Curatore fallimentare

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Questa voce è stata curata da Francesca Ajello

 

Scheda sintetica

Il curatore è l’Organo del fallimento, a cui è demandato il compito di gestire la procedura e amministrare il patrimonio dell’imprenditore fallito al fine di liquidarlo e di dare soddisfazione alle ragioni dei creditori ammessi al passivo mediante il pagamento dei loro crediti.
L’apertura del fallimento comporta che il soggetto fallito venga privato dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di apertura della procedura e di quelli che pervengono durante la stessa.
Tali beni, tuttavia, affinché gli scopi cui è deputata la procedura vengano effettivamente raggiunti, debbono essere gestiti in modo corretto ed efficiente.
Per questo motivo la legge fallimentare prevede che il tribunale che dichiara il fallimento nomini contestualmente anche un professionista, che viene investito della qualifica di pubblico ufficiale e a cui viene affidata l’amministrazione del patrimonio fallimentare.
La nomina, come si dirà in seguito, avviene secondo modalità predefinite e in presenza di specifici requisiti che, con la previsione di una specifica responsabilità gravante sul curatore, garantiscono che egli svolga le proprie attribuzioni nell’interesse della procedura e dei creditori che partecipano al concorso.

 

Normativa di riferimento

  • Regio decreto 16.03.1942 n. 267 (cd. legge fallimentare) come riformato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n° 5 e successivamente modificato dal D.Lgs. 169/2007, in particolare art. 27 e 39 L.F.

 

 

Scheda di approfondimento

Nomina del curatore, responsabilità e compenso

Il curatore del fallimento viene nominato nel momento in cui viene aperta la procedura, mediante la sentenza dichiarativa di fallimento: egli è dunque scelto dal medesimo tribunale che apre la procedura fallimentare e dal medesimo collegio che ha assunto tale decisione.
L’organo di gestione della procedura deve essere selezionato fra soggetti che rispondano ai requisiti richiesti dalla legge e, specificamente, fra:

  • avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
  • studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali più sopra elencati;
  • coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, purché abbiano dato prova di adeguate capacità imprenditoriali e non siano stati essi stessi dichiarati falliti.

Ma non solo, la legge indica anche chi non può essere nominato curatore e cioè:

  • il coniuge
  • i parenti e gli affini fino al quarto grado
  • i creditori del fallito
  • chi ha concorso al dissesto dell’impresa
  • chi si trova in conflitto di interessi con il fallimento

Molti tribunali adottano un sistema di nomina del curatore improntato ad un automatismo che – a seguito di una selezione fondata sulla meritevolezza del professionista – permette l’eliminazione della discrezionalità del collegio (ossia i tre giudici che compongo di volta in volta il tribunale fallimentare) chiamato a scegliere la persona che poi andrà effettivamente a gestire il fallimento appena aperto.
L’incarico conferito mediante la sentenza dichiarativa deve essere espressamente accettato dal professionista nominato, che deve far pervenire al giudice delegato la propria decisione entro due giorni dalla conoscenza della nomina.
Qualora ciò non avvenisse, il tribunale deve tempestivamente nominare un altro curatore.
Accettato l’incarico, l’organo gestorio assume la qualità di pubblico ufficiale: questo significa in pratica che ogni comportamento tenuto dal curatore e ciascuna delle attività che egli pone in essere durante il proprio incarico verranno valutate con il maggior rigore con cui vengono considerati i comportamenti di tutti i soggetti che svolgono delle funzioni pubbliche.
La circostanza risulta particolarmente rilevante dal punto di vista penalistico e ha lo scopo di responsabilizzare maggiormente i soggetti a cui è affidata la gestione di una procedura nella quale sono coinvolti gli interessi di numerosi soggetti e delle collettività.
Peraltro, al fine di raggiungere tale scopo, la legge fallimentare stabilisce che il curatore, accettando l’incarico, venga sottoposto ad uno specifico regime di responsabilità.
L’art. 38 l.f. impone infatti che i doveri previsti dall’ufficio che riveste debbano essere svolti con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Ciò significa che il curatore viene assoggettato all’obbligo di dispiegare le proprie attribuzioni con una diligenza particolarmente qualificata, determinata dai doveri impostigli dalla legge, da quelli previsti nel piano di liquidazione e parametrata non solo all’incarico che gli è stato conferito, ma anche alla professione che generalmente è chiamato a svolgere.
Qualora questo non accadesse, il curatore può essere sottoposto ad una cd. azione di responsabilità volta ad accertare la violazione dei suoi doveri e ad ottenere il risarcimento dei danni causati dal suo comportamento.
L’azione di responsabilità può essere proposta dal nuovo curatore previa autorizzazione del giudice delegato oppure dal comitato dei creditori.

