Tumori nasali da polveri di legno e diritto penale

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Questa voce è stata curata da Stefano Zirulia

 

Nozione

I tumori nasali derivanti dalle polveri di legno sollevano problematiche in buona parte sovrapponibili a quelle esaminate nella voce dedicata ai tumori amianto-correlati.
Occorre peraltro segnalare che, dallo studio della letteratura giuridica e giudiziaria, svolto attraverso le principali fonti di settore, pare che il problema dei tumori nasali derivanti dall’esposizione alle polveri di legno sia stato affrontato dalla giurisprudenza penale di Cassazione in un solo caso, conclusosi con la conferma della condanna da parte della Suprema Corte nella sentenza del 19 giugno 2003, imp. Giacomelli (pubblicata in Foro it. 2004, II, 69, con nota di GUARINIELLO)

 

Colpa specifica

In materia di malattie professionali, il rimprovero di colpa specifica può essere mosso ai soggetti che violano le norme cautelari scritte poste a tutela della salute sul lavoro (v. voce Malattie professionali e diritto penale, par. ”Colpa specifica”.
Trattandosi di esposizione a polveri nocive, nel processo Giacomelli veniva rimproverata all’imputato l’inosservanza delle norme cautelari dettate dagli articoli 4 e 21 del D.P.R. 303/1956 (recante norme generali per l’igiene del lavoro), nonché 377 e 387 del D.P.R. 547/1955 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro).

L’art. 21 del DPR 303/1956 stabiliva che «nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro; sostituire, ove possibile, il materiale polveroso; in assenza di sostituibilità, di effettuare le lavorazioni in apparecchi chiusi, ovvero di aspirare le polveri il più vicino possibile al luogo dove si formavano; infine disponeva che le polveri fossero inumidite.»
Gli artt. 377 e 387 del DPR 547/1955 obbligavano il garante a dotare i lavoratori di mezzi personali di protezione adeguati al rischio al quale erano esposti, e, con particolare riferimento alle polveri, prescriveva la dotazione di mascherine filtranti.
L’art. 4 del DPR 303/1956 prevedeva infine che i lavoratori fossero informati sia dei rischi collegati all’inalazione di polveri, sia delle modalità di utilizzo degli strumenti di protezione adottati.

I difensori dell’imputato obiettavano che il rischio di tumore nasale è noto solo dal 1981, e che pertanto le norme degli anni ’50 non potevano considerarsi finalizzate ad evitarlo.
La Cassazione osserva invece che le conoscenze maturate nel 1981 riguardavano solo quelli che essa stessa definisce «processi degenerativi», mentre «le comuni patologie dell’apparato respiratorio derivanti dalle polveri» erano ben note negli anni ’50.

 

Nesso di causalità

Il nesso di causalità, ossia il legame tra condotta ed evento lesivo, viene accertato dalla giurisprudenza attraverso il c.d. giudizio controfattuale.
In particolare, nella materia delle malattie professionali, tale giudizio si estrinseca in una duplice verifica: anzitutto si accerta se uno dei fattori di rischio presenti nell’impresa ha cagionato l’evento lesivo; in secondo luogo se il rispetto, da parte dell’imputato, di tutte le norme cautelari, scritte e non scritte, avrebbe impedito l’evento lesivo (v. voce Malattie professionali e diritto penale, par. ”Accertamento del nesso causale”.

Quanto alla prima verifica, nessuno mette in dubbio l’eziologia tra polveri di legno e tumore nasale. Si osserva, sul punto, che il DPR 336/1994 ha inserito la neoplasia nella tabella delle malattie professionali di cui al D.P.R. 1124/1965, tabella che – anche se ai soli fini assicurativi (v. voce Malattie professionali e diritto penale, par. ”Eventi lesivi”) – ha proprio l’effetto di creare una presunzione di causalità.
Ferma restando la possibile eziologia da polveri di legno, occorre segnalare che non vi è unanimità di opinioni in merito alla natura monofattoriale o multifattoriale dei tumori nasali: e dunque in merito alla loro possibile derivazione da fattori di rischio diversi da quello professionale. Il punto non è oggetto del ricorso esaminato dalla Corte di Cassazione (forse fu esaminato dalle sentenze di merito, le quali, tuttavia, sono inedite).
La dottrina giuridica che si è occupata del problema non ha dato risposte univoche: taluno, citando studi epidemiologici che hanno registrato tumori nasali presso agricoltori, casalinghe, muratori e professionisti, afferma la natura multifattoriale dei tumori in parola (LAGEARD, Le malattie da lavoro nel diritto penale, Utet, 2000, p. 348); ma occorre segnalare l’esistenza di voci di segno opposto (GUARINIELLO, La diagnosi di tumore professionale, nota a Cass. pen. n. 6858/1990, in Dir. prat. lav., 1990, 19)

In relazione alla seconda verifica si pongono problemi del tutto analoghi a quelli esaminati in tema di tumore polmonare (v. voce Tumori amianto-correlati e diritto penale, par. “Tumore polmonare”.).
La questione più scottante riguarda infatti la possibilità di riferire l’insorgenza del tumore nasale alla specifica condotta del singolo imputato. Nel processo Giacomelli, le persone offese erano state addette a lavori di falegnameria nei seguenti periodi: Marino Mazzarol (deceduto nel 1993) dal 1947 al 1951, dal 1953 al 1961, dal 1967 al 1969; Angelo Saraiba (deceduto in data non riportata) dal 1939 al 1977; Giacomo Matiussi (vivo al momento del processo) dal 1950 al 1975.
L’imputato aveva rivestito la posizione di garanzia dal 1964, anno in cui era subentrato al padre, fino al 1981: l’esposizione, pertanto, era avvenuta sotto la sua gestione per due anni con riferimento al Mazzarol, per oltre dieci con riferimento agli altri due lavoratori.

I difensori osservavano che, presentando il tumore nasale una latenza di 40-45 anni, la sua insorgenza doveva essere necessariamente ricondotta all’esposizione alla polvere avvenuta sotto la gestione di Giacomelli padre, e non invece del figlio imputato.
Rispondono così i Giudici Supremi: «il collegio peritale nominato nel giudizio di secondo grado…ha messo in evidenza come l’ulteriore esposizione, protratta sotto la gestione dell’imputato, sia stata concausa dell’evento…È impensabile, ad avviso dei periti, che la polvere inalata successivamente, ma dotata delle stesse potenzialità nocive di quella cagionante la malattia, fosse ininfluente sull’andamento generale della patologia e sulle condizioni di salute dell’individuo che ne è portatore. Di guisa che la condotta omissiva dell’imputato…ne ha di certo accelerato lo sviluppo, ponendosi in tal modo in rapporto causale con l’evento, e ciò a prescindere dalla durata dell’esposizione avvenuta sotto la gestione dell’azienda da parte di Giacomelli figlio. Conforta l’assunto quanto sul punto dichiarato dal dott. Comba, il quale ha messo in evidenza la significatività anche di esposizioni temporalmente brevi in rapporto al livello di esposizione elevato, quale era l’ambiente ove i tre hanno lavorato».
Dunque, esattamente come accade in materia di tumori polmonari, il problema viene risolto applicando una legge scientifica che qualifica la patologia neoplastica come dose-dipendente, e qualificando le condotte dell’imputato come concause (v. voce Malattie professionali e diritto penale, par. ”Accertamento del nesso causale”).

 

Rinvio ad altre voci per approfondimenti

Per approfondimenti si vedano le seguenti voci:

 

 

Normativa di riferimento

Oltre ai riferimenti normativi segnalati nella presente voce, si richiamano anche le seguenti fonti di riferimento generale:

  • Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (integrato con le modifiche apportate dal D.Lgs. 3 agosto 2009 , n. 106)
  • Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300
  • Legge 3 agosto 2007, n. 123, Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia.
  • D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468
  • Costituzione della Repubblica italiana