Qualifica professionale

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Questa voce è stata curata da Simone Perego

 

Definizione

La qualifica rappresenta lo status professionale del lavoratore; in altre parole, con il termine qualifica professionale si intende l’insieme di conoscenze, abilità e competenze di una specifica figura professionale.

Spetta ai contratti collettivi individuare (art. 2071 c.c.) le qualifiche presenti in una determinata azienda (ad es. operario specializzato, elettricista, capo contabile, ecc.) e, di conseguenza, determinare, unitamente alla categoria e alla mansione, la posizione del lavoratore nella struttura organizzativa dell’impresa, da cui deriva una serie di diritti e doveri inerenti il rapporto di lavoro, nonché di trattamento economico, normativo e previdenziale.

Il datore di lavoro, al momento dell’assunzione, deve comunicare al lavoratore la qualifica che gli è stata assegnata in relazione alle mansioni per cui è stato assunto (art. 96 disp. att. c.c.). In caso di divergenza tra l’imprenditore e il prestatore di lavoro circa l’assegnazione della qualifica, i contratti collettivi possono stabilire che l’accertamento dei fatti rilevanti per la determinazione della qualifica venga fatta da un collegio costituito da un funzionario dell’ispettorato del lavoro, che presiede, e da un delegato di ciascuna delle associazioni professionali che rappresentano le categorie interessate (art. 96 disp. att. c.c.).

 

Fonti normative

  • Codice Civile, artt. 2071, 2095 e 2103
  • Disposizioni per l’Attuazione del Codice Civile, art. 96
  • Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
  • Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n. 81, art. 3

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del Lavoro

 

Qualifica, categoria, mansione

Il concetto di qualifica è strettamente connesso a quelli di categoria e mansione.

Categoria, qualifica e mansione rappresentano infatti i tre “nomina” che consentono alle principali fonti del diritto del lavoro (legge e contratto collettivo) di classificare il personale dipendente.

In estrema sintesi, i compiti concreti del lavoratore, fissati in termini di mansioni regolate legislativamente dall’art. 2103 c.c., vengono di solito riportati ad espressioni riassuntive, rappresentate appunto dalle qualifiche che, a loro volta, vengono ricondotte e raggruppate nell’ambito di categorie legali (quelle indicate nell’art. 2095 c.c. – operai, quadri, impiegati e dirigenti) o convenzionali (indicate dalla contrattazione collettiva – si pensi alla categoria degli intermedi del settore industriale).

In sostanza, a differenza della qualifica, la mansione individua i concreti compiti assegnati al lavoratore dal datore di lavoro, mentre la categoria costituisce il criterio più ampio di classificazione del personale, tale da inglobare al proprio interno i due sotto-insiemi delle mansioni e delle qualifiche.

 

La dequalificazione e il diritto alla qualifica superiore

Una volta instaurato il rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di adoperarsi affinché il lavoratore sia effettivamente assegnato alla qualifica (e alla mansione) per la quale è stato assunto.

Tuttavia, al fine di consentire al datore di lavoro di poter gestire ed organizzare la propria struttura produttiva impiegando i lavoratori con un congruo margine di flessibilità, ovvero di adattare le risorse di cui dispone alle esigenze dell’impresa, l’ordinamento gli riconosce, entro certi limiti, il potere di modificare unilateralmente (ovvero senza il consenso del lavoratore) la qualifica e le mansioni contrattualmente pattuite. Si parla in proposito del c.d. ius variandi.

Tale potere è disciplinato dall’art. 2103 c.c., nella formulazione da ultimo modificata dall’art. 3 D.Lgs. n. 81/2015 (c.d. Jobs Act).

L’art. 2103 c.c. legittima espressamente la dequalificazione del lavoratore (ovvero l’adibizione a mansioni ricomprese in un livello di inquadramento inferiore) in tre ipotesi:

  • nel caso in cui la modifica di assetti organizzativi aziendali incida sulla posizione del lavoratore (art. 2103 co. 2 c.c.);
  • nel caso di previsione da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro (art, 2103 co. 4 c.c.);
  • nel caso di previsione da parte di un accordo individuale di modifica delle mansioni stipulato nelle c.d. sedi protette, che risponda all’interesse del lavoratore: alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle proprie condizioni di vita (art. 2103 co. 6 c.c.).

