Chat aziendale e controlli tecnologici: regole per l’utilizzazione ai fini disciplinari
Corte di Cassazione, sentenza 11 dicembre 2025, n. 32283
Un dirigente, licenziato per giusta causa per violazione degli obblighi di riservatezza nel processo di selezione del personale, aveva impugnato il recesso contestando l’utilizzabilità, a fini disciplinari, delle conversazioni estratte da una chat aziendale. Tribunale e Corte d’appello avevano respinto l’impugnativa, ritenendo legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle chat e proporzionata la sanzione espulsiva. La Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso del dirigente, osserva che: (i) la chat aziendale, se utilizzata per comunicazioni di servizio tramite account aziendale, può qualificarsi come “strumento di lavoro” ai sensi dell’art. 4, co. 2, Stat. lav.; la circostanza che la piattaforma sia tecnicamente utilizzabile anche per conversazioni private non esclude, di per sé, tale qualificazione quando la stessa sia in concreto adoperata per esigenze lavorative; (ii) i dati raccolti attraverso strumenti di lavoro sono utilizzabili anche a fini disciplinari, purché siano rispettate le condizioni previste dall’art. 4, co. 3, Stat. lav., e quindi: (a) che il lavoratore sia stato previamente e adeguatamente informato sulle modalità d’uso degli strumenti e sull’effettuazione dei controlli; (b) che il trattamento dei dati avvenga nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva ritenuto soddisfatto il requisito dell’adeguata informazione mediante una policy aziendale, accessibile a tutti i dipendenti e richiamata nel contratto di assunzione, che includeva la messaggistica istantanea tra i sistemi elettronici aziendali e ne prevedeva l’eventuale utilizzo a fini disciplinari in presenza di sospetti di illecito.