudizio di impugnativa del recesso datoriale dal medesimo contratto, il giudice abbia ritenuto inapplicabile l’art. 18 St. lav. in ragione della natura a tempo determinato del contratto, atteso che può costituire oggetto di giudicato implicito soltanto la situazione di fatto che si pone come antecedente logico necessario della pronuncia resa sul fatto costitutivo fatto valere e non anche la questione pregiudiziale in senso tecnico, disciplinata dall’art. 34 c.p.c., che indica una situazione distinta e indipendente dal fatto costitutivo dedotto e che è oggetto, tranne che una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti, solo di un accertamento incidentale. (Cass. 17/4/2018 n. 9409, Pres. Di Cerbo Est. Marchese, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di L. Di Paola, “Giudicato implicito ‘deducibile’ e frazionamento della tutela giurisdizionale con riferimento alle azioni di impugnativa negoziale nell’ambito del rapporto di lavoro”, 962)
  2. In presenza di una pluralità di contratti a tempo determinato, qualora il primo contratto della serie sia dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione dei successivi contratti non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una novazione ovvero di una risoluzione anche tacita del medesimo, sicché, una volta accertata con sentenza passata in giudicato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ogni successiva stipulazione di contratti a termine intervenuta “medio tempore”, così come il contenzioso giudiziale pendente relativo a essi, non può incidere su detto accertamento. (Cass. 9/3/2018 n. 5714, Pres. Nobile Est. Amendola, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di L. Di Paola, “Giudicato implicito ‘deducibile’ e frazionamento della tutela giurisdizionale con riferimento alle azioni di impugnativa negoziale nell’ambito del rapporto di lavoro”, 962)
  3. Ai sensi dell’art. 2909 c.p.c., l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti a terzi né può essere, quindi, vincolante per questi ultimi; tuttavia, il giudicato può spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, quando questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a tale situazione (nella specie, relativamente alla legittimità del licenziamento intimato dalla società distaccante a un dipendente distaccato, la Corte ha ritenuto che a nulla rilevava la sentenza passata in giudicato che aveva accertato l’insussistenza dei danni lamentati dalla società fruitrice e causati da condotte scorrette poste in essere dal lavoratore distaccato che costituivano le ragioni del licenziamento. (Cass. 8/1/2015 n. 57, Pres. Macioce Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2015, 411)
  4. L’art. 295 c.p.c., la cui ragione fondante è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non è configurabile nell’ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull’ “an debeatur” e di quello sul “quantum”, fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l’art. 337, secondo comma, c.p.c., il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo. (Cass. 24/6/2014 n. 14274, Pres. Stile Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2014, 920)
  5. Lo svolgimento dell’attività di amministratore di s.r.l. da parte di un pensionato, obbliga lo stesso soggetto all’iscrizione al fondo previdenziale commercianti. L’esistenza della prevalenza dell’attività professionale è da ritenersi implicitamente esistente per mancanza di altra attività lavorativa produttiva di reddito. A questi fini è irrilevante il reddito da pensione. (Trib. Forlì 12/5/2010 n. 96, Giud. Angelini Chesi, in Lav. Nella giur. 2011, con commento di Domenico Mesiti, 310)
  6. Affinché il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato di cancelleria; per converso, non può essere invocata come giudicato esterno una sentenza di merito impugnata per cassazione, producendo copia del ricorso e del controricorso, al fine di dimostrare che questi non riguardano la questione attualmente controversa, in quanto – salvi i casi in cui l’avvenuta formazione del giudicato appaia quale fatto incontestabile ictu oculi – l’esistenza dell’impugnazione e il conseguente nonché imprevedibile sviluppo della lite non permettono di avere certezza circa il carattere definitivo delle statuizioni sulla questione. (Cass. 2/4/2008 n. 8478, Pres. Sciarelli Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2008, 2433)
  7. Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il petitum del primo (principio affermato in controversia insorta tra le stesse parti, ancorchè per un diverso periodo temporale, già risolta nel senso che il socio di una società cooperativa artigiana, che svolga lavoro personale, anche manuale, nell’impresa, è considerato, ai contributivi e delle prestazioni, come un dipendente della società, la quale è tenuta a versare i contributi sugli utli corrisposti allo stesso per i lavori assunti dalla società nella misura prevista per i dipendenti del settore artigiano, senza che a ciò sia di ostacolo l’esistenza di diverse prestazioni lavorative eventualmente assunte dal socio esternamente alla società, nella qualità di titolare di una impresa artigiana individuale, con il versamento dei relativi contributi). (Cass. 8/1/2007 n. 67, Pres. Mercurio Est. Celentano, in Lav. nella giur. 2007, 824)
  8. La sentenza pronunciata a norma dell’art. 444 c.p.p. non è una vera e propria sentenza di condanna, essendo a questa equiparata solo a determinati fini e, ai sensi dell’art. 445 c.p.p. – nella formulazione anteriore alla modifica apportata dalla l. 27 marzo 2001 n. 97 – non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi; siffatta sentenza, che non può acquisire autorità di giudicato, non rileva ai fini della definizione di un processo civile avente a oggetto la legittimità di un licenziamento fondato esclusivamente su una disposizione del contratto collettivo che consente la risoluzione del rapporto di lavoro nell’ipotesi di condanna a pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro. (Cass. 29/3/2006 n. 7196, Pres. Senese Est. Lamorgese, in Giust. civ. 2007, 1260)
  9. Anche in relazione a controversie in senso lato “collettive”, cioè coinvolgenti le medesime questioni tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti, il giudicato formatosi tra la parte datoriale e uno o più di quei dipendenti, in merito ad una questione che possa in termini identici interessare ad altri lavoratori rimasti estranei alla controversia con tale giudicato conclusasi, ed essere oggetto di altri giudizi tra lo stesso datore ed altri suoi dipendenti, non estende a questi ultimi la sua efficacia, neppure in termini di “efficacia riflessa”, a ciò ostando il principio contenuto nell’art. 2909 c.c. a norma del quale l’efficacia del giudicato è estesa solo alle parti, ai loro eredi ed aventi causa. (Cass. 1/6/2005 n. 11677, Pres. Mileo Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2006, 300)
  10. Il giudicato esterno è rilevabile d’ufficio e la deduzione dei fatto costitutivi del medesimo non sono soggetti ai termini di decadenza propri del rito del lavoro. (Corte d’appello Venezia 26/1/2004, Pres. Pivotti Est. Lendaro, in D&L 2004, 463, con nota di Marco Orsenigo, “Decreto ingiuntivo ed effetti del giudicato”)
  11. Fra due giudicati contrastanti il secondo prevale sul primo. (Corte d’appello Venezia 26/1/2004, Pres. Pivotti Est. Lendaro, in D&L 2004, 463, con nota di Marco Orsenigo, “Decreto ingiuntivo ed effetti del giudicato”)
  12. Il giudicato che si forma sull’azione con cui il lavoratore, nel corso del rapporto di lavoro, abbia chiesto l’accertamento dell’inclusione di una o più voci contrattuali nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, non preclude una successiva domanda che si riferisce a voci retributive differenti. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto operante, nei confronti di una domanda avente ad oggetto l’inclusione dello straordinario fisso e continuativo nella base di calcolo del Tfr, la preclusione da giudicato in relazione a precedente sentenza di accertamento riguardante l’inclusione nella suddetta base di calcolo di altre voci previste dal CCNL). (Cass. 21/11/2003 n. 17754, Pres. Mattone Rel. Figurelli, in Lav. e prev. oggi 2004, 360)
  13. Qualora due giudizi tra le stesse parti vertano sul medesimo rapporto giuridico, l’accertamento compiuto in ordine allo stesso con sentenza passata in giudicato preclude il riesame dal punto deciso in un nuovo processo, anche se quest’ultimo abbia una causa petendi in parte diversa (nella fattispecie è stata accolta l’eccezione di cosa giudicata in relazione alla domanda di impugnazione di un recesso per nullità del termine, essendosi già formato in altro giudizio il giudicato sulla domanda di illegittimità del medesimo recesso per violazione di un preteso obbligo di riassunzione). (Corte d’Appello Napoli, 19/4/2001, Pres. Vitiello Est. Villari, in D&L 2002, 219)
  14. Il giudicato formatosi sulla domanda del lavoratore fondata su una determinata norma di contratto integrativo aziendale non si estende alla domanda di identico contenuto in seguito azionata dal lavoratore qualora, successivamente al passaggio in giudicato della precedente sentenza, la contrattazione integrativa aziendale abbia subito sostanziali modifiche (Pret. Milano 25/11/97, est. Sala, in D&L 1998, 432)

 

 

Presunzioni

  1. In tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non devono necessariamente essere più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento (corretta, nella specie, la giustificazione dell’inerzia del licenziato operata dal giudice sulla base della testimonianza del collega, che aveva affermato che per lavorare era necessario il materiale che lui stava nel frattempo portando). (Cass. 12/3/2013 n. 6125, Pres. La Terza Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2013, 515)
  2. Nel processo civile, il ricorso alla presunzione richiede, da un lato, che i fatti noti siano certi e univoci – nel senso che ciascuno di essi deve rafforzare il contenuto e il valore degli altri, dai quali, a sua volta, deve ricevere riscontro – e, dall’altro, che tra il fatto noto e quello da dimostrare sussista un legame che, pur senza essere di assoluta ed esclusiva necessità causale ma stabilito alla stregua di un canone di probabilità, sia esclusivo, nel senso che, sia pure con il metro della probabilità, dal fatto noto sia possibile inferire solo quello ignoto (Cass. 6/8/99 n. 8489, pres. Trezza, est. Coletti, in D&L 1999, 902)

 

 

Rapporto con il giudicato penale

  1. Il giudicato penale di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento della insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato, ossia quando l’assoluzione sia stata pronunciata ai sensi dell’art. 530, c. 2, c.p.p. (Cass. 6/5/2014 n. 9654, Pres. Vidiri Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Elisabetta Bavasso, 889)
  2. Il giudicato penale di assoluzione non preclude al giudice del lavoro di procedere a una autonoma valutazione dei fatti stessi ai fini propri del giudizio civile, cioè tenendo conto della loro incidenza sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti del rapporto, ben potendo essi avere un sufficiente rilievo disciplinare ed essere idonei a giustificare il licenziamento anche ove non costituiscano reato. (Cass. 10/9/2013 n. 20715, Pres. Stile Est. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 1125)
  3. La sentenza penale di assoluzione, pronunciata a seguito del dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per il risarcimento del danno promosso dal danneggiato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste, sempre che il danneggiato stesso si sia costituito, o sia stato in condizione di costituirsi parte civile. Tale efficacia sussiste anche allorquando l’assoluzione sia stata pronunciata non già a seguito di dibattimento bensì in via preliminare all’apertura del dibattimento stesso, avendo l’imputato chiesto il c.d. patteggiamento ex art. 444 c.p.p. (Trib. Pisa 14/3/2008 Giud. Santoni Rugiu, con nota di Fabbrini, “Sull’onere della prova e gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile in tema di danno da infortunio sul lavoro o malattia professionale”, 585)
  4. La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cosiddetto patteggiamento) – pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile – contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare. (Sulla base di tale principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in un processo per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro, aveva semplicemente escluso ogni rilevanza civile della sentenza di patteggiamento resa dal giudice penale nei confronti del datore di lavoro). (Cassa con rinvio, App. Milano, 30 ottobre 2003). (Cass. 19/11/2007 n. 23906, Pres. Senese Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2008, 1647)
  5. Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza di giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La Corte d’appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati). (Cass. 20/12/2004 n. 23611, Pres. Ciciretti Rel. La terza, in Dir. e prat. lav. 2005, 1249)
  6. Il vizio di ultrapetizione ricorre anche quando una sentenza trovi fondamento in elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, quali specificazioni di altri fatti dedotti solo genericamente nel ricorso introduttivo (Corte di Appello di Bologna 21 luglio 2000, pres. Castiglione, est. Benassi, in D&L 2000, 1040, n. Scorbatti)
  7. Al giudice non è consentito di rilevare d’ufficio una questione di nullità non prospettata dalla parte, e in particolare di esaminare d’ufficio la questione della violazione dell’art. 7 St. Lav., per il principio dispositivo del processo e per quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e perché in sede processuale non trova applicazione l’art. 1421 c.c. (nel caso di specie il lavoratore aveva dedotto la nullità del licenziamento per difetto di riferibilità alla società datrice di lavoro, essendo stato il direttore a manifestare il recesso, mentre il giudice d’appello, d’ufficio, aveva ritenuto la nullità per incompletezza della contestazione, in quanto esplicitata senza la previa indicazione delle sanzioni applicabili) (Cass. 26/6/00, n. 8702, pres. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 292, con nota di Conte, Licenziamento disciplinare e obblighi risarcitori: poteri del giudice e oneri delle parti)

 

 

Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato

  1. Non costituisce violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. un’autonoma ricostruzione dei fatti rispetto a quelli allegati dalle parti, né una diversa qualificazione dei medesimi da parte del giudice. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152)
  2. Il giudice è sì tenuto a esaminare tutte le domande sostanziali proposte ma non è tenuto necessariamente a motivare su tutte le argomentazioni proposte dalle parti a loro sostengo, potendole disattendere implicitamente quando le consideri non rilevanti o assorbite da altri punti della motivazione. (Cass. 28/5/2010 n. 13164, Pres. Vidiri Est. Monaci, in Lav. nella giur. 2010, 837)
  3. La sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, resa in grado di appello, non essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, risultante dal combinato disposto dell’art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c.; laddove, tuttavia, il giudice di appello abbia frazionato la domanda unica in due o più domande e abbia deciso una di esse con sentenza non definitiva, si verifica una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che vizia la sentenza non definitiva, immediatamente ricorribile per cassazione (Nella specie la S.C. ha rilevato che le parti non si erano dolute di tale vizio, accettando il frazionamento dell’originaria domanda, sia pure irritualmente, operato dalla sentenza di appello). (Cass. 24/9/2007 n. 19695, Pres. Mattone Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 185)
  4. Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza di giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La Corte d’appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati). (Cass. 20/12/2004 n. 23611, Pres. Ciciretti Rel. La terza, in Dir. e prat. lav. 2005, 1249)
  5. Il vizio di ultrapetizione ricorre anche quando una sentenza trovi fondamento in elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, quali specificazioni di altri fatti dedotti solo genericamente nel ricorso introduttivo (Corte di Appello di Bologna 21 luglio 2000, pres. Castiglione, est. Benassi, in D&L 2000, 1040, n. Scorbatti)
  6. Al giudice non è consentito di rilevare d’ufficio una questione di nullità non prospettata dalla parte, e in particolare di esaminare d’ufficio la questione della violazione dell’art. 7 St. Lav., per il principio dispositivo del processo e per quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e perché in sede processuale non trova applicazione l’art. 1421 c.c. (nel caso di specie il lavoratore aveva dedotto la nullità del licenziamento per difetto di riferibilità alla società datrice di lavoro, essendo stato il direttore a manifestare il recesso, mentre il giudice d’appello, d’ufficio, aveva ritenuto la nullità per incompletezza della contestazione, in quanto esplicitata senza la previa indicazione delle sanzioni applicabili) (Cass. 26/6/00, n. 8702, pres. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 292, con nota di Conte, Licenziamento disciplinare e obblighi risarcitori: poteri del giudice e oneri delle parti)

 

 

Giudizio costituzionale sulle leggi

  1. E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, limitatamente alle parole: “incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile”. La disposizione censurata, la quale prevede che in caso di connessione tra una causa compresa nell’ambito applicativo della norma richiamata e uno dei rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. i procedimenti siano sottoposti al rito di cui al d.lgs. n. 5/2003 esorbita, infatti, dai limiti della norma delegante (art. 12, l. n. 366/2001), che ha delimitato l’oggetto della delega al diritto societario, alle materie disciplinate dal t.u. n. 58/1998 in tema di intermediazione finanziaria, nonché a quelle previste dal t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia n. 385/1993. Pertanto, accertato che la legge di delega non autorizzava il Governo a intervenire in tema di connessione tra procedimenti aventi oggetti diversi, il thema decidendum dal giudice a quo deve essere esteso all’intera disposizione concernente il rito applicabile alle controversie connesse; onde, nei vari molteplici casi di connessione, oltre a quello di cui al giudizio a quo, il rito da applicarsi andrà individuato secondo il regime generale previsto dall’art. 40 c.p.c. (Corte Cost. 28/3/2008 n. 71, Pres. Bile Rel. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Francesco Alvaro, “Il rito del lavoro prevale su quello societario”, 772, e in Lav. nella giur. 2008, con commento di Stefano Vallone, 793)
  2. E’ inammissibile l’intervento nel giudizio costituzionale sulle leggi attivato in via incidentale di soggetti i quali non rivestono la qualità di parte nei giudizi a quibus e sono portatori di un interesse riflesso ed eventuale rispetto al thema decidendum (nella specie, sono stati dichiarati inammissibili l’intervento della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e quello ad adiuvandum di un avvocato di ente pubblico) (Corte Cost. 20/2/01 ordinanza, allegata a sent. 11/6/01, n. 189, pres. e est. Ruperto, in Foro it. 2001, pag. 2122)

 

 

Opposizione al ruolo esattoriale

  1. In tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, quando con unico atto siano proposte – come è consentito – sia l’opposizione per motivi di merito della pretesa contributiva che l’opposizione per vizi di forma della cartella, vale il termine previsto per l’opposizione di merito dall’art. 24 comma 5 d.lgs. n. 46 del 1999 e non il termine richiamato dal successivo art. 29 comma 2, per l’opposizione agli atti esecutivi. (Cass. 6/9/2012 n. 14963, Pres. Vidiri Rel. Filabozzi, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Pietro Capurso, 601)
  2. In tema di riscossione di contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo (nella specie, ai sensi dell’art. 24 comma 3 d.lgs. n. 46 del 1999, per difetto di un provvedimento giudiziale esecutivo sull’impugnazione dell’accertamento) non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo. (Cass. 6/8/2012 n. 14149, Pres. Miani Canevari Est. La Terza, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Pietro Capurso, 604)
  3. Nell’ambito del procedimento di opposizione a cartella esattoriale, disciplinato dal D.Lgs. n. 46/99, non sono ammissibili domande diverse rispetto a quelle concernenti la pretesa contributiva iscritta a ruolo e portata dalla cartella di pagamento opposta. Il termine di 40 giorni per proporre opposizione a cartella esattoriale, previsto dall’art. 24 del suddetto decreto, è perentorio. Pertanto l’opposizione proposta oltre tale termine è inammissibile. Ai sensi dell’art. 17 del suddetto decreto, gli enti che già prima dell’entrata in vigore dello stesso avevano la facoltà di riscuotere le ntrate attraverso i ruoli, possono continuare tutt’oggi a esercitare tale facoltà. (Trib. Milano 16/10/2008, d.ssa Beccarini Crescenzi, in Lav. nella giur. 2009, 308)
  4. Nel giudizio d’opposizione a cartella esattoriale, l’opponente è un convenuto in senso sostanziale, mentre è l’Ente impositore ad assumere la veste di attore sostanziale: spetta pertanto a quest’ultimo provare la fondatezza del credito azionato. Viceversa, l’opponente, quale attore formale, può solo riservarsi di formulare mezzi di prova in seguito alla costituzione in giudizio del soggetto opposto. (Trib. Bari 7/11/2006 n. 21851, Giud. Saracino, in Lav. nella giur. 2008, con commento di federica Roccato, 76)
  5. E’ perentorio il termine di quaranta giorni di cui all’art. 24, comma 5, D. Lgs. n. 46/99 per proporre opposizione al ruolo esattoriale. Non è applicabile la sospensione feriale dei termini processuali. L’eventuale domanda di accertamento negativo della pretesa contributiva ex art. 24, comma 3, se antecedente alla notifica della cartella, ma successiva all’iscrizione a ruolo del credito, non rende illegittima la cartella di pagamento notificata (Trib. Modena 8/6/01, pres. e est. Cervelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 847)

 

 

Istruttoria

  1. Sui limiti della vincolatività del giuramento decisorio.
    In un giudizio in cui il promotore finanziario di una banca sosteneva l’inefficacia del recesso del committente per mancata ricezione della relativa nota, l’impresa gli aveva deferito sul punto il giuramento decisorio e in tale sede egli aveva confermato il fatto, Tribunale e Corte d’appello avevano tuttavia respinto le sue domande, avendo accertato che il promotore aveva comunque avuto conoscenza per altre vie della volontà di recesso della banca. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del promotore, che lamentava la mancata considerazione del carattere decisorio del giuramento deferitogli dalla controparte, osserva che: (i) la Corte d’appello ha evidentemente escluso il carattere decisivo del fatto sul quale il giuramento era stato deferito, in particolare laddove essa osserva che la nota contenente l’atto di recesso non costituiva l’unica modalità attraverso la quale il promotore poteva essere stato edotto della volontà di recesso da parte della società; (ii) né i giudici di merito potevano ritenersi vincolati dal giuramento, in quanto l’ordinanza che ammette il giuramento decisorio può essere revocata, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., dallo stesso giudice che l’ha pronunciata, allorché, riesaminate le risultanze di causa, si convinca che non sussistevano le condizioni per il suo deferimento, e ciò vale anche nel caso in cui il giuramento sia stato effettivamente reso, dal momento che l’esistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio deve essere verificata dal giudice anche d’ufficio. (Cass. 2/5/2023 n. 11314, ord., Pres. Doronzo Rel. Pagetta, in Wikilabour, Newsletter n. 9/23)
  2. In tema di prova testimoniale non esiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia con una delle parti processuali un vincolo di parentela o coniugale, non potendo l’attendibilità degli stessi essere esclusa aprioristicamente, senza altri elementi da cui il giudice possa desumere la perdita di credibilità. (Cass. 2/2/2021 n. 2295, Pres. Esposito Rel. Marchese, in Lav. nella giur. 2021, 550)
  3. Anche le dichiarazioni spontaneamente rese da un lavoratore a un pubblico ufficiale possono essere valutate dal giudice come piena prova di una violazione contributiva del datore di lavoro.
    La Corte infatti ribadisce il principio del libero convincimento del giudice in sede di valutazione del materiale probatorio raccolto (salvo il possibile vizio di motivazione), in un caso in cui, nel corso dell’accesso in azienda di un ispettore del lavoro, il dipendente aveva spontaneamente dichiarato a verbale e in presenza del datore di lavoro, di svolgere la propria prestazione a tempo pieno anziché a tempo parziale come risultante dai documenti aziendali. Valutate le dichiarazioni verbalizzate e il contesto in cui erano state rese, il giudice, nella sentenza confermata dalla Cassazione, le ha ritenute veritiere e probanti l’illecito previdenziale, ancorché lo stesso lavoratore le avesse poi parzialmente ritrattate nel giudizio tra l’Impresa e l’INPS. (Cass. 4/5/2020 n. 8445, Pres. Manna Rell. Mancino, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020)
  4. Nell’ambito dei documenti informatici, l’efficacia della scrittura privata è riconosciuta solo al documento sottoscritto con firma elettronica qualificata. L’e-mail tradizionale, al pari di ogni altro documento informatico sprovvisto di firma elettronica, è invece liberamente valutabile dal giudice in ordine alla sua idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta. Ne consegue che il licenziamento fondato sul contenuto di e-mail aziendali può essere considerato illegittimo dal giudice di merito che abbia ragione di dubitare della riferibilità delle e-mail al loro autore apparente. (Cass. 8/3/2018 n. 5523, Pres. Bronzini Est. Marchese, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di R. Silvestre, “L’inattendibilità della e-mail tradizionale come documento informatico attestante la paternità del testo”, 590)
  5. I verbali redatti dagli ispettori fanno piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che i funzionari attestano avvenuti in loro presenza, mentre per le altre circostanze riferite ai verbalizzanti, e in particolare per le dichiarazioni rese dai lavoratori interrogati, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice di merito, il quale può anche considerarlo prova sufficiente delle circostanze riferite al pubblico ufficiale, qualora il loro contenuto consenta di ritenere provati i fatti in questione. (Trib. Larino 28/11/2016, Giud. Colucci, in Lav. nella giur. 2017, 209)
  6. In materia di prova testimoniale, poiché nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, affinché le richieste probatorie rispondano al requisito di specificità è sufficiente indicare, quale oggetto dei mezzi di prova, i fatti inizialmente allegati, senza necessità di riformulazione in capitoli separati, fermo che il giudice di merito, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c., può assegnare alle parti un termine per rimediare alle irregolarità rilevate nella suddetta capitolazione, sicché la parte decade dal diritto di assumere la prova solo nell’ipotesi di mancata ottemperanza a tale invito nel termine fissato. (Cass. 5/10/2016 n. 19915, Pres. Venuti Rel. Spena, in Lav. nella giur. 2017, 195)
  7. Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere. (Cass. 11/12/2014 n. 26107, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 303)
  8. L’interesse che determina l’incapacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c. è solo quello giuridico, che comporta una legittimazione litisconsortile o principale ovvero secondaria a intervenire in un giudizio già proposto da altri controinteressati. Tale interesse, pertanto, non si identifica con l’interesse di mero fatto che un testimone (come, nella causa relativa alla legittimità del licenziamento, la persona aggredita dal lavoratore licenziato) può avere e che la controversia sia decisa in un certo modo. (Cass. 25/11/2014 n. 25015, Pres. Vidiri Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2015, 194)
  9. Il giudice di merito ha la possibilità di negare l’ordine di esibizione di documenti soltanto se ne sia dubbia l’esistenza o il possesso da parte del destinatario dell’ordine, oppure l’acquisizione sia inammissibile, irrilevante o sovrabbondante. (Cass. 4/11/2014 n. 23481, Pres. Roselli Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2015, 196)
  10. In tema di prova testimoniale, l’eccezione di nullità della testimonianza per incapacità a deporre deve essere sollevata immediatamente dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del procuratore della parte all’incombente istruttorio, entro la successiva udienza, restando, in mancanza, sanata. Né assume rilievo che la parte abbia preventivamente formulato, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., una eccezione di incapacità a testimoniare che non include l’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa e assunta nonostante la previa opposizione. (Cass. 19/8/2014 n. 18036, Pres. Coletti de Cesare Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2014, 1123)
  11. Le dichiarazioni dei lavoratori rilasciate in sede ispettiva fanno prova in giudizio e, ove esse siano univoche, non abbisognano di essere ivi confermate, tanto più se il datore di lavoro non alleghi e dimostri eventuali contraddizioni delle dichiarazioni rese agli ispettori in grado di inficiarne l’attendibilità. (Cass. 14/5/2014 n. 10427, Pres. Miani Canevari Est. Buffa, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Carmine Santoro, 883)
  12. Benché lo svolgimento di una prima consulenza tecnica non precluda l’affidamento di un’ulteriore indagine a un professionista qualificato nella materia, al fine di fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, se il giudice intende uniformarsi alle risultanze della seconda consulenza tecnica d’ufficio è peraltro necessario, ove tali risultanze siano state oggetto, nella impostazione difensiva della parte interessata, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica, che egli non si limiti a una generica adesione alle risultanze stesse, ma che giustifichi la propria scelta, esponendo le ragioni per le quali ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente. (Cass. 15/1/2014 n. 684, Pres. Roselli Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 403)
  13. Il principio di acquisizione probatoria – che comporta l’impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove ritualmente assunte, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte – trova fondamento nel principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e riscontro in disposizioni del codice di rito, quali l’art. 245, comma 2, c.p.c., secondo cui “la rinuncia fatta da una parte all’audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente”. Ne consegue che nel rito del lavoro, in assenza di siffatta rinuncia, il giudice, anche in appello, non può non escutere i testi non nuovi ma già ammessi nel giudizio di primo grado su istanza di una parte (e per i quali non siano intervenute decadenze) di cui sia stata richiesta l’audizione dalla controparte, senza che assuma rilievo che quest’ultima sia stata dichiarata decaduta dalla propria prova testimoniale. (Cass. 25/9/2013 n. 21909, Pres. Vidiri Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2013, 1120)
  14. La disposizione dell’art. 208 c.p.c., relativa alla decadenza dall’assunzione della prova, trova applicazione anche nei confronti del giuramento decisorio che, essendo deferito su fatti e tenendo al loro accertamento, costituisce un mezzo di prova vero e proprio; peraltro la suddetta disposizione, anche nelle controversie soggette al rito del lavoro, stabilisce che il Giudice, dichiarata la decadenza, deve tuttavia fissare un’udienza successiva per dare modo alla parte non comparsa di instare, se del caso, per la rimessione in termini. Incorre pertanto in un error in procedendo il giudice di appello che, ammesso il giuramento decisorio e constata l’assenza della parte istante all’udienza all’uopo fissata, dichiari la decadenza di quest’ultima e decida, subito dopo, la causa, senza rinviare a un’udienza successiva onde consentire, in quella sede, le eventuali difese della medesima parte. (Cass. 23/11/2012 n. 20777, Pres. Miani Canevari Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2013, 87)
  15. Il verbale ispettivo attesta, salvo querela di falso, fatti rilevanti e compiuti dal verbalizzante ovvero avvenuti in sua presenza; le circostanze apprese de relato o in conseguenza dell’acquisizione di documenti soggiacciono, ex art. 116 c.p.c., alla libera valutazione del Giudice che può ritenere i fatti provati solo in esito a riscontri puntuali. (Corte app. Lecce 14/5/2012, Pres. Delli Noci, in D&L 2012, con nota di Ivan Turco, “Puntualizzazioni in ordine all’efficacia probatoria dei verbali ispettivi degli enti previdenziali”, 605)
  16. Il lavoratore interessato è incapace a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c. sia nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia controverso, sia quando abbia interesse alla ricostruzione della propria posizione contributiva, ma può essere ascoltato dal giudice ai sensi dell’art. 421, 6° comma, c.p.c. (Corte app. Lecce 14/5/2012, Pres. Delli Noci, in D&L 2012, con nota di Ivan Turco, “Puntualizzazioni in ordine all’efficacia probatoria dei verbali ispettivi degli enti previdenziali”, 605)
  17. Il giudice del lavoro non è tenuto a esercitare i poteri istruttori in situazioni in cui il problema non è quello di completare un quadro probatorio insufficiente, ma di colmare una lacuna che concerne la mancata allegazione di circostanze di fatto decisive per la definizione della controversia. (Nella specie, relativa alla richiesta di riconoscimento di infortunio in itinere, l’attore non aveva adempiuto l’onere di allegazione della circostanza di fatto concernente gli orari dei trasporti pubblici, limitandosi a chiedere la prova sulla “inadeguatezza dei servizi pubblici di trasporto”). (Cass. 29/2/2012 n. 3117, Pres. Battimiello Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2012)
  18. Nel processo del lavoro il thema decidendum deve essere informato al rispetto del rigido schema della c.d. necessaria circolarità di cui al combinato disposto degli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416, comma 3, c.p.c., la cui dinamica è circoscritta tra gli oneri di allegazione, oneri di contestazione e oneri di prova. Ne consegue, pertanto, l’impossibilità di contestare o richiedere prove – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo del giudizio. (Cass. 9/2/2012 n. 1878, Pres. Roselli Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2012, 402)
  19. Una dichiarazione confessoria a natura stragiudiziale può essere contenuta anche in un atto sostitutivo di notorietà, e come tale è liberamente valutabile dal giudice quale prova, ai sensi dell’art. 2735, comma 1, c.p.c. (Cass. 15/12/2011 n. 27042, Pres. Roselli Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2012, 302)
  20. La consulenza tecnica non rientra nella disponibilità delle parti ma è rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale esattamente decide di escluderla ogni qual volta si avveda che la richiesta della parte tende a supplire con la consulenza la deficienza della prova o a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanza non provate. Anche l’accoglimento dell’istanza di esibizione delle scritture contabili è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e richiede, quale requisito di ammissibilità, che la prova del fatto che si intende dimostrare non sia acquisibile aliunde, non potendo avere l’iniziativa finalità meramente esplorative o sostitutive dell’onere probatorio posto a carico della parte (nella specie, la Corte ha ritenuto che l’agente di commercio che vanta un credito per differenze provvisionali non può astenersi dall’obbligo di allegarne i fatti costitutivi invocando l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio). (Cass. 6/12/2011 n. 26151, Pres. Stile Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2012, 190)
  21. Nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza a oneri procedimentali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta a non superare gli effetti inerenti a una tardiva richiesta istruttoria o a supplire a una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa. Non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorché la parte sia incorsa in decadenze per la tardiva costituzione in giudizio e non sussista, quindi, alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato. (Cass. 11/3/2011 n. 5878, Pres. Roselli Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2011, 517)
  22. Non sussiste il divieto di testimoniare nella controversia che vede opposto il datore di lavoro all’INPS per contributi non pagati per il lavoratore che abbia sottoscritto, in data antecedente alla deposizione testimoniale, verbale di conciliazione della causa proposta contro il datore di lavoro. (Cass. 8/2/2011 n. 3051, Pres. Lamorgese Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2011, 408)
  23. I verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente delle circostanze riferite dal pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d’altri elementi renda superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori. (Cass. 9/11/2010 n. 22743, Pres. Miani Canevari Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2011, 211)
  24. Nel processo del lavoro, il potere del giudice di disporre d’ufficio mezzi istruttori tende a contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità reale e, pertanto, tale potere deve essere esercitato in osservanza del potere dispositivo e, quindi, non può sopperire alla colpevole inerzia della parte interessata ovvero alle carenze probatorie imputabili alla stessa. (Cass. 12/7/2010 n. 16297, Pres. Vidiri Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 258)
  25. Le dichiarazioni confessorie rese nell’ambito di un procedimento penale non hanno valore di piena prova, qualora non siano state rese nell’ambito dello stesso giudizio, né alla controparte; tali affermazioni sono quindi liberamente apprezzabili dal giudice di merito, con conseguente applicabilità del consolidato principio, secondo cui l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Nella specie, la S.C. ha confermato il giudizio di secondo grado, reputando illegittimo il licenziamento nei confronti di una dipendente alla quale era stato imputato di aver cancellato dal proprio personal computer darti importanti per l’azienda. Le dichiarazioni rese in merito alla cancellazione dei dati erano state acquisite in un processo penale ma non nella controversia relativa all’impugnazione del licenziamento). (Cass. 21/7/2010 n. 17097, Pres. Vidiri Rel. Bandini, in Lav. Nella giur. 2010, 1043)
  26. I documenti pacificamente riconosciuti falsi dalle parti del giudizio non sono soggetti alla disciplina processuale di cui agli artt. 214 e segg. C.p.c. (Trib. Lodi 13/7/2010, est. Giuppi, in D&L 2010, con nota di Marco Maffuccini, “Una singolare fattispecie di inammissibilità del disconoscimento e dell’istanza di verificazione della scrittura privata”, 903)
  27. La consulenza grafologica da sola non può assurgere a valore di prova certa e decisiva: in assenza di indizi riconducibili al contenuto del documento o alla sua formazione e spedizione non può darsi ingresso all’indagine peritale. (Trib. Lodi 13/7/2010, est. Giuppi, in D&L 2010, con nota di Marco Maffuccini, “Una singolare fattispecie di inammissibilità del disconoscimento e dell’istanza di verificazione della scrittura privata”, 903)
  28. Il giudizio sulla necessità o utilità di fare ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito e, se adeguatamente motivato in relazione al punto di merito da decidere, non può essere sindacato in sede di giudizio di legittimità; con la ulteriore precisazione che la motivazione, sia in ordine alla ammissione della consulenza che al diniego della stessa, può anche essere implicitamente desumibile dal complesso delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, effettuate dal suddetto giudice (nella specie, la Corte ha considerato legittima la decisione del giudice d’appello che, con corretta motivazione, aveva esposto le proprie determinazioni e l’iter argomentativo seguito, dal quale implicitamente emergevano le ragioni del rifiuto a effettuare la richiesta consulenza medico legale, evidenziando che la deduzione del lavoratore circa l’esistenza di un danno era priva di riscontro probatorio). (Cass. 20/4/2010 n. 9379, Pres. Roselli Rel. Zappia, in Lav. Nella giur. 2010, 726)
  29. L’integrazione “ex officio” della prova testimoniale ai sensi dell’art. 257, comma primo, c.p.c. – norma applicabile anche nel rito del lavoro – costituisce una facoltà discrezionale che il giudice può esercitare quando ritenga che dall’escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possa trarre elementi per la formazione del proprio convincimento. Ne consegue che la chiamata dei testimoni, nel caso che ad essi altri testi si siano riferiti per la conoscenza dei fatti, costituendo esercizio di una facoltà siffatta, che presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, è incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione. (Cass. 4/5/2009 n. 10239, Pres. De Luca Est. Bandini, in Lav. Nella giur. 2009, 947)
  30. In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettibile di conclusioni obiettivamente e assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente, ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame. (Nella specie, relativa al licenziamento di un dipendente bancario, accusato di appropriazione indebita, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto congruamente motivata la decisione del giudice di merito che, a fronte di due contrastanti accertamenti peritali sulla paternità della sigla apposta sul documento contabile, aveva ritenuto che permanessero margini di dubbio sulla sicura attribuzione del comportamento al lavoratore licenziato). (Cass. 2/2/2009 n. 2579, Pres. Mattone, Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2009, 625)
  31. Nel rito del lavoro, il giudice, ove si verta in situazione di semiplena probatio, ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti, dovendo, quindi, motivare sulla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi là dove sollecitato dalla parte a integrare la lacuna istruttoria. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che -m nel giudizio promosso da un dipendente delle Poste Italiane s.p.a., licenziato in conseguenza di indagini penali e applicazione di misura cautelare personale, per sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento stesso – aveva accolto la domanda del lavoratore sulla scorta del solo materiale probatorio versato in atti, senza dare alcun seguito all’istanza della società datrice di lavoro di acquisire, nel giudizio in corso, gli atti del procedimento penale, nel quale essa società non era stata parte, al fine di corroborare la prova dei fatti alla base del comminato licenziamento). (Cass. 10/12/2008 n. 29006, Pres. De Luca Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2009, 406)
  32. Il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale e anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest’ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice del lavoro avesse tenuto in considerazione le risultanze di una consulenza contabile ordinata dal g.i.p. nel corso di un incidente probatorio e avente a oggetto il comportamento illecito del dipendente di una banca citata in giudizio da un creditore di detto dipendente perché fosse valutata la legittimità dell’eccezione di compensazione – sollevata da detta banca – tra le somme dovutele dal dipendente medesimo a titolo risarcitorio e quelle cui la banca era tenuta a titolo di Tfr a favore di quest’ultimo). (Cass. 5/12/2008 n. 28855, Pres. Ianniruberto Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Maria Cristina Vanz, 597)
  33. L’efficacia probatoria della confessione postula che essa sia resa da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono, ossia da persona che abbia la capacità e la legittimazione ad agire negozialmente riguardo alla controversia in questione. Conseguentemente, ove provenga da un rappresentante, occorre che il rapporto di rappresentanza sia in vita nel momento in cui è resa la confessione, dovendosi escludere, in mancanza, l’efficacia confessoria delle dichiarazioni rilasciate. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che, correttamente, il giudice di merito aveva negato valore confessorio alle dichiarazioni rese dal segretario del sindacato FILCA CISL Federazione del Molise, in carica all’epoca dei fatti attesa l’avvenuta cessazione dall’incarico al momento dell’interrogatorio reso in udienza). (Cass. 3/12/2008 n. 28711, Pres. Mattone Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2009, 406)
  34. Nel caso in cui, nel corso di un giudizio civile relativo all’an della pretesa fatta valere, venga formulata istanza di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c., la parte nei cui confronti tale istanza è formulata è tenuta a consegnare la relativa documentazione fino a che il giudice – avuto riguardo anche al successivo giudizio sul quantum, dovendosi ritenere che la richiesta sia divenuta parte nel dibattito processuale – non abbia definitivamente e negativamente provveduto e non si sia formato un irreversibile negativo giudicato; ne consegue che, ove la documentazione sia stata distrutta dopo la presentazione della relativa istanza e durante il tempo di attesa per la formulazione della decisione definitiva sulla stessa, la mancata conservazione è suscettibile di essere valutata come argomento di prova ex art. 116 c.p.c. ai fini della valutazione equitativa del quantum (fattispecie relativa alla distruzione della documentazione relativa ai turni praticati in azienda per la determinazione del diritto all’indennità di diaria ridotta). (Cass. 3/10/2008 n. 24590, Pres. Sciarelli Est. Stile, in Lav. nella giur. 2009, 298)
  35. Nel rito del lavoro, i mezzi di prova e i documenti che, a pena di decadenza, il ricorrente deve, in forza degli artt. 414, primo comma, n. 5, e 415, primo comma c.p.c., indicare nel ricorso e depositare unitamente a esso sono quelli aventi a oggetto i fatti posti a fondamento della domanda e, tra questi, non è riconducibile il contratto o l’accordo collettivo qualora esso debba costituire un criterio di giudizio. Infatti, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 che, nel modificare l’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ha posto sullo stesso piano, tra i motivi di ricorso, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, onerando il ricorrente per cassazione di depositare il testo di quest’ultimi (art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., come modificato dal citato D.Lgs. n. 40), il codice di rito risolveva il problema della conoscibilità della regola di giudizio affidando al giudice, senza preclusioni, il potere di chiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti o accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare (art. 425, quarto comma, c.p.c.), i quali, pertanto, seppur non formalmente inseriti fra le norme di diritto, rimanevano, sul piano dell’acquisizione al processo, distinti dai semplici fatti di causa. (Nella specie, la S.C. enunciando il principio anzidetto, ha rigettato il motivo di ricorso con il quale era stata dedotta la violazione degli artt. 414 e 415 c.p.c. per avere il giudice di appello fondato la propria decisione su un accordo economico collettivo il cui testo era stato prodotto in primo grado dal ricorrente successivamente al deposito dell’atto introduttivo al giudizio). (Cass. 17/9/2008 n. 23745, Pres. De Luca Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2009, 195)
  36. Gli artt. 669 quaterdecies e 695 c.p.c. sono costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono che il provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 c.p.c. sia suscettibile di reclamo in sede cautelare. (Corte Cost. 16/5/2008 n. 144, Pres. Bile Rel. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di F. Corsini, “La reclamabilità dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di istruzione preventiva”, 778)
  37. Il rapporto di parentela del testimone con una delle parti, specie quando lo stesso rapporta risulta, come nel caso, particolarmente stretto, deve indurre a un attento vaglio della attendibilità delle dichiarazioni rese dal teste, onde valutare se lo stesso abbia reso una deposizione poco sincera perché tesa ad avvalorare fatti e circostanze favorevoli alla parte cui è più vicino. (Corte app. Torino 17/1/2008, Rel. Mancuso, in Lav. nella giur. 2008, 1176)
  38. L’esibizione di documenti (nella specie, delle dichiarazioni dei redditi del lavoratore successive alla data del licenziamento) non può essere chiesta, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., a fini meramente esplorativi, allorquando neanche la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio e ciò in quanto potrebbe determinarsi una protrazione della fase istruttoria priva di qualsiasi utilità, anche per la stessa parte istante, a danno del principio di ragionevole durata del processo. (Cass. 20/12/2007 n. 26943, Pres. De Luca Est. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2008, 1875)
  39. In caso di prova costituita da registrazione magnetica, il disconoscimento che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova ex art. 2712 c.c. deve essere chiaro e circostanziato con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta; tale disconoscimento si differenzia dal semplice mancato riconoscimento, il quale non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle riproduzioni legittimamente acquisite. (Cass. 8/5/2007 n. 10430, Pres. Senese Est. De Renzis, in D&L 2007, con nota di Lorenzo Franceschinis, “La prova della giusta causa di dimissioni attraverso registrazione del datore di lavoro: ragionamenti sulle conseguenze delle dimissioni ante tempus”, 875)
  40. I dischi cronotachigrafi, in originale o in copia fotostatica, ove da contrparte ne sia disconosciuta la conformità ai fatti in essi registrati e rappresentati, non possono da soli fornire piena prova, stante la preclusione sancita dall’art. 2712 c.c., nè del lavoro e dell’eventuale straordinario, nè dell’effettiva entità degli stessi, occorrendo a tal fine che la presunzione semplice costituita dalla contestata registrazione o rappresentazione anzidetta sia supportata da ulteriori elementi, pur se anch’essi di carattere indiziario o presuntivo, offerti dall’interessato o acquisiti dal giudice del lavoro nell’esercizio dei propri poteri istruttori. (Corte app. Milano 12/3/2007, Pres. Salmeri Est. Trogni, in Lav. nella giur. 2007, 1260)
  41. Ai sensi dell’art. 2705 c.c., ai fini della efficacia del telegramma, è sufficiente che l’originale sia consegnato o fatto consegnare dal mittente, anche senza che questi lo sottoscriva, sicché l’utilizzazione del servizio telefonico, prevista dal codice postale, consente al mittente, autore della comunicazione, di ottenere, sia pure con la collaborazione di terzi, il recapito del proprio messaggio all’ufficio telegrafico. Tuttavia, ove sorga contestazione circa la riferibilità del telegramma al mittente, questi ha la facoltà e l’onere di provare, con ogni mezzo di prova, che l’affidamento all’ufficio incaricato di trasmetterlo è avvenuto a sua opera o su sua iniziativa. (Cass. 9/11/2006 n. 23882, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Giust. civ. 2007, 388)
  42. Il giudice di merito che ritenga la causa giunta a uno stato di “semiplena probatio” ha la facoltà (ma non anche l’obbligo) di deeferire il giuramento suppletorio ai sensi del disposto dell’art. 2736 n. 2 c.c., mentre alla parte che abbia assolto in modo insufficiente al proprio onere probatorio va riconosciuto, simmetricamente, non altro che un mero interesse di fatto a quel deferimento (ma non anche la possibilità di dolersi che l’organo collegiale non abbia, in ipotesi, esercitato il relativo potere), così che dovrà ritenersi sindacabile soltanto la decisione positiva del giudice di ricorrere a tale mezzo istruttorio (e solo limitatamente al profilo della adeguatezza e della correttezza logica della relativa motivazione in ordine alle circostanze della effettiva esistenza di una “semiplena probatio” e del maggior contenuto probatorio che si presume offerto dalla parte prescelta a prestare il giuramento), ma non anche quella negativa di non farne uso (in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697), senza che, in quest’ultimo caso, possa invocarsi la omessa motivazione di tale, discrezionale decisione. Ne consegue che è irrilevante la circostanza che il giuramento abbia per oggetto un fatto proprio della parte alla quale è deferito – dovendo intendersi per fatto proprio non soltanto la attività personale della parte ma anche ogni avvenimento esterno, e anche i fatti e le dichiarazioni di altri soggetti, nei limiti in cui possono essere stati percepiti dal giurante medesimo – poichè il giudice non ha l’obbligo di deferire il giuramento. (Artt. 2697, 2736 e 2739 c.c.; artt. 240 e 421 c.p.c.). (Cass. 8/9/2006 n. 19270, Pres. Mileo Est. Maiorano, in Dir. e prat. lav. 2007, 1047)
  43. Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto; tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito. (Cass. 26/6/2006 n. 14731, Pres. sciarelli Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2007, 92)
  44. La nullità derivante dall’inosservanza del termine per l’assunzione delle prove fuori dalla circoscrizione del tribunale (nella specie mancato avviso alla controparte della proroga chiesta dall’altra e concessa dal giudice delegante), ha carattere relativo, come tale non opponibile dalla parte che vi abbia rinunciato, anche tacitamente, per non aver proposto la relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso. (Cass. 30/06/2006 n. 14011, Pres. Ciciretti Rel. Vigolo, in Dir. e prat. lav. 2006, 348)
  45. Ai sensi dell’art. 246 c.p.c., l’incapacità a testimoniare sussiste solo qualora vi sia un interesse giuridico, personale, concreto e attuale, che comporti la legittimazione a proporre l’azione o a intervenire a giudizio, e non anche quando il testimone possa avere un interesse di mero fatto a che la controversia venga decisa in un determinato modo. (Cass. 3/5/2006 n. 10198, Pres. Ianniruberto Est. De Luca, in D&L 2006, con nota di Andrea Bordone, “L. 223/91 e criteri di scelta in caso di soppressione del reparto”, 589)
  46. È onere di chi promuova l’eccezione di incapacità testimoniale ai sensi degli artt. 246, 247 c.p.c. sollevarla in sede di assunzione della prova ovvero nella prima difesa, risultando diversamente la nullità sanata dalla acquiescenza. Non è applicabile all’ipotesi di sanzione amministrativa comminata a seguito dell’assunzione di più lavoratrici agricole senza la preventiva richiesta alla sezione dell’Ufficio Provinciale del Lavoro la disciplina della continuazione ai sensi dell’art. 8 della legge 689/1981, trattandosi di più violazione della stessa norma con pluralità di azioni, fattispecie estranea ai presupposti della continuazione. (Cass. 12/9/2005 n. 18068, Pres. Senese Est. Vigolo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 994)
  47. L’onere di contestazione tempestiva non è desumibile solo dagli artt. 166 e 416 c.p.c., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost. Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata. (Principio affermato in riferimento a fattispecie in cui era parte in giudizio una persona giuridica, rispetto alla quale era stata dedotta l’inesistenza del rapporto organico in capo alla persona fisica che aveva conferito il mandato e, non avendo la società negato la circostanza, la S.C. ha ritenuto l’altra parte esonerata dalla relativa prova). (Cass. 13/6/2005 n. 12636, Pres. Senese Rel. Di Iasi, in Dir. e prat. lav. 2005, 2664
  48. La prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti e non apprezzamenti; pertanto il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo alle deposizioni testimoniali che si traducano in un’interpretazione soggettiva ovvero in un mero apprezzamento tecnico del fatto (nella specie, è stata cassata una decisione di merito, basata esclusivamente sulle valutazioni medico-legali svolte da un medico, che era stato assunto solo come testimone, in merito alla compatibilità tra la patologia del lavoratore in malattia e lo svolgimento di altra attività lavorativa durante questo periodo). (Cass. 6/6/2005 n. 11747, Pres. Mercurio Rel. D’Agostino, in Dir. e prat. lav. 2005, 2268)
  49. Nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, e l’omesso deposito degli stessi, contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto a produrli, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo dell loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso e alla memoria di costituzione (com’è a esempio a seguito di domanda riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa di terzo). (Cass. 20/4/2005 n. 8202, Pres. carbone Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di D. Buoncristiani, “E’ irreversibile in appello l’estinzione del diritto di produrre documenti”, 187)
  50. L’omessa indicazione, negli atti introduttivi del giudizio di primo grado, dei documenti (anche attinenti ad eccezioni rilevabili d’ufficio) o il loro omesso deposito contestuale (anche se indicati) determina la decadenza dal diritto di produrre i documenti, ad eccezione dei documenti formatisi dopo l’inizio del giudizio o giustificati dallo sviluppo assunto dal giudizio ex art. 420, 5° e 7° comma, c.p.c. La decadenza in primo grado esclude la possibilità di una produzione dei documenti, con gli atti introduttivi del giudizio d’appello o successivamente. I documenti rientrano nei nuovi mezzi di prova di cui all’art. 437, 2° comma, c.p.c. e quindi possono ammettersi solo se, dal collegio, ritenuti indispensabili, ai fini della decisione, qualora la produzione sia giustificata dal tempo della formazione (successiva) o dallo sviluppo del processo (attraverso la stessa logica dell’art. 420, 5° e 7° comma, c.p.c.). Per ammortizzare la rigidità delle suddette preclusioni, con un opportuno contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, può ammettersi l’ingresso d’ufficio dei documenti, se relativi a fatti allegati dalle parti o emersi nel processo a seguito del contraddittorio, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (se dal giudice d’appello ritenuti indispensabili – art. 437 c.p.c.- e, in primo grado ex art. 421, 2° comma, c.p.c.). (Cass. 3/3/2005 n. 8202, Pres. Carbone Rel. Vidiri, in Giur. It. 2005, con nota di Angelo Matteo Socci, “Le sezioni unite sulla produzione dei documenti (in appello e in primo grado) e sui poteri istruttori d’ufficio del giudice nel rito ordinario e del lavoro, tra stop and go”, 1457)
  51. Attesa la maggiore accentuazione dei poteri istruttori del giudice del lavoro, non si ravvisa una violazione del potere dispositivo delle parti sulle prove nel provvedimento del giudice di appello che, ritenendo “indispensabile ai fini della decisione della causa” una prova testimoniale, ne consenta l’espletamento perché finalizzata a sopperire alla incompletezza di altra prova, sempre che si mantenga nei limiti dei fatti costitutivi delle pretese o delle eccezioni dedotte o sollevate dalle parti (fattispecie ben distinta dalle ipotesi di “sostanziale ripetizione” in sede di gravame di una prova testimoniale già espletate in primo grado). (Cass. 29/11/2004 n. 22464, Pres. Ianniruberto Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1126)
  52. In tema di prova testimoniale, la norma di cui all’art. 208 c.p.c. come novellata dalla riforma del 1990 – che prevede la sanzione di decadenza dalla prova se non si presenta la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova – va interpretata nel senso che la decadenza debba essere dichiarata d’ufficio dal giudice, e non più su istanza della parte comparsa come nel precedente regime normativo, senza che sia rilevante che la controparte interessata abbia sollevato la relativa eccezione all’udienza successiva. (Nella specie, prima di ogni altra difesa e prima comunque dell’espletamento della prova stessa), non risultando previsto alcun onere di formulare l’eccezione di decadenza nella medesima udienza in cui si è verificata. (Cass. 2/9/2004 n. 17766, Pres. Ravagnani Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2005, 286)
  53. Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo nel giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificatamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza della relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere – dovere di cui all’art. 421, comma primo, c.p.c. Conseguentemente, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all’art. 420 dello stesso codice, il giudice, ove ritenga l’esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità, che alla stato non consente l’ammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio ed applicando, a tal fine, la particolare disciplina prevista dal comma quinto della norma da ultimo citata, col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine, espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma. Peraltro, in particolare, l’art. 244 c.p.c. attribuisce al giudice un potere discrezionale circa l’assegnazione di un termine per formulare o integrare le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate e, una volta che il giudice abbia esercitato tale potere, definisce il termine come perentorio, precludendo così la possibilità di concedere ulteriori dilazioni, per cui l’inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d’ufficio e non sanabile nemmeno sull’accordo delle parti. (Cass. 21/8/2004 n. 16529, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2005, 181)
  54. Le copie dei dischi cronotachigrafi, disconosciuti da controparte, formano piena prova se sono supportate da ulteriori elementi, anche di carattere indiziario e presuntivo, quali le “buste spesa”- prospetti compilati dall’autista recanti data, luogo chilometraggio di partenza e di arrivo, consegnati settimanalmente al datore di lavoro-, le testimonianze nonché lo stesso rifiuto del datore di lavoro di produrre i dischi originali. Il termine di conservazione annuale stabilito dall’art. 14, Reg. CEE 3821/85 va considerato un termine minimo che non esime il datore di lavoro dall’onere di conservazione dei dischi cronotachigrafi in relazione ad altre finalità quale quella dell’accertamento del (o contestazione delle pretese relative al) lavoro straordinario effettuato dal lavoratore. (Trib. Bolzano 9/8/2004, Est. Michaeler, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Daniele Simonato, 245)
  55. Non integra violazione dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., la produzione in giudizio di copie di atti ai quali il dipendente abbia avuto accesso, giacchè tale produzione, avendo ad oggetto copie – e non originali -, da un lato non costituisce sottrazione di documenti in senso proprio e, dall’altro, essendo finalizzata all’esercizio del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ed esclusivamente a tale esercizio, con le modalità prescritte dal codice di rito, non comporta divulgazione del contenuto dei documenti ed assolve ad un’esigenza prevalente su quella di riservatezza propria del datore di lavoro. (Cass. 7/7/2004 n. 12528, Pres. Senese Rel. Balletti, in Lav. e prev. oggi 2004, 1620)
  56. Nel nuovo rito del lavoro, l’inosservanza da parte del consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio d’appello ai sensi dell’art. 441 c.p.c., del termine giudizialmente assegnatogli per il deposito della consulenza, non comporta alcuna nullità, semprechè detto deposito avvenga almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione, conformemente al disposto del terzo comma dell’articolo citato e senza pregiudizio, quindi, del diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di seconde cure che aveva escluso la configurabilità di una lesione del diritto di difesa in quanto il pretore aveva differito l’udienza di discussione proprio allo scopo di consentire alle parti di esaminare la relazione peritale depositata in ritardo e dedurre in merito). (Cass. 26/2004 n. 10157, Pres. Senese Rel. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Gianluigi Girardi, 1265)
  57. Le informazioni e osservazioni che, ai sensi dell’art. 425 c.p.c., vengono fornite in giudizio dall’associazione sindacale, salva l’ipotesi in cui siano suffragate da elementi aventi un’intrinseca valenza probatoria, hanno la funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, rientrando, in tali limiti, nella nozione di materiale istruttorio valutabile, con la motivazione richiesta dalle circostanze, dal giudice. (Cass. 19/6/2004 n. 11464, Pres. Mattone Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2004, 1298 e in Dir. e prat. lav. 2004, 2972)
  58. Nel caso in cui il termine di costituzione del convenuto scada in un giorno festivo il deposito della memoria ex art. 416 c.p.c. può considerarsi tempestivo solo se avviene il giorno non festivo immediatamente successivo. (Trib. Roma 12/6/2004, Est. Marrocco, in Lav. nella giur. 2005, 91)
  59. Il potere officioso del giudice di ordinare, ai sensi degli artt. 210 e 421 c.p.c. alla parte l’esibizione di documenti sufficientemente individuati, ha carattere discrezionale e, non potendo sopperire all’inerzia dalla parte nel dedurre mezzi di prova, può essere esercitato solo se la prova del fatto che si intende dimostrare non sia acquisibile aliunde, non anche per fini meramente esplorativi. Il mancato esercizio da parte del giudice del relativo potere, anche se sollecitato, non è censurabile in sede di legittimità neppure se il giudice abbia omesso di motivare al riguardo. (Nella specie, il giudice del merito non aveva disposto, su istanza di un agente, l’esibizione, da parte della preponente, di scritture contabili, né la richiesta consulenza tecnica d’ufficio, in quanto le scritture erano genericamente indicate e volte ad accertare fatti che il medesimo agente avrebbe potuto provare con altri mezzi; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata). (Cass. 24/3/2004 n. 5908, Pres. Mattone Rel. Vigolo, in Lav. nella giur. 2004, 904)
  60. Nel rito del lavoro, l’art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., pone a carico del convenuto un onere di contestazione specifico in relazione ai fatti costitutivi del diritto affermati dall’attore, dal mancato adempimento del quale discende la superfluità della prova su tali fatti, mentre invece per i fatti dedotti dall’attore in esclusiva funzione probatoria, in quanto idonei a provare indirettamente altri fatti costitutivi del diritto azionato, la mancata contestazione da parte del convenuto costituisce semplice argomento di prova, liberamente apprezzabile dal giudice al fine del giudizio di sussistenza del fatto da provare. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto provata, sulla base della sola non contestazione, la circostanza del trasferimento di un impiegato, benchè non si trattasse di fatto costitutivo, ma di fatto diretto a provare la conseguente preposizione del ricorrente alla guida dell’ufficio). (Cass. 5/12/2003 n. 18598, Pres. Dell’Anno Rel. D’Agostino, in D&L 2004, 977)
  61. In tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, è necessario distinguere i testimoni de relato actoris da quelli de relato, atteso, infatti, che i primi depongono sui fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, di guisa che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa. (Corte d’appello Torino 10/9/2003 n. 939, Pres. Buzzano Cons. Rel. Fierro, in Lav. nella giur. 2004, 805)
  62. Nel rito del lavoro, la previsione di preclusioni e decadenze, comminate per la deduzione tardiva di mezzi di prova, riguarda soltanto le prove costituende, mentre la produzione di documenti può avvenire persino nel corso del giudizio d’appello, purchè in quest’ultimo caso i documenti stessi siano specificatamente indicati dalle stesse parti negli atti introduttivi, e depositati contestualmente ad essi, comunque prima della discussione orale. (Cass. 7/6/2003, n. 9163, Pres. Ciciretti Rel. De Luca, in Dir. e prat. lav. 2003, 2977)
  63. L’interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, a norma dell’art. 246 c.p.c., è quello giuridico, personale, concreto, che comporta la legittimazione a proporre l’azione ovvero ad intervenire in un giudizio, sicchè la circostanza che penda una diversa, anche se analoga, controversia tra un teste ed una delle parti in causa non vale a determinare la sussistenza di un interesse del teste nella causa nella quale deve deporre, mentre la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità del teste involgono un apprezzamento di fatto riservato al Giudice di merito. (Cass. 16/6/2003 n. 9652, Pres. Trezza Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2003, 3109)
  64. Nel rito del lavoro e, in particolare, nella materia della previdenza ed assistenza, dove, per la particolare natura dei rapporti controversi, il principio dispositivo va contemperato con quello di ricerca della verità materiale, la norma di cui all’art. 244 c.p.c., secondo la quale la prova testimoniale deve essere dedotta con indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna persona deve essere interrogata, va interpretata alla luce del disposto dell’art. 421 c.p.c., sui poteri officiosi del giudice del lavoro, e dell’art. 420 c.p.c. sulla funzione integrativa del libero interrogatorio, sicchè, quando i fatti materiali siano compiutamente enunciati nel ricorso introduttivo del giudizio, il giudice non può rigettare la richiesta di prova testimoniale sol perché i fatti non sono capitolati a norma dell’art. 244 c.p.c. (Cass. 21/4/2003 n. 4180, Pres. Mattone Rel. De Matteis, in Giur. It. 2004, 516)
  65. Nel rito del lavoro e, in particolare nella materia della previdenza e della assistenza, dove, per la particolare natura dei rapporti controversi il principio dispositivo va contemperato con quello di ricerca della verità materiale, la norma di cui all’art. 244 c.p.c., secondo la quale la prova testimoniale deve essere dedotta con indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna persona deve essere interrogata, va interpretata alla luce del disposto dell’art. 421 c.p.c., sui poteri officiosi del giudice del lavoro, e dell’art. 420 c.p.c. sulla funzione integrativa del libero interrogatorio, sicché, quando i fatti materiali siano compiutamente enunciati nel ricorso introduttivo del giudizio, il giudice non può rigettare la richiesta di prova testimoniale solo perché i fatti non sono capitolati a norma dell’art. 244 c.p.c. (Cass. 21/3/2003, bn. 4180, Pres. Mattone, Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 685)
  66. Il deferimento del giuramento suppletorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, cui è riservata tanto la valutazione circa la sussistenza del requisito della semiplena probatio e dell’opportunità di avvalersi o meno di tale mezzo di prova integrativo, quanto la scelta della parte alla quale il giuramento deve essere deferito. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione. (Cass. 8/1/2003, n. 101, Pres. Ianniruberto, Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2003, 482)
  67. Nelle controversie soggette al diritto del lavoro, la possibilità per la parte di produrre tardivamente, nel giudizio di primo grado, prove documentali, presuppone ex art. 420, comma quinto c.p.c., che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità della parte stessa, ed in ogni caso che si tratti, in coerenza con la perentorietà della regola dettata dall’art. 416, n. 3, c.p.c., di documenti a sostegni di eccezioni proposte a seguito di costituzione tardiva. (Cass. 1/10/2002, n. 14110, Pres. Trezza, Rel. Foglia, in Lav. nella giur. 2003, 179)
  68. Nel rito del lavoro, i poteri istruttori del giudice ex art. 421 c.p.c.-pur diretti alla ricerca della verità, in considerazione della particolare natura dei diriti controversi-non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, né tradursi in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale. (Cass. 8/8/2002, n. 12002, Pres. Mileo, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 79)
  69. Le limitazioni stabilite dalla legge in materia di prova testimoniale sull’esistenza di un negozio giuridico per il quale è richiesto l’atto scritto ad probationem operano solo quando il negozio è invocato come fonte di diritti e di obblighi dei quali si chieda l’adempimento, non quando è invocato come mero fatto storico influente sulla decisione della controversia. Pertanto nel giudizio instaurato da un lavoratore subordinato, allo scopo di ottenere la dichiarazione di nullità o l’annullamento delle dimissioni dal rapporto di lavoro e la reintegrazione nel posto di lavoro, sul presupposto che le dimissioni sono state da lui rassegnate a seguito di un accordo transattivo con il datore di lavoro, da lui stipulato in quanto indottovi dalla minaccia da parte di quest’ultimo di far valere un diritto, per conseguire vantaggi ingiusti, detto accordo può essere provato per testi, essendo altresì irrilevante che sia stato concluso, per il datore di lavoro, da un soggetto da questo incaricato in modo informale, qualora, come nella specie, non sia stato chiesto l’adempimento dell’accordo, in quanto invocato come fatto idoneo a coartare la volontà del lavoratore e non nella sua valenza. (Cass. 6/11/2002, n. 15591, Pres. Sciarelli, Rel. Vigolo, in Lav. nella giur. 2003, 282)
  70. Nelle controversie di lavoro e previdenziali il giudice, nel dubbio circa l’effettiva rispondenza degli elementi dedotti dal ricorrente alla fattispecie legale costitutiva del diritto azionato in giudizio, deve esercitare i poteri d’ufficio volti alla esatta individuazione di detti elementi (nella specie, la ricorrente aveva richiesto il riconoscimento di un contributo previsto da una legge regionale a favore dei parenti che provvedono direttamente all’assistenza di portatori di handicap; il giudice di merito, con la sentenza cassata, aveva ritenuto nullo il ricorso laddove non specificava la quantità e qualità di assistenza prestata al familiare invalido e quindi, ad avviso dello stesso giudice, non consentiva l’individuazione dei presupposti per il riconoscimento del contributo. (Cass. 14/10/2002, n.14600, Pres. Genghini, Est. De Matteis, in Foro it. 2003, parte prima, 522)
  71. Nel giudizio promosso dall’agente contro la ditta preponente per l’accertamento del suo diritto al pagamento di provvigioni dirette ed indirette sugli affari conclusi, è legittimo l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle scritture contabili impartito dal giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i quali non è applicabile, per ragioni temporali, l’art. 2 D.Lgs. 10 settembre 1991, n.303, che nel riconoscere-in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986 n. 86/653-il diritto dell’agente ad ottenere un estratto delle scritture contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti. Tale principio deve essere coordinato con la funzione di strumento istruttorio residuale assegnata dall’ordinamento all’ordine di esibizione predetto, che può pertanto essere autorizzato soltanto se la prova del fatto non è acquisibile aliunde e se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative; la valutazione concernente la ricorrenza di tali presupposti è rimessa al giudice di merito ed il mancato esercizio da parte di costui del relativo potere discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità. (Cass. 19/9/2002, n. 13721, Pres. D’Angelo, Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2003, 80)
  72. In applicazione del principio di cui all’art. 24 Cost., alla stregua del quale il diritto alla difesa deve essere sempre assicurato a tutti i cittadini, non incorre in una violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. il dipendente che produca in giudizio copia di documenti aziendali che si trovino nella sua materiale disponibilità in ragione delle mansioni da lui svolte. (Cass. 4/5/2002, n. 6420, Pres. Sciarelli, Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2003, 360, con nota di Giuseppe Martinucci, Diritto alla difesa ed obbligo alla riservatezza ex art. 2105 c.c.).
  73. Nel rito del lavoro, la mancata specifica contestazione dei fatti costitutivi del diritto dedotti dal ricorrente-che può essere effettuata entro il limite temporale previsto dall’art. 420, primo comma c.p.c., per la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni-rende i fatti stessi incontroversi e, conseguentemente, essi non possono essere contestati nell’ulteriore corso del giudizio, sono sottratti al controllo probatorio del giudice e devono essere ritenute sussistenti senza necessità di un apposito accertamento. (Cass. 15/1/2002, n. 535, Pres. Ianniruberto, Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2003, 483)

