Borsa continua nazionale del lavoro

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Questa voce è stata curata da Simone Varva

 

Definizione

L’ambizioso progetto di costruire un sistema integrato ed informatizzato contenente informazioni sul mercato del lavoro accessibili a lavoratori, imprenditori, operatori pubblici e privati è già contenuto nel Libro Bianco sul mercato del lavoro.
Più correttamente, bisogna rammentare che già dal 2000 il legislatore, alle prese con la riforma del collocamento, si era impegnato nel disegno del c.d. Sistema informativo lavoro (Sil), basato sulla raccolta e messa a disposizione delle informazioni relative ai soggetti in cerca di occupazione.
Tuttavia, tale progetto è rimasto inattuato. Nell’ambito della riforma del mercato del lavoro ne sono stati ripresi i principi ispiratori allo scopo di creare un supporto fondamentale al raggiungimento degli obiettivi di efficienza e trasparenza indispensabili al buon funzionamento del mercato del lavoro.

Si osservi che il 13 ottobre 2004 è stato emanato il decreto interministeriale attuativo ex art. 16 c. 1, per definire “gli standard tecnici e i flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonché le sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello nazionale”.
Dalle disposizioni si evincono facilmente i principi che informano la Borsa.

In primo luogo, gli operatori, pubblici e privati, autorizzati ed accreditati, sono tenuti a connettersi al sistema informativo. Anche i lavoratori e gli imprenditori possono incontrarsi direttamente e liberamente, potendo accedere alla Borsa da qualsiasi terminale (previa identificazione, come richiesto dal decreto attuativo).

Per tutelare il diritto alla riservatezza dei lavoratori, l’art. 15 e il decreto interministeriale impongono agli operatori di richiedere il consenso alla diffusione dei dati ai diretti interessati.
Anche nel caso in cui siano direttamente i lavoratori ad inserire le informazioni anagrafiche e professionali, le disposizioni restringono la diffusione soltanto ai dati strettamente necessari per favorire l’incontro tra domanda ed offerta (vedi artt. 1 e 2 del decreto interministeriale) in applicazione del principio di sufficienza nel trattamento dei dati.
Inoltre “il cittadino o il datore di lavoro, che accede ai servizi della borsa continua nazionale del lavoro, autonomamente o attraverso un operatore, deve poter scegliere in autonomia il livello territoriale, sia esso provinciale, regionale o nazionale, sul quale esporre la propria candidatura od offerta di lavoro” (art. 1 c. 8 decreto interministeriale).

La borsa è costituita da due livelli:

  • il primo centrale e nazionale, competente a definire gli standard tecnici ed a integrare tra loro i nodi regionali;
  • il secondo livello, regionale appunto, con la funzione precipua di coordinare i flussi informativi pubblici e privati.

Il rapporto Stato-regioni, disegnato nel D.Lgs. 276/2003 con una forte tendenza all’accentramento delle competenze, sembra nel caso della Borsa un poco più rispettoso dell’autonomia regionale, anche alla luce della nuova riforma in senso federale della Carta costituzionale.
Al ministero è infatti lasciato il compito di coordinare le peculiarità delle scelte regionali e di uniformare gli standard tecnici, così da rendere il sistema nazionale integrato e omogeneo.

Tutto il processo attuativo ha coinvolto profondamente le rappresentanze regionali: predisposizione delle linee guida condivise ed emanazione del decreto interministeriale “d’intesa con le regioni”. La stessa commissione per il raccordo ed il coordinamento, istituita dal decreto per ultimo citato, è annovera tra i suoi membri una discreta quantità di rappresentati degli enti locali.

Alle regioni viene riconosciuta una funzione fondamentale: quella di risolvere nel modo più efficace e funzionale l’irrinunciabile esigenza di coordinare gli operatori privati ed i soggetti pubblici protagonisti del mercato; agli enti locali è demandato anche il compito di adattare il modello tecnico alle esigenze del mercato del lavoro locale.
Il potere centrale, a sua volta, sovrintende al buon funzionamento ed all’aggiornamento tecnologico della rete, in modo da realizzare la libera circolazione dei lavoratori sull’intero territorio nazionale (e comunitario) come richiesto dall’art. 120 della Costituzione.
Rammentiamo, ad ogni modo, che il fondamentale principio che informa il rapporto Stato, regioni ed altri enti locali è quello della sussidiarietà verticale: in buona sostanza ciò significa che dovrebbe esservi la tendenza ad affidare le competenze “concorrenti” al potere pubblico più vicino al cittadino. Anche alle regioni è richiesto in linea di principio di devolvere le proprie prerogative agli enti minori, province in primis.

Passando ad analizzare le funzioni in materia di elaborazioni statistiche e di valutazione delle politiche del lavoro, parrebbe che il legislatore abbia optato per un modello di gestione accentrato.
Presso il Ministero sono indirizzati i flussi informativi anagrafico-professionali dei soggetti operanti sul mercato e nel mondo del lavoro. Con scadenza annuale, il Ministero presenterà una relazione al Parlamento sull’efficacia delle azioni svolte, avvalendosi del supporto dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol).

L’art. 17 c. 4 prevede l’istituzione di una “Commissione di esperti in politiche del lavoro, statistiche del lavoro e monitoraggio e valutazione delle politiche occupazionali” che avrà il compito di predisporre linee giuda per le attività di monitoraggio e valutazione affidate al Ministero.
In coerenza con le linee programmatiche elaborate a livello comunitario, alcune priorità in ambito di politiche attive del lavoro si evincono dal testo: promozione delle pari opportunità, supporto ai lavoratori svantaggiati, investimento nel contratto di apprendistato.

Il vero scoglio da superare è quello di coordinare la struttura centrale con quelle locali alle quali sono affidati compiti di valutazione delle politiche formative e del lavoro direttamente dalle istituzioni comunitarie (come condizione per accedere ai fondi strutturali e finanziari erogati dall’UE).
Da una parte vi sono forti dubbi che l’affidamento agli enti locali dei compiti di monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro sia efficiente, anche perché gli stessi sono dotati di risorse tecniche e finanziarie certamente limitate.
Dall’altra, tuttavia, intervengono due ordini di motivi. In primo luogo occorre prendere atto della scelta comunitaria di affidare direttamente ai fruitori dei fondi europei (enti locali) i controlli in merito all’efficacia delle azioni. In secondo luogo, non si può ovviamente prescindere dal nuovo riparto di competenze Stato-regioni voluto dalla Costituzione: la competenza statale esclusiva riguarderebbe soltanto il “coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati” delle PA(art. 117 c. 2 lett. “r”) e non la gestione diretta dei dati e dei sistemi stessi che, in materia di politiche del lavoro, costituirebbe al più una attribuzione concorrente.