Il curatore può essere revocato o sostituito.
Viene revocato mediante decreto del tribunale fallimentare, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d’ufficio.
Contro il decreto che decide sulla revoca è ammesso reclamo davanti alla Corte d’Appello.
In caso di revoca il nuovo curatore è nominato con decreto del tribunale.
Può altresì essere sostituito dal tribunale, su richiesta dei creditori che, presenti all’adunanza per l’accertamento dello stato passivo e prima della dichiarazione di esecutività dello stesso, rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi.
L’incarico di gestione è svolto dietro un compenso, che viene liquidato su sua istanza e attraverso un meccanismo di calcolo fondato sull’attività da lui svolta.
Il tribunale calcola infatti il corrispettivo dovuto al curatore attraverso apposite tabelle fornite dal Ministero della Giustizia. Anche questo sistema ha lo scopo di eliminare la possibilità che il collegio cui è demandata la liquidazione del compenso decida discrezionalmente.

 

Funzioni del curatore

Come detto, il curatore rappresenta l’organo al quale è affidata la gestione della procedura e l’amministrazione del patrimonio del fallito.
Ad esso è quindi affidato il compito di portare avanti il fallimento compiendo tutte le attività necessarie alla conservazione e alla liquidazione dell’attivo, che, a loro volta, sono finalizzate al pagamento dei creditori ammessi al passivo.
Il curatore deve gestire la procedura secondo la diligenza richiesta dall’incarico.
L’attività di gestione ed amministrazione è in ogni caso svolta sotto la vigilanza costante del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni che sono loro attribuite. Tant’è che il curatore deve tenere un registro nel quale giorno per giorno annoti le operazioni di amministrazione che compie.
Le operazioni debbono essere svolte dal curatore personalmente.

Sono peraltro sancite due deroghe a tale regola generale.
Il curatore può infatti:

  • delegare ad altri alcune specifiche operazioni (dalle quali sono comunque escluse attività espressamente indicate dalla legge all’art. 32 l.f.) , purché sia stato a ciò autorizzato dal comitato dei creditori. In tal caso, il compenso del soggetto delegato è liquidato sempre dal giudice delegato, ma sottratto al compenso dovuto al curatore medesimo;
  • farsi affiancare da altri soggetti dotati di specifiche competenze che completano quelle già rivestite dal curatore: essi vengono retribuiti e operano sotto la responsabilità dell’organo nominato dal tribunale. In questo caso, del compenso riconosciuto al coadiutore, si tiene conto ai fini della liquidazione del compenso finale riconosciuto al curatore.

Il curatore ha il compito di gestire ed amministrare il patrimonio del fallito poiché quest’ultimo subisce lo “spossessamento”. Il curatore ha anche il compito di decidere se subentrare o meno nei rapporti pendenti. Per questi devono intendersi i contratti conclusi prima della sentenza dichiarativa di fallimento, ma non ancora interamente eseguiti da entrambe le parti alla data del fallimento. Tali contratti, ai sensi dell’art. 72, si sospendono automaticamente dal momento della dichiarazione di fallimento e fino al momento in cui il curatore decide se subentrare nei contratti oppure sciogliersi. Qualora non decidesse, la controparte potrebbe metterlo in mora, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine per decidere non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto. Questa previsione non trova applicazione per quei contratti le cui sorti vengono espressamente disciplinate da norme specifiche della stessa sezione della Legge fallimentare.
La legge fallimentare, oltre ad attribuire al curatore il generico compito di svolgere tutte le operazioni della procedura di gestione e amministrazione, impone altresì l’adempimento di alcuni obblighi, quali:

  • la presentazione al giudice delegato di un relazione particolareggiata sulle cause e le circostanze del fallimento, sulla diligenza spiegata dal fallito durante l’esercizio dell’impresa e sulle responsabilità rivestite da quest’ultimo nella determinazione del dissesto; già in questa relazione, il curatore deve individuare gli atti del fallito contestati dai creditori, quelli che intende egli stesso impugnare nonché, qualora si tratti di società, i profili di responsabilità degli amministratori. La relazione presentata è poi depositata in cancelleria su ordine del giudice delegato, che può anche prevedere la segretazione di alcune sue parti, riguardanti ad esempio, i profili penali, quelli personali del fallito, quelli che non interessano la procedura;
  • la presentazione del programma di liquidazione entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario, o comunque non oltre 180 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, pena la revoca. Il programma di liquidazione deve essere approvato dal Comitato dei creditori (che può anche proporre modifiche) e deve specificare:
    • l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di un suo ramo o di autorizzare l’affitto d’azienda o di un ramo;
    • l’esistenza di proposte di concordato e il relativo contenuto
    • le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare ed il loro possibile esito;
    • le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco;
    • le condizioni della vendita dei singoli cespiti;
    • il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo (che non può superare i due anni dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, a meno che il Curatore non lo motivi dettagliatamente);
  • la presentazione al giudice delegato di una rapporto riepilogativo sulle attività svolte, ogni sei mesi dalla presentazione della relazione suindicata: la relazione semestrale- su cui il comitato dei creditori può svolgere osservazioni scritte- ha lo scopo di tenere aggiornato il giudice delegato sull’andamento della procedura e sull’operato del curatore che, in tal modo, è sottoposto ad un maggiore controllo da parte degli altri organi;
  • la cura dei rapporti processuali: il curatore infatti deve stare in giudizio in tutte le controversie (anche se già in corso) relative ai rapporti di diritto patrimoniale del fallito. In questi casi, deve però essere previamente autorizzato a costituirsi dal giudice delegato e farsi sempre assistere da un legale all’uopo nominato. Solo in alcune ipotesi il curatore può stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato e cioè
    • nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale;
    • in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento;
    • in ogni altro caso in cui non sia necessario un difensore;
  • lo svolgimento di tutte le attività prodromiche alle udienze di accertamento dello stato passivo;
  • il compimento di tutte le operazioni necessarie per il reperimento di tutti i beni del fallito, per la loro vendita e dunque per la ripartizione del ricavato fra i creditori mediante i meccanismi previsti dalla legge per la liquidazione e la ripartizione dell’attivo. Peraltro, nello svolgimento di molte delle operazioni a ciò necessarie, i poteri del curatore devono essere integrate da un’autorizzazione preventiva che la riforma ha affidato al comitato dei creditori (mentre in precedenza era demandata al giudice delegato): l’organo di gestione deve pertanto farsi autorizzare per atti quali ad esempio le transazioni, i compromessi, le rinunce alle liti, le ricognizioni di terzi, cancellazione delle ipoteche. Più in generale si può dire che il curatore deve essere autorizzato per tutti gli atti di straordinaria amministrazione. Per gli atti che richiedono l’autorizzazione del comitato dei creditori, se il valore dell’operazione è superiore a €50.000, e in ogni caso per le transazioni, è necessaria anche la comunicazione al giudice delegato (salvo che li abbia già autorizzati con l’approvazione del programma di liquidazione).


Gli atti di amministrazione del curatore possono essere impugnati dal fallito e da ogni altro interessato, mediante lo strumento del reclamo, che deve essere presentato al giudice delegato per violazione di legge entro otto giorni dalla conoscenza dell’atto.
Si può proporre reclamo anche nel caso di omissione. In tale ipotesi, se il reclamo viene accolto, il curatore è tenuto a dare esecuzione al provvedimento.
Il giudice delegato, sentite le parti, decide su di esso con decreto motivato, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio.