Impugnazione del licenziamento: no al termine di 60 giorni se il dipendente è incapace
Corte costituzionale, sentenza 18 luglio 2025 n. 111
Il dubbio di costituzionalità proviene dalla Corte di cassazione e riguarda, con riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 24, primo comma e 35, primo comma Cost., la disciplina di cui all’art. 6 L. n. 604/1966, laddove stabilisce per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento il termine di sessanta giorni anche nel caso in cui il lavoratore licenziato si trovi in stato di incapacità naturale processualmente accertata. La Corte, ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale nel quale s’inserisce la disposizione censurata, ritiene fondate le censure svolte. L’eccessiva compressione delle possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale che il primo del doppio onere stabilito a pena di decadenza per l’avvio del processo anche nel caso in cui il destinatario del licenziamento impugnabile si trovi, all’interno dell’arco temporale considerato, in uno stato di incapacità d’intendere e di volere appare gravemente irrazionale, contrasta col diritto fondamentale al lavoro e con la tutela del lavoro in tutte le sue forme e viola anche la garanzia di accesso al processo. Per effetto della pronuncia di accoglimento della questione, resta unicamente, nel caso considerato, il termine di decadenza complessivo per l’avvio del processo (240 giorni, di cui 60 sarebbero per l’impugnazione stragiudiziale più 180 giorni per la promozione dell’azione giudiziaria), ritenuto tener conto sia dell’interesse del lavoratore a un maggior termine per riprendersi e decidere e di quello alla celerità del processo e alla certezza dei rapporti.