Corte di cassazione, sentenza 20 maggio 2015 n. 10386
A proposito di forme e di formalismo nella redazione dell’atto di appello.
Come è noto, il vecchio testo dell’art. 434 c.p.c. richiedeva che l’atto di appello contenesse “l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione”, il nuovo teso introdotto dall’art. 54, 1° comma, lett. c-bis D.L. n. 83/2012, convertito nella L. n. 134/2012, impone viceversa, a pena di inammissibilità, “l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado” nonché “l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. Chiamata ad interpretare questa più rigorosa formulazione e a fronte di una lettura di essa molto formalistica sostenuta dall’appellato, la Corte, richiamando la propria precedente argomentata sentenza n. 2143/2015, sceglie la via della necessaria conciliazione tra l’esigenza di una ragionevole durata del processo (ostacolata da formulazioni generiche dell’atto di appello) e quella di assicurare il più agevole accesso alla tutela giurisdizionale, affermando che la legge richiede, al di là di inutili formalismi, che i contenuti critici dell’atto di appello siano articolati in modo chiaro ed esauriente, oltre che pertinente. – Sezione: processuale