 

 

Nullità della sentenza

  1. La sottoscrizione di una sentenza emessa da un organo collegiale ad opera di un magistrato che non componeva il collegio giudicante, in luogo del magistrato (nella specie, il presidente) che ne faceva parte e che avrebbe dovuto sottoscriverla, integra l’ipotesi della mancanza della sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, disciplinata dagli artt. 132 e 161, comma 2, c.p.c. Il difetto di detta sottoscrizione, se rilevato, anche d’ufficio, nel giudizio di cassazione, comporta la dichiarazione di nullità della sentenza ed il rinvio della causa, ai sensi degli artt. 354, comma 1, 360, comma 1, n. 4, e 383, comma 4, c.p.c., al medesimo giudice che ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione, il quale viene investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa stessa e non può limitarsi alla mera rinnovazione della sentenza. (Cass. 9/3/2021 n. 6494, Pres. Balestrieri Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2021, 655)
  2. Il vizio di cui all’art. 132, n. 4, c.p.c. ricorre soltanto allorché la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso che risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile. (Cass. 2/12/2020 n. 27541, Pres. Berrino Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2021, 310)
  3. L’espressione ‘altro grado del processo’ di cui all’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. comprende, con un’interpretazione conforma a Costituzione, anche la fase che si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzato da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorché avanti allo stesso organo giudiziario. È quindi nulla la sentenza resa da giudice incompatibile per avere già conosciuto della medesima domanda in altra fase del giudizio, senza che sia necessario investire la Corte Costituzionale della relativa questione, essendo possibile riferire la locuzione di cui all’art. 1, co. 51, l. n. 92/2012, laddove essa individua nel “tribunale che ha emesso il provvedimento opposto”, secondo una lettura rispettosa dei parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., al solo organo giudiziario, ferma l’alterità della persona fisica. (Corte app. Genova 12/3/2014, Pres. e Rel. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Vanni, “Ricusazione del giudice e rito Fornero: la questione (mai risolta) dell’alterità del grado del processo”, 164)
  4. La nullità della sentenza di primo grado, che ha dichiarato improcedibila la domanda di ammissiona al passivo sulla scorta di un decreto che ha pronunciato la chiusura del fallimento, a seguito di un successivo provvedimento che abbia dichiarato la nullità del decreto di chiusura, non rientra fra le ipotesi di rimessione previste dall’art. 354 c.p.c. (Artt. 161 e 354 c.p.c.; artt. 101 e 119 legge fall.) (Cass. 3/11/2006 n. 23539, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2007, 1311)
  5. L’incoerenza tra dispositivo e motivazione in relazione alla data di raggiungimento del livello di invalidità indennizzabile – data da determinare in maniera certa onde valutare il decorrere della prescrizione e la portata degli atti interrottivi – non configura un mero errore materiale e non può essere sanato né facendo applicazione del principio dell’integrazione del dispositivo con la parte motivazionale, né con il procedimento di correzione degli errori materiali. Ne consegue la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156, comme secondo, c.p.c., difettando tale atto, considerato nella sua unità, dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo cui è destinato. (Cass. 27/1/2006 n. 2726, Pres. Mercurio rel. Vidimi, in Lav. Nella giur. 2006, 706)
  6. Nel rito del lavoro, la nullità della sentenza per contraddittorietà tra motivazione e dispositivo non si verifica allorché il contrasto tra di essi è solo apparente, perché può essere risolto solo attraverso l’interpretazione del dispositivo, a prescindere dalle improprietà terminologiche utilizzate, ed alla luce della motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto solo apparente il contrasto, in quanto, benché nel dispositivo fosse stato dato atto del “rigetto” dell’appello, era stato altresì anche ridotto l’importo del credito riconosciuto dalla sentenza di primo grado, in coerenza con la motivazione, che dava conto del parziale accoglimento dell’appello stesso). (Cass. 6/11/2002, n. 15586, Pres. Sciarelli, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2003, 281)
  7. Nel caso in cui vi sia contrasto tra dispositivo della sentenza e motivazione della stessa (ed in più tra dispositivo letto in udienza e quello contenuto nella sentenza depositata), con conformità però della motivazione al dispositivo letto in udienza, non vi è nullità della sentenza ma mero errore materiale emendabile con la procedura di correzione. (Trib. Milano 7/11/2001, ord., Est. Cincotti, in D&L 2002, 224)

 

 

Condanna alle spese

  1. Le “gravi ed eccezionali ragioni” previste dall’art. 92 co. 2 c.p.c. secondo la formulazione introdotta dalla l. n. 69 del 2009 riguardano specifiche circostanze e aspetti della questione decisa e tali non possono ritenersi né la posizione di debolezza della lavoratrice – che è condizione interna alla maggior parte dei rapporti di lavoro, derivante da una disparità normalmente esistente sul piano economico-sociale e, in quanto tale, indipendente dal conflitto proprio della singola controversia –, né la buona fede nell’agire in giudizio, trattandosi di stato soggettivo che naturalmente assiste la determinazione di adire la via giudiziale, come è dato desumere dalla previsione di responsabilità aggravata (art. 96 c.p.c.) per il soggetto che, invece, agisca o resista in giudizio, con mala fede o colpa grave. (Cass. 5/7/2017 n. 16581, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di R. Metafora, “La nozione delle gravi ed eccezionali ragioni nel provvedimento di compensazione delle spese nelle controversie di lavoro”, 188)
  2. In tema di esenzione dal pagamento delle spese nei giudizi per prestazioni previdenziali, l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dall’art. 42, comma 11, D.L. n. 269 del 2033, conv. Con modif. nella L. n. 326 del 2003, laddove onera la parte ricorrente, che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell’esonero, a rendere apposita dichiarazione sostitutiva “nella conclusioni dell’atto introduttivo” va interpretato nel senso che il legislatore non ha inteso imporre l’adozione di una rigida formula ma ha subordinato l’esenzione esclusivamente alla tempestiva presentazione della suindicata dichiarazione, senza richiedere che, nell’ambito di essa, debba anche essere contenuto l’impegno a comunicare variazioni reddituali rilevanti. (Cass. 3/8/2016 n. 16132, Pres. Curzio Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2016, 1120)
  3. La compensazione delle spese costituisce espressione d’un potere sempre e soltanto discrezionale, il cui eventuale esercizio è agganciato o alla reciproca soccombenza o a gravi ed eccezionali ragioni, da indicarsi espressamente. L’unico vincolo che il giudice incontra nel decidere del governo delle spese risiede nel divieto di porle interamente a carico della parte vittoriosa. Pertanto, mentre deve motivare la compensazione, non altrettanto è tenuto a fare quando non si avvale di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’ipotesi di una compensazione, non può essere censurata neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione. (Cass. 16/1/2013 n. 894, Pres. Miani Canevari Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2013, 305)
  4. L’esonero delle spese processuali nei giudizi aventi ad oggetto prestazioni previdenziali – dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, D.L. n. 384/1992, convertito in L. n. 438/1992 – conserva validità generale, non potendosi ritenere ripristinato solo in favore dei lavoratori non abbienti, poiché la dichiarazione di illegittimità costituzionale non è limitata in alcun modo. (Cass. 29/5/2003 n. 8668, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2003, 1159)
  5. L’esonero del lavoratore soccombente dal pagamento delle spese processuali-previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c. per i giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali-non si applica nei casi in cui sia accertata l’inesistenza di qualsiasi rapporto previdenziale, atteso che l’assoluta mancanza del rapporto assicurativo esclude la sussistenza dell’esigenza, ravvisata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 134/1994, di evitare quella situazione di disparità sostanziale nel processo, rispetto all’istituto assicuratore, che limita di fatto all’assicurato la possibilità di agire a tutela dei propri diritti. (Cass. 9/1/2003, n. 124, Pres. Trezza, Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2003, 475)
  6. Il beneficio dell’esonero dalle spese per soccombenza, previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c. in favore del lavoratore soccombente nei giudizi prossimi per ottenere prestazioni previdenziali, è applicabile in favore di qualunque ricorrente e non solo in favore di chi possa vantare l’effettiva esistenza del rapporto assicurativo o abbia comunque diritto all’assistenza pubblica, atteso che la ratio della norma, desumibile anche dalle sentenze n. 85/1979 e n. 207/1994 della Corte Costituzionale, è quella di evitare che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l’esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, fermo il limite della manifesta infondatezza e temerarietà della lite. (Cass. 14/1/2002, n. 440, Pres. Mileo, Rel. Lupi, in Lav. nella giur. 2003, 474)

 

 

Interrogatorio libero

  1. In caso di mandante residente all’estero, la prova contraria, idonea a superare la presunzione di rilascio della procura ad litem in Italia, può essere desunta da vari elementi (quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della parte in un paese non della Comunità europea o la mancata dimostrazione di un suo ingresso in Italia), nonché dal comportamento processuale della parte e, in particolare, dalla mancata risposta all’interrogatorio formale deferito dalla controparte sulla circostanza del luogo in cui la procura venne sottoscritta, cui il giudice, secondo la sua prudente valutazione, può riconnettere valore di ammissione di fatti dedotti. (Cass. 30/6/2016 n. 13482, Pres. Berrino Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2016, 921)
  2. La natura giuridica non confessoria dell’interrogatorio libero della parte non rileva ai fini della sua libera valutazione da parte del giudice, che può legittimamente trarre dall’interrogatorio stesso una valutazione contraria all’interesse della parte che lo ha reso. Tale valutazione, se congruamente e logicamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità. (Cass. 1/10/2014 n. 20736, Pres. Roselli Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2015, 86)
  3. Nel rito del lavoro, le risposte rese dalle parti in sede di interrogatorio libero ex art. 420 c.p.c. sono liberamente utilizzabili dal giudice come elemento di convincimento, soprattutto se riguardino fatti che possono essere conosciuti solo dalle parti medesime, o non siano contraddette da elementi probatori contrari, e possono arrivare a costituire anche l’unica fonte di convincimento. (Cass. 2/4/2009 n. 8066, Pres. Mattone Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2009, 948)
  4. Nel rito del lavoro, il libero interrogatorio della parte è diretto a chiarire i termini della controversia in relazione alle circostanze di fatto ritualmente introdotte nel giudizio con il ricorso introduttivo e la memoria di costituzione, ma non a introdurne di nuove che il giudice sia obbligato a esaminare. (Nella specie, relativa a una domanda di un lavoratore di trasferimento con precedenza in funzione della costituzione di una situazione di assistenza a un portatore di handicap, la S.C., nell’affermare il principio di cui alla massima, ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa all’omessa considerazione delle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dal procuratore speciale della società datrice di lavoro, secondo il quale il posto vacante era riservato alla mobilità provinciale alla stregua dall’accordo sindacale del 17 aprile 2002, in quanto riferite a un atto mai sottoposto al vaglio del giudice di appello). (Cass. 27/1/2009 n. 1895, Pres. Ianniruberto Est. Picone, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Maria Gallo, 812)
  5. Nel rito del lavoro il libero interrogatorio delle parti pur costituendo un adempimento doveroso per il giudice di primo grado – salva la valutazione della sua indispensabilità da parte del giudice d’appello – non è previsto a pena di nullità in quanto non è preordinato a provocare la confessione della parte ma a chiarire i termini della controversia ed a rendere possibile il tentativo di conciliazione. Ne consegue che la sua omissione nel giudizio di primo grado non incide sulla validità dello svolgimento del rapporto processuale, restando perciò ininfluente – e come tale non denunciabile in sede di legittimità – la mancata considerazione dell’omissione stessa, ove lamentata in sede d’appello, da parte del giudice del gravame. (Cass. 8/3/01, n. 3380, pres. Ghenghini, est. Lamorgese, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 313)