Ulteriori ipotesi di dequalificazione legittima sono disciplinate dalle leggi speciali. Si tratta, in generale, di casi in cui l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori appare necessaria al fine di soddisfare un interesse qualificato dello stesso lavoratore.
Ad esempio:

  • nel caso di licenziamento collettivo (art. 4 co. 11 L. 223/1991);
  • nel caso di lavoratrici madri (art. 7 L. 151/2001);
  • in caso di sopravvenuta inabilità allo svolgimento delle mansioni di assegnazione per infortunio o malattia (artt. 1 co. 7 e 4 co. 4 L. 68/1999; art. 42 D.Lgs. 81/2008);
  • nel caso in cui sia necessario sottrarre il lavoratore all’esposizione ad un agente fisico, chimico o biologico (art. 229 co. 5 D.Lgs. 81/2008).

Al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore, la dequalificazione è illegittima e il lavoratore avrà diritto ad essere adibito allo svolgimento delle mansioni per le quali è stato assunto (o, in alternativa, a mansioni rientranti nel medesimo livello di inquadramento), oltre al risarcimento del c.d. danno alla professionalità eventualmente subito e provato in giudizio.

L’art. 2103 c.c. disciplina altresì l’assegnazione a mansioni superiori, stabilendo che:

  • il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta;
  • l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore e ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Per approfondimenti, si vedano le voci:

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di qualifica

In genere

  1. Nel lavoro pubblico privatizzato è ammissibile ed insindacabile una variazione di mansioni anche lesiva della specifica professionalità del lavoratore, purché si tratti di mansioni appartenenti al medesimo livello di inquadramento; non tutte le mansioni comprese in un certo livello di inquadramento sono “equivalenti”, ma solo quelle per le quali sia stata compiuta un’apposita valutazione (vedi SS.UU. 8740/2008).
  2. Il lavoratore ha diritto alla qualifica superiore se il riferimento del datore di lavoro alla sostituzione del dipendente assente è solo un pretesto per giustificare l’assegnazione ed ovviare alle carenze strutturali di organico (Cass. 27113/2007).
  3. Il reiterato affidamento delle mansioni superiori, per periodi inferiori al termine previsto dall’art. 2103 c.c. (tre mesi) ma superiori per cumulo, può rilevare l’intento del datore di lavoro essenzialmente elusivo della disposizione finalizzata alla promozione automatica, quando non sussista contemporaneamente la prova – a carico dell’imprenditore- di aver fatto ricorso a tali modalità per assicurare la vacanza del posto da coprire obbligatoriamente attraverso il concorso o la selezione, e per il periodo necessario alla definizione della procedura stessa (Cass. 9550/2007).
  4. Ove pur sussista una situazione di dequalificazione di mansioni, non può il lavoratore sospendere in tutto od in parte la propria attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, garanzia del posto di lavoro): una parte può rendersi inadempiente soltanto se è totalmente inadempiente l’altra parte, non quando vi sia contestazione e controversia solo su una delle obbligazioni a carico di una delle parti (Cass. 8596/2007).
  5. Se il lavoratore viene assegnato costantemente a mansioni superiori, ogni volta per periodi di durata inferiore al termine contrattuale o legale previsto per l’acquisizione del diritto alla qualifica corrispondente, la presunzione utilitaristica diretta ad evitare la promozione non opera nel caso in cui l’assegnazione sia concomitante allo svolgimento della procedura concorsuale per la copertura del posto stesso (Cass. 7754/2006).
  6. L’illegittimo comportamento del datore di lavoro consistente nell’assegnazione del dipendente a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica può giustificare il rifiuto della prestazione lavorativa, in forza dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., purché la reazione risulti proporzionata e conforme a buona fede” (Cass. 4060/2008 e, tra le altre, Cass. 6663/1999, Cass. 5737/1997, Cass. 8939/1996).
  7. Ai fini della valutazione in ordine al diritto al riconoscimento della qualifica di dirigente, il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda rispetto a funzioni simili come quelle di impiegato con funzioni direttive, va individuato nell’autonomia e nella discrezionalità delle scelte decisionali, in modo che l’attività del dirigente influisca sugli obiettivi complessivi dell’imprenditore (Cass. 17344/04).

Per ulteriori informazioni si veda anche la parte relativa alle decisioni della Magistratura alle voci: